lunedì 25 giugno 2012

Cronaca di una presentazione con collare

Foto: Sabina Murru
Sabato 23 giugno, ore 18.00. Tutti insieme appassionatamente ci accingiamo ad uscir di casa. Tutti, dico tutti. Io, mio marito, Alice con la sua borsa, il suo passeggino, il mio collare post-trauma da tamponamento a catena e, per finire, il mio eritema ben celato dal provvidenziale collare. “Usciamo?” “Aspetta, ricapitoliamo: il latte?” “L’ho messo nella borsa”, “Il ciuccio?” “Eccolo”, “Le chiavi?” “Prese”. Bene, possiamo uscire con tutto questo carico. Ma io, intanto, penso a cosa avrò dimenticato stavolta, e sorrido pure. Non rendendomi conto, tra l'altro, come io sembri Robocop pur credendomi  Wonder Woman.
No, non stiamo partendo in vacanza nel Burundi. Ci rechiamo alla libreria Murru perché la sottoscritta deve presentare il libro “Il fattore K” di Antonello Ardu. Il tragitto è breve: Su Planu -Via San Benedetto. Strade deserte, caldo da morire. Trecento gradi a livello del collo ben fasciato dal collare modello Philadelphia. Speriamo non mi facciano le foto. Sono inguardabile. Eccoci in libreria. C’è già un po’ di gente. Un abbraccio a Sabina, quella donna è una forza della natura. Non è solo una persona meravigliosa è un pozzo, infinito, di idee. Un saluto ad Antonello tranquillo come sempre. Qualche conoscenza qua e là. Miro con immenso amore il condizionatore vorrei entrarci dentro. Sono contenta di parlare di questo libro perché mi è piaciuto. E lo scrittore è uno che ha già pubblicato un precedente romanzo, ma – chissà perché – non soffre di deliri di onnipotenza. No, Antonello è modesto, pacato, parla del suo libro senza esaltarsi. E strano a dirsi, nonostante appartenga alla categoria degli scrittori, risulta simpatico. Iniziamo. Sia benedetta Consuelo che legge alcuni brani del romanzo. Leggere mi mette nel panico, sarà forse che tutti – stranamente – mi consigliano un corso di dizione. Parliamo, analizziamo il romanzo, cercando di non dare troppe anticipazioni visto che non tutti l’hanno letto. Non rischio mai la fucilazione, se posso. L’autore risponde serenamente alle domande. Il pubblico ascolta. Alice la sento piagnucolare, so già che ha fame. Infatti, dopo qualche minuto, sparisce con il papà per gustarsi il caldo contenuto del suo biberon che, diligentemente, ho messo nella sua rosa borsa. Mi piace questo pubblico che partecipa. Noto anche i miei nemici: i fotografi. So che quelle foto le vedrò pubblicate da qualche parte, ma non mi oppongo. Non è la mia serata, ma è la serata di Antonello. Non mi preoccupo di fare brutte figure perché tutto è spontaneo in questo bellissimo evento. Molti i sorrisi. Io parlerei per ore, perché ritengo che Il fattore K sia un romanzo tremendamente complesso, ricchissimo di spunti di varia natura. Ma, a un certo punto, devo pur smettere e soffocare quella insolita logorrea che mi sta travolgendo. E concludo chiedendo al pubblico “C’è qualcuno che vuole fare domande ad Antonello?”. E il pubblico interviene con domande, con osservazioni interessanti e sensate. Bello, bello. Non posso non citare l’ultima domanda proveniente dalla signora Clara, la cui risposta è stata sommersa da una risata generale. La signora, con fare gentile, ha cortesemente domandato come mai, nei libri, le mani degli uomini fossero sempre esperte. Eh, i misteri della scrittura.
Ecco è finita la presentazione. Si prosegue con l’aperitivo offerto da Gustirari, con le chiacchiere, con i sorrisi, con Antonello che fa le dediche. Anche a me ha fatto la dedica, certo ho capito oggi cosa ci fosse scritto avendo egli una grafia contorta, ma questa è un’altra storia.

mercoledì 20 giugno 2012

Facebook rimembri ancora…

Il facebookiano lungo parlare dell’esame di maturità ha ingenerato un insano meccanismo. Ha fatto sì che la mia memoria – dannata memoria – ritornasse, senza pagare il biglietto, a quel lontano, lontanissimo giorno nel quale io, giovane dai lunghissimi capelli, mi accingevo a scrivere un lungo tema sul mio amato Leopardi. E ricordo, non senza sorridere, la gioia – immensa e incontenibile – nel leggere quella traccia che, stranamente, sembrava essere stata scritta proprio per me. “Contratto con traccia in esclusiva” direbbero i miei sapienti e dotti colleghi. E ricordo il panico. E ricordo la puzza insopportabile delle decine di sigarette che ossessivamente fumai. E ricordo la soddisfazione dopo aver scritto quel tema. Ma ciò che ricordo, in particolare, è il profumo dei sogni che, gelosamente, stringevo tra le mani onde evitare che qualcuno, anche solo inavvertitamente, li potesse sfiorare. O sporcare. O rubare. Non sapevo, allora, che i sogni sono come la polvere: volano via anche se tu, imperterrita, continui a stringere i pugni. Ed era bellissimo non saperlo. No, non ho la vena nostalgica quest’oggi. E’ solo che è stato inevitabile prendere atto del fatto che dal quel famoso giorno son passati tanti – e tanti e tanti – giorni e, a un certo punto, mi è pure sorto il dubbio che io e Leopardi fossimo nati nello stesso anno.  

Amaro e noia 
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo 
T'acqueta omai. 
Dispera L'ultima volta.
Al gener nostro il fato 
Non donò che il morire. 
Omai disprezza Te, la natura, il brutto 
Poter che, ascoso, a comun danno impera 
E l'infinita vanità del tutto
(Da A se stesso, Leopardi)