Il facebookiano lungo parlare dell’esame di maturità ha ingenerato un insano meccanismo. Ha fatto sì che la mia memoria – dannata memoria – ritornasse, senza pagare il biglietto, a quel lontano, lontanissimo giorno nel quale io, giovane dai lunghissimi capelli, mi accingevo a scrivere un lungo tema sul mio amato Leopardi. E ricordo, non senza sorridere, la gioia – immensa e incontenibile – nel leggere quella traccia che, stranamente, sembrava essere stata scritta proprio per me. “Contratto con traccia in esclusiva” direbbero i miei sapienti e dotti colleghi. E ricordo il panico. E ricordo la puzza insopportabile delle decine di sigarette che ossessivamente fumai. E ricordo la soddisfazione dopo aver scritto quel tema. Ma ciò che ricordo, in particolare, è il profumo dei sogni che, gelosamente, stringevo tra le mani onde evitare che qualcuno, anche solo inavvertitamente, li potesse sfiorare. O sporcare. O rubare. Non sapevo, allora, che i sogni sono come la polvere: volano via anche se tu, imperterrita, continui a stringere i pugni. Ed era bellissimo non saperlo.
No, non ho la vena nostalgica quest’oggi. E’ solo che è stato inevitabile prendere atto del fatto che dal quel famoso giorno son passati tanti – e tanti e tanti – giorni e, a un certo punto, mi è pure sorto il dubbio che io e Leopardi fossimo nati nello stesso anno.
Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo
T'acqueta omai.
Dispera
L'ultima volta.
Al gener nostro il fato
Non donò che il morire.
Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera
E l'infinita vanità del tutto
(Da A se stesso, Leopardi)
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