Poesie, incipit & parole



Non esistono nomi, autrici, autori,
volano soltanto le parole, si mischiano
alla pelle che cade sui divani, quella
che ogni giorno perdiamo e offusca
le mensole, le sedie, i davanzali
facendola aspirare e che chiamiamo polvere.
Questo resta, la polvere i suoi atomi sparsi,
cateti e ipotenusa per il teorema che chiamiamo poesia.

_Antonella Anedda, Pelle, polvere in Historiae. Ed. Einaudi, 2018


Avevo dodici anni e un mese, mamma riempiva i piatti di cappelletti e raccontava di come l’utero sia il principio della modernità. Versò il brodo di gallina e disse –Impariamo dalla Francia con le sue ondate di suffragette che hanno liberato le coscienze.
-E i pompini.
La crepa fu questa. Mio padre che soffiava sul cucchiaio mentre sentenziava: e i pompini. Mamma lo fissò. Non ti azzardare più davanti al bambino, le sfuggì il sorriso triste. Lui continuò a raffreddare i cappelletti e aggiunse –Sono una delle meraviglie del cosmo.
Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato. Feltrinelli, 2016. Incipit





"Quei due abbracciati sulla riva del Reno a Gotthlieben
potevamo essere anche tu ed io,
ma noi due non passeggeremo mai più
su nessuna riva abbracciati.
Vieni, passeggiamo almeno in questa poesia."

_Izet SarajlićQualcuno ha suonato. Multimedia Edizioni, 2009. Traduzione: Sinan Gudzevic, Raffaella Marzano





L’insegnante di pianoforte Erika Kohut si precipita come un ciclone nell’appartamento che divide con la madre. Il piccolo terremoto, come la chiama sempre la madre, certe volte corre via a velocità pazzesca nel tentativo di sfuggire alle sue grinfie. Erika va per i quaranta. Quanto all’età, sua madre potrebbe esserle anche nonna. La bambina venne al mondo solo dopo lunghi e duri anni di matrimonio. Il padre le passò subito il testimone e si ritirò, uscì dalla scena non appena la figlia vi fece la sua comparsa. Col tempo Erika ha dovuto a tutti i costi sveltirsi un po’. Sfreccia attraverso la porta di casa come uno stormo di foglie in autunno, decisa a raggiungere la sua stanza senza farsi vedere. La mamma però è già piantata lì davanti e la blocca: a rapporto! Al muro! Inquisitore e plotone d’esecuzione nella stessa persona che Stato e famiglia riconoscono all’unanimità nel suo ruolo di madre. Ora dà inizio all’interrogatorio. Come mai Erika ha ritrovato la strada di casa solo adesso? L’allievo dell’ultima lezione è andato via già da tre ore sotto il peso del suo disprezzo. Erika, tu credi che io non sappia dove sei stata. Una figlia non si fa pregare per rispondere alla madre, comunque poi non viene creduta, perché dice solo bugie. La madre è ancora lì che aspetta, il tempo di contare fino a tre.

_Elfriede Jelinek, La pianista. Ed. ES, 2002. Traduzione: Rossana Sarchielli. Incipit






"Era abituato a svegliarsi con un'erezione e la attribuiva alle ore che aveva appena trascorso in compagnia di se stesso"
_Howard Jacobson, Pussy. Ed. La Nave di Teseo, 2017. Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra. Pag. 119









"Vuoi parlare. Vuoi dire che assieme avete bevuto molti caffè che sapevano di oblio, di disprezzo, di odio gentile e monotono. Vuoi dire che questa è la prima volta che il caffè ha un esasperante sapore di fallimento. Ma non riesci ad articolare neppure una parola. Lei si alza dal tavolo. Va nella stanza accanto. Si veste lentamente e alle tue orecchie arriva il clic del braccialetto. Si avvicina alla porta, prende le chiavi, la borsa, il piccolo libro da leggere in viaggio, le viene in mente qualcosa prima di aprire la porta e torna indietro sino a dove sei tu per stamparti sulle labbra un bacio freddo che, per quanto ti sembri incredibile, ha lo stesso sapore di fallimento del caffè."
- Luis Sepùlveda, Incontro d'amore in un paese in guerra. Ed. Guanda. Traduzione: Ilide Carmignani. Pag. 52.





"Stavamo quasi per scrivere che la particolarità del paese consiste nel non averne nessuna, ma in effetti non è del tutto vero. Sicuramente esistono altri luoghi in cui la maggior parte delle case ha meno di novant'anni, luoghi che non vantano nessun personaggio rinomato, nessuno che si sia fatto notare nello sport, nella politica, nel commercio, nella poesia, nel mondo del crimine. Qualcosa di diverso rispetto ad altri luoghi, però, sembriamo averla: qui non c'è una chiesa. E nemmeno un cimitero." 
-Jón Kalman Stefánsson, Luce d'estate ed è subito notte. Ed. Iperborea, 2013. Traduzione: Silvia Cosimini. Incipit







"Anche oggi, oggi che tutto irrido, amaramente certo di quanto sia grottesco il vivere, oggi pur sento che l'amore, quest'amore che ho sognato in collegio senza possederlo e che più tardi ho conosciuto, che tanto mi ha fatto piangere e di cui dopo ho sorriso, è ancora la più sublime delle cose, o forse la più ridicola sciocchezza! Due creature, venute sulla terra per un caso, s'incontrano, s'amano, perché una di esse è femmina e l'altro è maschio! Eccoli sospirosi l'uno dell'altro, camminare insieme a sera, bagnarsi alla rugiada, guardare il diafano splendore della luna, ammirare le stelle, e ripetersi su tutti i toni: io t'amo, tu m'ami, egli m'ama, ci amiamo e questo tra i baci e i sospiri; e poi il ritorno, spinti entrambi da un ardore senza eguali, perché l'anima è vinta dal calore del corpo; ed eccoli avvinti, grottescamente uniti, tra parole strozzate e sospiri, preoccupati di mettere al mondo un imbecille di più, un disgraziato che, a sua volta, li imiterà"
_ Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo. Ed. TEN. Pag. 33



"Come, lui avrebbe dovuto bussare prima di raggiungere i suoi libri? Che insolenza! Ridicolo! Grottesco! Deve averle dato di volta il cervello. Sarà meglio appiopparle un bel ceffone. Forse così tornerà in sé. S'immaginò l'impronta delle sue dita su quella guancia piena, grassa e lustra. Non sarebbe stato giusto dare la preferenza a una guancia piuttosto che all'altra. Avrebbe dovuto colpirla con tutte e due le mani contemporaneamente. E se non avesse colpito con precisione, i segni rossi sarebbero stati più alti su una guancia che sull'altra. Non sarebbe stato bello. Lo studio dell'arte cinese gli aveva ispirato un appassionato senso della simmetria."
_Elias Canetti, Auto da fé. Ed. Adelphi



"Ero stato all’osservatorio. Lei mi domandò che cos’era, un osservatorio. Risposi che lo sapeva benissimo, che lì c’erano i cadaveri e che sapeva anche benissimo che mio padre era stato gettato sopra gli altri cadaveri e che non aveva neppure un lenzuolo e io avevo detto ai bambini che ne aveva sì uno, mentre avevo visto benissimo che non ne aveva. Mi misi a strillare che lei era matta a lasciare che lo buttassero così sugli altri cadaveri senza lenzuolo e che non mi aveva neppure raccontato che era stato portato via dalla baracca dell’infermeria e che io volevo andare almeno a salutarlo un’ultima volta e che lei era stata cattiva e che era colpa sua se era lì così nudo sopra i cadaveri" 
_Jona Oberski, Anni d’infanzia. Un bambino nei lager. Ed. Giuntina, 1996. Pag. 78-79


"Ciò che più colpiva le menti di quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era semplicemente l'idea di essere elementi di un processo grandioso, unico nella storia del mondo ("un compito grande che si presenta una volta ogni duemila anni") e perciò gravoso. Questo era molto importante, perché essi non erano sadici o assassini per natura; anzi, i nazisti si sforzarono sempre, sistematicamente, di mettere in disparte tutti coloro che provavano un godimento fisico nell'uccidere."
 

_Hannah Arendt, La banalità del male. Ed. Feltrinelli, 2001. Pag. 113



"Chissà se le comete, seguite da uno spruzzo di rottura, non siano la polluzione liberatoria delle lampade?
Le comete anuri, per tanti, sono gli angeli. Emmanuele Dio aspetta l'ora siderale in cui se ne andrà.
...Se non ho ucciso, però, o se non si è capito che uccideva, ha come prigione soltanto la scatola del suo cranio, ed è soltanto un uomo che sogna seduto accanto alla sua lampada."

_Alfred Jarry, L'amore assoluto. Ed. Adelphi, 2003. Pag. 14 

"Solo e incompreso giaceva dunque Oskar sotto le lampadine, convinto che tutto sarebbe rimasto allo stato attuale delle cose finché sessanta, settant'anni dopo, un definitivo corto circuito non interrompesse la corrente di tutte le fonti luci. Perdetti perciò la gioia di vivere prima ancora che la mia vita fosse cominciata sotto la luce delle lampadine; e soltanto la prospettiva del tamburo di latta mi impedì allora di dare più sonore espressioni al desiderio di ritornare nel grembo materno. Del resto la levatrice aveva già reciso il mio cordone ombelicale: non c'era più niente da fare."

-Günter Grass, Il tamburo di latta. Ed. La Biblioteca di Repubblica,2003. Pag. 41
 

" Crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo. Nostro marito, nostra moglie. E li conosciamo davvero, anzi a volte siamo loro: a una festa, divisi in mezzo alla gente, ci troviamo a esprimere le loro opinioni, i loro gusti in fatto di libri e di cucina, a raccontare episodi che non sono nostri, ma loro. Li osserviamo quando parlano e quando guidano, notiamo come si vestono e come intingono una zolletta nel caffè e la guardano mentre da bianca diventa marrone, per poi, soddisfatti, lasciarla cadere nella tazza. Io osservavo la zolletta di mio marito tutte le mattine: ero una moglie attenta. Crediamo di conoscerli, di amarli. Ma ciò che amiamo si rivela una traduzione scadente da una lingua che conosciamo appena. Risalire all'originale è impossibile. E pur avendo visto tutto quello che c'era da vedere, che cosa abbiamo capito? Una mattina ci svegliamo. Accanto a noi, nel letto, il corpo familiare che dorme: uno straniero di tipo nuovo. A me è capitato nel 1953. Lì, a casa mia, ho visto una creatura che aveva la faccia di mio marito solo grazie a un sortilegio."
-Andrew Sean Greer, La storia di un matrimonio. Ed. Adelphi, 2008. Incipit



"Potrei finire polverizzata, maciullata in un tritacarne, non mi salverei altrimenti, dal momento che non posso salvare la vita che ho generato. Accudirla, difenderla e consegnarla al mondo. Ci siamo persi nella nebbia. Non abbiamo idea di dove stiamo andando. Non ci sono segnali a indicare la direzione, nessuna orma sul terreno. Eppure, abbiamo il privilegio di poter scegliere quale sentiero ignoto intraprendere, quale via imboccare verso il nulla."


-Simona Sparaco, Nessuno sa di noi - Ed. Giunti 2013, Pag. 68




"Io ho una capra che porto sempre con me: e la mia vita è quella che fa lei, tale e quale. Viene in fondo alla valle, torna su a mezzogiorno, si ferma davanti al fosso con me, e poi la porto al canale, e quando vado a dormire va a dormire anche lei. E anche nel mangiare non c'è grande differenza, perché lei mangia dell'erba, e io radicchi e insalata, e la differenza sta solo nel pane. E poi a momenti io non potrò mangiare più neanche quello...Come me... come me. Ecco che cosa faccio io: una vita da capra. Una vita da capra e nient'altro."

-Silvio D'Arzo, Casa d'altri e altri racconti. Ed. Einaudi, 1980, Pag. 45



 " Quando tornerà a casa, da Laura, con quel cuore leggero che gira come un orologio svizzero, non farà più la dieta, niente più medicine, forse la sua vera malattia è stata la prigione che aveba costruito attorno a sé. Quella fuga incosciente gli ha dato il pungolo che ci voleva."

-Franco Matteucci, Il profumo della neve - Ed. Newton Compton 2007, Pag. 110






"Il viso di Elisa affonda nella stoffa umida, mentre il resto di lei inizia una convulsa danza di ribellione alla morte. Giacomo guarda la nuca della donna e spinge, le ginocchia ben salde sulla sua schiena, mentre lei non può più nemmeno liberare le braccia, serrate tra il materasso e il suo stesso corpo. La pressione è così forte che quello che le esce dalla bocca è solo un fiato breve e disarticolato.
-Nulla di personale, sai. È che in questi giorni la gente deve distrarsi con altre notizie.
Giacomo china il viso; le sue grandi mani e tutto il suo corpo diventano un macigno sull'agonia della donna.
-Tu, tesoro, sarai la nostra notizia.
Sono le ultime parole che lei sente.
Ed è la prima volta che un uomo le parla con tanta dolcezza."

-Giovanni Sicuranza, Lungo il vento - Ed. Youcanprint 2013, Pag. 29 

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