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giovedì 26 marzo 2020

IL PAESE DELLE CROCI - Gianfranco Cambosu

      Dolenti ruches
 
Titolo: Il paese delle croci 
Autore: Gianfranco Cambosu 
Editore: Emersioni 
Anno: 2019 
Genere: Noir
 Pagine: 269



Sardegna, Sas Ruches. Il professore Ercole Cassandra si trova da tre giorni nell’isola, a ricoprire la cattedra di insegnante in una scuola media, in un piccolo paesino della Barbagia. Già da subito, Cassandra sente la distanza abissale tra lui e i suoi alunni. Ritiene che tale abisso non potrà essere colmato. Certo potrebbe sempre tornare nella sua, di isola, Nessuno glielo impedirebbe, sarebbe sufficiente una semplice raccomandata o anche una più rapida telefonata. E invece no, lui rimane. “Non è dei Cassandra tirarsi indietro.” Infatti, Il professore è siciliana, ma con quella aspra terra che lo ospita ha un legame particolare: quindici anni prima suo padre, Capitano dei Carabinieri, fu ucciso proprio a Sas Ruches. La sua presenza, quindi, non è dovuta solo all’insegnamento, ma ha anche lo scopo di far luce su quell’omicidio lontano nel tempo che risulta essere ammantato dal mistero. E lui intende conoscere la verità che sa essere difforme da quella ufficiale…

Quinto romanzo dell’autore nuorese Il paese delle croci è un’opera complessa nella quale confluiscono tematiche di diversa natura. Partendo dal nucleo tipico del giallo del quale possiede tutti i canonici pilastri: omicidio-indagine-individuazione del colpevole, Cambosu ci trasporta in un mondo dalle mille sfaccettature immerso in atmosfere grigie e cupe e che danno la stura a una serie di riflessioni. In primis, è un romanzo sulla terra sarda, con le sue tradizioni – non ultimo quelle culinarie - analizzate nei loro tipici aspetti. Particolarmente interessante e degne di nota sono le descrizioni de s’istranzu, il forestiero, e del suo rapporto con la terra ospitante, affidate sia alle parole dello stesso Cassandra, ma che emergono dal quadro generale di quella piccola società che è Sas Ruches. Rapporto tra s’sistranzu e terra ospitante, quindi, descritto molto onestamente e al di fuori di ogni logica campanilistica. Emerge nitidamente la difficoltà, per il forestiero, di inserirsi all'interno di una piccola comunità,. La comunità è chiusa in se stessa, poco aperta alle novità, in una sorta di autarchia spesso insondabile perché granitica, ammantata di segreti, di regole non scritte. Vero è che, nella cultura sarda pienamente rappresentata da Sas Ruches, l'ospite è sacro, è rispettato e finanche coccolato, ma è altresì vero che egli deve "stare al suo posto", osservare, partecipare senza mai esagerare, senza mai confondersi con gli abitanti del luogo perché è, e sempre sarà, unu istranzu. Quello sarà sempre il suo marchio perché ci sono cose che non potrà mai comprendere, ci sono porte che per lui non potranno mai aprirsi. Ancora, colpiscono le pagine dalle quali emerge l’importanza del ruolo dell’insegnante che non è, a dispetto dei programmi ministeriali, quello di fornire nozioni tecniche o freddi dati, ma è soprattutto quello di dotare – seppur con difficoltà e nonostante esse – il giusto bagaglio per affrontare la vita, soprattutto quando la vita ti ha lasciato in eredità i dettami di un mondo omertoso, diffidente e chiuso nel quale tende a prevalere, su tutto, la necessità di non mutare alcunché, di lasciare le cose nello stato di fatto in cui si trovano, stato di fatto che assurge, quasi, al rango di stato di diritto. Un diritto sui generis, certo, ma sempre diritto. 
Infine, il libro regala una speranza, una sorta di messaggio positivo, perché nulla è perduto. Tutto può cambiare, pare dimostrarci. Sono i giovani che rappresentano questa speranza. Sono i giovani il motore del cambiamento, in melius.

giovedì 12 aprile 2018

BASTARDO POSTO - Remo Bassini


Città bastarda

Titolo: Bastardo posto
Autore: Remo Bassini
Editore: Perdisa Pop
Anno: 2010
Genere: Romanzo noir
Pagine: 178


Paolo Limara è un giornalista famoso, scrive per “La civetta”. Un tempo si mormorava che sarebbe diventato il nuovo direttore, ma le cose cambiano - esattamente come cambiano le voci.  In certe notti senza nebbia e senza luna, dopo le tre, si ferma davanti a una vetrina per osservare un manichino senza sesso in un negozio chiuso da ormai quattro anni. Non si vergogna a star lì, immobile. Si ferma a macinare mille pensieri e fuma. Una sigaretta dopo l’altra. A mettere insieme pezzi di uno strano mosaico. La sua vita è distrutta. Paolo Limara è un uomo che soffre: Valeria è morta. Di incidente stradale, è stato detto. È morta proprio mentre parlava al telefono con sua zia Luigina. Valeria era la sua amante. Tutti quanti lo sanno, anche sua moglie Graziella. Valeria l’ha tradito. Forse. Era una grande troia. Forse. Paolo Limara non sa che dietro quella silenziosa vetrina c’è, al buio,  anche un’altra figura: è una donna, la ex proprietaria di quel negozio abbandonato…

Una storia crudele e velenosa quella che ci racconta Remo Bassini nel suo quarto romanzo tutto fatto di vite che si incrociano, si sfiorano e si distruggono. L’autore pare osservare - esattamente come fa il giornalista Paolo Limara - una vetrina nella quale però non ci sono manichini muti e senza sesso, ma uomini e donne e storie che richiamano altre storie. Storie di male. Tante.  L’autore, con abilità da cronista, ci presenta uno spettacolo zeppo di ipocrisie, di verità – molteplici e diverse – di pedofilia, di strane sparizioni, di malavita, di corruzione, di videopoker, di silenzi imposti, di famiglie distrutte e di mafia all’interno di una piccola città di provincia. Una città bastarda nella quale il senso di colpa, il dolore e le paure si mescolano fino a confondersi in una nebbia perennemente presente. E non si può tornare indietro. E non si possono più pronunciare quelle parole che dovevano essere pronunciate prima. Non si può scappare, non ci si può nascondere se si è giornalisti famosi, non è concessa la grazia di un dolore intimo da consumare tra le quattro mura domestiche. No, non è possibile anche perché il dolore privato non può esistere in questo bastardo posto. Le parole di Bassini precipitano come cascate, sono rapide, improvvisamente si interrompono senza che si possa percepire un seppur minima sensazione di pausa. Nessun riposo è consentito una volta che si è avvolti da quel vortice. Un vortice di parole che quasi frastornano che si susseguono e si consumano, quasi impercettibilmente, in sole cinque notti. Cinque notti intense e nere nelle quali tutti paiono destinati ad essere sconfitti e annientati. Dai rimorsi, dalle paure, da ciò che non si può combattere e da quello strano e incredibile, ma tremendamente verosimile, mosaico che si tenta lentamente di ricostruire forse troppo in ritardo. Forse perché è il gelo della morte che arriva sempre puntuale, se non in anticipo.

Altri libri:

mercoledì 14 febbraio 2018

OMBRA - Karin Alvtegen


Le parti oscure

Titolo: Ombra
Autore: Karin Alvtegen
Editore: Nottetempo
Anno: 2010
Genere: Noir
Pagine: 437
Traduzione: Carmen Giorgetti Cima
                             

Un bambino nel parco di Skansen attende sua madre. È un bambino abituato ad aspettare, ma questa volta sua madre non arriverà. Egli ha con sé poche cose: un registratore, un libro di Bambi, una bottiglia di gassosa e un bigliettino contenente un breve messaggio scritto con una bella grafia “Prendetevi cura di questo bambino. E perdonatemi”. Trent’anni dopo il liquidatore distrettuale Marianne Folkesson si trova nell’appartamento dell’anziana Gerda Persson, morta da tre giorni. Unico elemento a disposizione per ricostruire il passato della defunta è lo scompartimento del freezer contenente, accuratamente avvolti nella pellicola, i romanzi del premio Nobel per la letteratura Alex Ragnerfeldt. Il liquidatore distrettuale ancora non sa che scavare nel passato di Gerda significa togliere il coperchio a un vaso pieno di misteri, di intrecci, di segreti. E, soprattutto, di ombre che, tassello dopo tassello, riaffioreranno…

Karin Alvtegen è una delle più famose scrittrici svedesi contemporanee che, a buon diritto, si colloca nel genus del thriller psicologico e che è stata investita da quel fenomeno più ampio che ha consentito alla letteratura scandinava di fuoriuscire dai confini ristretti del mercato nazionale per raggiungere un successo a livello internazionale. Ombra è il terzo romanzo dell’autrice tradotto in Italia. La Alvtegen è abilissima nel riuscire a infondere nel lettore grandi quantità di suspence e di farlo servendosi di un preciso contagocce che, gradualmente, aumenta le dosi riuscendo permettendo di evitare cali di tensione e a creare gradevoli effetti a sorpresa. Niente è mai come sembra. La trama si svolge su una moltitudine di livelli e le strade si biforcano in una pluralità di direzioni per poi re-incrociarsi proprio quando ci si attendeva un vicolo cieco. Non mancano anche riflessioni di carattere filosofico o quasi che, a onor del vero, non paiono affrontate con gli strumenti – o conoscenze - giusti e, pertanto, risultano superficiali o inopportune o incomplete a seconda dei casi. Ma allo stesso tempo sono i personaggi, che – sinceramente – non si fanno amare e che sono molto simili tra loro, a portarci, inevitabilmente, a fare delle riflessioni. A porci quelle domande, forse troppo conosciute ma archiviate per mancanza di condizioni di procedibilità. Domande eterne e sempre attuali: è sufficiente la ricchezza per raggiungere quell’intangibile e agognato senso di felicità?  La fama colmerà il vuoto dell’esistenza o le paure? È giusto passeggiare con le scarpe chiodate sul cuore di chi ci ama per scalare la vetta del successo?

lunedì 8 maggio 2017

PENTAMERONE BARBARICINO - Gianfranco Cambosu

Attese

Titolo:  Pentamerone barbaricino
Autore: Gianfranco Cambosu
Anno: 2009
Editore: Fratelli Frilli
Pagine: 307
Genere: Romanzo noir

Siamo in Sardegna e un gruppo di amici, amici più per necessità che per scelta, tenta di attuare una rapina ai danni di una banca. È il colpo della loro vita.
Con la descrizione di un piano dettagliato inizia tra le montagne barbaricine, in una fredda giornata nevosa, il Pentamerone barbaricino, titolo che porta, inevitabilmente, a ricordare le novelle del Decamerone di Boccaccio; con la differenza che, nel nostro romanzo, i narratori si riuniscono non per sfuggire alla peste, o forse sì. Tutto dipende da che concetto di peste si assume. Tutto è relativo.
Una rapina che non va come previsto, qualcosa in quel meccanismo ben ideato si inceppa, sopravvivono due rapinatori soltanto : Tinteri, il “buono”, e Cadena, il “cattivo” i quali, causa l’evolversi degli eventi, sono costretti a rimanere reclusi in banca con due ostaggi. Attendono che la situazione muti, attendono come sempre hanno fatto nella loro vita, ma alla fine nulla cambia o il cambiamento è diverso da quello che avevano previsto. Come sempre.
Trascorrono alcune notti all’interno di quella gelida banca nelle quali le riserve di gasolio stanno per terminare e si sente nell’aria il presagio di un gelo ancora più freddo della neve che cade silenziosa dal cielo della Barbagia.
Nell’attesa di una macchina che li conduca lontano, nell’attesa, comunque, di qualcosa iniziano a raccontare storie, brevi “favole” nelle quali il lieto fine è solo una chimera.
Ogni racconto, che si sviluppa nell’arco dei giorni della reclusione, non è altro che un estratto delle loro misere esistenze.
In questo raccontarsi emergono temi che hanno colorato le loro vite: la vita dell’ostaggio è stata dipinta con i colori del satanismo, quella di Tinteri dai colori opachi della faida e quella di Cadena dalle forti tinte della violenza.
Emergono dalla penna di Cambosu, delicata, quasi silenziosa ma efficace, argomenti difficili quali quello della faida dai quale affiora la figura della donna-madre sarda, dura e ferma come il suo sguardo. Una donna che non parla, ma sa, prevede, comprende e ordina con il solo ausilio del suo dignitoso silenzio maturato in un giaciglio di dolore, di tragedie e di continui lutti destinati a perpetuarsi all’infinito. Catene che sembrano destinate a non spezzarsi mai.
Emerge anche una sorta di fatalismo, quasi l’impossibilità per i protagonisti di allontanarsi troppo dal loro mondo, un passo oltre il confine disegnato da quello strano destino li riporta come una calamita verso ciò che sono sempre stati, verso il loro mondo originario. E non manca la voglia di riscatto, non mancano i tentativi di evasione, non mancano i sogni.
Umani, fin troppo umani con il fardello delle loro paure, del loro passato, del loro dolore che non è individuale, ma è familiare, un dolore di stirpe.
Tinteri e Cadena, sino alla fine, sperano, con tenace ottimismo, di uscire dalla banca con le tasche piene di denaro nonostante abbiano la percezione che qualcosa, fuori dalle porte scorrevoli della banca, non stia andando come dovrebbe.
Perché è chiaro che là fuori ci sia qualcosa di anomalo e di inspiegabile razionalmente, una fitta nebbia di mistero che si chiarirà, in modo peraltro surreale, solo al termine del romanzo.
Lo stile di Cambosu è molto lineare. È ripetuto l’uso di termini sardi che non appesantiscono la lettura, anzi hanno l’effetto di regalare al lettore, anche al lettore non sardo, qualcosa in più; quei termini in corsivo, non ostacolano il percorso di lettura proprio perché con essi lo scrittore ci dà delle tenui sfumature che abbelliscono e rendono vive le immagini.

Vedi anche:
Bastardo posto, Remo Bassini
Pierre, Nello Rubattu
Savage Lane, Jason Starr






martedì 8 luglio 2014

IL CRONISTA ERA ATTESO - Gianfranco Cambosu

Palcoscenici

Titolo: Il cronista era atteso
Autore: Gianfranco Cambosu
Editore: Parallelo 45
Anno: 2013
Genere: Romanzo noir
Pagine: 176



Per raccontare una storia, una bella storia, si può partire da destra o da sinistra. Non importa. Tant'è che si può anche partire dal basso, o meglio dalle parti basse come appunto ha fatto Gianfranco Cambosu ne Il cronista era atteso. Già perché la sua storia inizia proprio con un sedere. Precisamente dal "mappamondo rosa" della contestatrice sarda Sabrina Pittau su un palco di Piazza Di Ferrari a genova, nei giorni caldi del G8. A tale esibizione seguirà immediatamente il suo arresto. Da quell'immagine, rosa e tonda, partiranno una lunga serie di vicende, eterogenee quanto oscure e misteriose, nelle quali cercherà di districarsi il giornalista free-lance Antonio Serra, anch'egli sardo.

Cambosu ha costruito un noir fortemente articolato nel quale non ha inteso lasciare al lettore un attimo di tregua: un ricamo perfetto e intricato costruito pazientemente frase dopo frase. L'autore è - come dire - generoso ma con parsimonia in quanto, solo poco per volta e senza strappi, ci concede piccoli tasselli dei quali non è subito sicura la collocazione per arrivare, infine, a farci avere un quadro impeccabile in cui ogni cosa risulterà, di fatto, al suo giusto posto e condurci a un finale indubbiamente inaspettato.
L'intera vicenda si dipana, tranne un breve passaggio in terra sarda, in un contesto affascinante che pare nato per accoglierla benevolmente e farla germogliare: i carruggi di Genova.
Quelle vie vecchie e misteriose che hanno la capacità, al medesimo tempo, di condurre sia all'inferno sia al paradiso. Quelle stesse vie cantate da De Andrè. Quelle vie che son poesie. Ed è in quelle viuzze delle quali sembra quasi di sentire il profumo che si muove Antonio Serra tra speculazioni edilizie, compagnie teatrali al limite del surreale, emarginati. Perché, alla fine, son proprio gli emarginati che, silenziosamente, lottano per avere un posto in un palcoscenico che non sia il teatro, ma la vita stessa. Dimenticati come sono dal mondo e privati della loro stessa voce, in senso fisico e in senso metaforico.
Non cercate eroi in queste pagine: non li trovereste. Ci son solo persone, uomini che, giorno dopo giorno, si affannano o uomini che si impegnano - con mezzi spesso riprovevoli - a ottenere un posto in prima fila in un mondo che di bello ha ben poco o, ancora, uomini che la sera, in solitudine, si trovano a fare i conti con il loro passato, con un semplice nome che rappresentava, forse, l'amore. Quello vero.

Cambosu, ancora una volta, conferma la sua abilità nel raccontare e lo fa come se ogni volta stesse costruendo una ragnatela, senza mai esser scontato, senza mai annoiare.  E, soprattutto, conferma come non sia importante il punto di partenza di una storia in quanto ciò che conta è dove essa, pagina dopo pagina, ci conduce e ciò che ci lascia dentro.

Altri libri:
Bastardo posto, Remo Bassini
Il ladro del silenzio, Rawi Hage

venerdì 28 giugno 2013

IL FATTORE K - Antonello Ardu. Non è tutto Killer ciò che luccica


Titolo: Il fattore K
Autore: Antonello Ardu
Editore: Youcanprint
Anno: 2012
Genere: Thriller
Pagine: 370

Anno 2009. È un gelido inverno quello che attanaglia Cagliari, la neve scende lenta e ricopre la città. Tutto sembra tacere. Ma nulla dura per sempre, neanche la serenità di una città che pare fin troppo pacata. Dapprima spariscono gatti e, ovviamente, nessuno se ne occupa almeno fino a che non viene assassinata la figlia di "uno che conta". Almeno fino a che altri, troppi, omicidi non saranno consumati. Almeno fino a che non ci si renderà conto che c'è un filo conduttore che lega quei macabri omicidi. Sarà il Commissario Capo, Giaime Delogu, ad indagare e a ritrovarsi a ricostruire con pazienza certosina, proprio lui che di pazienza ne ha ben poca, i tasselli di un puzzle composto da pezzi sparsi lontani nel tempo.


Dopo il suo primo romanzo Dossier Hoffman, edito da Aisara, Antonello Ardu ci offre una storia affascinante e intensa ambientata, prevalentemente, in una Cagliari insolita e misteriosa. Nato come giallo di cui possiede la classica impalcatura - assassinio, indagini, cattura del colpevole - Il fattore K si estende andando a trattare altri temi ricco com'è di vicende, lontane tra loro nel tempo e nello spazio, che si intersecano in un gioco di rimandi e di flash back senza che mai si perda il filo della narrazione. Storie che si dipanano tra Cagliari e la Barbagia, storie di vite, spesso ai margini, incastonate, come se fosse uno sbaglio, in una società che le annienta, le schiaccia, non le rispetta. Ed è in quella palude di vite sofferte, di sogni interrotti, di slanci mancati che nasce il desiderio ossessivo di vendetta, di riscatto. Vendetta ad ogni costo e con ogni mezzo. Emerge, nel corso della lettura, la dicotomia tra buoni e cattivi dove i cattivi sono troppo cattivi. E a questo quadro tutto umano che rispecchia, forse con intento polemico dell'autore, la società attuale si contrappone il mondo animale emblematicamente rappresentato dal gatto Arturo, grande protagonista del libro, portatore e attento custode di valori, in primis la solidarietà, che l'uomo - il cristiano - pare aver dimenticato nei meandri di quella estenuante ricerca del potere, del successo nel buon mome del dio denaro.
Numerosi sono i personaggi che affiancano il serial killer dal canto suo fornito di un'intelligenza fuori dal comune e, al tempo stesso, anch'egli vittima di un sistema marcio, putrescente, corrotto. Personaggi ribelli come il Commissario Capo Delogu, personaggi circondati da un alone di magia come Antine Satta che paiono vivere su questo mondo quasi per un errore dotati come sono di forte sensibilità e di sentimenti superiori, donne che combattono e non si arrendono, nonostante la crudeltà della vita. Quattrocento pagine che scorrono con piacere e che regalano, a fine lettura, amare riflessioni e profonde verità. Verità feroci, certo.

Vedi anche:
Savage Lane, Jason Starr