Il capitale
Titolo: L’albero di Giuda
Autore: Silvana Grasso
Editore: Marsilio
Anno: 2011
Genere: Romanzo
Pagine: 297
Una bella sorpresa questo romanzo perché vivace,
frizzante, ironico, ma – a suo modo – anche triste e melanconico.
Sicilia, Bulalà. Alle sei e tre quarti del 15 giugno Sasà Azzarello, arrivava, puntuale come
sempre, alla cancellata della Villa Comunale. Lì, in quella Villa, luogo
d’incontro con i suoi amici – o quasi amici, o forse per niente amici – il
settantenne Sasà sente, ogni volta, il respiro del mare. Certo, non tutti
potevano sentirlo quel respiro: bisognava averci l’anima, bisognava non essere
bestiacce con il cervello crudo. Un’anima fine ci voleva, come la sua che non
solo il respiro, ma anche il cuore del mare sentiva e ciò in barba alle
amarezze che la vita gli aveva donato. E quelle bestiacce dei suoi amici, che
di fine non avevano proprio nulla, figuriamoci l’anima, gli ripetevano quanto
cretino fosse. No! Non era il mare quello: erano le ciminiere quelle che
sentiva. Ma Sasà, intelligente com’era, lo capiva che erano solo degli
invidiosi, in particolare il logorroico Cataratta
che ci moriva d’invidia. Ed era anche normale: Sasà è colto, laureato figlio
del direttore didattico. Sasà che tutti a Bulalà, chiamavano il filosofo. Per
sfotterlo, certo, ma filosofo lui lo era. E il vecchio settantenne ogni volta
si riprometteva di non incontrarli quegli avvelenati di invidia , ma poi si
ritrovava nel cancelletto della villa perché, in fondo, quei maledetti erano
meglio della solitudine, sempre meglio dei ricordi della sua triste vita…
Pubblicato per la prima volta con Einaudi nel 97 poi
con Marsilio nel 2011 L’albero di Giuda -tra l’altro vincitore del premio Napoli
e del Premio Vittorini nel 1997 – è un romanzo ironico, frizzante, e surreale
nel quale, con il veicolo della comicità e del paradosso, si affrontano
tematiche forti. Sasà, il protagonista, ormai anziano, ripercorre gli anni
della sua vita passata, marchiati dall’infelicità, per scelta propria e altrui,
per destino, per mancanza di coraggio, per un arrendersi al corso degli eventi.
Si parla di amore, quello grande di Sasà per la friulana, un amore contrastato
dal padre, figura dominante, si parla del rapporto padre-figlio nel quale il
genitore pretende, e si impegna alacremente in questo, per scrivere la vita del
figliolo: decidendo, sin dalla nascita, il suo ruolo nel mondo, la sua
intelligenza e, naturalmente, il possesso –tra le gambe – di quel preziosissimo
“capitale” perché lui è figlio del direttore didattico! Tutto nella norma in quella realtà descritta
dalla Grasso nella quale la virilità è bene assoluto per quanto poi si tratti
solo di virilità solo illustrata e decantata, ma mai dimostrata nel concreto
nei fatti. A fine lettura rimane un senso di amarezza perché, alla resa dei
conti, nessuno ha vissuto davvero la vita che voleva o, ancor peggio, nessuno
ha compreso cosa effettivamente volesse dalla vita…ma, poi, volevano davvero
qualcosa? Ampio spazio, in questo assurdo quadro, trovano i ripetuti e costanti
pensieri di morte: Sasà, per tutta la vita, ha sognato il suicidio ponendo in
essere tentativi sfioranti il grottesco. E solitudine tanta e, poi, la vecchiaia
il decadimento, la sordità, i passi lenti, il balbettio. Il tutto narrato con toni
comici, divertenti, amari con un uso largo del dialetto che colora e vivacizza.
Interessante, mi incuriosice molto. Grazie
RispondiEliminaCiao Sandra, qualora decidessi di leggerlo fammi sapere le tue impressioni ché son curiosa. Ho letto pareri molto contrastanti e, tendenzialmente, non positivi. Saluti
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