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domenica 10 gennaio 2021

SOLO DANNI COLLATERALI - Pier Bruno Cosso

 


Titolo: Solo danni collaterali

Autore: Pier Bruno Cosso

Editore: Marlin

Genere: Romanzo

Pagine: 201

 

È un sabato, un sabato normale. Il dottor Enrico Campanedda dorme, a fianco a sua moglie Gavina. Nella stanza accanto, dorme la loro figlia. Prima del risveglio, un sogno. Un sogno strano. Ma, in fondo, nulla di che. È solo sabato. Sabato che, per il dottor Campanedda, significa tante cose: "un porto sicuro", un giorno nel quale, egli pensa, può restare a letto "e ignorare quel filo d'erba invadente che si sviluppa nel giardino" ma anche nei suoi pensieri. Ma c'è in lui una sensazione strana. Quasi un presagio negativo. Ma, di fatto, nulla che possa fargli immaginare quel sabato dalle fosche tinte kafkiane che, di lì a poco, dovrà vivere. Suona il campanello. Pensa si trattidi qualche paziente. Sua moglie si precipita ad aprire. Tre carabinieri in divisa entrano nella sua casa. Non comprende. È tutto così assurdo. Sente le loro parole "Ecco il mandato regolarmente firmato dal Giudice [...] dopo la dobbiamo condurre in caserma." In caserma? A lui? È un avvertimento? Un consiglio? Una minaccia? Non lo sa. Non sa nulla, il Campanedda. "Le conviene collaborare" dicono ancora quei tre uomini...

L'ultimo romanzo di Pier Bruno Cosso, pubblicato da Marlin Editore nel 2020, trova la sua genesi in un fatto realmente accaduto e ci offre una storia angosciante: un medico, da un giorno all'altro, vede sconvolta la sua vita a seguito dell'imputazione a suo carico di una serie di reati. Da quel momento, la sua vita sarà radicalmente trasformata. Nulla è certo, pare dire Cosso nelle sue pagine. Emergerà, poi, come il Campanedda sarà solo una pedina nella mani di un Giudice senza scrupoli che gioca una partita a scacchi sapendo, in partenza, di poter vincere. Tanti sono i temi affrontati: la perdita dolorosa delle certezze, l'instabilità dei rapporti umani, il malfunzionamentodella macchina della giustizia che impedisce possa essereci una giustizia che sia anche giusta e, soprattutto, la sete cieca di potere e di fama per il cui soddisfacimento si è disposti a tutto: anche a mietere vittime. Anche a rovinare vite (altrui). In questa follia, in fondo, è ben poca cosa la vita e l'onestà di un medico rispetto alla gloria. E il povero Campanedda non solo perderà il lavoro, la fiducia dei suoi pazienti, non solo subirà una notevole perdita economica, ma dovrà, in particolare rimanere avvinghiato ai danni collaterali, di cui all'eloquente titolo: sono questi ultimi il vero nocumento. Precipiterà in un oscuro baratro, insieme alla sua famiglia, baratro senza appigli nel quale si schianterà e trascinerà con sé il rapporto con la moglie, il rapporto con la figlia, il senso di sicurezza. 

Come negli altri romanzi dello scrittore sassarese è marcata, se non preponderante, l'introspezione psicologica dei personaggi, lo scavo nell'anima degli stessi e trapela, sempre, quel senso di amarezza e, spesso, di impotenza di fronte agli eventi che la vita, perfida matrigna, ci sbatte in faccia. Senza preavviso alcuno. Solo danni collaterali è un romanzo avvincente, inquietante dotato di un'ottima architettura. Altresì, è chiara la crescita dell'autore rispetto ai precedenti romanzi e una maggiore attenzione nei costrutti linguistici che si traducono in uno stile accurato e preciso



martedì 31 marzo 2020

LA TURISTA ITALIANA - Maria Tina Bruno


Rinascite

Titolo: La turista italiana
Autore: Maria Tina Bruno
Editore: Pop Edizioni
Anno: 2019
Genere: Romanzo 
Pagine: 480


Milano. Claudia è sola, nel suo appartamento. Marcello è scomparso. Per sempre. Ogni mattina, da quando lui le ha lasciato quel maledetto foglietto contenente le sue intenzioni, Claudia, puntuale, alle dieci, si scola una bottiglia di vino bianco. È il suo rimedio contro il tempo. Marcello se n’è andato senza una parola. E lei, Claudia, è ossessionata, dai ricordi e dal volto di Marcello che pare vedere ovunque. La sua è una disperazione lenta e graduale…. Isola di Creta. Chania. Alekos, come ogni mattina, alle cinque lascia squillare la sveglia, impreca per venti minuti e si riaddormenta. Alle sei in punto sale in sella alla sua moto per recarsi al lavoro. Fa la guida turistica e, a dire il vero, non ha mai capito i turisti e le loro manie di fare le odiate foto ricordo. Alekos è bello come il sole, “un gigante alto due metri”, circondato da donne, anche se solo una è riuscita a impadronirsi del suo cuore. Claudia e Alekos non sanno che un giorno si incontreranno. Già, perché Claudia ha una grande amica, Francesca, la quale la accompagnerà in un viaggio proprio a Creta e, nella gola di Samaria, durante un’escursione i due si incontreranno. E tutto cambierà…

La turista italiana non è solo un romanzo d’amore del quale, indubbiamente, possiede tutti gli ingredienti è, anche, un romanzo sulla rinascita, sul cambiamento, sulla ricerca interiore. Un continuo riscoprirsi per ritrovare se stessi. Il percorso di Claudia inizierà con la scomparsa di Marcello che decide di suicidarsi, continuerà con un delirante tormento (possibile che lei mai si sia accorta del malessere del suo uomo?) per giungere all’incontro con l’affascinante Alekos. Un rapporto contraddittorio il loro, diversi, appassionati, uniti e divisi al tempo stesso. Un ruolo centrale, nelle pagine del romanzo, è quello del sesso, inteso come strumento agile di comunicazione. Un sesso in senso positivo, quindi, dettato dalla passione e reciproca volontà in contrasto con il sesso negativo che, anche esso, occuperà alcune pagine relative nelle vicende relative alla francese Claudette, una delle tante figure femminili del romanzo.  E poi c’è l’amicizia. Sentimento per eccellenza. Ancora di salvezza nei momenti buoi, rappresentato, per Claudia, da Francesca, colei che, sempre e comunque ci sarà. Fanno da contorno alla narrazione i bellissimi panorami, il mare e i paesaggi di Creta con le sue gole, le sue spiagge e la sua incantevole natura. La turista italiana è un romanzo avvincente, rocambolesco, brillante, ironico e divertente con qualche nota di amarezza. Si segnala una particolarità dell’opera: la pubblicazione dalla Casa Editrice Pop la quale, dichiaratamente, si prefigge l’obiettivo di consentire agli scrittori un’alta percentuale sulle vendite, a tal fine, rinunciando alla distribuzione coi canali ordinari, essendo prevista la vendita solo sul sito della casa editrice stessa.


giovedì 26 marzo 2020

IL PAESE DELLE CROCI - Gianfranco Cambosu

      Dolenti ruches
 
Titolo: Il paese delle croci 
Autore: Gianfranco Cambosu 
Editore: Emersioni 
Anno: 2019 
Genere: Noir
 Pagine: 269



Sardegna, Sas Ruches. Il professore Ercole Cassandra si trova da tre giorni nell’isola, a ricoprire la cattedra di insegnante in una scuola media, in un piccolo paesino della Barbagia. Già da subito, Cassandra sente la distanza abissale tra lui e i suoi alunni. Ritiene che tale abisso non potrà essere colmato. Certo potrebbe sempre tornare nella sua, di isola, Nessuno glielo impedirebbe, sarebbe sufficiente una semplice raccomandata o anche una più rapida telefonata. E invece no, lui rimane. “Non è dei Cassandra tirarsi indietro.” Infatti, Il professore è siciliana, ma con quella aspra terra che lo ospita ha un legame particolare: quindici anni prima suo padre, Capitano dei Carabinieri, fu ucciso proprio a Sas Ruches. La sua presenza, quindi, non è dovuta solo all’insegnamento, ma ha anche lo scopo di far luce su quell’omicidio lontano nel tempo che risulta essere ammantato dal mistero. E lui intende conoscere la verità che sa essere difforme da quella ufficiale…

Quinto romanzo dell’autore nuorese Il paese delle croci è un’opera complessa nella quale confluiscono tematiche di diversa natura. Partendo dal nucleo tipico del giallo del quale possiede tutti i canonici pilastri: omicidio-indagine-individuazione del colpevole, Cambosu ci trasporta in un mondo dalle mille sfaccettature immerso in atmosfere grigie e cupe e che danno la stura a una serie di riflessioni. In primis, è un romanzo sulla terra sarda, con le sue tradizioni – non ultimo quelle culinarie - analizzate nei loro tipici aspetti. Particolarmente interessante e degne di nota sono le descrizioni de s’istranzu, il forestiero, e del suo rapporto con la terra ospitante, affidate sia alle parole dello stesso Cassandra, ma che emergono dal quadro generale di quella piccola società che è Sas Ruches. Rapporto tra s’sistranzu e terra ospitante, quindi, descritto molto onestamente e al di fuori di ogni logica campanilistica. Emerge nitidamente la difficoltà, per il forestiero, di inserirsi all'interno di una piccola comunità,. La comunità è chiusa in se stessa, poco aperta alle novità, in una sorta di autarchia spesso insondabile perché granitica, ammantata di segreti, di regole non scritte. Vero è che, nella cultura sarda pienamente rappresentata da Sas Ruches, l'ospite è sacro, è rispettato e finanche coccolato, ma è altresì vero che egli deve "stare al suo posto", osservare, partecipare senza mai esagerare, senza mai confondersi con gli abitanti del luogo perché è, e sempre sarà, unu istranzu. Quello sarà sempre il suo marchio perché ci sono cose che non potrà mai comprendere, ci sono porte che per lui non potranno mai aprirsi. Ancora, colpiscono le pagine dalle quali emerge l’importanza del ruolo dell’insegnante che non è, a dispetto dei programmi ministeriali, quello di fornire nozioni tecniche o freddi dati, ma è soprattutto quello di dotare – seppur con difficoltà e nonostante esse – il giusto bagaglio per affrontare la vita, soprattutto quando la vita ti ha lasciato in eredità i dettami di un mondo omertoso, diffidente e chiuso nel quale tende a prevalere, su tutto, la necessità di non mutare alcunché, di lasciare le cose nello stato di fatto in cui si trovano, stato di fatto che assurge, quasi, al rango di stato di diritto. Un diritto sui generis, certo, ma sempre diritto. 
Infine, il libro regala una speranza, una sorta di messaggio positivo, perché nulla è perduto. Tutto può cambiare, pare dimostrarci. Sono i giovani che rappresentano questa speranza. Sono i giovani il motore del cambiamento, in melius.

lunedì 23 marzo 2020

A.L.F. LA STORIA DI DONOVAN BRADLEY - Maurizio Ricci

Scanzonati, ma non troppo

 Titolo: A.L.F. La storia di Donovan Bradley
Autore: Maurizio Ricci
Editore: Bibliotheka
Anno: 2019
Genere: Romanzo
Pagine: 384

    Siamo a Londra alla fine degli anni '80. Stuart e Donovan sono due giovani molto diversi tra loro per estrazione sociale, per cultura e per esperienze di vita. Stuart è uno studente che può contare sull'appoggio della sua famiglia, si laureerà in chimica e lavorerà nella fabbrica dello zio, una volta ottenuto il titolo. Donovan è figlio della strada, per vivere fa il meccanico. Diversi, ma saldamente uniti da una amicizia sincera e leale. Insieme sono invincibili, condividono tutto. Vivono quasi in simbiosi. E si divertono tanto. Le cose paiono cambiare quando Donovan incontra la bella Lucy, una rampolla di ricca famiglia. Si innamorano e, in tutto ciò, Stuart teme quel cambiamento che sta vedendo nel suo adorato amico. Teme che Lucy con la sua influenza possa allontanare Donovan da lui. Vede con sospetto l'interesse e la graduale conversione di Donovan alla causa animalista....

    Il romanzo di Maurizio Ricci è, essenzialmente, la storia di una grande amicizia, nel senso più ampio del termine: condivisione, amore incondizionato, comprensione. Ma l'amicizia comporta anche ansie e preoccupazioni nonché gelosia e paure. Comporta anche, come sarà per Stuart, seguire un amico, pur non condividendone totalmente le scelte, per un senso di protezione. Stuart, ingenuo e un po' imbranato, seguirà Donovan trovandosi così invischiato in situazioni rocambolesche e avventurose superando finanche i limiti della legalità proprio lui, il bravo ragazzo di buona famiglia, che nella sua vita ha assurto al rango di valore fondamentale proprio la legalità. Amicizia, dunque, ma non solo perché tra le pagine del romanzo tanti sono i temi trattati, c'è l'amore travolgente come solo il primo amore può essere, c'è il peso fondamentale degli ideali, c'è l'amore per gli animali e la ribellione a un sistema che, in nome del progresso scientifico e del dio denaro, infligge crudeltà a esseri indifesi. E ci sono, ancora, gli estremisti. A.L.F. è un romanzo scanzonato, ma non troppo, appassionante,ricco di colpi di scena.
    Dolce, ma anche molto amaro

sabato 14 marzo 2020

IL COMMEDIANTE TRASFORMATO - Stefan Zweig

Protezioni
 
 Titolo: Il commediante trasformato
Autore: Stefan Zweig
Editore: Vie Del Vento
Anno: 2019
Genere: Teatro
Pagine: 41
Traduzione: Claudia Ciardi


Nel grande salone in stile rococò fa ingresso la contessa, la favorita del principe, la quale domanda alla sua damigella quali siano le novità. La zelante damigella le consegna il programma dei divertimenti settimanali: caccia alla volpe, giostra, festa da ballo, ricevimenti. Insomma, una settimana intensa, ma – di fatto – il solito tran tran. Inoltre, la damigella in questione si premura anche di comunicarle come là fuori, da parecchio tempo, ci sia un giovane che attende, impaziente, udienza. Si tratta di un commediante. Giovane, magro, dinoccolato. Viene fatto entrare, la contessa lo guarda con estrema curiosità e non senza una certa superiorità – certo, normale in lei – gli chiede un bel “Desidera?”. Al che il giovane prende la parola evidenziando, in particolare, il fatto che nessuno protegga i teatranti e come la loro vita sia spesso governata dal vento e dall’inedia e, pertanto, egli implora “la sua misericordia affinché la contessa conceda a lui e alla sua compagnia protezione”. Questo cerca: aiuto, protezione e sicurezza. Di questo ha bisogno l’arte, altrimenti non si può andare avanti. All’improvviso, a interrompere le richieste del giovane, si ode un forte trambusto davanti alla porta della sala e, repentinamente, fa ingresso un uomo, il cavaliere, ben noto alla contessa…

Pubblicato dalla casa editrice Via del Vento nella collana i Quadernidiviadelvento, che si è posta l’obiettivo di riscoprire testi inediti e rari del ‘900, Il commediante trasformato si inserisce nella produzione giovanile di Zweig. Infatti il teatro fu uno dei primi amori del grande autore tedesco e pare come, nonostante nelle opere successive e più conosciute egli abbia preso altre strade, che quel primo amore non si sia mai affievolito. Trattasi di un’opera in atto unico nella quale si analizzano e espongono, tramite la voce del commediante, le angustie, i crucci, le sofferenze dell’attore, del suo ruolo nella società. Attore non votato a un buon destino quanto piuttosto votato a morte certa se privo di tutela o protezione da un potente. Attore destinato, senza tale ancora di salvezza, a vivere ai margini: “non abbiamo altro tetto che questo carro esposto a vento e pioggia” dirà il nostro commediante. E nonostante questo inizio desolante il teatrante, nel corso delle vicende che si sviluppano nel palazzo, acquisisce forza e una grande consapevolezza di sé e del suo ruolo, da qui il trasformato del titolo. Nell’opera non è difficile cogliere echi shakespeariani, ma anche tematiche nostrane come quelle di Pirandello “tra un’ora damerino ventenne metterò in scena la sua persona. E tutto quello di cui fa sfoggio […]mi appenderò tutto come una maschera con quell’aria tronfia che le appartiene. Non uno ma cento come lei farei vivere in un’ora”. Lo stesso Pirandello che, peraltro volle tradotto in tedesco dallo Zweig il suo dramma Non si sa come. Un atto unico decisamente affascinante per stile e tematiche e che, inevitabilmente. stimola a conoscere ancor meglio lo Zweig drammaturgo.

sabato 30 novembre 2019

TRE PREGHIERE - Jane Austen

Amen

Titolo: Tre preghiere 
Autrice: Jane Austen 
Editore: Oligo 
Anno: 2019 
Pagine: 38 
Genere: Saggio religione 
Traduzione: Cristiano Ferrarese

È giunta la sera, la giornata volge al termine, si è soli con se stessi, in una stanza silenziosa. È, questo, quindi, il momento più adatto perché le nostre parole, i nostri pensieri si possano rivolgere a Lui, l’Onnipotente. Per chiedere il Suo misericordioso perdono per i peccati commessi, perché Egli insegni a ognuno di noi a comprendere quanto i nostri cuori siano colmi di peccato. E ogni cuore, è necessario, che si ponga delle domande quotidiane: abbiamo forse trascurato quelli che sono i nostri doveri? Abbiamo arrecato, volontariamente o inconsapevolmente, un dolore, un qualsiasi dolore, ad altri esseri umani? E si chiede a quel Dio per il quale non abbiamo alcun segreto, a quel supremo Essere che tutto vede e tutto sente, di difenderci sempre dal male. Si domanda – ora e sempre – costante protezione per tutti, in particolare per gli ammalati, per chi soffre, per chi è orfano, per le vedove. Per chi è solo. E si prega affinché la divina pietà possa giungere a tutti coloro che sono rinchiusi e privati del bene della libertà personale…
Il piccolo volume edito da Oligo riproduce tre preghiere della sera contenute in un manoscritto messo all’asta da due nipoti di Charles Austen, fratello della nota scrittrice inglese. Ma come ogni manoscritto che si rispetti anche questo ha fatto sorgere dei dubbi circa la vera paternità dell’opera che parrebbe non integralmente frutto della penna della scrittrice per via delle diverse calligrafie che vi compaiono, ma – sembrerebbe – come il contenuto rientri, comunque nell’orbita della famiglia Austen. Al di là della querelle, trattasi, comunque, di un ritrovamento importante, soprattutto per gli appassionati, nel quale, appunto, emerge il forte sentimento religioso della famiglia Austen, non è un caso che il padre della scrittrice fosse un pastore anglicano. È forte la devozione che traspare da queste pagine, così come il bisogno di perdono, la consapevolezza di essere dei peccatori, ma anche la richiesta di aiuto non solo per se stessi, ma altruisticamente anche per chi soffre. Il volume, scarno, risulta molto ben curato ed è, anche, arricchito e impreziosito da bellissime riproduzioni di incisioni risalenti al XIX secolo.


giovedì 21 novembre 2019

MATRIOSKA - Cristina Comencini

Diverse, ma non troppo

Titolo: Matrioska
Autrice: Cristina Comencini
Editore: Feltrinelli
Anno: 2004 
Pagine:191
Genere: Romanzo


Antonia, l’artista napoletana, la scultrice, si presenta agli occhi di Chiara con un caftano rosso a coprire il suo immenso corpo: il corpo più sterminato che Chiara abbia mai visto. In testa, Antonia, porta un turbante scuro. “Faccio questo libro solo per i soldi”, queste le parole della scultrice. Già, perché Chiara ha accettato l’incarico di scrivere una biografia dell’artista. Solo dopo qualche minuto di conversazione, la futura biografa sente premerle dentro una strana sensazione, quasi un senso di ripulsa nei confronti di quella donna monumentale, forse per il suo eccessivo esibizionismo senile, per quella fastidiosa totale assenza di pudore e anche per il suo autoritarismo. Ma la scrittrice, nonostante quella prima impressione, andrà avanti pur non sapendo ancora come quell’incontro, strano e poco piacevole, sarà l’inizio non solo di un percorso lavorativo, ma anche di una conoscenza di se stessa. Non sa ancora che Antonia, come dirà più avanti scrivendo il libro, assomigli “a una bambola russa che ne contiene altre più piccole, tutte con i pomelli rossi e gli occhi bistratti”, una matrioska, insomma. Ancora non lo sa, ma inizia tirando fuori il suo piccolo registratore…
Cristina Comencini, regista e scrittrice, con Matrioska esegue il ritratto di due donne profondamente diverse sia per carattere, sia per professione, sia per esperienze di vita. Antonia è tendenzialmente proiettata verso il “ciò che è stato”, Chiara, invece, è lanciata verso il suo futuro: la sua crescita professionale, il rapporto con suo marito e la crescita dei figli. Talmente diverse che lo scontro è inevitabile così come è inevitabile il non fuggire in quella sorta di battaglia, ma scontrarsi e combattere continuamente. Ma alla fine, tale lotta non è mai fine a se stessa perché il tutto si inserisce in un quadro nel quale le due protagoniste, in qualche modo, si avvicinano e si completano. Ad un certo punto, si verifica una sorta di transfert: “da quando l’ho incontrata sono assediata dai miei ricordi, li mischio ai suoi”, dirà Chiara. La Comencini, con la delicatezza che le è propria, riscostruisce un universo femminile in tutte le sue articolazioni e complessità. Sia la complessità di Antonia, la matrioska, e della sua vita colma di tante storie che si intersecano, si moltiplicano, si sovrappongono. Sia la complessità, meno evidente, di Chiara che si ritrova a rievocare ricordi del suo passato legato a una madre mancante. E la figura della madre (nelle sue esplicazioni/varianti di rifiuto, abbandono, morte), infine, diviene una sorta di punto di contatto tra le due protagoniste. Divise, ma unite.


venerdì 4 ottobre 2019

L'ISOLA DEI PESCECANI - Paola Ravani


Di sogni e prigioni
Titolo: L’isola dei pescecani
Autrice: Paola Ravani
Editore: Einaudi ragazzi
Anno: 2019
Pagine: 156
Genere: Ragazzi
Età: dai 12 anni

"L'isola dei pescecani, affusolata e panciuta in lontananza, assomigliava a uno squalo con la bocca spalancata, pronto ad azzannare con i denti aguzzi chiunque si avvicinasse" (Incipit)
Due giovani fratelli, Ruben e Babila, vivono nell’isola blu. Hanno, come tutti nella loro terra, il terrore dell’Isola dei pescecani che si scorge in lontananza “mai dirigere la prua verso l’isola dei Pescecani” ripetevano, da tempo immemore, gli anziani. Un monito, quello. Una regola di vita. Un insegnamento da non trasgredire. Ma, nonostante ciò, i genitori di Babila e Ruben violarono quel precetto e si avventurano in mare, diretti verso l’isola del terrore, per non fare mai ritorno nella loro terra. Lasciando, sulla terraferma, due orfani. Ruben e Babila hanno sogni, tanti, ma paiono destinati, come tutti, a non poter mai abbandonare il luogo natio. Ruben dovrà fare il pescatore, così vuole la tradizione. Dovrà abbandonare il sogno di divenire musicista? E sua sorella Babila dovrà rinunciare al suo smisurato amore per i libri? Rinunciare a fare l’insegnante? Pare proprio di sì. Ma un giorno qualcosa di inaspettato potrà sconvolgere quegli equilibri….
L’isola dei pescecani ha il sapore e i profumi dei vecchi libri d’avventura che hanno costellato la nostra infanzia. Ruben e Babila ci conducono nel loro mondo, ristretto, nel quale comunque i sogni mettono radici. I due condividono la quotidianità nella loro isola avulsa dal resto del mondo, condividono il dolore per la perdita dei loro genitori. Attorno a loro ruota una serie di personaggi: amici, nemici, animi divorati dall’avidità, ma anche anime delicate e gentili, il tutto nella tradizionale dicotomia buoni-cattivi. Ma nell’intreccio narrativo domina su tutto la natura, con la sua fauna e il suo mare, madre e matrigna, selvaggia e buona e, in particolare, l’isola, intesa in senso fisico ma anche metaforico, isola che protegge, ma che può essere anche carcere.  La Ravani è riuscita, indubbiamente, a ben orchestrare una storia avvincente, all’insegna dell’avventura nella quale dominano il coraggio, la voglia – quasi la necessità – di un riscatto, ma anche all’insegna dei grandi sentimenti, dell’amore in senso lato, inteso come amore familiare, fraterno, come amicizia. Un romanzo ricco di forti messaggi sulla opportunità, talora, di non temere ciò che non si conosce, un invito a osare perché non sempre ciò che temiamo è davvero così orribile. Un libro sulla Natura, sulla crudeltà della medesima, ma – alla fin dei conti – in una ipotetica bilancia sarà sempre la cattiveria umana a superare quella della natura.


martedì 17 settembre 2019

IL FRUTTO DEL FUOCO - Elias Canetti

L'intensità della giovinezza

Titolo: Il frutto del fuoco
Autore: Elias Canetti
Editore: Adelphi
Anno: 1994
Genere: Saggio biografico
Pagine:375
Traduzione: Renata Colorni, Andrea Casalegno

Lui era abituato, ai cambiamenti. Già da bambini accettava, senza polemica alcuna, i posti nuovi: mai vi si era ribellato. Tutto ciò fino a quando ebbe sedici anni. Infatti, fu proprio a quell’età – correva l’anno 1921 – che visse, con una forte amarezza, il distacco da Zurigo, città nella quale, infatti, avrebbe voluto trascorrere tutta la sua esistenza. Quel cambiamento fu una dolorosa ferita che riteneva insanabile. Fu così che si ritrovò catapultato a Francoforte, in un ambiente completamente diverso, nel quale visse con addosso quel sentimento dominante di nostalgia. Andò, con la madre e il fratello Georg, ad abitare in una pensione: vivevano in due stanze e consumavano i pasti in una sala comune con gli altri pensionanti. C’era, a quella tavola condivisa, la signora Raham la quale scendeva a mangiare soltanto ogni tanto per via della linea. Tutti, o meglio tutti gli uomini, la desideravano. Poi c’era una vedova di guerra, la signora Kupfer e suo figlio Oskra e tanti altri, chi per molto tempo, chi per breve tempo. Sua madre, a essere onesti, alla pensione godeva di una certa considerazione, senza però avere mai un ruolo dominante…
Il frutto del fuoco costituisce la seconda parte della biografia dell’autore insignito del premio Nobel per la letteratura nell’anno 1981. Se nella prima parte, La lingua salvata, il tema erano gli anni dell’infanzia, ne Il frutto del fuoco si condensa il decennio (1921-1931) della giovinezza. L’opera rientra, a pieno titolo, nel bildungsroman: è il romanzo di formazione del giovane Canetti che, appunto, si ritrova in un mondo nuovo fervido di spinte intellettuali. Ma ci saranno anche i compagni di scuola, le intense e profonde discussioni, le amicizie, i conflitti con la madre. Saranno la Berlino di Brecht e la Vienna di Karl Kraus, nella quale si laureò in chimica, ad accompagnarlo in questi anni, fondamentali per la sua crescita intellettuale e spirituale ed è sempre di questi anni la nascita del suo interesse per il concetto di massa, quella cosiddetta “pulsione di massa”, in eterno contrasto con la pulsione della personalità che, infine, costituiranno il punto di partenza per la sua evoluzione che, poi, confluiranno con sviluppi ulteriori nella sua monumentale opera Massa e potere. Una giovinezza intensa quella di Canetti, acuto osservatore della società che lo circondava, sempre attento a studiare con meticolosità il mondo nel quale si trovava a vivere, inserito in ambienti che, in qualche modo, gli hanno consentito di esprimere e meglio ampliare quella grandezza che già, ab origine, egli possedeva.


sabato 14 settembre 2019

IL FALLIMENTO DELLA CONSAPEVOLEZZA - Raffaele La Capria


Titolo: Il fallimento della consapevolezza
Autore. Raffaele La Capria
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Genere; Saggio letteratura
Pagine: 113

A Napoli, città dai mille volti che recita se stessa, vi nacque. Era l’anno 1922. Nacque in quella città fortemente ambigua nella quale la linea di demarcazione tra il vero e il falso è perennemente instabile, in un clima, quello del fascismo, di falsa coscienza diffusa. Egli, scrittore, ha cercato sempre di rompere le catene derivanti da tali condizionamenti, auspicando altro, rincorrendo un oltre “per sentirmi uno scrittore il più possibile libero”. La sua è stata, fondamentalmente, un’epoca senza maestri e la sua àncora di salvezza l’ha sempre scorta nella letteratura. Fu Benedetto Croce il suo punto di riferimento nonostante se ne parlasse poco, nonostante intorno al suo nome si fosse innalzata una cappa di silenzio. Croce diede a lui, e ai giovani della sua generazione, la possibilità di accedere alla modernità e fu sempre grazie a Croce che si instillò nel giovane La Capria un concetto fondamentale, ossia che la letteratura fosse uno strumento potente in forza della quale “si poteva intraprendere il cammino verso una libertà spirituale e intellettuale che, allora, durante il periodo fascista ci era negata”…
Raffaele La Capria è uno tra i più grandi autori della letteratura italiana, vincitore, tra gli altri, del Premio Strega con il romanzo Ferito a morte che, all’età di 96 anni, torna in libreria con quest’opera nella quale pone l’accento su quella che, appunto, è stata la sua carriera di scrittore e intellettuale. Scandaglia le sue opere, disserta sulla funzione dello scrittore che, sottolinea, deve essere quella di “critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una conflittualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla.” Pagine che ruotano tutte intorno alla letteratura e a Napoli, sua città natale, che viene soprattutto richiamata per criticare aspramente quella definizione/luogo comune di “letteratura napoletana” che, da sempre, gli è parsa ostica, restrittiva vedendo, in essa, un allineamento assurdo di scrittori profondamente diversi tra loro e trascurando, in tal modo, le peculiarità di ognuno di essi per volerli cacciare, in nome di una definizione, nel medesimo sacco; chiedendosi anche perché non esista, di contro, una letteratura “milanese” o “torinese”. Si entra, con questo volume, nell’immenso mondo della letteratura, nel mondo di La Capria che ci offre anche un capitolo di autopresentazione: chi è La Capria? Uno scrittore estemporaneo, fedele alla sua vocazione letteraria seppure sempre distratto da altro. Si conoscono le sue opere, il suo percorso di crescita, il suo approccio con Croce, si legge di una sua conversazione con De Masi e ci offre, finanche, le lettere che lo stesso inviò, militare a Caserta, al suo amico Peppino Patroni Griffi. E il tutto si legge con grande ammirazione e interesse.

mercoledì 11 settembre 2019

VIVERE CON I LIBRI - Alberto Manguel

Amore

Titolo: Vivere con i libri
Autore: Alberto Manguel
Editore: Einaudi
Anno: 2018
Genere: Saggio letteratura
Traduzione: Duccio Sacchi
Pagine: 128

La sua ultima biblioteca, composta da trentacinquemila volumi, si trovava in Francia, a sud della Loira, in un granaio adibito appunto a biblioteca all’interno di una antica canonica in pietra. Erroneamente aveva pensato come, una volta sistemati i libri, anche lui avrebbe trovato il proprio posto: i fatti, invece, lo smentirono quando dovette abbandonare la Francia per trasferirsi in America e, di conseguenza, imballare di nuovo quei libri e fare una selezione. La biblioteca francese ospitò i suoi libri per quindici anni e fu organizzata in base a mere “esigenze e pregiudizi personali”. In quegli scaffali non mancavano anche i libri brutti che, appunto, conservava qualora gli fosse servito un esempio di libro brutto! Nella sua vita ha sempre avuto una biblioteca personale. La prima, a due, tre anni, era una mensola affissa sopra il suo letto, a Tel Aviv, poi a Buenos Aires, in età adolescenziale, e a Londra, a Milano, a Tahiti. Ma cos’è, in fondo, una biblioteca? Indubbiamente, un luogo di memoria e ogni volta che, dalle casse, si estraggono i libri si crea un rituale di rimemorazione, in quel momento si evocano, per dirla con Benjamin “non pensieri, ma immagini, ricordi”. Al contrario, mettere i libri negli scatoloni è un esercizio di oblio. Le biblioteche contengono pezzi noi, sono autobiografiche e, imballarle, in qualche modo, significa redigere il necrologio di noi stessi…

Alberto Manguel, scrittore e bibliotecario argentino nonché lettore e amico di Borges, racconta, in queste gradevoli pagine, di quel momento della sua vita in cui si è trovato, causa l’ennesimo trasloco, a dover lasciare la Francia e, quindi, a dover imballare i numerosi volumi della sua biblioteca che credeva, una volta tanto, definitiva. Troviamo il suo universo tutto incentrato su un incommensurabile amore per i libri strumenti fondamentali strumenti di conoscenza del mondo. Manguel parla di se, della sua infanzia, della sua devozione alle biblioteche che, nel corso degli anni, ha costruito, della sua ritrosia a prestare i libri, delle modalità di catalogazione dei libri improntate a criteri del tutto personali, confessa la sua predilezione per la sezione dedicata ai dizionari che, come per tutti quelli della sua generazione, sono stati, in fase giovanile, oggetti magici sia perché, in essi, era contenuta la totalità del linguaggio comune sia perché essi contenevano una risposta a ogni domanda. Un’ode alla biblioteca che si traduce, di fatto, in una appassionata dichiarazione d’amore eterno alla parola scritta, a quei volumi contenenti sempre “promesse di conforto” ma anche possibilità di conversazioni illuminanti intervallata da piacevoli digressioni ruotanti sempre intorno al mondo delle lettere, della scrittura e degli scrittori.


lunedì 9 settembre 2019

IL PARTIGIANO EDMOND - Aharon Appelfeld

Corri, Edmond

Titolo: Il partigiano Edmond
Autore: Aharon Appelfeld
Editore: Guanda
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine: 332
Traduzione: Elena Loewenthal


Ucraina. Edmond è un ragazzo di diciassette anni, è scampato alla deportazione: non ha mai preso quel treno che lo attendeva per il viaggio verso la morte. In stazione con lui, suo padre e sua madre. Sente ancora le loro voci che lo incitavano, con decisione, a scappare via. Lui li ascoltò: li lasciò lì, per salvarsi, senza mai prendere quel treno. Ed è finito sulle colline, con il gruppo dei partigiani comandati da Kamil, uomo allenato alla guerra di pochi contro molti. Colline desolate, prive di boschi e, loro, i partigiani hanno imparato a nascondersi, a strisciare per terra. Ma quelle colline ben presto verranno abbandonate, Il comandante ha deciso di cambiare zona, andranno in un posto pieno d’acqua e paludi. E avanzano, lentamente, ma con costanza e solo di notte perché il giorno “non sta dalla loro parte e, alla fine, hanno imparato ad apprezzare le tenebre”. I giorni passano, Edmond pensa al fatto che, solo un anno prima, era seduto sui banchi di scuola. Bravo negli studi, follemente innamorato di Anastasia e, ora, invece la sua giornata inizia puntualmente alle sei del mattino, scandita dalle solite attività: corsa, ginnastica, colazione e, naturalmente, esercitazioni…

Aharon Appelfeld, come è noto, è scrittore ebraico che conobbe, da giovane, l’orrore dei campi di concentramento: deportato riuscì a salvarsi, fuggendo. E in queste pagine, cariche di sofferenza e di umanità, ci racconta, le giornate di un gruppo di partigiani. Non sono grandi eroi gli uomini, i giovani, i comandanti, raccontati dallo scrittore ebraico, ma uomini che, incessantemente, lottano non solo con il grande e ingiusto nemico tedesco, ma anche con se stessi: con le loro paure, con i crolli emotivi che, spesso, prendono il sopravvento, con i rimorsi (loro si sono, alla fine salvati, ma gli altri sono saliti su quei maledetti treni per un viaggio senza ritorno). Uomini spaventati, ma al tempo stesso animanti da elevati ideali, dal desiderio di proteggere i più deboli “a volte è come se lo scopo della nostra vita fosse vegliare su coloro che non sono in grado di badare a se stessi”: è questo il loro principale dovere, una cosa naturale che non merita riconoscimenti o medaglie, “faccio quello che devo fare. Il dovere non è da considerarsi un atto nobile”, dirà uno dei partigiani. Con una scrittura lineare Apperfeld ci regala una sorta di diario di una guerra nella guerra ricca di sofferenza, per l’inverno duro e rigido, per le piccole sconfitte, per la fame, per la depressione che incupisce gli animi, animi provati, ma anche ricchi di umanità, di solidarietà e di senso di fratellanza che riescono a germogliare anche in quei terreni resi aridi dalla ferocia e dalla follia dell’uomo.

sabato 7 settembre 2019

MARESCIALLE E LIBERTINI - Alberto Arbasino

Mondi 

Titolo: Marescialle e libertini
Autore: Alberto Arbasino
Editore: Adelphi
Anno: 2004
Genere: Saggio musica
Pagine: 479

Settembre 1951. Non era stato possibile partecipare alla prima veneziana del Rake’s Progress di Stravinskij e ciò sia perché i soldi, dopo le vacanze a Positano, erano davvero pochi e sia perché era necessario studiare per gli esami universitari. E, comunque, a dire il vero, le recensioni erano tutte molto titubanti… A Venezia nel 1955 si tenne la prima “storica e fantasmagorica” de L’Angelo di fuoco di Prokofiev, fu un grande successo, il pubblico ne fu incantanto senza dubbio… Prima che il Muro divenisse una realtà, e una metafora anche, la Berlino del dopoguerra era, al tempo stesso, divertente e tragica. Nonostante i bombardamenti e la distruzione quella città tornava a risplendere, a dispetto di tutto, come capitale che riusciva a ospitare spettacoli sensazionali. Tra quei teatri rabberciati, tra quelle rovine splendevano, come fiori nel deserto, i miti del novecento: la contessa mozartiana e Fiordiligi, ma anche la prima rappresentazione scenica, al Thaeter Des Wensten del Moses und Aron di Schonberg…

Alberto Arbasino intellettuale, saggista, scrittore (autodefinitosi “estemporaneo”), giornalista nonché critico musicale e teatrale in queste densissime pagine ripercorre i suoi ricordi musicali degli anni cinquanta, in particolare, soffermandosi, ma non solo, sulle prime storiche, quella di Prokofiev, per esempio. Marescialle e libertini è un’opera complessa, di non facile lettura in quanto articolata su più livelli dalla quale emerge l’immensa e enciclopedica conoscenza dell’autore. Se il tema di fondo è la musica, è ben vero come il medesimo si dirami, poi, in altri direzioni, verso altre mete, altri mondi. Infatti vi troviamo quel forte intreccio tra musica e letteratura, ma anche il quadro della società dell’epoca, il dipinto degli spettatori che, talora affascinati, assistevano alle rappresentazioni, finanche la descrizione minuziosa del loro abbigliamento. Pagine che, indubbiamente, arricchiscono, e, soprattutto, stimolano a ricerche ulteriori perché caratterizzate, come è nello stile proprio di Arbasino, da infiniti e continui rimandi ad altre materie, ad altri argomenti. Insomma, si entra, con la lettura, in un gradevole e affascinante mondo che è quello della musica con la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo labirintico nel quale non esistono vicoli ciechi, ma solo nuove strade di conoscenza da percorrere. Il tutto ad infinitum.


giovedì 5 settembre 2019

IL PRIMO UOMO CATTIVO - Miranda July

L'essenza del rosso

Titolo: Il primo uomo cattico
Autrice: July Miranda
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Genere: Romanzo
Traduzione: Silvia Rota Speri
Pagine: 261

Cheryl Glickman ha quarantatré anni e, da circa trent’anni, il Globus hystericus la tormenta. Un bel giorno decide, su consiglio del suo collega di lavoro Phillip, di consultare il Dottor Jens Broyard, cromoterapeuta. Entra in sala d’aspetto e, in cuor suo, spera di trovarci anche il “suo” – quasi o forse, suo – Phillip ma nulla, lui non c’è. La delusione è grande, per un attimo Cheryl pensa pure di tornarsene a casa, ma rimane: anche senza il “suo” – o quasi o forse, suo – Phillip. Il medico le consegna un flaconcino di vetro con su scritto “rosso”, l’essenza del rosso: la cura per il suo Globus. Appena esce dall’ambulatorio chiama subito Phillip e realizza come sia la prima volta che lo chiama e, nonostante l’imbarazzo, gli mostra un po’ di ardore dicendogli, dopo averlo ringraziato per averle consigliato il medico, “Se ami il rischio fammi un fischio”. Forse Phillip non ha bene colto il segno di quell’ardore che lei voleva rappresentare e, ad ogni buon conto, lui riaggancia. Questa storia di dimostrare l’ardore le era stata consigliata dal suo capo dell’Open Palm, l’associazione no-profit che si occupa di distribuzione di dvd di fitness, nella quale Cheryl lavora “come se fosse nel consiglio di amministrazione”. Quel capo che qualche tempo dopo chiede a Cheryl di ospitare in casa Clee,la sua adorata figliola. Cheryl ancora non sa che l’ingresso di quella figliola altrui nella sua vita cambierà le sue abitudini…

Miranda July, musicista, artista, regista e anche scrittrice statunitense, ha creato con Il primo uomo cattivo un personaggio strampalato, un po’ naif, che si barcamena tra manie e ossessioni – ad esempio, il rigoroso e personalizzato ordine che regna nella sua casa – e tra sogni (erotici e/o sentimentali) e realtà. Intorno a lei una serie di personaggi anch’essi particolari, eufemisticamente parlando: tra tutti Phillip, per il quale la nostra Cheryl nutre un grande sentimento amoroso, ma lui non riesce a cogliere, impegnato com’è a conquistare una adolescente. Poi c’è Clee con la quale Cheryl inizierà una convivenza forzata che porterà alla nascita di un rapporto assai originale, inusuale anch’esso: in un primo momento sarà la violenza – tecnicamente, botte da orbi – a caratterizzare il loro rapporto che, pian piano, si trasformerà. Non mancheranno neanche i figli dei fiori e neanche le riflessioni intorno alla maternità. Insomma, la July non ci fa mancare nulla in questo romanzo divertente e tenero al tempo stesso, ma che – vuoi per la pluralità di argomenti trattati, vuoi per una costruzione caotica forse non supportata da uno stile eccelso – manca di organicità e si sente il peso, in qualche modo, della sovrabbondanza di elementi che, pagina dopo pagina, diventa quasi soffocante. Una curiosità: l’autrice, in un sito, ha posto in vendita cinquanta degli oggetti presenti nel romanzo. Non manca, naturalmente, l’essenza del rosso al prezzo di 159,48 dollari!

Articolo già pubblicato su Mangialibri

giovedì 29 agosto 2019

IL NOSTRO PRIMO, SOLENNE, STRANISSIMO NATALE SENZA DI LEI - Franco Stelzer

 Cucinar ratti

Titolo: Il nostro primo, solenne stranissimo natale senza di lei
Autore: Franco Stelzer
Editore: Einaudi
Anno: 2003
Genere: romanzo
Pagine: 126 


Era il primo Natale che trascorrevano senza di lei. Entrarono con quel grosso tacchino, con un rametto di rosmarino infilzato nel buco del culo, con le cosce ornate da ciuffetti di carta, bellamente adagiato su un vassoio colmo di patate. Così lo presentarono alla tavolata dei parenti. Ma quel tacchino, dal prominente ventre, non era ben cotto, anzi era proprio crudo… Avevano la loro postazione: un buco aperto, faticosamente, in un pannello. E, con desiderio, attraverso quell’ingegnoso foro, osservavano le imprese erotiche della loro zia. C’era l’emozione, ma anche la paura di essere scoperti che, sicuramente, avrebbe comportato, l’immediato loro trasferimento in un collegio o in un istituto penale! Ma quel giorno in quell’alcova succedeva qualcosa di nuovo: la zia urlo, al suo uomo, “basta!”. E lui, lo spione, ebbe, per la prima volta, un pensiero filosofico: tutto finisce… Problema: come si cucina un ratto? Lo si lascia prima in salamoia? O lo si griglia fresco, fresco? Bisogna impanarlo? Suo zio riteneva che i ratti fossero buoni in tutti i modi…Dopo lunghe trattative con i proprietari presero in affitto la casa al mare. Rispolverarono le stoviglie, fu fatta la spese e si passò alla distribuzione delle stanze. A lui toccò lo zio e, dal suo leggero odore di colonia, il ragazzo comprese come, in quella settimana, sarebbe accaduto qualcosa di interessante…
Franco Stelzer affida alla voce e agli occhi dei bambini il compito di narrarci nove storie per dipingerci il loro mondo. Un mondo variegato e ricco nel quale trovano spazio emozioni, sentimenti diversi, ilarità, stupore, curiosità. Ci sono bambini che acquistano e cucinano un tacchino “per salvare la loro solitudine”, per riempire il vuoto di quel primo Natale senza un affetto. Bambini che si pongono grandi e piccole domande: come il capo fa la pipì. Bambini che danno voce a ricordi comuni a tutti: un panino in spiaggia, la sabbia sulle mutande. Quei ricordi, insomma, che hanno carattere universale esattamente come quel momento, quasi inevitabile, nel quale amaramente si comprende come certe cose non potranno più ritornare, alcune persone ci lasceranno, certi sapori – anno dopo anno – saranno sempre diversi. Perché tutto finirà travolto da una cappa di nebbia, tutto si offuscherà nell’esatto momento in cui si comprenderà come ogni cosa è destinata a finire. E rimarrà, sempre e comunque, quel filo di nostalgia a ricordarci che quel passato, fatto di nonni, di zie eroticamente attive o di zii che si mangiavano topi, è davvero esistito e, in parallelo, cresca il numero dei Natali con sempre più “senza”.


martedì 27 agosto 2019

LO STRADONE - Francesco Pecoraro

Ristagni

Titolo: Lo stradone
Autore: Francesco Pecoraro
Editore: Ponte Alle Grazie
Anno: 2019
Genere: Romanzo
Pagine: 443

Città di Dio. L’uomo ha oramai settant’anni e abita, da circa vent’anni, al settimo piano di una palazzina, lì nello Stradone dove “la città fa una pausa”. In quel frammetto di città dove insiste lo Stradone ci sono entità umane diacroniche, tutte estranee tra di loro: vecchi come lui che si incontrano al bar, il Porcacci, a bere un caffè che è sempre cattivo, dove ci si scambiano poche parole o, al contrario, dove si possono dire stronzate per ore perché li, al Porcacci nessuno te se ‘ncula, ed è proprio questo il bello, alla fine. Ma c’è anche il tifo per ‘a squadra  che pare quasi unirli questi estranei perché essa assurge a “ultimo ente simbolico” che dà un senso di appartenenza con quel suo avere “tacitamente la precedenza su tutto e tutti”. La facciata del suo palazzo è esposta a nord, non prende mai il sole. E da lì il suo occhio vigile e sensibile vede tutto, soprattutto vede ciò di cosa sono capaci gli incapaci, vede come l’inerzia dell’amministrazione, la stupidità di tecnici-architetti-urbanisti incida negativamente su una porzione di citta, o meglio di non-città. O forse non è esattamente così: forse è vero che la città che si costruisce è un prodotto collettivo: “la città demmerda è un’incerta auto-celebrante messa in figura della gente demmerda che ci abita e la costruisce”. Ma tant’è. L’uomo, l’anziano, il fallito, sta bene e sta male nello Stradone, incasellato nella categoria degli Inutili o, meglio, dei Dannosi. Il Sistema gli ha concesso una pausa pre-morte (morte, non trapasso, non scomparsa) con una pensione calcolata ai tempi della socialdemocrazia…
Francesco Pecoraro, poeta, scrittore e architetto, è tornato, quest’anno, in libreria dopo un intervallo di sei anni dall’uscita del suo precedente romanzo, La vita in tempo di pace, che gli valse numerosi encomi dalla critica. Lo Stradone, in primis, è un’opera, con le sue 400 pagine e oltre, che affascina anche per il suo essere ibrida, non essendo facile inserirla univocamente in una precisa categoria: è un romanzo, ma anche un saggio, anche un memoriale. Manca lo schema tipico del romanzo, del “raccontare una storia” con tutti i tipici elementi che una storia dovrebbe avere. La vera protagonista è, alla fine, una voce, senza nome: voce che proviene da un anziano, con i capelli diradati, guance infossate, pelle ingiallita, un anziano come altri, come tutti gli anziani del mondo. Voce che incessantemente parla, di sé, dei suoi fallimenti, dei suoi sogni di accademico infranti, del suo inserimento in un Ministero, del suo inserirsi, poi, nel partito socialista, della corruzione, dell’arresto. Ma è anche una voce che parla di quella porzione di città nella quale si fabbricavano i mattoni per la creazione della città di Dio. E che parla dell’oggi, dei “jeans falso consumati. Falso strappati.” E delle “birre falso-artigianali”. E noi, incantati, seguiamo quelle parole che ci portano al degrado, al Ristagno, a quel senso di non-appartenenza costante. E vediamo quei vecchi, nello Stradone, con i loro terribili giubbotti multi-tasche, che consumano la loro pensione raschiando gratta&vinci, vediamo la loro solitudine e sentiamo anche le voci dei fornaciari, con il loro peso di mattoni da 36 kg, e er Partito e la sindacalizzazione e Lenin in Italia e l’edilizia con la sua necessaria speculazione e le case dell’IACP. Tutto vediamo e sentiamo. Un’opera nuova, originale quella creata da Pecoraro anche per l’uso sapiente di registri narrativi differenti, per il passaggio, sempre senza sbavature, da linguaggi prettamente letterari, elevati, poetici, aulici talora, all’uso di linguaggi tecnici o all’uso del romanesco o, anche, alla trasformazione di lemmi onde ricavarne neologismi.

Articolo già pubblicato su Mangialibri


venerdì 23 agosto 2019

SEMPRE CARO - Marcello Fois

Titolo: Sempre caro
Autore: Marcello Fois
Editore: Einaudi
Anno: 2015
Genere: Romanzo
Pagine: 100

Si diceva che Bustianu, dopo pranzo, stesse andando a fare una passeggiata: il “sempre caro”. Così la chiamava, proprio come la poesia di Leopardi. E con “sempre caro” egli non intendeva il colle, intendeva proprio prendersi un po’ di fresco in altura e godersi il panorama. Si diceva che Bustianu fosse pensieroso e ciò poteva solo significare che avesse tra le mani una causa complessa e che, pare, non volgesse al meglio. Stava difendendo un giovane, Zenobi, bello come il sole che si era messo nei guai: accusato di aver derubato degli agnelli per poi rivenderseli. E nulla, quella causa non andava proprio bene, dato che il giovine si era dato alla latitanza. E, no, ripeteva zia Rosina, madre di Zenobi, che non poteva aver fatto una cosa simile suo figlio: lei lo conosceva bene. E poi, c’era anche la storia di Sisinnia, bella come una madonnina, e pare che tra lei e il giovane latitante ci fosse del tenero. E pare ancora che il padre di lei, della madonnina, fosse pure contento di quella simpatia tra i due. E allora, perché Zenobi avrebbe dovuto rubare gli agnelli proprio a Casula Pès, padre di Sisinnia? Perché?...

Sempre caro fa parte del progetto letterario di Marcello Fois mirante a creare una saga con personaggio fisso e di cui costituisce il primo volume, seguito da Sangue dal cielo e L’altro mondo, tutti editi da Einaudi. Il protagonista Bustianu trova la sua origine in un personaggio realmente esistito: il grande avvocato, poeta e intellettuale nuorese Sebastiano Satta. La storia raccontata rispecchia lo schema tipico del giallo: delitto-indagine- individuazione del colpevole, ma si arricchisce di nuovi elementi tanto da potersi indubbiamente definire un giallo atipico che fuoriesce da quelli che sono i rigidi confini di tale genere. Un romanzo di più ampio respiro quindi, innovativo sia per l’impianto narrativo sia, e soprattutto, per lo stile e per l’uso attento e originale della lingua utilizzata dall’autore. In primis, risulta strutturata su più voci che si alternano senza sovrapporsi: un primo narratore che ci presenta Bustianu; Bustianu stesso che ci racconta la storia dal suo punto di vista e, infine, un terzo narratore. Voci con tre registri narrativi diversi e che, talora, attingendo all’oralità, tessono un romanzo intricato, poetico, con bellissime descrizioni che restituiscono immagini di paesaggi agresti, ma anche riflessioni sulla società sarda dell’ottocento, sul ruolo-missione dell’avvocato, sul concetto di giustizia. Su tutto domina la lingua utilizzata da Fois: si passa da interi periodi in sardo a singoli lemmi e anche, traduzioni letterali in italiano, di modi di dire o espressioni tipicamente sarde. Un romanzo sui generis come lo definisce Camilleri nella prefazione che, nel concentrarsi sul concetto di lingua dell’autore, richiama, a proposito, le parole di Sergio Atzeni: “quando cerco una parola che abbia un suono diverso, che porti a una specificazione più precisa, uso il sardo. Credo che questo sia il contributo che ogni etnia regionale dovrebbe portare”.

mercoledì 21 agosto 2019

DIALOGHI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE - Virginie Priolo

Parla che ti passa

Titolo: Dialoghi di ordinaria amministrazione
Autrice: Virginie Priolo
Editore: La Zattera
Anno: 2019 
Pagine: 116


"Tesoro, è evidente che ci sia qualcosa che ti turba, ma se non me lo spieghi io non posso aiutarti." questa è la domanda che, una mattina, in bagno, Guido pone a sua moglie poco prima di recarsi al lavoro. La domanda delle domande. Chiaramente Laura, la di lui moglie, risponde, come da tradizione un significativo "Ma no, non è niente di che." E, sempre come da tradizione, da quel piccolo niente si scatena una valanga di, in ordine sparso: tu non mi ascolti mai, non ti emozioni se io ti propongo le cose, perché non posso ingelosirmi anche io, il tutto, naturalmente, senza dimenticare di riportare alla luce un episodio accaduto tempo prima. Non sia mai che la memoria non venga stimolata abbastanza... Che bellezza andare al supermercato insieme, c'è pure la Nutella in offerta e la magia di quelle corsie che, magicamente, si trasformano, in buone occasioni per polemiche, discussioni, ma poi, domanda Guido, chi è 'sto Luca che frequenta la loro figliola?... Ci sono anche le cene a casa di amici che, guarda un po', iniziano a litigare brutalmente. E, infine, la buonanotte. 

Virginie Priolo, psicologa cagliaritana e mediatrice familiare, ci offre, con il suo esordio, uno spaccato di vita quotidiana, analizzando, attraverso i dialoghi dei protagonisti, il complesso e articolato mondo delle relazioni umane: d'amore, d'amicizia, di parentela. La struttura narrativa evoca più una pièce teatrale che  un vero e proprio romanzo dalla cui lettura è facile immaginarsi una chiara suddivisione in atti ove i dialoghi danno vita a scene estrapolate dalla quotidianità di ognuno di noi. I battibecchi tra marito e moglie, non sempre letali e spesso contenenti tanto amore, le discussioni con gli amici, il rapporto con i figli, insomma cose comuni un po' a tutti noi, ma la differenza risiede sempre nelle modalità con le quali il dialogo (un qualsivoglia dialogo) viene instaurato e si sviluppa perché è proprio da ciò, anche nei piccoli frammenti di routine giornaliera, che i rapporti umani possono arricchirsi, migliorare o deteriorarsi o morire del tutto. Dialoghi di ordinaria amministrazione è frizzante, divertente, ironico, ma lascia spazio a riflessioni circa l'importanza di quel dono che possediamo: le parole. Parole con le quali si costruiscono mondi e, spesso, sta a noi scegliere quanti, e soprattutto quali, mondi costruire. Si legge in un soffio, regala quella leggerezza positiva, fa sorridere e, alla fine, non si esime dal propinarci una dose di amarezza, perché alla fine, l'opera è, in qualche modo, lo specchio di quello che è la vita: attimi, piccoli gesti, gioie e dolori. 


martedì 6 agosto 2019

SULLA TRACCIA DI NIVES - Erri De Luca

Titolo: Sulla traccia di Nives
Autore: Erri De Luca
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Genere: Saggio intervista
Pagine: 160

Sono in due: lui, lo scrittore Erri e lei, l’alpinista. È una notte fortunata, senza vento. Quel vento che quando c’è bisogna saperlo ascoltare perché sa essere molto prepotente e questo lo sa bene chi, come Nives, frequenta le alte quote. Vento che, nelle alte quote, diviene padrone del tempo. Diviene, è una persona. E lei gli parla, gli racconta: il vento sa ascoltare. In fondo, lei attende sempre che lui faccia comunque il suo lavoro. E pur non sapendo quando smetterà di salire, nonostante non possa sapere quali saranno i risultati, potrà dire, ogni volta, di avergli fatto compagnia. Sempre. In quelle cime e ridiscese in compagnia del vento ed evidenzia, Nives, il concetto di “ridiscese” perché non basta una cima raggiunta, bisogna ridiscenderla quella cima con la stanchezza al culmine e con il peso di quello svuotamento che dà l’arrivo in cima. Scendere è, essenzialmente, “disfare la salita, scucire tutti i punti dove hai messo i passi”. Cime e ridiscese: sono il punto più distante da casa…

Il libro nasce da una chiacchierata-intervista notturna tra Erri De Luca e la famosa alpinista Nives Miroi, avvenuta in una tenda, in Himalaya, prima di una salita. Un alternarsi di voci, di riflessioni intorno alla natura, al concetto di sfida, ai sogni, al rapporto – spesso difficile – tra l’uomo e la montagna. Emergono, dalle parole rese dai due sotto un cielo stellato, due persone molto diverse: se lo scrittore risulta tendenzialmente calato in un mondo quasi spirituale o anche visionario, l’alpinista emerge, invece, in tutta la sua concretezza. E, alla fine, Nives Miroi, la cosiddetta tigre di alta montagna, con la sua personalità e la tenacia con la quale persegue i suoi obiettivi, affascina e incuriosisce, lo scrittore – che, in qualche modo, la sovrasta, lasciandole poco spazio – certamente non incuriosisce col suo offrirci ampi e ripetuti richiami alle sacre scritture, sviluppando, oltremisura, l’assunto per il quale “molta scrittura sacra è alpinista”. Sviluppi che, a onor del vero, talora non affascinano, talora cadono in retoriche affermazioni che stonano profondamente con un personaggio come la Meroi della quale, a fine lettura, si ha la sensazione di aver letto veramente poco essendo certi che avesse – o avrebbe potuto avere – tante cose interessanti da raccontare sul suo mondo, sulla sua vita, sui profumi e i suoni della montagna.

Articolo già pubblicato su Mangialibri. 

mercoledì 3 luglio 2019

LA PRESUNTA STORIA VERA DI GIULIA E GIULIO - Giovanni Follesa


Il gigante egoista

Titolo: La presunta storia vera di Giulia e Giulio
Autore: Giovanni Follesa
Editore: Arkadia
Anno: 2018
Genere: Romanzo
Pagine: 208


Roma, anno 2032. Giulia e Giulio sono due fratelli, gemelli, figli del grande Ernesto Luigi Saccherio, il magistrato, l’uomo che ha dato una svolta al Paese e, soprattutto, a un sistema politico fatto di mollezze e di corruzione, Ernesto chiamato dai figli anche il Papa e, da Giulia, il “grande egoista di merda”. Saccherio padre ha votato la sua esistenza al diritto, appartiene alla categoria di coloro che posseggono una dirittura morale tale da contrastare il decadimento della politica degli anni passati. Con lui,  grazie al suo operato si è attuata una grande trasformazione di tutto il sistema, sotto il vessillo della giustizia, dell’onestà: anche la Chiesa non ha più sede in Italia, ma in Sudamerica. Tutto è cambiato. E di quel padre egoista, egocentrico, sia Giulio sia Giulia seguiranno le orme: entrambi studieranno legge. E impareranno ad amare, seppure in modi diversi, quella materia. Forse perché in quella casa si respirava, in ogni attimo, il diritto, forse perché, nonostante l’insofferenza ne hanno sentito forte il fascino. O la paura. I due giovani hanno quasi terminato il loro percorso di studi, sono alle soglie della laurea. Quando Giulia si recherà dall’esimio professor Bozzolo per chiedere di discutere la tesi con lui, scoprirà che il fratello, di lei più talentuoso e con una visione quasi mistica del diritto, si è già recato dal professore. Vista la duplice richiesta, Bozzolo propone ai due gemelli una tesi congiunta sull’analisi dei fatti, storici e sociali, che hanno portato al quadro attuale: insomma un’analisi dei mutamenti che hanno condotto al vigente sistema con il trasferimento della Chiesa in terra sudamericana. Nel far questo i due giovani dovranno accedere al bunker paterno, il suo archivio segreto, contenente una mole immensa di documenti. I due figlioli troveranno un accordo con il padre: potranno varcare quella porta blindata e ogni giorno, per un mese in tutto, potranno consultare quei documenti. “Troverete la mia vita disegnata su queste carte. Ci troverete il vostro futuro” sentenzierà il grande Saccherio….
Pubblicato per i tipi di Arkadia nel 2018 e recante in copertina la riproduzione del bellissimo dipinto di Sergio Fiorentino, La presunta vera storia di Giulia e Giulio si presenta, già dalle prime pagine, come un romanzo in grado di catturare l’attenzione del lettore, facendolo immergere, piano piano, in una vicenda intricata e costruita abilmente. Ambientato in un futuro non troppo lontano, il 2032, il romanzo ci presenta un nuovo periodo storico nel quale il passato (che, di fatto è il nostro presente) è stato spazzato via. E parallelamente a tale analisi, vi è uno scavo profondo nei rapporti familiari, in affetti tormentati, in mancanze, in ferite sempre purulente. Un viaggio, tortuoso, nell’infanzia dei due gemelli. E, passo dopo passo, con una tensione crescente, scandita da quelle giornate nel bunker paterno, prenderà vita un quadro dalla tinte fosche. Follesa è bravo nel regalarci dosi sempre crescenti di inquietudine, con una gradualità dosata, come uno stillicidio che mantiene sempre viva l’attenzione. Ha molte facce questo romanzo, come la verità che mai è un blocco uniforme e compatto e, di fatto, pone una lunga serie di quesiti. È presente un’analisi del potere nelle sue mille sfaccettature - esiste, alla fine un potere, che sia anche buono? Forse potere e giustizia saranno sempre destinati ad essere riposti nei cassetti degli ossimori insuperabili. Il romanzo è anche un esame sulla verità, sulla sua ardua ricerca e sul fatto che, alla fine dei conti, il suo raggiungimento - o presunto tale-  mai del tutto risulta soddisfacente. Fa riflettere tanto questo libro. Sia sul ruolo delle scelte, di certe scelte, soprattutto politiche, quelle che spesso, con il tempo, perdono di senso e delle quali si smarrisce il filo originario che le ha fatte sviluppare. Sia, infine, su quella che è la situazione politica attuale, su quella che è stata e su quella che sarà. E Follesa non pare regalare speranze: difficile vedere spiragli di luce quando il buio è divenuto parte integrante di noi stessi. Nel chiudere il libro tanta amarezza, senso di impotenza, sensazione che tutto pare destinato a ripetersi solo con volti e nomi diversi, ma che tutto, in fondo, rimanga uguale. Ottimo romanzo, ottima caratterizzazione dei personaggi, ricco di contenuti che non dà risposte, ma ci fa porre tante domande, il tutto con uno stile scorrevole, pulito senza sbavature. Leggerlo è un’esperienza.
Articolo già pubblicato nella rivista Làcanas