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giovedì 8 marzo 2018

LETTERE AD AMELIA ROSSELLI - Alberto Moravia


Limiti e sogni

Titolo: Lettere ad Amelia Rosselli
Autore: Alberto Moravia
Editore: Bompiani
Anno: 2010
Pagine: 366
Genere: Saggio 
Curatore: Simone Casini


Moravia mi riporta al passato, agli anni del liceo.
Infatti, in quegli anni, lessi tutti i suoi romanzi. Tutto nacque per caso quando presi nella biblioteca della scuola i due volumi dei Racconti e da lì, acquistai, piano piano, tutti i suoi romanzi che, gradualmente, allineavo nella mia piccola libreria. Certo, non mi son rimasti tutti nel cuore, ma Gli indifferenti, be’ Gli indifferenti è speciale.

Negli anni della sua tormentata adolescenza, spesso trascorsa a Cortina immobilizzato nel letto di un sanatorio, un giovane studia, scrive racconti, scrive poesie, e soprattutto scrive lettere a sua zia. Il giovane è Alberto Pincherle, meglio conosciuto come Alberto Moravia,  e sua zia è Amelia Rosselli, madre di Nello e Carlo. Scrive per parlare della sua solitudine, dei suoi studi, dei suoi progetti e dei suoi desideri troppo spesso accantonati a causa della tubercolosi ossea che lo imprigiona e gli impedisce di fare quei voli che ogni giovane desidererebbe. Lettere che, ad un certo punto si interrompono, precisamente da quel  funesto 9 giugno 1937, giorno in cui, a Bagnoles-de-L’Orne, i fratelli Rosselli vengono assassinati…

I Pincherle e i Rosselli, due famiglie profondamente diverse e fortemente unite da un sincero legame d’affetto. Due ambienti differenti, forse troppo rigido e poco stimolante quello dei Pincherle, ricco di sensibilità civile e preparazione politica quello dei Rosselli. Da queste sessanta lettere, curate da Simone Casini, emerge uno spaccato dei rapporti familiari di uno dei più grandi scrittori del novecento. 
Emerge, gradualmente, la sua crescita sia come uomo sia  come scrittore. Una adolescenza fatta di limiti tutti prevalentemente legati alla sua malattia che lo costringe a ripetuti ricoveri e all’immobilità forzata. Un giovane che cresce con una sensibilità fuori dal comune e che trova in Amelia Rosselli, donna intelligente e forte, uno stimolo a non arrendersi. Amelia, in qualche modo, è stata la sua musa ispiratrice ed è Moravia stesso a riconoscere come i suoi progressi, in gran parte, sono dovuti a questa donna che gli “ ha messo le ali”. È in questi anni che Moravia inizia a scrivere Gli indifferenti che sarà pubblicato nel 1929, all’età di ventidue anni, il suo romanzo realistico nel senso non di minuziosa descrizione degli eventi, ma di abile scavo compiuto al fine di comprendere le ragioni profonde dei fenomeni. Le Lettere ad Amelia Rosselli sono anche uno scorcio di storia italiana, dell’Italia dominata dal fascismo. E grazie soprattutto all’opera esegetica di Casini è possibile far luce - senza i luoghi comuni che spesso hanno accompagnato tale vicenda  - sul silenzio che Moravia serbò dopo il 9 giugno 1937 quando i suoi due cugini furono assassinati in Francia, su mandato del regime italiano. Accusato e biasimato per quel silenzio, tacciato di opportunismo, Casini ci permette di comprendere meglio la posizione dello scrittore e in particolare i suoi rapporti con i Rosselli e la sua “non-opposizione” al regime. Forse una sorta di diffidenza da parte di Moravia nei confronti dello stile di vita della famiglia dei cugini che in qualche modo vedeva come ingenui e sentiva, in modo contraddittorio, come gli antifascisti fossero perdenti. La sua vita familiare lo portava a una sorta di ribellione o di rivolta non certo alla lotta civile, inoltre si innesta un altro sentimento forse una sorta di risentimento verso quei cugini che lo prendevano un po’ in giro e lo consideravano un ragazzino. Certo è che la corrispondenza con la zia riprenderà dopo molti anni, quando Moravia, già adulto, cercherà di spiegare, in modo quasi laconico quel silenzio e il dolore per la perdita degli amati cugini. La  raccolta di lettere è accompagnata anche da alcune poesie giovanili che contribuiscono a fornici un ritratto ad ampio spettro di un grande intellettuale dello scorso secolo.

Leggi anche:
Le lettere mai arrivate, Mauricio Rosencof


lunedì 19 febbraio 2018

SOTTO LE CIGLIA CHISSÀ - Fabrizio De André


"Metteva l'amore sopra ogni cosa"

Titolo: Sotto le ciglia chissà
Autore: Fabrizio De André
Genere: Biografie / Diari
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 237



"Non sono i ciechi ad aver bisogno di un bastone, ognuno di noi ha bisogno di una luce, di un'idea, di una speranza."

Ho letto con piacere Sotto le ciglia chissà, una raccolta, frammentaria, di pensieri del grande cantautore genovese. Amato, adorato sin da bambina. Tanti pensieri, sparsi qua e là, su tutto e dai quali emerge tutta la sua grandezza.

Parole, scrittura, musica, Perché scrivere? Per paura. “Paura che si perda il ricordo della vita e delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me”. Domande e risposte, “Non chiedete a uno scrittore di canzoni cosa ha pensato, che cos’ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera”. Sogni, desideri, utopie come necessita “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Paradisi, qui, sulla terra “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. E, naturalmente, Genova, città “severissima” che, in ciò, assomiglia alla Sardegna e nella quale ci si ritorna volentieri perché non è un’amante, ma “Genova è mia moglie”…


Senza tempo e senza concatenazione sono i pensieri sparsi che formano questa opera frutto dell’attività certosina di raccolta da parte di Dori Ghezzi e conservate presso l’Università di Siena nel Centro Studi dedicato al grande cantautore. Uno zibaldone di parole, dettato dalla necessità istintuale di fissare sulla carta pensieri, osservazioni, impressioni, critiche che De André annotava su ciò che, sul momento, aveva a disposizione: agende, libri, buste o scontrini. C’è tutto De André: il suo sarcasmo, il suo spirito anarchico, la sua ironia affilata e feroce. C’è l’amore, c’è l’attenzione, tutta sua, per l’umanità ai margini, la cura e il rispetto per le lingue minori, le lingue dell’anonimato, il rapporto genitori e figli. C’è il profumo della terra sarda e il legame fortissimo con Genova e i suoi carruggi. Ci sono anche momenti dell’infanzia con i suoi ricordi e l’eredità lasciata. E mentre si leggono questi frammenti per quanto essi siano eterogenei si ha quasi l’impressione di riuscire a metterli in un ordine, fuori dall’ordine, e aggiungere nuovi tasselli a una figura che riesce sempre a colpire la nostra mente e il nostro cuore con la consapevolezza, al tempo stesso, che rimarranno sempre degli spazi da colmare per ricostruire una figura che ha qualcosa di immenso. E oggi, manca, manca tanto.