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sabato 14 settembre 2019

IL FALLIMENTO DELLA CONSAPEVOLEZZA - Raffaele La Capria


Titolo: Il fallimento della consapevolezza
Autore. Raffaele La Capria
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Genere; Saggio letteratura
Pagine: 113

A Napoli, città dai mille volti che recita se stessa, vi nacque. Era l’anno 1922. Nacque in quella città fortemente ambigua nella quale la linea di demarcazione tra il vero e il falso è perennemente instabile, in un clima, quello del fascismo, di falsa coscienza diffusa. Egli, scrittore, ha cercato sempre di rompere le catene derivanti da tali condizionamenti, auspicando altro, rincorrendo un oltre “per sentirmi uno scrittore il più possibile libero”. La sua è stata, fondamentalmente, un’epoca senza maestri e la sua àncora di salvezza l’ha sempre scorta nella letteratura. Fu Benedetto Croce il suo punto di riferimento nonostante se ne parlasse poco, nonostante intorno al suo nome si fosse innalzata una cappa di silenzio. Croce diede a lui, e ai giovani della sua generazione, la possibilità di accedere alla modernità e fu sempre grazie a Croce che si instillò nel giovane La Capria un concetto fondamentale, ossia che la letteratura fosse uno strumento potente in forza della quale “si poteva intraprendere il cammino verso una libertà spirituale e intellettuale che, allora, durante il periodo fascista ci era negata”…
Raffaele La Capria è uno tra i più grandi autori della letteratura italiana, vincitore, tra gli altri, del Premio Strega con il romanzo Ferito a morte che, all’età di 96 anni, torna in libreria con quest’opera nella quale pone l’accento su quella che, appunto, è stata la sua carriera di scrittore e intellettuale. Scandaglia le sue opere, disserta sulla funzione dello scrittore che, sottolinea, deve essere quella di “critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una conflittualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla.” Pagine che ruotano tutte intorno alla letteratura e a Napoli, sua città natale, che viene soprattutto richiamata per criticare aspramente quella definizione/luogo comune di “letteratura napoletana” che, da sempre, gli è parsa ostica, restrittiva vedendo, in essa, un allineamento assurdo di scrittori profondamente diversi tra loro e trascurando, in tal modo, le peculiarità di ognuno di essi per volerli cacciare, in nome di una definizione, nel medesimo sacco; chiedendosi anche perché non esista, di contro, una letteratura “milanese” o “torinese”. Si entra, con questo volume, nell’immenso mondo della letteratura, nel mondo di La Capria che ci offre anche un capitolo di autopresentazione: chi è La Capria? Uno scrittore estemporaneo, fedele alla sua vocazione letteraria seppure sempre distratto da altro. Si conoscono le sue opere, il suo percorso di crescita, il suo approccio con Croce, si legge di una sua conversazione con De Masi e ci offre, finanche, le lettere che lo stesso inviò, militare a Caserta, al suo amico Peppino Patroni Griffi. E il tutto si legge con grande ammirazione e interesse.

mercoledì 11 settembre 2019

VIVERE CON I LIBRI - Alberto Manguel

Amore

Titolo: Vivere con i libri
Autore: Alberto Manguel
Editore: Einaudi
Anno: 2018
Genere: Saggio letteratura
Traduzione: Duccio Sacchi
Pagine: 128

La sua ultima biblioteca, composta da trentacinquemila volumi, si trovava in Francia, a sud della Loira, in un granaio adibito appunto a biblioteca all’interno di una antica canonica in pietra. Erroneamente aveva pensato come, una volta sistemati i libri, anche lui avrebbe trovato il proprio posto: i fatti, invece, lo smentirono quando dovette abbandonare la Francia per trasferirsi in America e, di conseguenza, imballare di nuovo quei libri e fare una selezione. La biblioteca francese ospitò i suoi libri per quindici anni e fu organizzata in base a mere “esigenze e pregiudizi personali”. In quegli scaffali non mancavano anche i libri brutti che, appunto, conservava qualora gli fosse servito un esempio di libro brutto! Nella sua vita ha sempre avuto una biblioteca personale. La prima, a due, tre anni, era una mensola affissa sopra il suo letto, a Tel Aviv, poi a Buenos Aires, in età adolescenziale, e a Londra, a Milano, a Tahiti. Ma cos’è, in fondo, una biblioteca? Indubbiamente, un luogo di memoria e ogni volta che, dalle casse, si estraggono i libri si crea un rituale di rimemorazione, in quel momento si evocano, per dirla con Benjamin “non pensieri, ma immagini, ricordi”. Al contrario, mettere i libri negli scatoloni è un esercizio di oblio. Le biblioteche contengono pezzi noi, sono autobiografiche e, imballarle, in qualche modo, significa redigere il necrologio di noi stessi…

Alberto Manguel, scrittore e bibliotecario argentino nonché lettore e amico di Borges, racconta, in queste gradevoli pagine, di quel momento della sua vita in cui si è trovato, causa l’ennesimo trasloco, a dover lasciare la Francia e, quindi, a dover imballare i numerosi volumi della sua biblioteca che credeva, una volta tanto, definitiva. Troviamo il suo universo tutto incentrato su un incommensurabile amore per i libri strumenti fondamentali strumenti di conoscenza del mondo. Manguel parla di se, della sua infanzia, della sua devozione alle biblioteche che, nel corso degli anni, ha costruito, della sua ritrosia a prestare i libri, delle modalità di catalogazione dei libri improntate a criteri del tutto personali, confessa la sua predilezione per la sezione dedicata ai dizionari che, come per tutti quelli della sua generazione, sono stati, in fase giovanile, oggetti magici sia perché, in essi, era contenuta la totalità del linguaggio comune sia perché essi contenevano una risposta a ogni domanda. Un’ode alla biblioteca che si traduce, di fatto, in una appassionata dichiarazione d’amore eterno alla parola scritta, a quei volumi contenenti sempre “promesse di conforto” ma anche possibilità di conversazioni illuminanti intervallata da piacevoli digressioni ruotanti sempre intorno al mondo delle lettere, della scrittura e degli scrittori.


mercoledì 17 ottobre 2018

TOLSTOJ - Pietro Citati

                   La vita è un bilico

Titolo: Tolstoj
Autore: Pietro Citati
Editore: Adelphi
Anno 1996
Genere: Saggio letteratura
Pagine: 325

Appena terminata la lettura, mi son trovata a riflettere sulla sua bellezza cercando di capire da dove, di preciso, si irradiasse poiché Tolstoj non è una normale biografia che segue i consueti percorsi (nascita, studi, opere, morte). No, la bellezza nasce nel presentarci Tolstoj a tutto tondo, ma non attraverso la voce del biografo-Citati, ma attraverso le voci dei protagonisti di quella immensa impalcatura che sono le grandi, immense opere tolstojane: Guerra e Pace e Anna Karenina in primis. Un racconto che segue e si adatta alla tortuosa e ondivaga personalità dello scrittore russo: narcisista, depresso, felice, fervente credente, vittima di un dio che lo abbandona.

Vediamo, per iniziare, il grande Tolstoj, adolescente, in piedi davanti allo specchio, con se stesso, inebriato dal proprio io: nessun uomo ha mai conosciuto una “così vertiginosa ubriachezza del proprio io.” E con la stessa intensità con la quale si ammirava riusciva a trovarsi odioso, ripugnante e detestabile. Un grande narciso che, a momenti, non si sopportava e, in quell’immagine riflessa, vedeva il suo viso volgare. E si accusava, non c’era vizio che non gli appartenesse. Perché era uomo da mille sfaccettature, altamente volubile, il suoi umore si barcamenava tumultuosamente tra l’allegria e la tristezza, tra l’angoscia e la sfrenatezza. Nell’arco di una giornata riusciva ad avere fisionomie diverse. Era uomo discontinuo e di tale discontinuità riusciva a impregnare ogni attimo della sua vita. I suoi sentimenti erano contraddittori. Fu un essere indemoniato che non conosceva l’equilibrio, innalzando verso un punto di rottura tutte le sue esperienze. E chiedeva, chiedeva ossessivamente alla vita una felicità assoluta. Nel 1851 si trasferisce in un piccolo villaggio nel Caucaso, nella sua tenuta e si sposava con la natura, andava a caccia, attraversava le pianure  e le paludi: e lì una strana felicità e di amore per tutti si impossessava di lui. Di lui che si sentiva un segmento di natura. E lì, scrive e vedeva nella scrittura una cura. Ma come per tutte le cose con quell’ardore con la quale esaltava la letteratura la accusava perché illusoria, perché altro non era che finzione…
Pietro Citati, noto scrittore e saggista, con quest’opera che, peraltro, gli valse il Premio Strega per l’anno 1983, ci fa immergere nel variegato e complesso mondo tolstojano. Con una scrittura scorrevole e immediata ci offre un ritratto a tutto tondo del grande autore russo non soffermandosi -tanto e, comunque, non solo- sulle vicende biografiche quanto sulla personalità del medesimo. E ne vien fuori un Tolstoj non perfetto, per ciò stesso vero, contraddittorio, un Tolstoj che emerge, pagina dopo pagina, non da una descrizione analitica delle tappe della sua vita, ma dall’osservazione del suo profilo psicologico, dalla voce dei suoi personaggi quasi a farci scordare che, dietro, si muove la penna di Citati. Pare che, a tratti, sia  lo stesso Tolstoj a comparirci davanti, ci pare di vederlo mentre si rimira allo specchio, mentre odia furiosamente o ama con altrettanta furia, mentre vive in simbiosi con la Natura. E i suoi stessi romanzi, i suoi personaggi, paiono parlarci e pare quasi di vedere il famoso cielo di Austerlitz del Principe Andrej. Perché è da quei personaggi, dalle loro parole, dalle loro azioni o silenzi, che, di fatto affiora il grande letterato russo, “dobbiamo avanzare cercando di risalire dalla carta bianca e dalla penna che vergò le parole fino alla mente che le nascose in se stessa” questo è quello che ha affermato Citati. Questo è ciò che ha fatto.