mercoledì 23 luglio 2014

L'ESTATE DI ULISSE MELE - Roberto Alba

L'ULTIMA ESTATE. FORSE

Titolo: L’estate di Ulisse Mele 
Autore: Roberto Alba 
Editore: Piemme 
Anno: 2014 
Pagine: 210
Genere: Romanzo
Sardegna.Ulisse ha nove anni, vive in campagna, in cima a una collina di terra e di sassi, con la sua famiglia. Una famiglia nella quale cadono spesso le stelle cadenti che hanno la forma di botte. Le botte che suo padre Alfio riserva a Didi e Betta i suoi fratelli maggiori che non hanno voglia di studiare. Nel mattino di una calda estate, proprio quando stanno per arrivare, come ogni anni gli zii e i cugini, Didi e Betta decidono di andare al mare con il fidanzato di quest’ultima. Betta non tornerà più…
In un mondo fatto di rumori, di suoni e di parole si muove il piccolo Ulisse portando con sé il suo personale mondo fatto di silenzi, di sensazioni e di immagini. Ulisse è sordo, sordomuto dicono tutti, ma questo non fa di lui un “handicappato” perché il piccolo è un genio, sogna di diventare un ricercatore per quanto suo padre voglia fare di lui un avvocato per mandare in galera la famiglia Maraschi che ruba loro la terra.
Dirà Ulisse " _sono sordomuto, così dice la gente, però non mi piace usare questo termine perché può farvi pensare che sia handicappato, invece sono solo sordo, capisco benissimo e cammino senza sedia a rotelle e... sono un genio. Nessuno mi deve spiegare le cose due volte._"

Un romanzo delicato nel quale l’ingenua e arguta voce di Ulisse ci permette di vedere una realtà scevra di filtri o condizionamenti tipici dell’essere adulti e non derivanti, solo, dal possedere quel senso – l’udito- di cui il piccolo è privo.
Ulisse riesce, per esempio, a capire se qualcuno mente perché per lui uno sguardo non è costituito soltanto da due occhi in un volto, come lo è per tutti, ma è un insieme di emozioni, di significati nascosti, di verità e mondi da scoprire.
La storia di per sé è molto dolorosa, la scomparsa di Betta altererà gli equilibri familiari attribuendo un nuovo significato ai giorni, ai luoghi, ammantando il paesaggio di un velo di malinconia rappresentato, quasi ne costituisse il simbolo, da quel gommone portato dallo zio che, in quella tragica estate, non vedrà mai il mare e sarà abbandonato quasi a voler ricordare che l’estate in cui Betta è sparita sarà diversa da tutte le altre e forse l’ultima estate da bambini.
L’estate di Ulisse Mele contiene anche una attenta disamina, con buona dosatura di tenerezza e crudezza, dei rapporti familiari. In ogni famiglia, quindi anche in quella di Ulisse, ci sono dissapori, si covano rancori che hanno le loro radici in un passato, spesso sconosciuto o taciuto, perché spesso è più facile serbare livore verso un membro della propria famiglia anziché verso un estraneo che, paradossalmente, si riesce a perdonare più agevolmente, però è anche vero che quella famiglia anche dopo anni di silenzio e di assenze riesce a dare un sostegno nei momenti più tragici. Perché è nei momento più tragici che appaiono zie o parenti mai conosciuti prima che in forza di un legame atavico legame privo di un nome ben definito, ma molto simile al concetto di amore con tutte le sue sfumature anche quelle cariche di dolore, di rimorsi e rimpianti.La grande capacità di Roberto Alba credo sia stata quella di calarsi a pieno nel ruolo di un bambino, è il bambino Ulisse che scrive, parla, è sempre un bambino che descrive il suo mondo e il mondo degli adulti con i suoi occhi, attenti e intelligenti. È come se lo scrittore avesse dato ad Ulisse i suoi strumenti sussurrandogli: raccontaci la tua estate.
Ed è in questa capacità di calarsi in un bambino di usare il suo registro linguistico e, soprattutto, nella sua sensibilità che risiede la magia di questo romanzo, forte e delicato al tempo stesso.
Un romanzo che non finisce una volta che si legge l’ultima pagina, ma che fa riflettere sulla bellezza dell’esser bambini e che ci induce a cercare in qualche angolo remoto della nostra anima una parte di Ulisse, una parte del bambino che siamo stati. Parte che non è stata perduta inesorabilmente come spesso si crede, ma è solo stata accantonata credendo di avere impegni più importanti, come sempre.
Il romanzo, insomma, ha il sapore dei giochi all’aperto, di occhi sempre attenti a esplorare e a curiosare, di voglia di giocare, ha il sapore dell’estate, di quando era l'estate era bella, di quando estate voleva dire correre, giocare e ridere.

mercoledì 16 luglio 2014

Lotterie dei sogni

Lotteria - Stampa antica 1886

È vero che le statistiche dicono che si legge poco, ma vi assicuro che conosco tantissime persone che amano farsi incantare dalle parole magiche dei libri, persone che hanno la casa sommersa da pagine e pagine di storie, conosco persone che, puntualmente, si recano in libreria considerandolo il luogo migliore per eccellenza. Già, le librerie: luoghi che regalano magia. E dico ciò anche se non credo di avere tutte quelle manie che sfiorano il patologico, manie che caratterizzerebbero il lettore modello: per esempio, io non annuso i libri o non equiparo il prestito di un libro alla donazione di un rene. No, io li presto, li perdo, li ricompro, li sottolineo e, a volte, ci mangio sopra o li dimentico nel cruscotto della macchina fino a che non si ingialliscono. Effettivamente, non corrispondo al modello di lettore delineato da più parti e che, spesso, è solo un tirchio, così per dirla tutta.  Detto questo e chiarito che non sono un modello (neanche una modella, se vogliamo) è pur sempre vero che adoro i libri e, di conseguenza, le librerie. E i librai. Soprattutto quelli che combattono ogni giorno per far andare avanti il loro piccolo regno, quelli che i libri li leggono, quelli che  ti propongono libri fuori dal coro, quelli che organizzano presentazioni di autori non solo noti. Insomma, i librai intraprendenti. Coraggiosi e pieni di iniziative e che dimostrano, giorno per giorno, come il mondo della lettura possa avere mille volti, possa essere occasione di dibattiti, di incontri, di nuove conoscenze. Perché il libro è, di per sé, un mondo. Un vasto mondo.
Ah, dimenticavo: non sopporto tutti quelli che si disperano per le chiusure delle librerie e, poi, puntualmente, acquistano i libri online. Ecco, siete una massa di ipocriti.
Torniamo ai librai. In quel di Cagliari, nella via Tuveri, proprio vicino al tribunale c’è una libreria, la libreria Cocco il cui nome, credo, sia conosciuto da tutti essendo una libreria storica di Cagliari. Ebbene, in quella libreria lavora, appunto, Alessandro Cocco che ha seguito la tradizione di famiglia (e di questo gli siamo grati). Ha iniziato giovanissimo, a soli 24 anni, e ciò che più conta è il fatto che egli incarni l’immagine del libraio curioso, disponibile, libero.
Alessandro  ha organizzato un evento a dir poco speciale e unico in Sardegna: una  lotteria.  Ma mica una lotteria normale, no. Lui ha ideato la lotteria dei libri.  Il cui funzionamento è abbastanza semplice: basta recarsi alla libreria Cocco (a partire dal 26 giugno) e acquistare almeno due libri, con l’acquisto si riceverà un biglietto numerato; ogni acquisto successivo al primo varrà un biglietto per ogni libro. Conservare gelosamente i biglietti e sabato 26 luglio ci sarà l’estrazione finale al termine di una serata di intrattenimento nella quale saranno presenti un illusionista, numerosi autori sardi, ma anche le opere della pittrice cagliaritana Liliana Stefanutti e i disegni  della giovane Elisa Erriu. Ci sarà anche il buffet così giusto per non farci mancare nulla. La serata sarà presentata da Fabio Marcello.
Suppongo vogliate sapere quali siano i premi in palio. Eccoli:
-          Il primo premio un romanzo a scelta del vincitore e cena per due persone presso il ristorante KilometroZero.
-           Il secondo premio sarà un buono da €. 50,00 da spendere per successivi acquisti in libreria.
-          Il terzo premio sarà, invece, un buono da €. 25,00 da spendere per successivi acquisti in libreria.REGOLAMENTO:
Per partecipare occorre acquistare
(da Giovedi 26 Giugno fino al giorno dell’estrazione) almeno due romanzi a piacere. Al momento dell’acquisto verrà rilasciato un biglietto numerato che consentirà la partecipazione all’estrazione finale, prevista per SABATO 26 LUGLIO.
Ciascun acquisto successivo al primo, varrà un biglietto per ogni libro.

L’ESTRAZIONE FINALE avverrà in libreria al termine di una serata di intrattenimento durante la quale l’illusionista Alfredo Barrago eseguirà un divertente spettacolo di prestigio.
Saranno presenti scrittori sardi accanto all’esposizione delle suggestive opere della pittrice cagliaritana Liliana Stefanutti, e degli espressivi disegni della giovane Elisa Erriu. Entrambe le artiste saranno ospiti della serata.
Presenta il giornalista Fabio Marcello.
Seguirà un buffet.

PREMI:
- Primo premio: un romanzo scelto a piacere dal vincitore e una cena per due persone presso il Ristorante KilometroZero.
- Secondo premio: buono da 50 Euro per acquisti in libreria.
- Terzo premio: buono da 25 Euro per acquisti in libreria.
Naturalmente, io parteciperò e anche se di solito non vinco mai nulla (per esempio, da piccola non mi sarei stupita se il mio uovo pasquale, e solo il mio, fosse stato privo di sorpresa), non mi perderò questo evento che ha il sapore di cultura, di libri, di voci interessanti  e, in ogni caso, è un omaggio ai lettori, alle librerie, alle belle iniziative che riguardano il magico mondo delle parole. Poi non dite che l’estate cagliaritana è noiosa. E chapeau ad Alessandro per l’iniziativa e...continua così.




martedì 15 luglio 2014

IL VINCITORE È SOLO - Paulo Coelho

Il vincitore è (un) bolo. Indigesto

Titolo: Il vincitore è solo
Autore: Paulo Coelho
Editore: Bompiani
Anno: 2009
Pagine: 448
Traduttore: Rita Desti








Ho iniziato con il piede sbagliato, lo riconosco e, ora, con il piede giusto mi ritrovo a sputare veleno verso questo romanzo a causa di una serie ordinata di reazioni a catena. Tutto è cominciato quando una mia amica mi ha prestato questo libro. Potevo ancora salvarmi, ma ho fatto l'errore di aprirlo. L'errore successivo è stato quello di continuare la lettura in base ad un mio astruso principio privo di qualsivoglia fondamento logico-razionale: terminare la lettura di ciò che inizio. Sempre. 
Si, lo so! Potrei sgarrare e astenermi dal rispettare questa insana regola confidando nella mancanza di torture o punizioni corporali. Ma non sgarro e, imperterrita, continuo. C’è qualcosa di patologico in questa sorta di autoflagellazione che mi impongo con costanza forse per qualcosa che non ho portato a termine in una vita precedente o, forse,nel mio passato… Mah, chissà… Per farla breve: ho terminato questo libro per riporlo nella scrivania in attesa di restituirlo alla mia amica vincendo la tentazione, forte devo dire, di lanciarlo dal balcone.
Cercherò di essere buona e di individuare almeno un lato positivo in questa mia traumatica esperienza ricorrendo alla mie riserve, peraltro non abbondanti, di ottimismo. Si, credo che la cosa migliore sia il vivace colore della copertina.
Coelho ci narra le vicende di un potente imprenditore russo che, come ogni russo che si rispetti, si chiama Igor. Anche io ho un nome russo ma non sono russa, i miei genitori non son stati attenti a quei “fondamentali” dettagli che ad uno scrittore preciso e attento, invece, non sfuggono (!).
Igor è bello, ricco, potente, insomma uno di quegli uomini che, come da copione potrebbe
 avere tutto ma così non è. C’è una grossa falla nella sua vita, una mancanza che gli toglie il respiro e questa mancanza si chiama Ewa. La sua ex fidanzata che lo ha lasciato e si è innamorata (si fa per dire) di uno stilista arabo che sarebbe rimasto solo un semplice arabo con la passione per i rammendi dei burqa se non avesse conosciuto un famoso sceicco. Quest’ultimo, per una serie di coincidenze, gli permette di studiare e di farlo entrare nel fatato mondo dell’alta moda europea. Le vie della Provvidenza divina sono infinite e assumono varie forme. È anche vero, ed è cosa risaputa, che le conoscenze e le giuste raccomandazioni sono utili. E Igor di fronte al desiderio della sua ex compagna di ricostruirsi una vita nella quale non è contemplata la sua presenza, lancia al cielo il suo possente NIET che, nella sua folle ossessione, lo porterà a distruggere altri mondi. Mondi intesi come persone la cui morte costituirà per Igor il modo di lanciare alla sua Ewa dei messaggi. In fondo Ewa è distratta, se cosi possiamo dire, sciocca femmina che non capisce come il suo rapporto con il russo faccia parte di un progetto stilato dall’ingegnere che sta in alto, che tutto vede e tutto ordina e nessuno può permettersi di disattenderlo. È Dio che, come ripetutamente afferma Igor, ha voluto quella unione: volontà del capo supremo e non si discute.
Tale ossessione amorosa colorata di pedanti richiami al divino porterà al fiorire di cadaveri eccellenti e meno eccellenti. In particolare, le tecniche di eliminazione apprestate da Igor non determineranno lo spargimento di grosse quantità di sangue poiché egli è un perfetto igienista e fa largo uso, senza mai lordare né il futuro cadavere né il luogo del delitto, di pratiche omicide avanzate e inusuali. Insomma, un amante della pulizia in tutti i sensi. E questo amore per la pulizia e per la bellezza delle sue vittime (che più che morte paiono addormentate) è perfettamente in linea con l’ambientazione del romanzo: Cannes. Luogo di apparenza, di bellezze, di perfezione ad ogni costo. Di immagine.Ovviamente l’attenzione dello scrittore- dotato di sensibilità fuori dal comune (!)- non poteva non soffermarsi su quel mondo ovattato, superficiale, ricco di pseudo-sentimenti effimeri come le unghie ricostruite, di diete, di conteggio maniacaldelle calorie, di extension, di sogni di gloria. Ed è proprio nella descrizione di questo mondo che mi è parso di individuare quasi una critica forzata, un tentativo affannoso di scardinare, eticamente, quel mondo ma di farlo per ottenere un riconoscimento. Insomma, non vorrei insinuare (ma anche si) ma ho avuto la fastidiosa sensazione che Coelho fustigatore dei costumi abbia navigato (a bordo di insicura zattera, mi pare) un terreno fertile al precipuo scopo di far emergere i suoi “puri” e tanto decantati principi religiosi, il suo esacerbato spiritualismo per lanciare un messaggio : “sto dalla parte dei buoni non sono uno di Cannes, IO!”
Un romanzo pesante, ripetitivo. I racconti che hanno ad oggetto le esperienze di vita delle modelle paiono strapparti da una delle tante riviste patinate sempre uguali a sé stesse. Niente di originale. Prolisso allo sfinimento, pareva che ogni periodo fosse stato allungato a mo’ di elastico per consentire alle parole di espandersi confusamente tra le pagine bianche e protrarre l’attesa di quel finale a sorpresa che non ha, di fatto,sorpreso nessuno. Dimenticando che le troppe parole annoiano e che gli elastici, per quanto resistenti, si spezzano. 
Una caterva di cose trite e ritrite e ritrite ancora seppur infarcite, artatamente, dai consueti richiami al suo dio, all’amore universale, alla perenne dicotomia spirito-corpo. Ogni tanto, qualche pillola di saggezza incapace di attrarre in quanto frutto di un cattivo miscuglio degli ingrediente e dall’abbondanza di toni fastidiosamente patetici.Domanda d’obbligo: La bruttezza è sempre soggettiva?
Grazie (si fa per dire) amica Chiara

martedì 8 luglio 2014

IL CRONISTA ERA ATTESO - Gianfranco Cambosu

Palcoscenici

Titolo: Il cronista era atteso
Autore: Gianfranco Cambosu
Editore: Parallelo 45
Anno: 2013
Genere: Romanzo noir
Pagine: 176



Per raccontare una storia, una bella storia, si può partire da destra o da sinistra. Non importa. Tant'è che si può anche partire dal basso, o meglio dalle parti basse come appunto ha fatto Gianfranco Cambosu ne Il cronista era atteso. Già perché la sua storia inizia proprio con un sedere. Precisamente dal "mappamondo rosa" della contestatrice sarda Sabrina Pittau su un palco di Piazza Di Ferrari a genova, nei giorni caldi del G8. A tale esibizione seguirà immediatamente il suo arresto. Da quell'immagine, rosa e tonda, partiranno una lunga serie di vicende, eterogenee quanto oscure e misteriose, nelle quali cercherà di districarsi il giornalista free-lance Antonio Serra, anch'egli sardo.

Cambosu ha costruito un noir fortemente articolato nel quale non ha inteso lasciare al lettore un attimo di tregua: un ricamo perfetto e intricato costruito pazientemente frase dopo frase. L'autore è - come dire - generoso ma con parsimonia in quanto, solo poco per volta e senza strappi, ci concede piccoli tasselli dei quali non è subito sicura la collocazione per arrivare, infine, a farci avere un quadro impeccabile in cui ogni cosa risulterà, di fatto, al suo giusto posto e condurci a un finale indubbiamente inaspettato.
L'intera vicenda si dipana, tranne un breve passaggio in terra sarda, in un contesto affascinante che pare nato per accoglierla benevolmente e farla germogliare: i carruggi di Genova.
Quelle vie vecchie e misteriose che hanno la capacità, al medesimo tempo, di condurre sia all'inferno sia al paradiso. Quelle stesse vie cantate da De Andrè. Quelle vie che son poesie. Ed è in quelle viuzze delle quali sembra quasi di sentire il profumo che si muove Antonio Serra tra speculazioni edilizie, compagnie teatrali al limite del surreale, emarginati. Perché, alla fine, son proprio gli emarginati che, silenziosamente, lottano per avere un posto in un palcoscenico che non sia il teatro, ma la vita stessa. Dimenticati come sono dal mondo e privati della loro stessa voce, in senso fisico e in senso metaforico.
Non cercate eroi in queste pagine: non li trovereste. Ci son solo persone, uomini che, giorno dopo giorno, si affannano o uomini che si impegnano - con mezzi spesso riprovevoli - a ottenere un posto in prima fila in un mondo che di bello ha ben poco o, ancora, uomini che la sera, in solitudine, si trovano a fare i conti con il loro passato, con un semplice nome che rappresentava, forse, l'amore. Quello vero.

Cambosu, ancora una volta, conferma la sua abilità nel raccontare e lo fa come se ogni volta stesse costruendo una ragnatela, senza mai esser scontato, senza mai annoiare.  E, soprattutto, conferma come non sia importante il punto di partenza di una storia in quanto ciò che conta è dove essa, pagina dopo pagina, ci conduce e ciò che ci lascia dentro.

Altri libri:
Bastardo posto, Remo Bassini
Il ladro del silenzio, Rawi Hage

lunedì 7 luglio 2014

FONTAMARA - Ignazio Silone

E poi più nulla

Titolo: Fontamara
Autore: Ignazio Silone
Editore: Mondadori
Anno: 1988
Pagine: 182


Son tornata sulle bellissime pagine di Fontamara dopo circa vent’anni . Un emozionante salto nel passato, un risentire profumi e sensazioni vecchie. Capita, però, che il vecchio e il nuovo si mescolino tra di loro e dalla loro unione nasca un sentimento molto vicino all’amarezza. È stato come percepire, oggi come ieri e forse come domani, quanto le cose, alcune cose, non siano destinate a mutare radicalmente. Spesso, nulla cambia. O cambia male.
I soprusi, pur mutando d’abito, a seconda del contesto storico o politico o sociale, rimangono in nuce identici. In eterno.
L’uomo è un lupo non nel momento in cui volge gli occhi allo specchio, ma nel momento in cui volge lo sguardo sui suoi simili. Vecchia massima e verità incontestabile.
Così i valori, se tali possono essere definiti, rimangono anch’essi immutati : sete di potere, di denaro, avidità che mostrano, incontrovertibilmente, la piccolezza di quel misero essere che è l’uomo.
Uomo essere dotato di…
Munito di…
Fornito di…
Superiore a... (sic)
Ma, in fondo, sempre pronto a sopprimere chi è più debole.
Altra verità dolorosa: l’incapacità, quasi innata, dei miseri di elevarsi, di riscattarsi, in quanto marchiati a fuoco con il simbolo indelebile della povertà. Nessun riscatto. Nessuna vittoria. Tutto è perduto.

Fontamara è un piccolo villaggio dell'Italia meridionale.
Un minuscolo puntino. Una piccola macchia d’inchiostro per i cartografi, ma un intero universo per i cafoni che ci vivono. Là c’è un mondo intero nel quale si dipanano vicende comuni a tutti gli esseri umani: nascite, morti, dolori, affanni, amori, lavoro, promesse, sogni.
Fontamara, da anni, da secoli, da sempre, è uguale a se stessa. La stessa pioggia, lo stesso vento, lo stesso cibo, la medesima miseria. E le ingiustizie.
Fontamarà è un universo a sé. Diverso dal resto del mondo. Isolato. Invisibile. Il ciclo vitale si muove sordo all'evoluzione, a qualsiasi tipo di evoluzione: scientifica, politica,economica, religiosa, sociale.
Paese invisibile in generale. Visibile in particolare. Le ingiustizie e i soprusi lo scorgono e lo catturano. È la sua condanna, da padre in figlio per giungere ai nipoti, ai figli dei nipoti e così via in una spirale della quale non si vede la fine.
E in questo microcosmo che pare dimenticato da Dio e da tutti i santi del paradiso, timidamente nascono, comunque, delle piccole fiammelle di ribellione. Nonostante nella gerarchia sociale i cafoni costituiscano l'ultimo anello della catena talmente distante dal primo che li rende, a dir poco, futili poiché , come Silone insegna
« In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »

E, nonostante, solo poco prima della fine ci siano questi miseri cafoni, germoglia l’idea e la voglia di ribellarsi a quel sistema che ha fatto dell’ingiustizia il suo manifesto programmatico.
Ai Fontamaresi viene tolta l’acqua necessaria per irrigare la loro fonte di sostentamento: la terra. Lì iniziano a lottare, a muoversi, a urlare, a volere un bene che ritengono di loro proprietà. Perché l’acqua è vita. Lottano per quella fondamentale risorsa naturale e raggiungono un accordo, grazie al sostegno del cosiddetto amico del popolo, un avvocato (che non fa onore alla categoria).
L'accordo, apparentemente, risulta equo. Maledetta ignoranza!
Infatti, l’acqua verrà ripartita con le seguenti modalità: tre quarti al ricco proprietario e gli altri tre quarti (?!)ai cafoni.
A questo ennesimo imbroglio ne seguiranno altri (l'acqua rimarrà di proprietà del ricco podestà " non per cinquant'anni ma per dieci lustri" - sic) che non impediranno, comunque, la presa di coscienza, seppur timida e non supportato da un adeguato sostrato culturale, dell’esistenza di diritti riconosciuti all’essere umano in quanto tale.
Presa di coscienza che culminerà, a titolo emblematico, con il sacrificio di Berardo Viola. Lo stile di Silone è semplice, essenziale, vicino alla lingua parlata. Infatti, lo scrittore abdica al suo ruolo di cronista, per far parlare i protagonisti, Giuvà, la moglie e il figlio che, da soli, divengono la voce di quel popolo che sono i cafoni di Fontamara.