Visualizzazione post con etichetta Mondadori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mondadori. Mostra tutti i post

sabato 14 settembre 2019

IL FALLIMENTO DELLA CONSAPEVOLEZZA - Raffaele La Capria


Titolo: Il fallimento della consapevolezza
Autore. Raffaele La Capria
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Genere; Saggio letteratura
Pagine: 113

A Napoli, città dai mille volti che recita se stessa, vi nacque. Era l’anno 1922. Nacque in quella città fortemente ambigua nella quale la linea di demarcazione tra il vero e il falso è perennemente instabile, in un clima, quello del fascismo, di falsa coscienza diffusa. Egli, scrittore, ha cercato sempre di rompere le catene derivanti da tali condizionamenti, auspicando altro, rincorrendo un oltre “per sentirmi uno scrittore il più possibile libero”. La sua è stata, fondamentalmente, un’epoca senza maestri e la sua àncora di salvezza l’ha sempre scorta nella letteratura. Fu Benedetto Croce il suo punto di riferimento nonostante se ne parlasse poco, nonostante intorno al suo nome si fosse innalzata una cappa di silenzio. Croce diede a lui, e ai giovani della sua generazione, la possibilità di accedere alla modernità e fu sempre grazie a Croce che si instillò nel giovane La Capria un concetto fondamentale, ossia che la letteratura fosse uno strumento potente in forza della quale “si poteva intraprendere il cammino verso una libertà spirituale e intellettuale che, allora, durante il periodo fascista ci era negata”…
Raffaele La Capria è uno tra i più grandi autori della letteratura italiana, vincitore, tra gli altri, del Premio Strega con il romanzo Ferito a morte che, all’età di 96 anni, torna in libreria con quest’opera nella quale pone l’accento su quella che, appunto, è stata la sua carriera di scrittore e intellettuale. Scandaglia le sue opere, disserta sulla funzione dello scrittore che, sottolinea, deve essere quella di “critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una conflittualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla.” Pagine che ruotano tutte intorno alla letteratura e a Napoli, sua città natale, che viene soprattutto richiamata per criticare aspramente quella definizione/luogo comune di “letteratura napoletana” che, da sempre, gli è parsa ostica, restrittiva vedendo, in essa, un allineamento assurdo di scrittori profondamente diversi tra loro e trascurando, in tal modo, le peculiarità di ognuno di essi per volerli cacciare, in nome di una definizione, nel medesimo sacco; chiedendosi anche perché non esista, di contro, una letteratura “milanese” o “torinese”. Si entra, con questo volume, nell’immenso mondo della letteratura, nel mondo di La Capria che ci offre anche un capitolo di autopresentazione: chi è La Capria? Uno scrittore estemporaneo, fedele alla sua vocazione letteraria seppure sempre distratto da altro. Si conoscono le sue opere, il suo percorso di crescita, il suo approccio con Croce, si legge di una sua conversazione con De Masi e ci offre, finanche, le lettere che lo stesso inviò, militare a Caserta, al suo amico Peppino Patroni Griffi. E il tutto si legge con grande ammirazione e interesse.

giovedì 13 giugno 2019

COL CORPO CAPISCO - David Grossman

Titolo: Col corpo capisco
Autore:David Grossman
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Pagine: 308
Genere: Racconti
Traduzione: Alessandra Shomroni

Shaul li vede, li sente. Vede sua moglie Elisheva con l’altro, basta che chiuda gli occhi. E vede come Elisheva afferra la spalla dell’uomo e si piega per togliersi le scarpe. La vede aggrapparsi a quel corpo. I vestiti sparsi per terra. Shaul sa. E li vede anche in quella giornata di ottobre quando si trova a bordo di una Volvo con una gamba ingessata, mentre sua cognata, la moglie di suo fratello, Esti, è al volante. Dopo trenta minuti di viaggio i due cognati non hanno ancora iniziato qualcosa di simile a una conversazione. Esti ancora non sa che quel viaggio sarà l’occasione per sentire la storia di Elisheva e Shaul e di quel tradimento, di quel terribile tradimento che ossessiona Shaul, ma di cui lui ha la certezza pur non avendoli mai seguiti quei due. E forse anche Esti avrà qualcosa da raccontare… Sua madre è ammalata, a letto. Lei, Rotem, sua figlia, è tornata da Londra: è da due anni che non si vedono. La guarda, quella donna morente, e per quanto si forzi non riesce a collegarla alla donna che era, la regina delle indovine, ma che di lei non sa nulla. Rotem ha scritto e, soprattutto, ha scritto di sua madre. E, ora, al suo capezzale, le leggerà, sera dopo sera, quelle parole. Parole del passato, dell’infanzia, delle lezioni di yoga che sua madre, all’epoca, teneva e di quel ragazzino…
Col corpo capisco è il secondo dei due lunghi racconti che compongono l’opera del celebre autore israeliano e che, appunto, dà il titolo alla medesima. Racconti differenti certo, ma uniti da due elementi cardine: il corpo e il sentimento della gelosia, seppur visti con prospettive diverse. Infatti, se da un lato,  si descrive, con minuzia e con precisione quasi chirurgica com’è tipico di Grossman, il sentimento di gelosia all’interno di un matrimonio, dall’altro, la gelosia sarà il tarlo che intaccherà, in modo quasi traumatico, il rapporto di una figlia con la madre. E tutta la narrazione sarà un ruotare attorno al binomio corpo-gelosia, in una sorta di danza che alterna realtà e immaginazione, alternanza che, a tratti, viene meno, fino a creare una totale commistione tra realtà e pensiero fino a non scorgere più di alcuna linea di confine tra i due, creando terreno fertile per una dimensione nebulosa, sfumata, tipica del mondo onirico. Come negli altri suoi romanzi, Grossman riesce, e in ciò è sempre abile, a mettere a nudo l’animo umano, a compiere complesse analisi introspettive, a trasformare i corpi, tangibili, in sensazioni, per definizione non tangibili, a ridurre tutto al rango di sentimento. Ma nel far ciò porta tutto all’esasperazione e la lettura è, a tratti, faticosa, fors’anche per la ricchezza della sua lingua esacerbata dal continuo e ripetuto ricorso ad aggettivi che, ridondanti, affaticano.
Articolo già pubblicato su Mangialibri



giovedì 21 marzo 2019

COME SE TU NON FOSSI FEMMINA - Annalisa Monfreda

Vacanze con lezione

Titolo: Come se tu non fossi femmina
Autore: Annalisa Monfreda
Genere: Saggio costume
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Pagine: 168

Una madre, due figliole, un viaggio insieme. E 50 lezioni. 
Doveva essere una vacanza in famiglia, già programmata da tempo, ma lui le comunica come, per motivi di lavoro, avrebbe dovuto rinunciare a quella settimana di ferie, aggiungendo un bel “è la vita del consulente, tesoro”. Certo quella comunicazione del coniuge cambia le cose e, intanto lei, elabora mentalmente, ipotesi di vacanze alternative: un bungalow in Salento? Oppure una stanza in una pensione a Rimini? Tra i dubbi che annebbiano la sua mente si fa strada, all’improvviso, l’illuminazione. Perché cambiare programma e rinunciare alla Croazia? Perché, invece,  non intraprendere quel viaggio in auto, solo lei in compagnia delle loro due figlie? Perché no? E lui pare soddisfatto della soluzione che gli pare, a dir poco, perfetta. E questa è già una lezione “circondatevi di persone che pensano non ci sia nulla che voi non possiate fare” Inizia così il viaggio a tre, con la voce di Bianca Pitzorno che, dall’autoradio, le accompagnerà con le avventure di Streghetta mia….
Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna e Starbene, in occasione del viaggio con sue figlie,affronta una serie di questioni legate all’essere genitori di figlie femmine. Dell’impegno e delle responsabilità precise che comporta il compito educativo di una femmina. Il viaggio descritto non è solo fisico, ma anche e soprattutto simbolico. Ogni esperienza raccontata, ogni aneddoto descritto, ogni ricordo della sua infanzia riportato in luce diviene opportunità per elargire una lezione, fino ad arrivare a 50 lezioni. Il libro nasce dal “bisogno sociale di parlare di educazione di genere” come ha affermato la stessa Monfreda. Numerosi gli argomenti trattati: il ruolo fondamentale delle conquiste delle donna e che tali conquiste non debbano mai essere dimenticate, l’auspicio che il rispetto delle regole non nasca dalla paura, il rapporto col potere e la necessità di rapportarsi ad esso. Dalla lettura emerge, inoltre, un grande amore per la letteratura, il bisogno di esame della stessa per comprendere bene il ruolo della donna nelle società passate e attuali. Letteratura che deve essere buona e, quindi, né maschile né femminile, con l’invito alle figliole di nutrirsi di vita, di esperienze, di buoni libri. Ma anche un inno alla leggerezza, al sapersi divertire e soprattutto al ruolo fondamentale delle passioni che, continuamente, devono essere alimentate. Libro attuale, certo, forse non originalissimo, ma la cui lettura risulta interessante per ogni genitore. A prescindere dal sesso dei figli.

martedì 17 aprile 2018

INCHIESTA SU GESÙ - Corrado Augias


Gesù chi?

Titolo: Inchiesta su Gesù
Autori: Corrado Augias – Mauro Pesce
Editore: Mondadori
Anno: 2006
Genere: Saggio religione
Pagine: 280


Chi era Gesù? Chi era l’uomo che parlò alle folle lanciando messaggi nuovi e originali? L’uomo amato, speciale, ma anche torturato, condannato a morte e crocifisso? L’uomo che, forse, risorse? È molto probabile che quell’uomo vide i propri natali a Nazareth, un piccolo villaggio sito in Galilea, ciò che, invece, è certo è che egli fu partorito da Maria. Maggiori dubbi, come è risaputo, sussistono circa la sua paternità: se il Vangelo di Giovanni ritiene che sia stato Giuseppe il padre fisico di Gesù, quelli di Matteo e Luca, invece, sostengono la sua nascita miracolosa ad opera dello Spirito Santo. A lui, quasi sicuramente, si deve la composizione della preghiera Padre Nostro. È altresì certo che Gesù fosse un ebreo: per dire, egli crede in unico Dio e, nell’antichità, questa risulta essere una caratteristica precipua dell’ebraismo, così come sono fondamentalmente ebraici tutti gli insegnamenti divulgati da Gesù. Passo opportuno per comprendere davvero chi sia stato quell’uomo è quello di abbandonare una forma mentis imbevuta di cristianesimo e “guardarlo con occhi ebraici.”

"Si acclama un leader, lo si osanna, da lui ci si aspettano una certa quantità di benefici; quando, per un qualsiasi motivo, le ragioni della sua forza, e per conseguenza i benefici sperati, e quindi il suo fascino, vengono meno, con molta rapidità la folla si allontana lasciando solo l’uomo fino a poco prima idolatrato"

In questo ottimo saggio, edito nel 2006, il noto giornalista Augias intavola un interessante dialogo con il biblista Mauro Pesce al fine di offrirci un ritratto, terreno, dell’uomo chiamato Gesù. Una conversazione nella quale le domande, curiose e talora provocatorie di Augias trovano le risposte precise e dettagliate di Pesce il quale, nelle sue argomentazioni, rimane ancorato a un approccio prettamente storico che, nel suo intento, non “compromette la fede, ma neppure obbliga a credere.” Il punto forte di questo vivace botta e risposta è quello di restituirci la figura di Gesù nella sua dimensione terrena, nella sua fisicità di “carne, muscoli,” ed è pregevole il risultato: quell’uomo che percorreva le vie di Israele e diffondeva messaggi a carattere universale diviene quasi tangibile e, in qualche maniera, molto vicino a noi grazie all’eliminazione di quei pesanti veli che. nel corso del tempo, per esigenze religiose e teologiche, si sono stratificati su quella figura. Tale analisi ha comportato una disamina della miriade di fonti esistenti e di interpretazioni contraddittorie che spesso hanno alterato le vicende concrete. Un’inchiesta affascinante che muovendosi in quei testi, dalla cui lettura emergono anche degli splendidi passi letterari, in grado di colpire tutti: credenti e atei.

Altri libri:

venerdì 6 aprile 2018

TERREMOTO - Chiara Barzini

Scosse e crescite

Titolo: Terremoto
Autrice: Chiara Barzini
Genere: Romanzo
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Pagine. 336
Traduzione: Chiara Barzini – Francesco Pacifico

Con un titolo evocativo la Barzini ci porta nel movimentato, ma anche confuso, triste, malinconico mondo dell’adolescenza. Protagonista è Eugenia che si ritrova non solo a vivere quella complicata fase della vita (ho ancora ricordi terribili della mia adolescenza), ma per di più in un ambiente lontano da quello in cui è cresciuta perché costretta a seguire i suoi genitori in America.

 “Stavo guardando mia nonna, seduta a gambe incrociate e tette nude sulla spiaggia di El Matador, a Malibu, quando mi ricordai che da piccola io e lei pomiciavamo. Lei tirava fuori la lingua e io gliela dovevo leccare. Lo chiamava il gioco del lingua a lingua. Un raviolo molliccio le usciva di colpo dalla bocca in cerca di compagnia. Non potevo dirle di no. L’odore della sua saliva mi repelleva e il gioco non mi piaceva, ma mi era stato detto di farlo lo stesso perché lei era vecchia e io bambina. Andammo avanti così fino ai miei otto anni. La visione dei suoi seni nudi e penduli sulla spiaggia, quel giorno, mi sembrò fuori luogo come la sua lingua nella mia bocca anni prima. Era sempre tutto così nella mia famiglia. Non facevamo mai le cose come si deve
(Incipit)

Nel 1992 la giovane Eugenia si trasferisce, al seguito della famiglia, da Roma a Hollywood “per diventare ricchi e famosi” disse il padre, ma il genitore, inseguendo con quel trasferimento il sogno di diventare un grande regista, scordò di dirle che sarebbero andati a vivere nella San Francisco Valley. Ed ecco la famigliola italiana, con nonna al seguito, nelle strade americane. Il primo acquisto sarà una Ford Thunderbird decapottabile. Eccola Eugenia, nella Valley così lontana da quei fotogrammi di Hollywood che i suoi genitori avevano promesso sarebbero diventati la sua vita. La Valley è un luogo sconsolato, le cui strade hanno poco di accogliente. Poi c’è la scuola, con i metal detector, la diffusa paura delle gang: Eugenia, isolata, in quell'edificio affollato da migliaia di studenti si sente sperduta. È sola. Il suo modello di vita, consolatorio e salvifico, diviene la Vergine Maria alla quale si rivolge, dal giorno del trasferimento, per avere rassicurazioni materne, quelle che Serena, la madre, non riesce a darle perché troppo impegnata. Perché sempre altrove, con lo spirito. Ed è proprio a Maria che  si rivolge il primo giorno di scuola, con il terrore che le stringe il cuore e le rebook pumpins ai piedi “Maria, questo è il giorno più importante della mia vita (…) non voglio dover cercare un bagno. Ho paura di chiedere dov’è. Ti prego fa che non debba fare pipì”…

Terremoto, scritto in inglese poi tradotto in Italiano, è un romanzo sull'adolescenza che, in qualche modo, ha dei punti di contatto con l’esperienza personale dell’autrice poiché che, anch'ella, come Eugenia ha vissuto, da giovane, il trasferimento dall’Italia. L’adolescenza è, per definizione, una fase complessa, ma diviene ancor più difficile in queste pagine dal momento che ad essa si accompagna un traumatico distacco, non voluto ma subito. Lontana da tutto, lontana da tutti, Eugenia è sola, tremendamente sola, con due genitori hippie, preoccupati solo di far un film, quasi dimentichi della sua esistenza, sordi alle sue richieste. Eugenia combatte, con la tristezza nel cuore, fa di tutto per farsi accettare, si costruisce un immaginario costume di gomma che la proteggerà da quella vita. Piccola e inadeguata, diversa, con le reebok ai piedi quando tutte le altre ragazze avevano i tacchi. Cerca calore, amici, qualche parvenza di amore e qualcosa trova, personaggi spezzati come lei: Alo l’indiano con il cancro alla gola, Henry con l’orecchio mozzato, l’amico necrofilo, il persiano vittima di una gang. Un romanzo amaro, un vero terremoto, appunto, soprattutto interiore, spesso silenzioso, non urlato, appena accennato, ma lacerante. Non manca anche la tenerezza e lo spazio per un amore, quello per Deva, bella e diafana, in una terra dove per il romanticismo non c’è posto. La Barzini è riuscita a descrivere in modo incisivo l’ansia e la sofferenza del distacco, le difficoltà del crescere, il dolore di chi non ha punti di riferimento, alternando pagine altamente appassionanti -bellissima la parentesi della vacanza della protagonista in una piccola isola italiana e meravigliose le descrizioni dei paesaggi e della natura - a pagine con tono decisamente più basso.

Altre recensioni:
L'estate di Ulisse Mele, Roberto Alba
Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, Eric-Emmanuel Schmitt
Montedidio, Erri De Luca
Velvet, Mary Gaitskill

lunedì 12 marzo 2018

L'USIGNOLO - Kristin Hannah


Nell'ombra 

Titolo: L’Usignolo
Autore: Kristin Hannah
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Genere: Romanzo guerra
Pagine: 466
Traduzione: Federica Garlaschelli

Francia, Carrevau, agosto 1939. È una calda giornata e Vianne è felice: si appresta a fare, con suo marito e sua figlia, un picnic sulla riva del fiume. Il sole illumina le loro risate e le loro parole. E quando Antoine pronuncia il nome di Hitler e della sua maledetta guerra una nube pare oscurare quella che sembrava una giornata splendida. Già, la guerra. L’invasione tedesca e gli uomini che dovranno andare a combattere. Tra questi, anche Antoine…Parigi, giugno 1940. Isabelle, sorella diciottenne di Vianne, per l’ennesima volta è stata cacciata da un istituto per signorine perché Madame Allard ritiene come alla stessa non interessi “imparare ciò che abbiamo da insegnarle”. Non è la prima volta che Isabelle viene espulsa da una scuola. Alla fine, nella sua breve vita, è sempre stata cacciata: prima la morte di sua madre, poi l’abbandono del padre e anche Vianne, la lasciò. E, adesso, tornerà da suo padre che è sicura non la vorrà. Sarà così infatti: quel genitore, duro e distrutto dalla prima guerra mondiale, ritiene di non poterla tenere con sé e la invita –senza lasciarle alternative- a trasferirsi da Vianne. Nel lungo e tortuoso percorso che la condurrà a Carrevau, tra attacchi nemici e lunghe file di persone sofferenti, incontrerà Gaetan e capirà quale sarà il suo destino: ribellarsi e combattere questa guerra…

L’usignolo, pubblicato per la prima volta in America nel 2015, ha incontrato da subito il favore e l’entusiasmo dei lettori per la sua immediata capacità di regalare emozioni intense. È indubbio che la storia narrata, ambientata nei tristi giorni dell’occupazione nazista in Francia, non lasci indifferenti sia perché il periodo storico è descritto con precisione - facile evincere un lungo lavoro di ricerca e documentazione - ma soprattutto per la prospettiva, tutta al femminile, adottata dalla scrittrice. Sono, fatte alcune eccezioni, rari i romanzi che affrontano la guerra secondo una visione femminile, quasi che la guerra fosse solo “affare” o, anche, solo “di proprietà degli uomini” in quanto sono loro che partono, combattono, muoiono. Invece, qui appaiono donne che, seppure in modo diverso, lottano con coraggio e forza. Combatte Isabelle che persegue, senza nessuna incrinatura, il suo ideale di libertà,  senza nulla temere, perdendo la propria identità e rischiando la vita ogni giorno, ma combatte anche Vianne, apparentemente più pavida, restando in casa, sola con sua figlia, ad attendere il marito e nascondendo bambini ebrei. Le due sorelle divengono il simbolo di tutte le donne che hanno vissuto esperienze simili e che, pur non avendo ricevuto medaglie o riconoscimenti ufficiali, hanno posto dei piccoli e preziosi tasselli nell’accidentato percorso della liberazione. Un romanzo commovente, dettagliato, scorrevole che, in qualche modo, restituisce dignità a quelle persone che seppur lavorando nell’ombra, in silenzio, hanno dato molto alla Storia.

Leggi anche:
Eredità, Lilli Gruber

lunedì 19 febbraio 2018

SOTTO LE CIGLIA CHISSÀ - Fabrizio De André


"Metteva l'amore sopra ogni cosa"

Titolo: Sotto le ciglia chissà
Autore: Fabrizio De André
Genere: Biografie / Diari
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 237



"Non sono i ciechi ad aver bisogno di un bastone, ognuno di noi ha bisogno di una luce, di un'idea, di una speranza."

Ho letto con piacere Sotto le ciglia chissà, una raccolta, frammentaria, di pensieri del grande cantautore genovese. Amato, adorato sin da bambina. Tanti pensieri, sparsi qua e là, su tutto e dai quali emerge tutta la sua grandezza.

Parole, scrittura, musica, Perché scrivere? Per paura. “Paura che si perda il ricordo della vita e delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me”. Domande e risposte, “Non chiedete a uno scrittore di canzoni cosa ha pensato, che cos’ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera”. Sogni, desideri, utopie come necessita “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Paradisi, qui, sulla terra “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. E, naturalmente, Genova, città “severissima” che, in ciò, assomiglia alla Sardegna e nella quale ci si ritorna volentieri perché non è un’amante, ma “Genova è mia moglie”…


Senza tempo e senza concatenazione sono i pensieri sparsi che formano questa opera frutto dell’attività certosina di raccolta da parte di Dori Ghezzi e conservate presso l’Università di Siena nel Centro Studi dedicato al grande cantautore. Uno zibaldone di parole, dettato dalla necessità istintuale di fissare sulla carta pensieri, osservazioni, impressioni, critiche che De André annotava su ciò che, sul momento, aveva a disposizione: agende, libri, buste o scontrini. C’è tutto De André: il suo sarcasmo, il suo spirito anarchico, la sua ironia affilata e feroce. C’è l’amore, c’è l’attenzione, tutta sua, per l’umanità ai margini, la cura e il rispetto per le lingue minori, le lingue dell’anonimato, il rapporto genitori e figli. C’è il profumo della terra sarda e il legame fortissimo con Genova e i suoi carruggi. Ci sono anche momenti dell’infanzia con i suoi ricordi e l’eredità lasciata. E mentre si leggono questi frammenti per quanto essi siano eterogenei si ha quasi l’impressione di riuscire a metterli in un ordine, fuori dall’ordine, e aggiungere nuovi tasselli a una figura che riesce sempre a colpire la nostra mente e il nostro cuore con la consapevolezza, al tempo stesso, che rimarranno sempre degli spazi da colmare per ricostruire una figura che ha qualcosa di immenso. E oggi, manca, manca tanto.


venerdì 30 giugno 2017

L'AMORE NECESSARIO - Nadia Fusini

Cuore animale

Titolo: L’amore necessario
Autore: Nadia Fusini
Editore: Mondadori
Anno: 2008
Pagine: 130
Genere: Romanzo

La scrittura è un’arma, una cura, un parlare senza interruzioni, spesso a noi stessi. Con estremo coraggio.

"Siamo vuoti, tutti vuoti... o sono io, io sola, a non possedere nulla? Io sola a provare la sottile, inestirpabile, vorace sensazione che la vita non sia mai quella che vivo, ma sempre un'altra? È strano, ma non ho mai avuto la forza di illudermi di essere qualcosa... La mia forza è un'altra, ambigua, intrisa di orgoglio e di vergogna. Si nutre di coraggio, si affama di paura. Conta sul cuore, per me è questo l'organo dell'intelligenza. Col cuore penso. Che esiste il mondo, me lo assicura il mio cuore animale, vivo, pulsante…”

Alla luce di una lampada al neon una donna è seduta nel tavolino di un bar semideserto di un aeroporto. All’altro capo del tavolo siede uno sconosciuto che beve una birra. Un luogo qualunque. Lei pensa a quanto sia singolare il fatto che un luogo estraneo possa condurci dentro noi “così nel profondo, al centro di pensieri che non riusciamo a formulare quando ci aggiriamo in spazi che ci sono familiari.” La donna si sente sola perché lui, il suo lui, definisce libertà cioè che, invece, è un’assenza, il vuoto della sua presenza. E lì, in quel luogo estraneo, con quella solitudine che la assorbe sente un bisogno incontenibile di scrivergli. Prende un quaderno, per mettere a nudo la sua anima. Per parlare d’amore, del loro amore, di come accadde quel miracolo che, a ben vedere capita sempre nello stesso modo: due creature separate, quasi senza volerlo, si confondono. La mente torna al giorno nel quale si incontrarono. Per puro caso. Nessuno lo scelse, accadde appunto. Lei lo amava perché lui era lì e stava diventando il suo destino. Piano piano, parola per parola, la donna inizia ad avventurarsi in un precipizio d’amore che, lì in quel luogo estraneo, urla e protesta…

"Ma tu non sapevi, allora, di stare attizzando un fuoco che t'avrebbe bruciato, facevi così perché obbedivi alla legge impersonale della vita.
Chi è vivo cerca la vita, la fiamma."

Nadia Fusini, figura di spicco del panorama letterario italiano, nota in particolare per le sue traduzioni di autori del calibro di Virginia Woolf e di Shakespeare, per citarne solo qualcuno,  ci regala un romanzo epistolare che dimostra quali vette e luoghi nascosti dell’anima una lettera possa raggiungere. Con un linguaggio elegante, ricco di riferimenti a temi classici, le parole della protagonista ci portano nell’universo magico, tormentato e misterioso dell’amore, con una continua alternanza di delicatezza e di durezza entrambi necessari per descrivere un sentimento ricco di mille sfumature e sempre difficile da definire univocamente perché Amore è prigione, Amore turba, sconquassa, ma non finisce mai di incantare. La sua scrittura diviene lo specchio dentro il quale l’anima può rimirarsi, esprimersi, urlare. E la donna che scrive urla, si interroga, scava continuamente nei meandri del suo passato, del suo presente, del suo cuore riuscendo a dargli voce e una forma che sia vera. Perché è questo che lei, in fondo cerca: la verità ,o meglio, per dirla con le parole della stessa Fusini “La volontà di questo personaggio è quella di non lasciarsi ingannare perché l’innamoramento è spesso un inganno, come Titania che si innamora dell’asino.”


mercoledì 28 giugno 2017

LA VOLATILITÀ DELL'AMORE - Uwe Timm

In equilibrio precario

Titolo: La volatilità dell’amore
Autore: Uwe Timm
Editore: Mondadori
Genere: Romanzo
Pagine: 264
Traduzione: Matteo Galli


Un titolo splendido. Sì, a volte, mi fisso con i titoli.
Dialoghi intensi che, da soli, valgono tutto il libro.
E, in più, un romanzo che si pone come omaggio a Le affinità elettive di Goethe.
Insomma, le premesse c’erano tutte per avere delle ottime aspettative che, di fatto, non sono state deluse.

Eschenbach si è rifugiato, da alcuni mesi, in una piccola isola del mare del Nord, una riserva naturale. La sua nuova vita, quasi da Robinson Crusoe moderno, segue un ritmo lento e costante: lunghe camminate mattutine sulla spiaggia per cercare relitti per raccogliere ciò che il mare, giorno dopo giorno, trasporta e annotare puntualmente in un registro gli oggetti ritrovati oltreché osservare e studiare gli uccelli perché ora, dopo la disfatta e le perdite subite, è questa la sua nuova professione, il birdwachting. In una mattina che sembra identica a tutte altre, mentre si versa il tè bollente della colazione sente squillare il telefono. Non riconosce subito la voce. Quella voce. È la voce di Anna. Anna che non sente da sei anni, dal giorno in cui lei è sparita dopo un chiaro messaggio in segreteria “Ti prego. Non chiamarmi più. Non voglio e poi non ce la faccio più.” per trasferirsi a New York, Anna che, adesso, gli dice che, trovandosi ad Amburgo, vuole rivederlo e lo raggiungerà nell’isola…

“La conosceva bene, pensò, la conosceva ancora adesso. Quella frase: è ormai tempo di rivedersi.”


Uwe Timm, uno dei maggiori scrittori tedeschi contemporanei, con questo romanzo che è un omaggio a Le affinità elettive di Goethe, pare conoscere, nel profondo, gli effetti dell’amore a prima vista se non altro per averlo sperimentato personalmente: non è un caso, infatti, che il matrimonio con sua moglie abbia origine da un amore improvviso e fulminante tra i due che vivevano già rapporti stabili. Partendo da due coppie solide e affiatate Anna e Edwal, da un lato, e Eschenbach e Selma, dall’altro, l’autore tedesco fa irrompere in quell’equilibrio quasi perfetto, l’amore, il desiderio dirompente, generatore di caos e rovina. Desiderio barbaro, potente, invincibile, che non si piega, non conosce rinuncia. A dimostrare come l’amore, quell’amore, è un veleno che, per dirla con Eschenbach, dissacra il mondo, porta dolore, ma –al medesimo tempo– è libertà. E quando quella bestia fa ingresso nelle nostre vite, apparentemente prive di spigoli, tutto non potrà più essere come prima. Tutto cambierà. A nulla varranno i tentativi di riparazione che, comunque, risulterebbero maldestri e inadeguati.  La vicenda, narrata con uno stile sobrio, si snoda a ritroso e con lentezza piacevole che impone un continuo soffermarsi sugli intensi dialoghi che, da soli, contengono l’essenza di questo sentimento capace di trasformare l’essere umano.

domenica 2 aprile 2017

LA PIÛ AMATA - Teresa Ciabatti

Titolo: La più amata
Autore: Teresa Ciabatti
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Genere: Romanzo

È da febbraio che avevo in mente di leggere La più amata. Curiosità, ma non solo: era qualcosa di più, forse la sensazione che sarebbe stata una bella lettura. In effetti, lo è stata. Ci vuole molta forza e molta determinazione nel tornare indietro, nel ripercorrere il mondo incantato (o creduto tale, spesso) dell’infanzia per riscriverlo, riviverlo e capirlo. Libro duro, crudele e, indubbiamente, coraggioso.

Lei, Teresa, ha quarantaquattro anni e tutto quello che è lo deve a suo padre: egoista, superficiale, anaffettiva, diffidente, asociale. Lei credeva che suo padre la amasse immensamente, credeva di essere l’amore della sua vita e, soprattutto, era convinta del fatto che lui le raccontasse tutto, invece non le aveva raccontato nulla. Lui, il padre, è Lorenzo Ciabatti, primario chirurgo presso il San Giovanni di Orbetello, conosciuto semplicemente come il Professore. Lui, un santo, un benefattore. Tutti gli devono qualcosa, qualcuno gli deve tutto. Lui che provava un certo ribrezzo per gli africani, non per razzismo – figuriamoci il Professore un razzista!- ma semplicemente perché i neri sono esseri inferiori, chiaro no? Lui, vendicativo, calcolatore. Lui ateo che credeva solo negli uomini, o meglio, nella superiorità di alcuni uomini. Lui e il suo misterioso  anello d’oro con zaffiro da quattro carati. Lei, Teresa, dopo 26 anni dalla morte del padre -un dio quell’uomo, dicevano- decide di scoprire chi veramente fosse quell’uomo…

 “lo amo davvero? Non lo so, non sono abituata a valutare ciò che amo per i viventi”

Quanto coraggio serve per mettere a nudo un idolo soprattutto se quest’idolo è il proprio genitore? Indubbiamente molto e di certo non ne è mancato a Teresa Ciabatti, scrittrice e sceneggiatrice, nella sua ultima fatica. Usando la scrittura a mo’ d’arma tagliente ripercorre gli anni della sua infanzia e della adolescenza per far emergere la verità intorno a suo padre, l’idolo appunto. Una ricerca della verità che ha il sapore di una vera e propria ossessione. Pare che per l’autrice nessuno sia intoccabile, tantomeno quel dio in terra da tutti osannato. E alla dimensione intima e familiare, quei “Ciabatti per i quali i bambini non esistono” né esistono abbracci o carezze, si aggiunge un frammento di storia italiana, dell’Italia dei misteri e dei personaggi che li hanno creati e alimentati e nei quali nuotava il Ciabatti padre. Un libro crudo, crudele senza alcuna pietà. Per nessuno, neanche per se stessa: egoista, madre inadeguata, asociale, senza alcun rapporto con il fratello. Non è lei la buona e il resto del mondo i cattivi, sarebbe stato troppo semplice.Pagina dopo pagina le parole della Ciabatti divengono dardi infuocati che lasciano il segno. Già dalla sua uscita si vociferava una candidatura del romanzo al Premio Strega e, proprio in questi giorni, la candidatura è divenuta ufficiale a seguito della presentazione ad opera di Stefano Bartezzaghi e Edoardo Nesi.


lunedì 25 luglio 2016

FAVOLA IN BIANCO E NERO - Mauro Corona

Brutta gente

Titolo: Favola in bianco e nero
Autore: Mauro Corona
Editore: Mondadori
Anno: 2015
Pagine: 93
Genere: Racconto

Si chiama favola, ma si legge invettiva.
Un Mauro Corona cattivissimo e, al tempo stesso, verissimo.
Brutta gente nel mondo. Brutti i pensieri, le azioni e le omissioni.

Avvenne tutto di sera in quello stesso paesino di montagna nel quale, due anni prima, la signora Leonida aveva notato l’assenza del Bambino Gesù. Ma questa volta è un po’ diverso: dando uno sguardo al presepe si nota che i Bambin Gesù son ben due.  Uno bianco e uno nero: con le braccine tese quasi a volersi tenere per mano. Ovvio che quei due non possano stare insieme. I razzisti si inalberano e, nell’immediato,  tentano di rimuovere il bambino color cioccolato, ma quello riappare. Anche i non razzisti, che in pubblico parlano di amore universale, di pace e fratellanza, nel segreto delle loro dimore, tentano di eliminarlo: o a martellate, se la statuina è di gesso oppure cercano di bruciarlo nella stufa, se è di legno: ma non serve, il bambino riappare subito dopo. Bisogna adottare soluzioni drastiche dicono i più decisi e, così, ricorrono alla magica dinamite per far saltare in aria le case: ma il bambino nero riappare, stavolta nelle loro tasche. La questione investe tutti i media nonché tutte le categorie di “esperti e cercatori dell’inutile”, ma nulla cambia. Naturalmente intervengono i Grandi del mondo per arrivare, dopo estenuanti sedute, a una conclusione: la necessità di verbalizzare, e, con atto pubblico,  l’impossibilità di separare i due. Ma, si sa bene “grandi del pianeta, soluzioni bonsai”. Che fare allora?...
Non si pensi di trovare in questa favola i boschi e i paesaggi delle montagne ertane, i cieli nevosi e l’aria pura. No, niente di tutto questo. Questa è una favola cattiva che assume i toni dell’invettiva. Corona, con l’immagine di due Bambin Gesù, di cui uno colorato, affonda la sua penna tagliente e decisamente arrabbiata nelle pecche dell’umanità che, di fatto, ha ben poco di umano “oramai l’esistenza di noi umani è disumana” dirà a un certo punto con amara consapevolezza. Perché l’uomo è egoista, vendicativo e tremendamente ipocrita. Ipocrisia che pare enfatizzarsi nel periodo natalizio dove c’è quasi -per quel male terribile che è il buonismo- la necessità abusare di belle parole: tutte finte, non sentite, sia chiaro. Perché, appunto, così dev’essere, perché è Natale. Non amiamo i nostri vicini, le disgrazie dei nostri amici ci rendono felici come ebbe a dire La Rochefoucauld, non accettiamo i diversi e i fatti recenti legati al fenomeno dell’immigrazione, al quale le parole di Corona inevitabilmente richiamano, lo dimostrano chiaramente. Perché noi siamo la guerra, amiamo la guerra e la vogliamo. E se il suo scopo dichiarato era quello di scrivere una fiaba cattiva sul Natale “perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni”, diciamo che c’è riuscito benissimo.

giovedì 12 maggio 2016

PER LETTERA - Iselin C. Hermann




"Piccoli gesti"

Titolo: Per lettera
Autore: Iselin C. Hermann
Editore: Mondadori
Anno: 1999
Pagine: 138
Traduzione: Bruno Berni
Genere: Romanzo epistolare

"19 dicembre. A Jean-Luc Foreur.

In qualche punto sotto la pelle, dove la carne diventa fluida, vedo il suo quadro “Sans titre 2,22x2come era esposto nella Galleria Y a Parigi.

O forse: i colori, le linee, le sfumature mi sono entrati nel corpo.  Anche se non lo possiedo quel quadro mi appartiene.

Grazie,

Delphine.”
(Incipit)


Così inizia questo breve romanzo epistolare, con queste parole con le quali Delphine comunica al pittore, Fourier, di sentire suo il quadro dallo stesso dipinto. Non attende risposte. E, invece, Jean Luc le risponderà. Inizierà così tra i due una fitta corrispondenza germe di una passione che – giorno dopo giorno – diviene sempre più incontenibile e nella quale arte e desiderio si fonderanno per confluire in un epilogo inaspettato, totalmente inaspettato. Disperato in qualche modo.


In questi tempi fatti di mail, whatsapp, like e unlike vari ritornare, con le parole della Iselin, alla vecchia cara lettera restituisce il sapore di momenti lontani nei quali attaccare il francobollo e far volare le parole aveva qualcosa di magico, per non parlare dei giorni vissuti nell’attesa di una risposta. E in Per lettera le parole producono un frastuono emotivo e corporeo quasi tangibile. L’amore nasce con le parole e per le parole e, alla fine, poco conta chi sia a pronunciarle/scriverle, perché rimangono, comunque, il veicolo privilegiato per esprimere l’animo umano, per dipingere sguardi solo immaginati, sentimenti, le emozioni. Ma sono anche lo strumento per creare e crearsi mondi immaginifici, per forgiare volti e, finanche, toccare un corpo, nonostante le distanze.
E lettera dopo lettera, seguiamo, con tensione crescente, quelle parole (a volte intense, a volte banali come solo l’amore può essere) che, a tratti, uniscono i due e, a tratti, paiono allontanarli. E chiedersi se sia mai possibile che due persone –innamorate, legate – riescano ad amarsi esattamente nello stesso identico modo.
E, ancora, chiedersi se, talvolta, non sia meglio rimanere in quel limbo sicuro alimentato dalle nostre fantasie e riscaldato da un desiderio solo mentale piuttosto che spingersi oltre, fino a rendere tutto corporeo, materiale, tangibile. 


“Solo ora, guardandomi indietro, so quanto ero felice. Felice e spensierata. Nella mia euforia credevo che tutto fosse possibile. E credevo che la felicità più grande fosse incontrare te. Che stupida! Quanto ero avida! Non rendermi conto che ero felice perché sospesa. Non giungere a destinazione, non arrivare a nulla, questa è la felicità più grande.” (Pag. 126)


Un libro che, nella sua normalità, riesce, alla fine a stupire. Un libro che pone domande, forse non dà risposte perché, spesso, non esistono.

Altri libri:
Le ho mai raccontato del vento del Nord, Daniel Glattauer