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giovedì 6 luglio 2017

I NUOVI MOSTRI: I GRUPPI DEDICATI AI LIBRI E AI LETTORI E...

Li vedete lì, bellini bellini, e vedete cuoricini e copertine di libri e recensioni che splendono, quasi accecano. E quei nomi: altisonanti, poetici, mistici, ma soprattutto colti. Sono i gruppi di lettori sparsi nel magico mondo virtuale.
Ah, che meraviglia poterci entrare.
Ecco, ci siete: siete entrati, fedelmente guidati dalla stella cometa facebookiana, e vi accolgono come se, per tutta la vita, avessero cercato proprio voi e, in lontananza, quasi in un clima da tramonto estivo, vi appare questa immagine:

Varcate il portone dorato e troverete ad attendervi un bellissimo tappeto rosso ricamato a mano con fili d'oro. Osservate, leggete, sfogliate post. 
E, nell'immediato, vi accorgete di quanto si vogliono bene là dentro. Di quanto si rispettano. Quanti cuoricini partono che pare di essere in cardiologia. Un giorno quei cuori saranno pure per voi, per le vostre belle recensioni, per le vostre parole. Stanno per nascere nuove amicizie basate sull'ammmore per i libri, nate dalla cultura, perché, si sa, chi legge ha una marcia in più. è più sensibile. 
Che bel quadretto, commovente: da incorniciare. Ma che bello.
Che bello un cazzo!

Iniziamo dall'inizio che sarà, poi, l'inizio della fine.
Non è vero che leggere rende sempre le persone migliori. Eh no, conosco merde che leggono in continuazione  (così almeno dicono): merde erano e merde son rimaste. 
Vediamo, a titolo solo esemplificativo senza pretesa di completezza, le principali caratteristiche degli adorati gruppi.

1) L'ADORAZIONE. Noterete, già dai primi attimi del vostro ingresso una strisciante e abnome adorazione per un membro del gruppo, scelto così ad minchiam, sembrerebbe. Già, ho una sorta di repulsione per l'adorazione che, di solito trasforma le persone in tappetini welcome, figuriamoci poi se basata sul nulla. E l'adorato in questione, gongola e gongola e qualunque cosa lui dica sarà cosparsa da miliardi di cuori, e di mi piace, e da un assordante oh collettivo di meraviglia. E ti vien voglia di intervenire e gridare: Ripigliatevi! l'adorato ha detto solo "sono andato in libreria" (che, volendo, ci possono andare tutti) o, al limite, ha detto "Buongiorno" che, vi assicuro è facilissimo da scrivere anche se non siete gli Unti da Sacro Signore di Facebook.

2) I SAPIENTI. Te li immagini impossibilitati quasi a vedere la tastiera perché sommersi da montagne montagne e montagne di libri. Nella tua mente li costruisci come esseri denutriti ché le parole dei libri han poche calorie, si sa. Parlano poco e quando parlano non lo fanno per interagire, ma solo per far sapere quanto la loro conoscenza sia vasta. Loro sono sentenze, verità assolute. Conoscono tutti gli scrittori del mondo, anche quelli di Marte e tutti i libri, anche e soprattutto quelli fuori catalogo e, chiaramente, anche quelli non ancora pubblicati. Un po' viene il dubbio - ma io non sono sensibile, ho già detto - che, di fatto, siano i googlatori più veloci del mondo, ma è un dubbio cattivo. Conoscono tutta la vita, compresa quell'età incerta che è la pubertà, dell'ultimo scrittore dimorante nell'ultimo villaggio della nera Africa e, naturalmente, l'hanno letto. In originale, ovviamente. 

3)LE LIBRERIE. Ci son quelli che amano le foto, niente di male per carità. Ma se chiedi loro: che libro stai leggendo? E loro rispondono postando la foto della propria libreria ti viene naturale chiederti che non abbiano capito la domanda. Allora ci riprovi e, magari, chiedi, se preferiscano la carne al sangue o di media cottura e loro postano, di nuovo, la foto della libreria, ma da altra angolazione, ti girano eccome se ti girano. E ti girano anche se pubblicano, per dire, la foto della libreria della casa al mare. E va bene che la libreria in oggetto è ordinata, in ordine alfabetico e/o per autore e/o colore e tremendamente immensa soprattutto se fai il raffronto con la tua che, allo stato attuale, ha la forma di un ammasso di scatoloni con lo scotch da pacchi di colore orribile, ma mi chiedo: è possibile comunicare per librerie? Per ripiani? 

4) I BLOGGER. In ogni gruppo degno di tale nome esiste un blogger che, veloce più di un lampo, ne approfitta per appiccicare il link della sua ultima recensione o della prima o quella che serve sul momento. Per esempio, uno dice, anche distrattamente, "pagliacco" e lui pubblica la sua recensione a Le opinioni di un clown. Oppure dici "treno" e, zac, ti vedrai subito apparire la sua recensione a Anna Karenina. Per il resto silenzio, non una parola, solo il link. Un misero link isolato che attende, impazientemente, una marea di mi piace. E io sono solidale con quel link che vive da solo non supportato dalle mani materne di una qualsivoglia argomentazione di contorno.

5)LE GARE. Subdolamente e silenziosamente nei gruppi nasce una malata competizione, un continuo affanno per raggiungere la vetta. Sì, la vetta del numero dei libri letti. C'è pure chi tiene il conto del numero delle pagine perché quando le cose si fanno, si fanno bene ovviamente. E in questa folle gara c'è chi - e garantisco sulla veridicità di quanto affermo - per non sentirsi secondo a nessuno, bara, insomma nella sua lista  di libri letti dalle ore 9.15 del 21.11.2015 alle ore 9.20 del 23.22.2016, aggiunge qua e là qualche libro non ancora letto ché, si sa, prima o poi, leggerà, quindi che differenza fa? I numeri, i numeri governeranno il mondo.

6) QUELLI CHE "LEGGIAMO, MA QUANDO SI TROMBA?" Ebbene sì, anche gli intellettualoidi dei gruppi FB hanno delle esigenze tutte carnali, chi l'avrebbe mai detto? Vi ho stupito, vero? Ma, sia chiaro, loro mica sono come gli altri. Mica vorrebbero spalmarsi nel letto con te come qualsiasi essere umano, per carità. No, loro guardano la tua testa, la tua intelligenza; a loro, menti superiori, non interessa il corpo, ma lo spirito. Loro son fatti di poesia e le vostre gambe son solo versi. E l'amplesso a cui anelano mica è fisico, no è mentale. Fidatevi. 

7)GLI SCRITTORI EMERGENTI. Diciamocelo chiaro: a loro, solitamente incompresi, bistrattati dalle case editrice -che-pubblicano-solo-quelli-famosi-ma-loro-son-più-bravi-, del gruppo e dei libri (degli altri) non gliene importa nulla. Hanno un solo pensiero dominante: parlare del loro libro. L'unico libro esistente sulla faccia della terra. E parleranno di fatica, non quella dei minatori per dire, ma la loro, e parleranno di sangue e sudore sparso, non in tempo di guerra, ma di quello per scrivere il loro libercolo, e parleranno di bellezza, non della luna, ma del loro libro. E quando, dopo tanto stalking, leggerai il loro libro e con eufemismi a tappeto dirai loro che è una ciofeca, tu per loro non esisti più. Insultano, delirano, sbraitano e, infine, spariscono. Non è magia questa?

lunedì 25 marzo 2013

Cronaca di uno spazio necessario

Ecco! Il momento è arrivato. Mi riferisco a quel momento, da sempre - e intenzionalmente - rimandato, nel quale è opportuno fare spazio in casa. Devi preparare la camera per tua figlia, devi evitare di farla dormire in balcone, devi evitare chiamate accusatorie al telefono azzurro, devi evitare di portare - per tutta la vita - le lettere scarlatte M.S. di Madre Snaturata. Devi scegliere come fare spazio. Ma sai già che dovrai eliminare due delle librerie della casa perché quelle frecce fluorescenti nonché lampeggianti, puntate verso le librerie, che riportano la scritta "Devi eliminare questi libri" non possono passare più inosservate. Lo sai e ti dispiace. Ma per tua figlia, questo e altro, molto altro. Tutto. Quindi, ti accingi a preparare scatoloni vuoti di pomodori pelati e a riempirli di libri che, d'ora in poi, dimoreranno nella cantina peraltro già ingombra di riviste, libri, fumetti e anche jeans anni ottanta che - non si sa mai - potranno esserti utili un giorno. Ma prima di riempire gli scatoloni, quasi romanticamente, ti soffermi su quella montagna di libri che, intanto, hai accumulato sul letto. E capisci che quella insolita montagna non è solo carta. No, per niente. Quella montagna, in qualche modo, contiene pezzi di vita, contiene storie, parole, e tanti tanti ricordi. Ti rendi conto, innanzitutto, di essere una donna a fasi. Già: donna fase-filosofica, donna fase-storica, donna fase "perché è necessario cambiare genere", donna fase "amo Umberto Eco", donna fase "i classici sono i migliori", donna fase "prova a leggere in francese", donna fase "la Russia è la mia terra" per passare, con nonchalance, alla donna-fase "voglio vivere a Parigi". Insomma, ti rendi conto, in primis, che qualche annetto ce l'hai e, poi, diciamocela tutta, sei un'incostante e poco equilibrata: troppe fasi. Poi, superata la lista delle varie fasi, ti soffermi sui libri con le dediche, quei libri che qualcuno ti regalò nei tempi in cui il 'per sempre' sembrava pure fattibile.  E, ancora, libri logorati dal tempo e dalle sottolineature quasi a voler imprimere nella tua anima quelle magiche parole che, forse, ritenevi avrebbero modificato il corso di qualcosa, o - forse - l'avrebbero arricchito. Trovi anche i libri specchio, quelli nei quali, leggendoli, trovavi una parte di te stessa che forse sfuggiva ai tuoi vani tentativi di poco freudiana autoanalisi. E non mancano i libri di merda, quelli che ti hanno regalato perché non sapevano che cosa regalarti o che tu stessa hai acquistato nel tentativo di scoprire una qualche forma di bellezza dove il bello non c'è.  Ma non finisce qui. Perché tra le pagine trovi in ordine sparso: biglietti del cinema, foto, pensieri diffusi, confusi e soffusi, lettere senza destinatario, destinatari senza lettere e, soprattutto (non cambierai mai) quei post-it, un tempo gialli, con le tue eterne polemiche, i tuoi tentativi - falliti - di cambiare micromondi, che, per te, erano macromondi, che non volevano cambiare (apprezziamo il tentativo), i tuoi sogni vittime incolpevoli della Legge 194.
E mentre ti convinci, a fatica, che in fondo il libro è un oggetto, riempi quegli scatoloni...

lunedì 27 agosto 2012

Cartoline viventi


Foto: Sandrina Lasio
Metti un tardo pomeriggio di giugno. Caldo, ma non troppo. Metti una passeggiata nelle viuzze di una città profumata di mare. Viuzze tra stretti palazzi tutti proiettati verso l'alto che, volente o nolente, ti costringono a guardare quel bellissimo cielo. Metti i tavolini all'esterno dei bar, aggiungici pure il sottofondo di diverse lingue che si mescolano, l'odore di frittura mista di pesce, lo svolazzare di panni stesi ad asciugare. Sembrerebbe una città non ancora visitata, sembrerebbe la Lisbona di Pessoa. Sembrerebbe. Invece, siamo a Cagliari e passeggiamo nella zona della Marina, ma abbiamo come la magica sensazione di essere i protagonisti - in dolce movimento - di una cartolina. Di quelle vecchie, quelle color seppia. Quelle da conservare gelosamente perché se ne conosce il valore. Ma dove ci dirigiamo nel momento in cui sappiamo di voler restare, per ore, a vagare senza meta in queste strade senza tempo? Eccoci arrivate: Piazza San Sepolcro. Sedie, una folla, non troppo nutrita, di persone allegre. Già domani in questa città da cartolina ci sarà il Primo Gay Pride. Ma domani è un altro giorno. Oggi, in questa accogliente piazza ci sarà la presentazione del libro della Concia dal titolo accattivante 'La vera storia dei miei capelli bianchi'. Ecco, scorgiamo l'autrice con suo portamento elegante, con i suoi capelli argentati, con il suo vestito bianco accessoriato di rosso. Inizia la presentazione, Alice con le sue manine inizia a sfogliare il libro. Sembrerebbe interessante. E la Concia ci parla della genesi di questo romanzo che è un pezzo della sua vita e continua a rivolgere sguardi, caldi e amorevoli, a quella che è divenuta sua moglie sedutatasi timidamente distante. E interviene anche il giovane sindaco e quando non si fa in tempo a pensare "Oddio, adesso ci parlerà dello spread o similari" si scopre che ci parla di tutt'altro. Bel discorso, Zedda. Già perché non ci fracassa le balle con discorsi morbosi-istituzionali, ma, semplicemente, parla di argomenti strettamente connessi all'omosessualità, alla spesso troppo frequente insensibilità etero nei confronti di chi, perché omosessuale, vive una situazione difficile. Un invito al dialogo, a capire, ad amare. E le sue parole leggere salgono in quella verticalità di cui gode anche la piazza e le vedi svolazzare nella limpidezza di quel cielo estivo. Peccato, tutto finisce. Ricordiamo che ci sono i mondiali.

giovedì 26 luglio 2012

ISOLA MIA - Massimo Menzi. L'isola che non c'è


Titolo: Isola mia
Autore: Massimo Menzi
Editore: Spettri
Anno: 1982


Marco è un bambino nato e cresciuto in un’isola dimenticata dal mondo, dalle istituzioni,  dai poeti che non la cantano, dai fotografi che non la immortalano. È l’isola del silenzio e delle attese. Marco non ha amici. Vive la sua solitudine come un dono. Il dono fattogli dal destino che è un gran bastardo, ma lui non pare accorgersene. E il piccolo diviene grande. E cerca di fertilizzare quell’arida terra con i suoi pensieri. Lo chiamano il filosofo quando non decidono, a seconda della luna che li osserva, che sia solo uno con le rotelle non esattamente a posto. Ma la vita riserva sorprese anche in quell’isola arida dimenticata perfino dai diavoli. E le sorprese metteranno in moto meccanismi che stravolgeranno il tessuto impermeabile di quella terra.

Ho trovato questo libro per caso. Non l’avrei degnato di uno sguardo se il libraio, con la sua faccia gialla come la pagina di un vecchio libro, non mi avesse detto: "Lo devi leggere".
Era un ordine il suo. Di fronte a tale perentorietà non ho opposto resistenza alcuna. Non potevo. Onde per cui, l’ho portato a casa. Nonostante le perplessità. Non mi convinceva né il formato, decisamente grande, né il colore delle pagine, giallo come la faccia del libraio. Ma, soprattutto, aveva un odore strano simile all’odore che emana la frutta in procinto di marcire. Insomma, una sorta di libro in decomposizione. Nonostante questi non ameni particolari, appena arrivata a casa, mi è venuta la smania, quasi incontrollabile, di leggerlo. Ed è andata avanti così, per ore. Mi son dimenticata della cena, forse ho rischiato pure il divorzio per “assenza da questo mondo”, ma non riuscivo, sul serio, a staccarmi da quelle pagine. Marco, il protagonista mi catturava. L’isola descritta nel libro, è diventata, pagina dopo pagina, tangibile, fedifraga, troia e santa, formosa, chiacchierona e silenziosa. Per farla breve, ho trascorso la notte in bianco. Adesso, io non sono una tipina facilmente influenzabile, non sono di quelle che declamano “Questo libro mi ha cambiato la vita”, però, se proprio devo essere sincera questo libro ha qualcosa che non ho mai trovato in nessun altro romanzo. E credo che sia proprio uno di quei libri che possiede quella magica capacità di smuovere qualcosa dentro. E di farlo con vigore, quasi raschiando le pareti del cuore. L’autore, Massimo Menzi, è per me, un perfetto sconosciuto. Mi viene solo da chiedermi perché nessuno ne abbia mai parlato. Che fine hanno fatto i critici letterari? Perché far marcire questo libro? Perché? Non finirò mai di domandarmelo. Mai.
E’ un romanzo perfetto e, credetemi, non esagero. La trama, sviluppata su più livelli, non ha un attimo – dico un attimo – di cedimento. Ogni azione, ogni parola, ogni pensiero è incasellato al posto giusto: è un mosaico perfetto. E’ una trama divina e diabolica al tempo stesso, è il paradiso e l’inferno contemporaneamente. Ma al di là della trama che, ripeto, non presenta alcuna falla, lo stile di Menzi è, a dir poco, meraviglioso. Scrive da dio. Uno stile folgorante, quasi ammaliante, incisivo. E’ una perla. Peccato perderla. Peccato soprattutto che Menzi non sia mai esistito, peccato che Isola mia non sia mai stato scritto. Peccato, davvero.

lunedì 25 giugno 2012

Cronaca di una presentazione con collare

Foto: Sabina Murru
Sabato 23 giugno, ore 18.00. Tutti insieme appassionatamente ci accingiamo ad uscir di casa. Tutti, dico tutti. Io, mio marito, Alice con la sua borsa, il suo passeggino, il mio collare post-trauma da tamponamento a catena e, per finire, il mio eritema ben celato dal provvidenziale collare. “Usciamo?” “Aspetta, ricapitoliamo: il latte?” “L’ho messo nella borsa”, “Il ciuccio?” “Eccolo”, “Le chiavi?” “Prese”. Bene, possiamo uscire con tutto questo carico. Ma io, intanto, penso a cosa avrò dimenticato stavolta, e sorrido pure. Non rendendomi conto, tra l'altro, come io sembri Robocop pur credendomi  Wonder Woman.
No, non stiamo partendo in vacanza nel Burundi. Ci rechiamo alla libreria Murru perché la sottoscritta deve presentare il libro “Il fattore K” di Antonello Ardu. Il tragitto è breve: Su Planu -Via San Benedetto. Strade deserte, caldo da morire. Trecento gradi a livello del collo ben fasciato dal collare modello Philadelphia. Speriamo non mi facciano le foto. Sono inguardabile. Eccoci in libreria. C’è già un po’ di gente. Un abbraccio a Sabina, quella donna è una forza della natura. Non è solo una persona meravigliosa è un pozzo, infinito, di idee. Un saluto ad Antonello tranquillo come sempre. Qualche conoscenza qua e là. Miro con immenso amore il condizionatore vorrei entrarci dentro. Sono contenta di parlare di questo libro perché mi è piaciuto. E lo scrittore è uno che ha già pubblicato un precedente romanzo, ma – chissà perché – non soffre di deliri di onnipotenza. No, Antonello è modesto, pacato, parla del suo libro senza esaltarsi. E strano a dirsi, nonostante appartenga alla categoria degli scrittori, risulta simpatico. Iniziamo. Sia benedetta Consuelo che legge alcuni brani del romanzo. Leggere mi mette nel panico, sarà forse che tutti – stranamente – mi consigliano un corso di dizione. Parliamo, analizziamo il romanzo, cercando di non dare troppe anticipazioni visto che non tutti l’hanno letto. Non rischio mai la fucilazione, se posso. L’autore risponde serenamente alle domande. Il pubblico ascolta. Alice la sento piagnucolare, so già che ha fame. Infatti, dopo qualche minuto, sparisce con il papà per gustarsi il caldo contenuto del suo biberon che, diligentemente, ho messo nella sua rosa borsa. Mi piace questo pubblico che partecipa. Noto anche i miei nemici: i fotografi. So che quelle foto le vedrò pubblicate da qualche parte, ma non mi oppongo. Non è la mia serata, ma è la serata di Antonello. Non mi preoccupo di fare brutte figure perché tutto è spontaneo in questo bellissimo evento. Molti i sorrisi. Io parlerei per ore, perché ritengo che Il fattore K sia un romanzo tremendamente complesso, ricchissimo di spunti di varia natura. Ma, a un certo punto, devo pur smettere e soffocare quella insolita logorrea che mi sta travolgendo. E concludo chiedendo al pubblico “C’è qualcuno che vuole fare domande ad Antonello?”. E il pubblico interviene con domande, con osservazioni interessanti e sensate. Bello, bello. Non posso non citare l’ultima domanda proveniente dalla signora Clara, la cui risposta è stata sommersa da una risata generale. La signora, con fare gentile, ha cortesemente domandato come mai, nei libri, le mani degli uomini fossero sempre esperte. Eh, i misteri della scrittura.
Ecco è finita la presentazione. Si prosegue con l’aperitivo offerto da Gustirari, con le chiacchiere, con i sorrisi, con Antonello che fa le dediche. Anche a me ha fatto la dedica, certo ho capito oggi cosa ci fosse scritto avendo egli una grafia contorta, ma questa è un’altra storia.