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martedì 17 settembre 2019

IL FRUTTO DEL FUOCO - Elias Canetti

L'intensità della giovinezza

Titolo: Il frutto del fuoco
Autore: Elias Canetti
Editore: Adelphi
Anno: 1994
Genere: Saggio biografico
Pagine:375
Traduzione: Renata Colorni, Andrea Casalegno

Lui era abituato, ai cambiamenti. Già da bambini accettava, senza polemica alcuna, i posti nuovi: mai vi si era ribellato. Tutto ciò fino a quando ebbe sedici anni. Infatti, fu proprio a quell’età – correva l’anno 1921 – che visse, con una forte amarezza, il distacco da Zurigo, città nella quale, infatti, avrebbe voluto trascorrere tutta la sua esistenza. Quel cambiamento fu una dolorosa ferita che riteneva insanabile. Fu così che si ritrovò catapultato a Francoforte, in un ambiente completamente diverso, nel quale visse con addosso quel sentimento dominante di nostalgia. Andò, con la madre e il fratello Georg, ad abitare in una pensione: vivevano in due stanze e consumavano i pasti in una sala comune con gli altri pensionanti. C’era, a quella tavola condivisa, la signora Raham la quale scendeva a mangiare soltanto ogni tanto per via della linea. Tutti, o meglio tutti gli uomini, la desideravano. Poi c’era una vedova di guerra, la signora Kupfer e suo figlio Oskra e tanti altri, chi per molto tempo, chi per breve tempo. Sua madre, a essere onesti, alla pensione godeva di una certa considerazione, senza però avere mai un ruolo dominante…
Il frutto del fuoco costituisce la seconda parte della biografia dell’autore insignito del premio Nobel per la letteratura nell’anno 1981. Se nella prima parte, La lingua salvata, il tema erano gli anni dell’infanzia, ne Il frutto del fuoco si condensa il decennio (1921-1931) della giovinezza. L’opera rientra, a pieno titolo, nel bildungsroman: è il romanzo di formazione del giovane Canetti che, appunto, si ritrova in un mondo nuovo fervido di spinte intellettuali. Ma ci saranno anche i compagni di scuola, le intense e profonde discussioni, le amicizie, i conflitti con la madre. Saranno la Berlino di Brecht e la Vienna di Karl Kraus, nella quale si laureò in chimica, ad accompagnarlo in questi anni, fondamentali per la sua crescita intellettuale e spirituale ed è sempre di questi anni la nascita del suo interesse per il concetto di massa, quella cosiddetta “pulsione di massa”, in eterno contrasto con la pulsione della personalità che, infine, costituiranno il punto di partenza per la sua evoluzione che, poi, confluiranno con sviluppi ulteriori nella sua monumentale opera Massa e potere. Una giovinezza intensa quella di Canetti, acuto osservatore della società che lo circondava, sempre attento a studiare con meticolosità il mondo nel quale si trovava a vivere, inserito in ambienti che, in qualche modo, gli hanno consentito di esprimere e meglio ampliare quella grandezza che già, ab origine, egli possedeva.


sabato 7 settembre 2019

MARESCIALLE E LIBERTINI - Alberto Arbasino

Mondi 

Titolo: Marescialle e libertini
Autore: Alberto Arbasino
Editore: Adelphi
Anno: 2004
Genere: Saggio musica
Pagine: 479

Settembre 1951. Non era stato possibile partecipare alla prima veneziana del Rake’s Progress di Stravinskij e ciò sia perché i soldi, dopo le vacanze a Positano, erano davvero pochi e sia perché era necessario studiare per gli esami universitari. E, comunque, a dire il vero, le recensioni erano tutte molto titubanti… A Venezia nel 1955 si tenne la prima “storica e fantasmagorica” de L’Angelo di fuoco di Prokofiev, fu un grande successo, il pubblico ne fu incantanto senza dubbio… Prima che il Muro divenisse una realtà, e una metafora anche, la Berlino del dopoguerra era, al tempo stesso, divertente e tragica. Nonostante i bombardamenti e la distruzione quella città tornava a risplendere, a dispetto di tutto, come capitale che riusciva a ospitare spettacoli sensazionali. Tra quei teatri rabberciati, tra quelle rovine splendevano, come fiori nel deserto, i miti del novecento: la contessa mozartiana e Fiordiligi, ma anche la prima rappresentazione scenica, al Thaeter Des Wensten del Moses und Aron di Schonberg…

Alberto Arbasino intellettuale, saggista, scrittore (autodefinitosi “estemporaneo”), giornalista nonché critico musicale e teatrale in queste densissime pagine ripercorre i suoi ricordi musicali degli anni cinquanta, in particolare, soffermandosi, ma non solo, sulle prime storiche, quella di Prokofiev, per esempio. Marescialle e libertini è un’opera complessa, di non facile lettura in quanto articolata su più livelli dalla quale emerge l’immensa e enciclopedica conoscenza dell’autore. Se il tema di fondo è la musica, è ben vero come il medesimo si dirami, poi, in altri direzioni, verso altre mete, altri mondi. Infatti vi troviamo quel forte intreccio tra musica e letteratura, ma anche il quadro della società dell’epoca, il dipinto degli spettatori che, talora affascinati, assistevano alle rappresentazioni, finanche la descrizione minuziosa del loro abbigliamento. Pagine che, indubbiamente, arricchiscono, e, soprattutto, stimolano a ricerche ulteriori perché caratterizzate, come è nello stile proprio di Arbasino, da infiniti e continui rimandi ad altre materie, ad altri argomenti. Insomma, si entra, con la lettura, in un gradevole e affascinante mondo che è quello della musica con la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo labirintico nel quale non esistono vicoli ciechi, ma solo nuove strade di conoscenza da percorrere. Il tutto ad infinitum.


giovedì 27 dicembre 2018

TESTI PRIGIONIERI - Jorge Luis Borges



Titolo: Testi prigionieri 
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Adelphi
Anno: 1998
Genere: Saggio letteratura
Pagine: 366
Traduzione: Maia Daverio

Testi prigionieri è una raccolta di biografie e recensioni del grande autore argentino ricca di spunti, di aneddoti interessanti, pungente e appassionante. Una piacevole immersione nell'infinito e magico mondo dei libri.
Carl Sandburg, classe 1878, visse numerosi destini senza ricorrere alla metempsicosi. Fu garzone di barbiere, imbianchino, carrettiere, vagabondo. Per quasi un anno sperimentò la vita militare prestando servizio a Porto Rico e quando tornò scelse di istruirsi. Grazie alle Poesie di Chicago l’America lo riconoscerà, ma non mancarono i denigratori che non lo riconoscevano come poeta in quanto le sue poesie erano prive di rime … Virginia Woolf, disegnata da Rothenstein vestita di nero con il solo colletto e i polsini di merletto bianco, era stata abituata, a non parlare a se non avesse qualcosa da dire. Quella scrittrice e stata definita il primo romanziere d’Inghilterra, ma le gerarchie lasciano il tempo che trovano certo è il fatto che stata una delle intelligenze e delle fantasie più delicate tra coloro che hanno tentato esperimenti con il romanzo inglese...Dire romanziere tedesco è un ossimoro: questa è la regola. La Germania è povera di romanzi pur essendo ricca di poeti lirici, eruditi, filosofi. Ma c’è un’eccezione: l’opera di Lion Feuchtwanger… Una delle buone consuetudini inglesi è quella di scrivere biografie di Giovanna D’Arco. In tanti si sono cimentati nell’impresa, anche Twain, anche De Quincey. Di recente anche Vita-Sackville West con il suo Santa Giovanna D’Arco che è tutt’altro che un omaggio...Nei testi polizieschi mediocri  la soluzione è di tipo materiale (pensiamo alla classica porta segreta), in quelli buoni è di tipo psicologico. Tra quelli buoni si annoverano sicuramente quelli di Chesterton, basta leggere un suo racconto a caso… Bisogna segnalare l’aumento vertiginoso delle biografie, ma, si sa, come gli uomini a un certo punto finiscano. Che fare? Non c’è problema: si può ricorrere ai fiumi o ai simboli. Non a caso Claude Rouget de Usle ha pubblicato la biografia di un inno, La Marsigliese…
Testi prigionieri raccoglie una lunga serie di biografie e di recensioni che Borges pubblicò nella rivista El Hogar negli anni tra il 1936 e il 1940. Si trattava di una rivista tendenzialmente femminile e la cui lettura era diffusa nei ceti medio alti della borghesia argentina del tempo. Oggi è possibile leggerli grazie all’impegno di due studiosi, DeRodriguez Monegal e Sacerio Garì, i quali, nel 1986, fecero in modo di diffonderli e farli uscire dalle pagine della rivista. Borges, quindi, periodicamente, scriveva recensioni brevi e biografie sintetiche e decisamente atipiche nelle quali più che una dettagliata analisi della vita dell’autore preso in considerazione mette in luce eventi particolari o aneddoti che, in qualche modo, hanno influito e determinato cambiamenti nella sua vita. Si tratta, indubbiamente, di testi scritti con finalità divulgative, destinati a un pubblico anche, e forse soprattutto, di non addetti ai lavori, con i quali arricchiva la rubrica dedicata, appunto, ad autori stranieri: gli autori e i libri trattati sono numerosi. E in essi c’è tutto Borges, il suo amore per i libri, il suo modo di essere lettore ad ampio spettro, la concezione per la quale un libro non è, né può essere, un mondo a sé, un universo isolato ma è, invece, un mondo che apre le porte verso altri mondi. Leggere è un’esperienza in senso ampio. Caratterizzati da un’estrema sinteticità, da un linguaggio accattivante e da una buona dose di ironia questi articoli, brevi ma intensi e pungenti,  si leggono con grande piacere e curiosità.

mercoledì 17 ottobre 2018

TOLSTOJ - Pietro Citati

                   La vita è un bilico

Titolo: Tolstoj
Autore: Pietro Citati
Editore: Adelphi
Anno 1996
Genere: Saggio letteratura
Pagine: 325

Appena terminata la lettura, mi son trovata a riflettere sulla sua bellezza cercando di capire da dove, di preciso, si irradiasse poiché Tolstoj non è una normale biografia che segue i consueti percorsi (nascita, studi, opere, morte). No, la bellezza nasce nel presentarci Tolstoj a tutto tondo, ma non attraverso la voce del biografo-Citati, ma attraverso le voci dei protagonisti di quella immensa impalcatura che sono le grandi, immense opere tolstojane: Guerra e Pace e Anna Karenina in primis. Un racconto che segue e si adatta alla tortuosa e ondivaga personalità dello scrittore russo: narcisista, depresso, felice, fervente credente, vittima di un dio che lo abbandona.

Vediamo, per iniziare, il grande Tolstoj, adolescente, in piedi davanti allo specchio, con se stesso, inebriato dal proprio io: nessun uomo ha mai conosciuto una “così vertiginosa ubriachezza del proprio io.” E con la stessa intensità con la quale si ammirava riusciva a trovarsi odioso, ripugnante e detestabile. Un grande narciso che, a momenti, non si sopportava e, in quell’immagine riflessa, vedeva il suo viso volgare. E si accusava, non c’era vizio che non gli appartenesse. Perché era uomo da mille sfaccettature, altamente volubile, il suoi umore si barcamenava tumultuosamente tra l’allegria e la tristezza, tra l’angoscia e la sfrenatezza. Nell’arco di una giornata riusciva ad avere fisionomie diverse. Era uomo discontinuo e di tale discontinuità riusciva a impregnare ogni attimo della sua vita. I suoi sentimenti erano contraddittori. Fu un essere indemoniato che non conosceva l’equilibrio, innalzando verso un punto di rottura tutte le sue esperienze. E chiedeva, chiedeva ossessivamente alla vita una felicità assoluta. Nel 1851 si trasferisce in un piccolo villaggio nel Caucaso, nella sua tenuta e si sposava con la natura, andava a caccia, attraversava le pianure  e le paludi: e lì una strana felicità e di amore per tutti si impossessava di lui. Di lui che si sentiva un segmento di natura. E lì, scrive e vedeva nella scrittura una cura. Ma come per tutte le cose con quell’ardore con la quale esaltava la letteratura la accusava perché illusoria, perché altro non era che finzione…
Pietro Citati, noto scrittore e saggista, con quest’opera che, peraltro, gli valse il Premio Strega per l’anno 1983, ci fa immergere nel variegato e complesso mondo tolstojano. Con una scrittura scorrevole e immediata ci offre un ritratto a tutto tondo del grande autore russo non soffermandosi -tanto e, comunque, non solo- sulle vicende biografiche quanto sulla personalità del medesimo. E ne vien fuori un Tolstoj non perfetto, per ciò stesso vero, contraddittorio, un Tolstoj che emerge, pagina dopo pagina, non da una descrizione analitica delle tappe della sua vita, ma dall’osservazione del suo profilo psicologico, dalla voce dei suoi personaggi quasi a farci scordare che, dietro, si muove la penna di Citati. Pare che, a tratti, sia  lo stesso Tolstoj a comparirci davanti, ci pare di vederlo mentre si rimira allo specchio, mentre odia furiosamente o ama con altrettanta furia, mentre vive in simbiosi con la Natura. E i suoi stessi romanzi, i suoi personaggi, paiono parlarci e pare quasi di vedere il famoso cielo di Austerlitz del Principe Andrej. Perché è da quei personaggi, dalle loro parole, dalle loro azioni o silenzi, che, di fatto affiora il grande letterato russo, “dobbiamo avanzare cercando di risalire dalla carta bianca e dalla penna che vergò le parole fino alla mente che le nascose in se stessa” questo è quello che ha affermato Citati. Questo è ciò che ha fatto.

lunedì 3 luglio 2017

LA SIGNORINA ELSE - Arthur Schnitzler

Dentro Else

Titolo: La signorina Else
Autore: Arthur Schnitzler
Editore: Adelphi
Anno: 1988
Pagine: 123
Genere: Romanzo
Traduzione: Renata Colorni

Un flusso di coscienza ininterrotto, potente, schiacciante. Un libro meraviglioso, duro, atroce: un gioiello di scrittura.  

Siamo nei  primi anni del '900. Else è bella, giovane, di buona famiglia, figlia di un potente avvocato. Si sta godendo le sue vacanze in un lussuoso albergo quando un telegramma proveniente dalla madre le impone l’ingrato compito di salvare l’onore e il buon nome della famiglia. Infatti il suo amorevole genitore nell’esercizio della sua professione ha sottratto il denaro di un suo cliente onde far fronte agli oneri economici derivanti dalle sue insane passioni: il gioco d’azzardo e le speculazioni in Borsa. La giovane dovrà offrire in visione le sue leggiadre forme al ricco e lubrico visconte Dorsay, divenendo così merce di scambio. Inizierà per Else una lunga lotta interiore, un vorticare confuso e al tempo stesso lucido di pensieri che si sovrappongono si scontrano, si annullano, rimbalzano. Combattuta tra l’esigenza di salvare il padre e quella, altrettanto importante, di salvare la propria dignità, opterà alla fine per una scelta inusuale e inaspettata. Sceglierà una via alternativa e indubbiamente plateale che avrà il sapore, fortemente acre, di una vendetta. Ecco che nasce lo stupore, lo scompiglio, la confusione. Ci si attende la famosa quiete dopo la tempesta ma così non è, poiché i suoi pensieri continueranno a piroettare fino a condurla in una ulteriore strada. La sua strada. Lineare e priva di bivi forieri di dubbi...

“Tutto a casa nostra si risolve sempre con scherzi e battute, anche se nessuno di noi ha voglia di scherzare. Abbiamo paura gli uni degli altri, in verità, e ognuno di noi è solo.”(Pag.36)


La Else di Arthur Schnitzler rappresenta appieno la donna inserita in una società patriarcale e borghese, troppo gretta e troppo rigida per consentire a quegli esseri dotati dalla natura di candore e delicatezza di potersi esprimere, di poter avere dei sogni o, soprattutto, dei ruoli diversi da quelli rigorosamente decisi dal tempo, quel tempo, e dalle regole - mai frutto di dialettica democratica ma quasi imposte “perché cosi deve essere”. Una donna non può superare quei confini, non può lavorare o studiare se non quel minimo necessario che potrebbe servire al futuro marito per esibirla in società come un soprammobile di alta qualità. Classe A +. Insomma, donne fragili, mai di se stesse, ma sempre e comunque di proprietà di un uomo, marito o padre che sia. Vittime macchiate della colpa di possedere un corpo che può sempre essere utile per concludere affari economicamente vantaggiosi e moralmente biasimevoli.


Perché non ho mai guadagnato niente? Perché non ho imparato niente? Oh, qualcosa ho imparato, invece. Suono il pianoforte, conosco il francese, l'inglese e perfino un po di italiano, ho frequentato un corso di storia dell'arte..ahah! E se anche avessi imparato qualcosa di più furbo, a che mi servirebbe?(Pag. 25)

L’intera vicenda si svolge in piena Belle Époque nell’arco di mezza giornata con perfetta coincidenza tra il tempo narrato e il tempo della narrazione. Interessante la forma utilizzata dallo scrittore austriaco, che consente di entrare nei pensieri di Else grazie ad un sapiente utilizzo della tecnica del monologo interiore. Sono i flussi di coscienza della giovane che creano il romanzo, totalmente scevro di oggettività poiché tutto è filtrato attraverso le impressioni della ragazza, le sue considerazioni, le sue antipatie o simpatie. Non a caso Schnitzler è in qualche modo il nodo di congiunzione tra letteratura e psicoanalisi. Il suo nome è spesso associato a quello di Freud per quanto il loro supposto sodalizio sia stato, più che altro, epistolare oltre che fortemente enfatizzato. Non si può comunque negare che Freud rappresentò per Schnitzler uno stimolo sicuramente forte, ma è anche vero che lo scrittore viennese ha sempre avuto un rapporto ambiguo con le teorie freudiane, manifestando numerose riserve nei confronti della psicoanalisi soprattutto per la sua impostazione di fondo: la mente umana di per se stessa è irrazionale secondo Schnitzler, e non può essere soggetta a opere di “riordino” di natura psicoanalitica. Da qui la sua visione di un mondo incerto, non garante di certezze e fortemente instabile. Instabilità continue specchio della precarietà della società nella quale l'uomo - o in questo caso la donna - si trova a vivere.

Altri libri:
La marcia di Radetzky, Joseph Roth

domenica 31 luglio 2016

FRA I BOSCHI E L'ACQUA - Patrick Leigh Fermor

Sì, viaggiare

Titolo: Fra i boschi e l'acqua
Autore:Patrick  Leigh Fermor
Editore: Adelphi
Anno: 2013
Pagine: 290
Traduzione: Adriana Bottini, Jacopo M. Colucci

Genere: Libro di viaggio


Non conoscevo Fermor e scoprire che lo stesso era noto per essere un ribelle ha acuito la mia curiosità. Un libro molto interessante nel quale il senso dell’avventura ha un ruolo predominante. Ma non è solo un freddo resoconto di un viaggio, sia chiaro: è molto di più. È un'ode alla natura, è poesia, è magia, è amicizia. È un viaggio in senso lato ed è un viaggio meraviglioso.

Il suo arrivo a Esztergom fu preceduto da una lettera di un suo amico e indirizzata al borgomastro il quale veniva invitato  ad avere un occhio di riguardo per il giovane che aveva intrapreso il lungo viaggio verso Costantinopoli. Vi giunse il Sabato Santo proprio nel momento in cui una carrozza si arrestò e dalla stessa scese l'arcivescovo di Esztergom, principe-primate d'Ungheria. La folla, quella stessa che il giovane vide precedentemente nelle rive del Danubio, riempì l'immensa cattedrale: erano giovani fanciulle, contadini, borghesi, zingare dai colori sgargianti, militari, monache. E fu un tripudio di luci e fu una distanza abissale dall'oscurità che dominava la piccola chiesa slovacca vista solo due giorni prima...
Il giovanissimo ribelle e indisciplinato Fermor nell’anno 1934 decise di intraprendere, a piedi, un viaggio da Londra a Costantinopoli. La prima parte di tale avventuroso viaggio è narrata in Tempo di regali a cui ha fatto seguito, appunto, Fra i boschi e l'acqua che ne costituisce la seconda parte e  che descrive il percorso che inizia nel confine tra Slovacchia e Ungheria fino all'arrivo al Ponte di Ferro. Definire questa maestosa opera come un resoconto di viaggio sarebbe quantomeno riduttivo perché esso è un percorso di crescita, un continuo arricchimento, una immersione nella natura, una conoscenza di tradizioni e leggende di vari popoli, è anche una lunga serie di aneddoti, di storie di amicizie, è, ma non esclusivamente, un'immersione nella natura,una contemplazione di quelle stelle che spesso hanno costituito il tetto del giovane viaggiatore. Le parole di Fermor sono cariche di fascino, le sue dettagliate descrizioni raggiungono picchi di lirismo che lasciano a bocca aperta il lettore che si vede regalare, pagina dopo pagina, delle vere e proprie perle. E se questo è il regalo che il lettore riceve vien naturale perdonare quel viandante per il fatto che non abbia mantenuto integralmente il proposito iniziale: fare tutto il viaggio a piedi.

lunedì 10 marzo 2014

IL MALINTESO - Irène Némirovsky

STRUGGERSI D'AMORE

Titolo: Il malinteso
Autore: Irene Némirowsky
Editore: Adelphi
Anno: 2010
Genere. Romanzo
Traduttore: Marina Di Leo
Pagine:  190


Ci sono autori 'intoccabili' e se osi parlarne male si scatena il putiferio. Infatti, con questo mia recensione il putiferio si scatenò. Ne sono uscita viva per miracolo. Ma ce l'ho fatta. D'altronde se l'autrice non mi smuove qualcosa dentro che posso farci? E dico questo dopo aver letto altri suoi romanzi. Fucilatemi pure.


Primi del Novecento. Yves Harteloup, classe 1890, è un nuovo povero. L’eredità scarna di suo padre lo ha costretto, ahilui, a trovarsi un impiego e a condurre una vita  parsimoniosa. L’unico lusso che può concedersi è quello di godersi alcune settimane di vacanza presso le spiagge di Hendaye. Luogo a lui molto caro poiché che da bambino vi trascorreva l’estate. Ma quelli erano altri tempi. Tempi nei quali esistevano persone che potevano permettersi di non fare nulla. I bei tempi dell’assenza di preoccupazioni. È durante le sue vacanze che una bimba, Francette, gli lancia pugni di sabbia in viso. Adorabile Francette! Figlia della bella Denise. Complice il sole tra i tamerici o i pugni di sabbia, tra Yves e Denise scocca la scintilla dell’amore. Finite le romantiche vacanze torneranno a Parigi. Continueranno a vedersi. Ma ripiombato nella sua realtà, Yves dovrà fare i conti con la sua vita e con i pochi mezzi a disposizione. Denise si strugge d’amore. E piange, piange, piange. Tves si scontra con la necessità di pagare i debiti e arrivare a fine mese. E mentre Denise continua a pretendere un amore rigorosamente “in smoking” Yves si impegna a trovare soluzioni…


Apparso in rivista nel 1926, Il malinteso è il primo romanzo della allora ventitreenne Irène Némirovsky. Si intravede uno stile ancora immaturo che troverà pieno compimento negli scritti successivi, che consacreranno la scrittrice al grande pubblico. Una storia semplice, struggente, fatta di attese. Di parole non dette, di “ti amo” mancanti. Mancanti, almeno da parte di Yves. Di amore egoista. Interessanti gli spunti contenuti in questo romanzo che, purtroppo, non sono stati approfonditi: interessante vedere, anzi solo intravedere, la nuova realtà sociale caratterizzata dall’emergere di nuove classi sociali. Interessante il nuovo concetto di lavoro, quel concetto comune a tutti noi mortali. Certo, temi interessanti. Peccato che in questo romanzo siano stati solo accennati e, poi, crudelmente soffocati per lasciare spazio ad uno scenario melodrammatico nel quale si muovono i protagonisti. Il tutto si perde nelle lacrime, spesso inutili, di Denise e nell’abbondanza quasi ossessiva di aggettivi che appesantiscono il percorso di lettura. Rosa che più rosa non si può. Certo, però, la Némirovsky non è una sconosciuta. È amatissima dal grande pubblico. Pertanto è quasi d’obbligo “salvare” il suo primo romanzo e farlo salire, in qualche modo, su un piedistallo perché si sta parlando di lei. Nella nota finale, Olivier Philipponnat ha quasi l’impressione che nel “cielo d’agosto” di Hendaye scoppierà, esattamente come una bomba, il patto di non aggressione tra la Russia e la Germania, che farà venir meno le speranze della scrittrice di ottenere la cittadinanza francese. Pura fantasia, ovviamente visto che il romanzo è di qualche anno – solo quindici - prima di quel famoso patto. Certo, sarebbe stato bello questo riferimento! Bello, ma impossibile.  O “pura illusione” come lo definisce lo stesso Philipponnat. Insomma, forse ne Il malinteso non ci sono tutti 

quei richiami a una realtà politica o storica, né c’è una critica a quella società fittizia fatta di belle parole e di amori da manuale come vogliono farci credere gli estimatori della scrittrice. Perlomeno, non è così scontato trovarci tutti questi significati e questi sottotesti. Prendiamolo piuttosto per quello che è: un romanzo d’amore. Ma scritto, e il nome conta, dalla Némirovsky. Niente più di questo. Un peccato di gioventù, forse. 

giovedì 31 ottobre 2013

LA MARCIA DI RADETZKY - Joseph Roth

Basta trottare, signor Trotta
Titolo: La marcia di Radetzky
Autore: Joseph Roth
Editore: Adelphi
Anno: 1996
Pagine: 424
Genere: Romanzo
Traduzione: Laura Terreni, Luciano Foà


Bellissimo romanzo all'aroma di decadenza e accompagnato, con cadenze regolari, dalla marcia che dona il titolo all'opera.
Una decrizione dettagliata e malinconica della fine dell'Impero asburgico.
Roth insegna come si possa parlare di storia, senza ricorrere ad una didascalica narrazione di eventi, ma semplicemte attraverso la compiuta analisi della psicologia dei personaggi.
La storia siamo noi, disse qualcuno e le nostre illusioni e delusioni aggiungo io.
Tutto ruota intorno alla figura, destinata a comparire nei libri di lettura delle scuole dei giovani austriaci, del caro signor Trotta eroe di Solferino.
Non un eroe qualunque, ma colui che salvò, in tale battaglia, la vita all'imperatore. E il valore di tale gesto è destinato ad aumentare esponenzialmente poichè non stiamo parlando di un normale imperatore, ma di quell'Imperatore il cui potere deriva direttamente da Dio!
Un onore incommensurabile per suo figlio Franz e per suo nipote, Joseph Carl.
Ma come ogni onore che si rispetti c'è anche il peso di quel tributo. D'altronde il distintivo dell'Ordine di Maria Teresa pesa.
Già. Quel nonno, coccolato dall'imperatore, quel nonno eroe, quel nonno finito sui libri di storia (con una versione dei fatti peraltro modificata "a fini prettamente didattici) costituirà sempre per Carl la pietra di paragone e il parametro per misurare la sua inettitudine a fronte di cotanto uomo che ricevette, in una botta sola, la medaglia e il titolo nobiliare.
Roth delinea in modo magistrale ques'epoca di transizione nella quale si assiste al mutare degli equilibri socio-politici, al mutare dei valori, delle idee e al nascere di termini totalmente nuovi come "rivoluzione", come "sciopero". Addirittura, si scopre l'esistenza di nuove nazioni, grandissima scoperta per chi, come Trotta, aveva sempre creduto che il mondo e tutto il mondo fosse solo l'Austria protetta dalla mano di Dio.
E c'è in Franz Trotta la cieca ostinazione a non voler vedere questo mutamento e continua donchischiottescamente, a crogliolarsi nel suo mondo, straiandosi nella bambagia di ricordi che, in qualche modo, lo proteggono. Senza quasi mai temere di essere anacronistico.
Perché lui è figlio dell'eroe di Solferino, perché lui omette la parola rivoluzione dagli atti pubblici come se fosse un obbrobrio grammaticale, perché l'Imperatore si ricorda dei Trotta!!! E non vede che quell'Imperatore, ormai vecchio, è preoccupato solo di asciugarsi le goccioline d'acqua che cadono dal suo naso e vanno a confondersi nel bianco candido dei suoi baffi.
E, nel frattempo, suo figlio Carl Joseph, il sottotenente in tempo di pace, trascorre il suo tempo con le belle donne, dilapida il patrimonio nel gioco d'azzardo, chiede ripetutamente prestiti.
Rischia l'espulsione dall'esercito (che per lui non sarebbe tanto male), ma non sia mai! Il nipote dell'eroe di Solferino.
Bisogna, fino alla fine, salvare l'onore dei Trotta e con esso il buon nome della patria di quella patria che esiste nell'album dei ricordi ormai scoloriti del sottoprefetto. Insomma loro sono i Trotta!
Loro e l'imperatore son quasi una cosa unica. L'imperatore, infatti, li salverà anche stavolta causa il famoso debito di vita contratto nei campi insanguinati di Solferino.
Certo salverà Carl dall'ingnominia, anche se oramai, vecchio ammuffito con sulla pelle lo stesso colore del tramonto del suo impero, ha qualche confusione...confonde l'eroe di Solferino con il sottoprefetto e poi con il sottotenente. Ma che importa? Son passati tanti anni e oramai lui è vecchio. Lui è la storia, la geografia, lui è la vita: è Dio.
Roth ci offre una pregnante analisi psicologica di personaggi pieni di amarezza, di delusione forse la stessa provata dall'autore per la caduta dell'Impero. Caduta che non determinò soltanto un mutamento meramente giuridico-costituzionale ma stravolse il suo mondo con i tutti i valori nei quali fermamente credeva e ai quali si aggrappava come un naufrago ad una zattera.

Altri libri:
La signorina Else, Arthur Schnitlzer

mercoledì 20 febbraio 2013

IL LIBRO DI SABBIA - Jorge Luis Borges. Vertiginando

Titolo: Il libro di sabbia
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Adelphi
Anno: 2010
Genere: Racconti
Pagine: 172
Traduzione: Ilide Carmignani

"Sei proprio sicuro di stare per morire?".
"Sì" rispose. "Sento una specie di dolcezza e di sollievo che non avevo mai provato. Non so come spiegarti. Tutte le parole richiedono un'esperienza condivisa. Perché sembri così irritato da quello che ti dico?". "Perché ci somigliamo troppo. Detesto la tua faccia che sembra la mia caricatura, detesto la tua voce, che fa il verso alla mia, detesto la tua sintassi patetica, che è la mia".
"Anche io" ribattè lui. "Per questo ho deciso di suicidarmi".

Con autori del calibro di Borges capita di avere uno strano timore reverenziale nel momento in cui ci si accinge a recensirlo. Perché le recensioni son fatte di parole e ho un brutto rapporto con esse quando mi paiono insufficienti, quasi inadatte, a parlare di autori di tale mole che paiono non stare comodamente entro i ristretti confini di una recensione.  Il libro di sabbia è una raccolta di racconti con la quale lo scrittore argentino ci catapulta, in universi nuovi, contorti e vertiginosi. Lasciate ogni linearità O voi che leggete. Sono racconti che non si limitano ad esser letti, ma che ci fanno precipitare, senza paracadute in architetture fantastiche impeccabili. Sono presenti i temi cari a Borges: l'infinito, gli specchi, le tigri. E un ruolo di primo piano è occupato dal tema del doppio. Nel primo racconto, che apre la raccolta, un Borges anziano incontra, in una panchina, un Borges ventenne. È proprio lì, in quell'atmosfera intrisa di una densa nebbia, quasi tangibile, che il piano del reale si fonde e si confonde con quello onirico. Il tema del doppio - non è un caso il richiamo a Il sosia di Dostoevskij - regala quasi un senso di smarrimento facendo venir meno quella presunta onnipotenza - tutta umana - che deriva dalla convinzione di crederci unici, inimitabili, ineguagliabili. Si sacrifica l'individualismo in nome di un sogno, che forse, però, non è un sogno. O forse sì. Altro tema affrontato è quello dell'infinito - nel racconto che dà il titolo alla raccolta e nel bellissimo racconto "Tigri blu" - che riesce a produrre, nel lettore, un senso profondo di angoscia riuscendo a farlo entrare in un vortice senza uscita. Siamo così abituati a schematizzare tutto, siamo abituati alla sequenza inizio-svolgimento-fine che tutto ciò che è infinito e, allo stesso tempo, inspiegabile razionalmente è in grado di turbarci, di farci smarrire. Non mancano, al solito, i riferimenti filosofici, le citazioni dotte senza alcuna pedanteria, sia chiaro. Insomma, in qualche modo, si ritrovano le stesse atmosfere de l'Aleph anche se meno geometricamente costruite.


Altri libri:
Finzioni, Jorge Luis Borges
L'inquilino del terzo piano, Roland Topor
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges