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mercoledì 28 giugno 2017

LA VOLATILITÀ DELL'AMORE - Uwe Timm

In equilibrio precario

Titolo: La volatilità dell’amore
Autore: Uwe Timm
Editore: Mondadori
Genere: Romanzo
Pagine: 264
Traduzione: Matteo Galli


Un titolo splendido. Sì, a volte, mi fisso con i titoli.
Dialoghi intensi che, da soli, valgono tutto il libro.
E, in più, un romanzo che si pone come omaggio a Le affinità elettive di Goethe.
Insomma, le premesse c’erano tutte per avere delle ottime aspettative che, di fatto, non sono state deluse.

Eschenbach si è rifugiato, da alcuni mesi, in una piccola isola del mare del Nord, una riserva naturale. La sua nuova vita, quasi da Robinson Crusoe moderno, segue un ritmo lento e costante: lunghe camminate mattutine sulla spiaggia per cercare relitti per raccogliere ciò che il mare, giorno dopo giorno, trasporta e annotare puntualmente in un registro gli oggetti ritrovati oltreché osservare e studiare gli uccelli perché ora, dopo la disfatta e le perdite subite, è questa la sua nuova professione, il birdwachting. In una mattina che sembra identica a tutte altre, mentre si versa il tè bollente della colazione sente squillare il telefono. Non riconosce subito la voce. Quella voce. È la voce di Anna. Anna che non sente da sei anni, dal giorno in cui lei è sparita dopo un chiaro messaggio in segreteria “Ti prego. Non chiamarmi più. Non voglio e poi non ce la faccio più.” per trasferirsi a New York, Anna che, adesso, gli dice che, trovandosi ad Amburgo, vuole rivederlo e lo raggiungerà nell’isola…

“La conosceva bene, pensò, la conosceva ancora adesso. Quella frase: è ormai tempo di rivedersi.”


Uwe Timm, uno dei maggiori scrittori tedeschi contemporanei, con questo romanzo che è un omaggio a Le affinità elettive di Goethe, pare conoscere, nel profondo, gli effetti dell’amore a prima vista se non altro per averlo sperimentato personalmente: non è un caso, infatti, che il matrimonio con sua moglie abbia origine da un amore improvviso e fulminante tra i due che vivevano già rapporti stabili. Partendo da due coppie solide e affiatate Anna e Edwal, da un lato, e Eschenbach e Selma, dall’altro, l’autore tedesco fa irrompere in quell’equilibrio quasi perfetto, l’amore, il desiderio dirompente, generatore di caos e rovina. Desiderio barbaro, potente, invincibile, che non si piega, non conosce rinuncia. A dimostrare come l’amore, quell’amore, è un veleno che, per dirla con Eschenbach, dissacra il mondo, porta dolore, ma –al medesimo tempo– è libertà. E quando quella bestia fa ingresso nelle nostre vite, apparentemente prive di spigoli, tutto non potrà più essere come prima. Tutto cambierà. A nulla varranno i tentativi di riparazione che, comunque, risulterebbero maldestri e inadeguati.  La vicenda, narrata con uno stile sobrio, si snoda a ritroso e con lentezza piacevole che impone un continuo soffermarsi sugli intensi dialoghi che, da soli, contengono l’essenza di questo sentimento capace di trasformare l’essere umano.

sabato 16 luglio 2016

ALTEZZA REALE - Thomas Mann

Titolo: Altezza reale
Autore: Thomas Mann
Editore: Newton & Compton
Traduzione: Francesca Ricci
Anno: 1993
Pagine: 272

Lessi Altezza reale per la prima volta a 18 anni durante una vacanza al mare. Tante cose sono cambiate da allora. Per esempio, ora non prendo più il sole, per dire. Però è, comunque, bellissimo riprendere in mano vecchi libri per rileggerli con nuovi occhi e, magari, scoprire che – a distanza di vent’anni e più – un libro amato possa rivelarsi deludente: non è questo il caso. Mann si rivela, ancora una volta, un grande autore in grado di leggere e descrivere un’epoca in caduta.

Per legge e per tradizione i figli della coppia regnante devono nascere nella fortezza di Grimmburg. Ai primi di giugno, esattamente il giorno dopo pentecoste, sessantadue colpi di cannone annunciano un lieto evento: la granduchessa Dorothea ha dato alla luce, per la seconda volta, luce un principe. Il padre del piccolo, avvisato telegraficamente, si precipita alla fortezza per ammirare il nuovo nato. Pare sano, soprattutto rispetto al primogenito da sempre di salute cagionevole, tranne che per quella piccola mano rattrappita e i medici, chiamati ad esaminarlo, affermano trattarsi di un’atrofia incurabile. Ma dopo la prima reazione si comprende come ci si debba abituare a quella malformazione e, d’altronde, una zingara profetizzò la salvezza del regno ad opera di un sovrano con una mano sola…
Come nei Buddenbrook anche in questa opera del 1909 Mann affronta il tema della decadenza, questa volta di una dinastia di un piccolo regno, scandita dal ritmo lento delle vicende nelle quali muove i suoi passi e con la mano atrofica rigorosamente celata agli sguardi altrui, Klaus Heinrich, secondogenito, ma destinato a svolgere le funzioni del fratello, il granduca, sempre afflitto da problemi di salute. Il regno è sommerso dai debiti, le manovre economiche si son rivelate insoddisfacenti e le sale di rappresentanza magistralmente simboleggiano, con le loro tende scolorite e divorate dalle tarme, un crescente degrado che, comunque, non impedisce lo svolgersi delle cerimonie di rito perché cosi dev’essere.  Klaus è amabile nella sua ingenuità, nella sua voglia di scoprire il mondo pur soffocato dall’isolamento e i suoi sforzi volti a mescolarsi col mondo esterno risultano vani e fagocitati da ciò che rappresenta: non può essere diverso da ciò che deve essere. Più che un essere umano è un simbolo. E quando si lascia andare spogliandosi dei suoi panni non gli è consentito muoversi liberamente perché tutti “pur senza indovinarla” sentono la sovranità. E se la prima parte del romanzo lascia presagire una decadenza tout court ci si dovrà ricredere nell’ultima dove Mann ha dato un cambio di rotta al racconto regalandoci il dolce sapore di una favola.