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mercoledì 17 ottobre 2018

TOLSTOJ - Pietro Citati

                   La vita è un bilico

Titolo: Tolstoj
Autore: Pietro Citati
Editore: Adelphi
Anno 1996
Genere: Saggio letteratura
Pagine: 325

Appena terminata la lettura, mi son trovata a riflettere sulla sua bellezza cercando di capire da dove, di preciso, si irradiasse poiché Tolstoj non è una normale biografia che segue i consueti percorsi (nascita, studi, opere, morte). No, la bellezza nasce nel presentarci Tolstoj a tutto tondo, ma non attraverso la voce del biografo-Citati, ma attraverso le voci dei protagonisti di quella immensa impalcatura che sono le grandi, immense opere tolstojane: Guerra e Pace e Anna Karenina in primis. Un racconto che segue e si adatta alla tortuosa e ondivaga personalità dello scrittore russo: narcisista, depresso, felice, fervente credente, vittima di un dio che lo abbandona.

Vediamo, per iniziare, il grande Tolstoj, adolescente, in piedi davanti allo specchio, con se stesso, inebriato dal proprio io: nessun uomo ha mai conosciuto una “così vertiginosa ubriachezza del proprio io.” E con la stessa intensità con la quale si ammirava riusciva a trovarsi odioso, ripugnante e detestabile. Un grande narciso che, a momenti, non si sopportava e, in quell’immagine riflessa, vedeva il suo viso volgare. E si accusava, non c’era vizio che non gli appartenesse. Perché era uomo da mille sfaccettature, altamente volubile, il suoi umore si barcamenava tumultuosamente tra l’allegria e la tristezza, tra l’angoscia e la sfrenatezza. Nell’arco di una giornata riusciva ad avere fisionomie diverse. Era uomo discontinuo e di tale discontinuità riusciva a impregnare ogni attimo della sua vita. I suoi sentimenti erano contraddittori. Fu un essere indemoniato che non conosceva l’equilibrio, innalzando verso un punto di rottura tutte le sue esperienze. E chiedeva, chiedeva ossessivamente alla vita una felicità assoluta. Nel 1851 si trasferisce in un piccolo villaggio nel Caucaso, nella sua tenuta e si sposava con la natura, andava a caccia, attraversava le pianure  e le paludi: e lì una strana felicità e di amore per tutti si impossessava di lui. Di lui che si sentiva un segmento di natura. E lì, scrive e vedeva nella scrittura una cura. Ma come per tutte le cose con quell’ardore con la quale esaltava la letteratura la accusava perché illusoria, perché altro non era che finzione…
Pietro Citati, noto scrittore e saggista, con quest’opera che, peraltro, gli valse il Premio Strega per l’anno 1983, ci fa immergere nel variegato e complesso mondo tolstojano. Con una scrittura scorrevole e immediata ci offre un ritratto a tutto tondo del grande autore russo non soffermandosi -tanto e, comunque, non solo- sulle vicende biografiche quanto sulla personalità del medesimo. E ne vien fuori un Tolstoj non perfetto, per ciò stesso vero, contraddittorio, un Tolstoj che emerge, pagina dopo pagina, non da una descrizione analitica delle tappe della sua vita, ma dall’osservazione del suo profilo psicologico, dalla voce dei suoi personaggi quasi a farci scordare che, dietro, si muove la penna di Citati. Pare che, a tratti, sia  lo stesso Tolstoj a comparirci davanti, ci pare di vederlo mentre si rimira allo specchio, mentre odia furiosamente o ama con altrettanta furia, mentre vive in simbiosi con la Natura. E i suoi stessi romanzi, i suoi personaggi, paiono parlarci e pare quasi di vedere il famoso cielo di Austerlitz del Principe Andrej. Perché è da quei personaggi, dalle loro parole, dalle loro azioni o silenzi, che, di fatto affiora il grande letterato russo, “dobbiamo avanzare cercando di risalire dalla carta bianca e dalla penna che vergò le parole fino alla mente che le nascose in se stessa” questo è quello che ha affermato Citati. Questo è ciò che ha fatto.

lunedì 19 febbraio 2018

SOTTO LE CIGLIA CHISSÀ - Fabrizio De André


"Metteva l'amore sopra ogni cosa"

Titolo: Sotto le ciglia chissà
Autore: Fabrizio De André
Genere: Biografie / Diari
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 237



"Non sono i ciechi ad aver bisogno di un bastone, ognuno di noi ha bisogno di una luce, di un'idea, di una speranza."

Ho letto con piacere Sotto le ciglia chissà, una raccolta, frammentaria, di pensieri del grande cantautore genovese. Amato, adorato sin da bambina. Tanti pensieri, sparsi qua e là, su tutto e dai quali emerge tutta la sua grandezza.

Parole, scrittura, musica, Perché scrivere? Per paura. “Paura che si perda il ricordo della vita e delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me”. Domande e risposte, “Non chiedete a uno scrittore di canzoni cosa ha pensato, che cos’ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera”. Sogni, desideri, utopie come necessita “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Paradisi, qui, sulla terra “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. E, naturalmente, Genova, città “severissima” che, in ciò, assomiglia alla Sardegna e nella quale ci si ritorna volentieri perché non è un’amante, ma “Genova è mia moglie”…


Senza tempo e senza concatenazione sono i pensieri sparsi che formano questa opera frutto dell’attività certosina di raccolta da parte di Dori Ghezzi e conservate presso l’Università di Siena nel Centro Studi dedicato al grande cantautore. Uno zibaldone di parole, dettato dalla necessità istintuale di fissare sulla carta pensieri, osservazioni, impressioni, critiche che De André annotava su ciò che, sul momento, aveva a disposizione: agende, libri, buste o scontrini. C’è tutto De André: il suo sarcasmo, il suo spirito anarchico, la sua ironia affilata e feroce. C’è l’amore, c’è l’attenzione, tutta sua, per l’umanità ai margini, la cura e il rispetto per le lingue minori, le lingue dell’anonimato, il rapporto genitori e figli. C’è il profumo della terra sarda e il legame fortissimo con Genova e i suoi carruggi. Ci sono anche momenti dell’infanzia con i suoi ricordi e l’eredità lasciata. E mentre si leggono questi frammenti per quanto essi siano eterogenei si ha quasi l’impressione di riuscire a metterli in un ordine, fuori dall’ordine, e aggiungere nuovi tasselli a una figura che riesce sempre a colpire la nostra mente e il nostro cuore con la consapevolezza, al tempo stesso, che rimarranno sempre degli spazi da colmare per ricostruire una figura che ha qualcosa di immenso. E oggi, manca, manca tanto.


venerdì 19 maggio 2017

NELLE ISOLE ESTREME - Amy Liptrot

Isolitudine
Titolo: Nelle isole estreme
Autore: Amy Liptrot
Editore: Guanda
Anno: 2017
Traduzione: Stefania De Franco
Genere: Romanzo biografico
Pagine: 272
Un romanzo biografico nel quale l’autrice racconta la sua esperienza nel tunnel dell’alcolismo e la sua risalita dagli abissi, dominato dalle descrizioni di una natura affascinante e ricca di magia quale è quella delle Orcadi.
Nelle Orcadi – arcipelago di isole tra il mare del Nord e l’Atlantico – anche nei giorni più limpidi soffia un vento freddo, lì, in quelle isole, in un giorno di maggio Amy Liptrot è nata. E proprio quel giorno il padre, allora ventottenne, urlante e fuori di sé, fu bloccato e sedato. Quella nascita fu, per quel padre fragile, un evento emotivamente forte tale da scatenargli una crisi maniacale.
"In mezzo al turbinio delle pale di un elicottero, una donna in sedia a rotelle con una bambina appena nata tra le braccia viene spinta lungo la pista di atterraggio dell’isola verso un uomo in sedia a rotelle e camicia di forza che viene spinto nella direzione opposta.
Quel giorno i due, entrambi ventottenni, sono stati assistiti nel piccolo ospedale lì vicino. 
Lei ha partorito la sua prima figlia. 
Lui, urlante e fuori controllo, è stato immobilizzato e sedato." 
(Incipit)
Le isole sono i luoghi della sua infanzia e della sua adolescenza, trascorsa in una fattoria a contatto con la natura e con gli animali. A diciotto anni, nasce in lei la voglia incontenibile di andare via perché “la vita nella fattoria sembrava dura, sporca e malpagata.” Quando lei, invece, voleva “comodità, glamour” e sapeva esattamente dove voleva trovarsi: “al centro del mondo”. Dopo dieci anni di lontananza, trascorsi a Londra e che segneranno il suo declino ma anche la sua voglia incontenibile di vita “Ero strafatta, ma non mi bastava. Volevo sfregarmi la città sulla pelle, volevo respirare le strade”, tornerà in quei luoghi: i genitori si sono separati, suo padre vive in una roulotte, porta la sua solita tuta da lavoro, il solito coltellino in tasca e porta il maglione fatto ai ferri dalla moglie tutto rattoppato sui gomiti…
Nelle isole estreme segna l’esordio in letteratura, peraltro ben riuscito, di Amy Liptrot che le è valso anche il premio Wainwright Prize 2016. Un romanzo sincero, trasparente, nel quale l’autrice narra senza veli la sua esperienza di alcolismo, la sua caduta verso il basso, definendosi un relitto, e il lento, ma tenace percorso di risalita e di rinascita. Relitti che, spesso non si perdono, ma si salvano non solo in virtù di una forza di volontà immane, ma anche grazie a un ritorno: il ritorno nelle Orcadi, un immenso contenitore di ricordi, di poetici cieli, di leggende, di paesaggi, di fauna marina che le regaleranno la salvezza. Sono delicate e evocative le pagine dedicate alla descrizione dei cieli delle Orcadi, arcipelaghi fatti di vento perché “crescere nel vento rende forti, inclini e abili a cercare riparo”. Isola, quindi, come spazio infinito, ma anche come prigione, poiché, a un certo punto, i suoi confini paiono troppo stretti, e nasce la voglia di spazi più ampi, di libertà, ma poi, una volta varcati quei confini, rinasce la voglia di ritornarci, perché l’Isola, come madre amorevole, è sempre lì, ad aspettare, ad accogliere nelle sua calde braccia chi ci è nato.


mercoledì 10 maggio 2017

LA FIGLIA DEL FUORILEGGE - Maria Venegas

Bajaron al Toro Negro.

Titolo: La figlia del fuorilegge
Autore: Maria Venegas
Editore: Bollati Boringhieri
Anno: Anno 2014
Genere: Romanzo biografico
Traduzione: Manuela Faimali
Pagine: 376

Come un dondolio, talora lieve, talora pesante, tra odio e amore. Tra rabbia e comprensione. Tra indifferenza e voglia di conoscere. Intenso.

New York. Maria riceve una telefonata dalla sorella la quale le comunica che il loro padre, José, è stato vittima di un’imboscata, Maria continua a sfogliare il menù che ha davanti agli occhi e, distrattamente, chiede alla sorella se il padre sia morto. Già quel padre che anni prima lei, e il resto della sua famiglia, ha deciso di eliminare dalla propria vita, quel padre violento, aggressivo, che sparava in aria durante la notte, quello stesso padre che ha ucciso il fratello di sua moglie. Ma anche quel padre che la esortava a difendersi, a non farsi sottomettere, quel padre che, con vanto, la mostrava ai suoi amici elogiandone il coraggio. Nonostante l’odio e la rabbia accumulati nel corso degli anni e nonostante le ferite subite, Maria – ormai divenuta donna - deciderà di recarsi in Messico dove si trova il “fuorilegge”…

Maria Venegas, messicana emigrata negli Stati Uniti all’età di quattro anni, ha messo nero su bianco  le vicende della sua vita in un memoriale sincero e, spesso, crudo come solo la verità sa essere. L’opera è un alternarsi di passato e presente e mette a fuoco aspetti non solo della propria vita ma anche, e soprattutto, della vita avventurosa e fuori dalle regole di suo padre. E se, in una prima fase, il sentimento dominante è quello della repulsione, dell’odio nei confronti del genitore si assiste, successivamente, a un ammorbidimento delle rigide posizioni iniziali dovuto alla forza, spesso dirompente, dell’amore e dei legami di sangue. Quasi a voler dimostrare come nei rapporti familiari  - per quanto difficili possano essere -si tenda, comunque, a scavare a fondo senza sosta in virtù di una molla, che sia essa l’amore filiale o la pietas, che porta ad andare avanti, a proteggere e, forse solo, a conoscere meglio il genitore. Un romanzo vero, intenso e carico di fascino che regala continuamente al lettore emozioni forti.

Altri libri:
Occhi chiusi spalle al mare, Donato Cutolo

venerdì 28 aprile 2017

LA CACCIATRICE DI BUGIE - Alessandra Monasta

                                                                                             Empatie

Titolo:La cacciatrice di bugie
Autore: Alessandra Monasta
Editore:Longanesi
Anno: 2015
Pagine: 336
Genere: Romanzo
Dopo aver terminato il romanzo della Monasta, conosciuta come perito fonico forense in grandi processi, mi son chiesta come sarebbe descrivere dettagliatamente, con le annesse implicazioni di varia natura, la mia professione. Perché al di là delle generiche e oggettive definizioni di ogni professione si trova un mondo, soggettivo e intimistico, che in pochi forse riuscirebbero a descrivere. Perché dietro una professione c’è una persona ed è anche vero che, spesso, persona e professione si amalgamano quasi a divenire una cosa sola. Insomma, parlare di un lavoro, in questi termini, non credo sia semplice. La Monasta, ecco, ci riesce.
Firenze, 18 marzo 2014. È mattina, nella stanza si avverte il caldo che, senza mezzi termini, anticipa l’estate. I raggi del sole illuminano la scrivania di legno antico con due pc, una stampante, e post-it colorati ovunque. Squilla il telefono e deve recuperarlo tra quella montagna infinita di fogli, quei fogli che, per lei, sono indispensabili e le servono tutti e tutti insieme. È Luigi Russo dall’altro capo del telefono “Abbiamo bisogno di te… è urgente”. E, ancora, “Non leggere i giornali”. Già, come sempre, non deve farsi influenzare. Lei dovrà dare la disponibilità per le settimane successive e, inutile specificarlo, anche nei giorni festivi (cosa sono, poi, i giorni festivi?). Come sempre da vent’anni a questa parte. È da vent’anni che conosce Luigi, l’ispettore della polizia, è da vent’anni che gli uffici della Procura del Tribunale le sono familiari. Iniziò tutto nell’anno 1993, aveva solo 24 anni, fresca di studi in giurisprudenza, e ricorda benissimo quella lontana notte del 27 maggio del ’93: le vibrazioni dei vetri, il rumore sordo. Una fuga di gas? O un attentato, un’autobomba?...
Alessandra Monasta, nota per aver trascritto le intercettazioni nell’ambito di grandi processi degli ultimi anni, il mostro di Firenze, la strage di Erba per citarne qualcuno, racconta in questo romanzo-biografia la sua esperienza lavorativa, quella, appunto, del perito fonico forense. Professione per la quale non esistono né scuole di specializzazione né albi ai quali iscriversi. Basta essere reclutati in virtù di quella dote che da sempre l’ha caratterizzata, l’empatia, o, meglio quel “modo empatico che ha di stare al mondo”. Intelligente, attenta, e soprattutto curiosa fino al parossismo ed è proprio la curiosità che l’ha spinta non tanto a “fare il perito fonico ma a essere un perito fonico“. Dalle sue parole emerge una grande passione, un enorme spirito di sacrificio e anche la difficoltà di staccarsi dal mondo lavorativo che permea e assorbe tutta la sua esistenza: complicato uscire con gli amici dopo aver trascorso innumerevoli ore con le cuffie che, volente o nolente, attivano tutti i suoi canali uditivi onde per cui frequentare le persone le viene difficile non riuscendo a non ascoltare tutti i discorsi altrui, E ascoltare le vite altrui spesso diventa spesso una morsa nella quale viene intrappolata: “passo più tempo nelle loro vite che nella mia“. Ma oltre la ricerca della verità, lo studio minuzioso delle voci, il dar significato a minime inflessioni vocali e alle pause c’è anche una Alessandra figlia che perde la madre, e una donna che si innamora nonostante il lavoro, nonostante quel lavoro.

venerdì 7 aprile 2017

JOHN F. KENNEDY VISTO DA VICINO - Francesco Rossi

Senza veli
Titolo: John F. Kennedy visto da vicino
Autore: Francesco Rossi
Editore: Pagine
Anno: 2010
Pagine: 300
Genere: Saggio politica

Una biografia di Kennedy che raggiunge l’obiettivo di sfatare un mito.
Per quanto mi riguarda, leggo sempre con piacere le famose “due versioni” di ogni cosa, non credendo mai nella perfezione assoluta, di niente e di nessuno.

Sono le tre del mattino del 29 maggio 1917 quando nasce John Fitzgerald Kennedy, figlio di Rose e di Joseph. Bambino di salute cagionevole, con problemi congeniti alla schiena. A tre anni, a causa una forma grave di febbre scarlatta, le sue condizioni fisiche furono talmente critiche che il padre promise di donare metà del patrimonio alla Chiesa qualora suo figlio si fosse salvato. John si salvò. Joseph fece la donazione promessa, salvo prima acquistare una nuova casa e intestarla alla moglie onde ridurre l’importo della donazione. La carriera scolastica di John non fu certo brillante, anche per i suoi problemi di salute, ma il giovane riuscì a laurearsi cum laude. Il sogno del padre era quello di fare del suo figliolo un intellettuale: la tesi divenne un libro. Grazie ai suoi contatti con le case editrici e, ovviamente, facendo riscrivere la tesi da un giornalista del New York Times. I ruoli familiari erano così assegnati: John sarebbe divenuto un intellettuale e Joe Junior, il primogenito fisicamente perfetto, sarebbe finito alla Casa Bianca.  Un piano lineare e di non difficile realizzazione visti i mezzi a disposizione. Ma ci son cose che non si possono prevedere, per tutti. Il 12 agosto del 1944, Joe Jr., volontario nella missione V-1, morì in un incidente nelle coste inglesi. Fu così che i piani di Kennedy padre vengono ribaltati. Sarà JFK a rimpiazzare il protagonista dei sogni paterni e sarà lui che correrà per la presidenza degli Stati Uniti…

Francesco Rossi, giornalista de “Il Tirreno”, ci offre una biografia accurata e senza veli del presidente americano, figura che, in qualche modo, è entrata nel mito. E se vogliamo Rossi manifesta con la sua opera una sorta di protesta verso quella stampa e contro quella parte dell’ opinione pubblica italiana che chiude un occhio, o forse entrambi, su quello che è stato realmente Kennedy solo perché morto tragicamente. Morte tragica che fungerebbe da purificatrice dei peccati – grandi o piccoli – commessi in vita. Questo Rossi non l’accetta. Come non accetta, e lo fa con naturalezza, il concetto, spesso troppo ripetuto, di “idealismo kennedyano”, ponendo in dubbio questa etichetta e avanzando l’ipotesi che invece si sia trattato di realismo pragmatico che si scorge oltre le apparenze. Apparenze che l’autore si impegna a superare. Eccolo JFK spogliato del trono in cui è stato collocato per anni. JFK  studente mediocre. JFK sempre assente alle sedute del senato. E che va avanti grazie all’appoggio, consistente, lecito e anche no, del padre. Le sue campagne elettorali così distanti dal creare un vero contatto con gli elettori, ma caratterizzate da terrorismo psicologico, da tattiche sleali e accompagnate da frodi, corruzioni sempre grazie alla potenza economica del padre. Dietro il Kennedy figlio, dietro ogni parola, ogni gesto lui: il padre. Il presidente forse era inesperto, forse troppo giovane, forse cinico. Sicuramente amante della tv, soprattutto se in essa vi era la sua immagine.  Un quadro pubblico sconfortante al quale si aggiunge il quadretto privato che fa a pugni con la figura di un presidente cattolico impegnato a promuovere i sacri valori della famiglia. Perché quei valori tanto esaltati, in qualche modo, sono incompatibili con una vita privata fatta di prostitute, di silenzi pagati, di bunga-bunga ante litteram. Insomma, bisognerebbe non avere mai miti per non vederli sgretolare così facilmente.





venerdì 29 gennaio 2016

DELITTO D'ONORE. LA STORIA DI IRENE BIOLCHINI - Simonetta Delussu

SIAMO FATTI DI PAROLE DATE

Titolo: Delitto d'onore in Sardegna. La storia di Irene Biolchini
Autore: Simonetta Delussu
Editore: Parallelo45
Anno: 2015
Pagine: 177
Genere: Biografia




Non conoscevo la storia di Irene Biolchini e la lettura di questo libro, edito da Parallelo45, me ne ha offerto l’occasione. E, ancora, una volta ho avuto la conferma del fatto che le storie, quelle raccontate dalle nonne, quelle che hanno il loro germe nell’oralità, non possono e non devono morire. Non smettiamo mai di raccontarle ché son gemme preziose.


1900. In una serena giornata di ottobre nasce in Sardegna, nel piccolo paesino di Jerzu, Irene Orsola Biolchini, la prima di quella che sarà una numerosa famiglia. L’infanzia della piccola scorre serena, tra l’amore della famiglia e la vita all’aria aperta, in quel piccolo orto dove i bimbi si radunavano, sporchi di fango e erba perché, lì “tutti indistintamente erano figli della terra, della vita e del sole.”  Irene cresce, la famiglia si trasferirà a Tertenia, Irene studia perché il padre, Costantino, ci tiene, ma essendo donna lo studio non è poi così importante: importante per una donna è, invece, saper ricamare o saper fare il pane.  E Irene lo sapeva. Il tempo passa velocemente e quasi all’improvviso la bellezza della giovane sboccia con grazia e leggerezza. Incontrerà anche due occhi profondi che le faranno battere il cuore: gli occhi di Domenico. Si amano e lei gli regala tutta se stessa e, soprattutto, quella prova d’amore alla quale lui tiene in modo particolare: un figlio. Un figlio prima del matrimonio, perché il matrimonio ci sarà promette solennemente il giovane e, quasi a voler confermare la serietà delle sue intenzioni Domenichino regalerà alla fidanzata una pistola che lei potrà usare qualora lui non mantenga la parola data. Irene scopre di essere incinta, Domenico e il matrimonio diventano sempre più evanescenti. Non solo: Domenico sposerà un’altra donna.  A questo punto il padre le pone una scelta a un bivio”Se non lo uccidi, ti uccido.” E Irene sceglierà per sé e per la vita che cresce in lei…



Delitto d’onore i n Sardegna ha il sapore di quelle vecchie storie raccontate dalle nonne nelle sere d’inverno davanti al camino, storie di una Sardegna magica e ancestrale legata a codici e tradizioni inviolabili. Non è, infatti, un caso che  la scintilla dell’opera, dal taglio saggistico ma che si legge come un romanzo, sia nata dalle storie che la nonna dell’autrice le raccontava nella sua infanzia. Da questo nucleo di storie, sempre tramandate oralmente, la Delussu ha poi proseguito con un’attenta opera di documentazione e ricerca per restituirci la figura di una donna forte e volitiva che emerge – e si ribella - in un contesto sardo dominato dall’uomo, da donne che sono – quasi a prescindere- colpevoli: colpevoli se non riescono ad avere un figlio, colpevoli se il figlio non è maschio. L’autrice compie anche uno scavo anche nelle regole e nei principi -scritti o meno- che governavano la realtà sarda del tempo nella quale la parola data ha il sapore di qualcosa di sacro, principio cardine espresso degnamente, a un certo punto della narrazione da Costantino, il padre della protagonista. 


“Così sei incinta. Se non ti sposa lo devi uccidere, non voglio bastardi in questa casa; tutto Ire’, ma non il disonore, non deve entrare in casa nostra. Noi siamo sempre stati gente di parola e onesti: io, i tuoi nonni e tutto il nostro casato. Tu lo sai, e la famiglia al di sopra di ogni  cosaIre’… e con quello l’onore, e l’onore quando si perde non si ritrova più e quello lo si lava solo col sangue. Se lui non tiene fede alla parola data, tu lo devi uccidere.”
(Pag. 72)


Tutto il romanzo ruota intorno a questo concetto base e la novità risiede nel fatto che Irene stravolge in qualche modo la tradizione: sarà lei, da sola, a difendere il suo onore, lei ucciderà Domenichino. Nella storia entra in gioco anche il bandito Samuele Stocchino al quale Irene si rivolgerà, figura entrata oramai nella leggenda, e che le pagine del romanzo ci restituiscono con i tratti suoi tipici: la riservatezza, le poche parole, la forza e il coraggio.   
Un documento importante che offre uno spaccato di una realtà, di un’epoca e che contiene un esempio di coraggio e, in particolare, di amore sconfinato per la vita che si pone al di sopra di tutto.