Mettersi in fila
Titolo: Tocca a te
Autore: Kgebetli Moele
Editore: Epoché
Anno: 2010
Pagine: 188
Genere: Romanzo
Traduzione: Monica Martignoni
Ho letto questo libro qualche anno fa e ne rimasi colpita per la massiccia
dose di cinismo in esso presente. Un romanzo forte e senza pietà che raggiunge
picchi di crudeltà altissimi. Ottima prova narrativa indubbiamente.
Due libri. Il libro dei vivi e il libro dei morti. Kutsho è un bimbo
sudafricano un po’ infelice, che ama le feste e ama tanto ballare. Egli è
soprattutto un bimbo che parte da una situazione svantaggiata. Si guarda
attorno e vede le differenze tra la sua vita e quella degli altri bambini. Un
giorno si chiede perché a casa sua non ci siano mai feste, perché il Natale è
una cosa che accade solo nelle altre famiglie. Sua madre gli dà la risposta:
quelle famiglie, dice, “possiedono un’auto e danno feste perché se lo possono
permettere”. È da quel momento che l’obiettivo del piccolo Kutsho diviene
quello di studiare, e tanto, di diventare qualcuno e, soprattutto, di uscire
dalla miseria. Desidera la ricchezza e farà di tutto per ottenerla. Kutsho
cresce e, piano piano, realizza i suoi sogni. Fino a che nella sua vita, quasi
ormai perfetta, non succede qualcosa che cambia tragicamente le carte in tavola
e lo porta a compilare, con una diligenza che sfiora la follia, un altro libro:
il libro dei morti, di fattura artigianale ed elegantemente rilegato in pelle
nera...
Secondo romanzo di un giovane scrittore sudafricano che è stato annoverato
dal Sunday Indipendent tra i migliori libri dell’anno 2009. Un libro, attualmente fuori catalogo, crudo, agghiacciante e originale nel quale il protagonista indiscusso non sono
certo i sogni, non è l’amore – pur presente – non è la bellezza – anch’essa
presente - ma è il virus dell’HIV. È l’impalpabile virus che diviene voce
narrante. Che domina e muove le sue pedine in una immaginaria scacchiera dove
si gioca una partita con la morte. E si sa già chi sarà il vincitore. Una
realtà triste e attuale raccontata in modo inusuale poiché Moele capovolge,
abilmente, gli usuali canoni di narrazione proponendoci un nuovo modo per
avvicinarci e conoscere questa realtà. Infatti, non sono più i malati che
parlano, soffrono o si disperano. Non ci sono esami ematochimici né corsie di
ospedali con camere asettiche né, tantomeno, terapie da rispettare. No, loro
tacciono lasciando la parola a quel mostro, che assetato di sangue come
un vampiro, cerca corpi – giovani o meno giovani, ma rigorosamente sani - nei
quali fare ingresso in modo spietato e, al tempo steso, subdolo. Perché quel
mostro che non regala neanche una piccola speranza ha bisogno di allargare le
schiere della sua legione infernale. Questa è la sua missione, da compiere
senza un briciolo di pietà. Per nessuno. Senza discriminazioni, in nome di un
assurdo principio di eguaglianza – sostanziale e formale - che,
necessariamente, deve trovare applicazione. Con uno stile serrato ed essenziale
Moele tratta un argomento molto delicato e tragico in modo cinico, quasi
crudele, con una lucidità che lo allontana notevolmente da quei pietismi nei
quali spesso cade la letteratura che affronta simili tematiche. Duecento pagine
che suscitano interesse e scorrono via piacevolmente pur lasciando al lettore
l’amaro in bocca.
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