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lunedì 12 novembre 2018

FOLLIE DI FINE ESTATE - Samuele Cau

Attese

Titolo: Follie di fine estate
Autore: Samuele Cau
Editore: Bonfirraro
Anno: 2017
Pagine: 318
Genere: Romanzo


La rievocazione di quel tragico 29 settembre 1944 accompagnato da buon cibo e buon vino. A dire il vero, spesso, quei buoni piatti siciliani prendono il sopravvento sul resto, ma nel complesso una gradevole lettura considerando che è il primo romanzo dell'autore (che per via del cognome pensavo fosse sardo). 
Nel settembre del 2006, Santo Bellomo riesce finalmente a fare un viaggio in Sicilia, terra nella quale sono nati e cresciuti, fino al trasferimento in Argentina, i suoi genitori. In quella terra, nell’ultima casa del paesino, ritroverà Gaetano Venticinque, amico d’infanzia del padre. La loro fu un’amicizia forte e intensa e durò fino a che la follia fascista non li costrinse a dividersi. Il padre di Santo, per salvarsi, scelse di emigrare e Gaetano rimase in Italia per amore di Concetta. Gaetano perse tutto, sogni, amore e speranze e si ritirò, a vivere da solo, con la sua barchetta. Appena giunto, Santo, trova una pensione-ristorante gestita da due gemelli che gli assegnano la camera numero tri e il nostro Santo ancora non sa che, per una serie di eventi, quella camera sarà sempre sua. E sente anche chiaramente l’acquolina in bocca quando, il primo giorno, uno dei gemelli, Santo, gli comunica il menù della sera pisci spata all’acqua pazza e pasta frisca, cozza, pacchino e ricotta e quello sarà il primo di una lunga serie di pasti che faranno impazzire il suo palato. E, soprattutto, con quell'incontro si seminerà il germe di una nuova amicizia che inizierà con le parole di Santo:
"Innanzitutto, mi devi ascoltare e te lo dico schietto. A mia, stu' darisi del lei, mi ha sempre scassato la minchia. Tu come hai detto che ti chiami? (Pag. 17)
Opera prima del fiorentino Samuele Cau, Follie di fine estate è una storia di grandi amicizie, di solitudini, di perdite, di mare, di profumi e di cibo. Sotto il caldo sole siciliano, nella quiete di fine estate, tra i goduriosi piatti di pesce, si muovono racconti di vite fatte di dolore e di grandi strazi. I protagonisti, tutti, hanno un peso nel cuore, qualcosa di insoluto e ferite che bruciano, nonostante lo scorrere degli anni. Perché ci sono dolori che non passano. Uomini segnati dalla Storia che sia quel famoso 29 settembre 1944 nel quale ebbe inizio la strage di Marzabotto o la terribile dittatura argentina o qualche fatto privato risalente all'infanzia e rimasto tra i ristretti confini di un’isola, ma non per questo meno atroce. Uomini lacerati, feriti, che vivono di ricordi che non sono mai troppo lontani e che, resistono, attendendo, già poiché, alla fine, la loro grande forza risiede nel saper aspettare. Per quanto il tema di fondo risulti drammatico, il risultato è un’opera assai  scorrevole, intervallata da momenti di allegria –come dimenticare quei succulenti pasti siciliani o l’atteggiamento scherzoso del ristoratore?- e di forte ironia.












lunedì 5 novembre 2018

QUANDO MI APPARVE AMORE - Domenico Conoscenti

Amori vetrosi

Titolo: Quando mi apparve amore
Autore: Domenico Conoscenti
Editore: Mesogea
Anno: 2016
Genere: Racconti
Pagine: 180

In tre parole: intenso, lirico, toccante.


In un pomeriggio qualunque, una frase si insinuò nei pensieri di Cosimo. Quella frase ritornò il mattino successivo e la sera. Era un invito al quale non poteva sottrarsi: doveva tornare nella città dove “l’oro è piombo e il piombo è oro.” Dopo dodici anni dalla sua fuga doveva farlo… Alla fine degli anni ’70 si parlò di una sceneggiatura scritta a quattro mani da Fellini e Almodovar e si narrava che su quel testo ciascuno dei registi avrebbe dovuto scrivere un film. La cosa poi cadde nell’oblio e nulla trapelò. Pare anche che, a distanza di quaranta anni, un giovane ricercatore ne avesse trovato una scena: perlomeno questo è quanto sostenne. Tre i personaggi, tre uomini. Un monsignore, un segretario e un seminarista… Rosetta, allettata ormai già da sei anni, vive in una bolla di incomprensione e sofferenza. Con lei, sua figlia Anna, che a 38 anni suonati non è ancora assistimata. Ed è questo ciò che la madre le rinfaccia, la quale però pare dimenticare che la sua figliola fu. tempo prima, fidanzata. E sicuramente non se lo dimentica Anna, anche se son passati 12 anni. Mai la madre approvò quell’amore, figurarsi! Lui un forestiero, nientemeno che di Torino e “sbirru per giunta! Carabbiniere”…

Quando mi apparve amore raccoglie i racconti pubblicati, nell’arco di diversi anni, dall’autore palermitano Domenico Conoscenti il quale dopo la pubblicazione del suo romanzo La stanza dei lumini rossi, edito da E/O nel 1997 e che riscosse immediato successo, abbandonò il genere romanzo per dedicarsi, appunto, ai racconti che apparvero sparsi in diverse antologie e riviste. Conoscenti si addentra nel nebuloso mondo dei sentimenti ed è appunto il sentimento amoroso il filo rosso di questa bellissima raccolta capace, pagina dopo pagina, di appassionare e di emozionare. Gli amori narrati sono complessi, vetrosi, taglienti, spigolosi e, sostanzialmente, difficili. I personaggi si muovono tutti su terreni minati, franosi, avvolti da una cappa malinconica e amara, cercando la propria identità sessuale, attraverso, a volte difficile, l’accettazione di sé, attraverso l’affermazione della propria omosessualità e, in particolare, attraverso la ricerca di se stessi. L’autore, nella parte finale dell’opera, si raccomanda al lettore affinché egli centellini le storie, limitandosi a leggere un solo racconto al giorno, ma tale raccomandazione di fronte a una scrittura così lirica e delicata è difficile da seguire.


giovedì 15 marzo 2018

L'ALBERO DI GIUDA - Silvana Grasso


Il capitale

Titolo: L’albero di Giuda
Autore: Silvana Grasso
Editore: Marsilio
Anno: 2011
Genere: Romanzo
Pagine: 297



Una bella sorpresa questo romanzo perché vivace, frizzante, ironico, ma – a suo modo – anche triste e melanconico.

Sicilia, Bulalà. Alle sei e tre quarti del 15 giugno  Sasà Azzarello, arrivava, puntuale come sempre, alla cancellata della Villa Comunale. Lì, in quella Villa, luogo d’incontro con i suoi amici – o quasi amici, o forse per niente amici – il settantenne Sasà sente, ogni volta, il respiro del mare. Certo, non tutti potevano sentirlo quel respiro: bisognava averci l’anima, bisognava non essere bestiacce con il cervello crudo. Un’anima fine ci voleva, come la sua che non solo il respiro, ma anche il cuore del mare sentiva e ciò in barba alle amarezze che la vita gli aveva donato. E quelle bestiacce dei suoi amici, che di fine non avevano proprio nulla, figuriamoci l’anima, gli ripetevano quanto cretino fosse. No! Non era il mare quello: erano le ciminiere quelle che sentiva. Ma Sasà, intelligente com’era, lo capiva che erano solo degli invidiosi, in  particolare il logorroico Cataratta che ci moriva d’invidia. Ed era anche normale: Sasà è colto, laureato figlio del direttore didattico. Sasà che tutti a Bulalà, chiamavano il filosofo. Per sfotterlo, certo, ma filosofo lui lo era. E il vecchio settantenne ogni volta si riprometteva di non incontrarli quegli avvelenati di invidia , ma poi si ritrovava nel cancelletto della villa perché, in fondo, quei maledetti erano meglio della solitudine, sempre meglio dei ricordi della sua triste vita…

Pubblicato per la prima volta con Einaudi nel 97 poi con Marsilio nel 2011 L’albero di Giuda -tra l’altro vincitore del premio Napoli e del Premio Vittorini nel 1997 – è un romanzo ironico, frizzante, e surreale nel quale, con il veicolo della comicità e del paradosso, si affrontano tematiche forti. Sasà, il protagonista, ormai anziano, ripercorre gli anni della sua vita passata, marchiati dall’infelicità, per scelta propria e altrui, per destino, per mancanza di coraggio, per un arrendersi al corso degli eventi. Si parla di amore, quello grande di Sasà per la friulana, un amore contrastato dal padre, figura dominante, si parla del rapporto padre-figlio nel quale il genitore pretende, e si impegna alacremente in questo, per scrivere la vita del figliolo: decidendo, sin dalla nascita, il suo ruolo nel mondo, la sua intelligenza e, naturalmente, il possesso –tra le gambe – di quel preziosissimo “capitale” perché lui è figlio del direttore didattico!  Tutto nella norma in quella realtà descritta dalla Grasso nella quale la virilità è bene assoluto per quanto poi si tratti solo di virilità solo illustrata e decantata, ma mai dimostrata nel concreto nei fatti. A fine lettura rimane un senso di amarezza perché, alla resa dei conti, nessuno ha vissuto davvero la vita che voleva o, ancor peggio, nessuno ha compreso cosa effettivamente volesse dalla vita…ma, poi, volevano davvero qualcosa? Ampio spazio, in questo assurdo quadro, trovano i ripetuti e costanti pensieri di morte: Sasà, per tutta la vita, ha sognato il suicidio ponendo in essere tentativi sfioranti il grottesco. E solitudine tanta e, poi, la vecchiaia il decadimento, la sordità, i passi lenti, il balbettio. Il tutto narrato con toni comici, divertenti, amari con un uso largo del dialetto che colora e vivacizza.