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sabato 7 settembre 2019

MARESCIALLE E LIBERTINI - Alberto Arbasino

Mondi 

Titolo: Marescialle e libertini
Autore: Alberto Arbasino
Editore: Adelphi
Anno: 2004
Genere: Saggio musica
Pagine: 479

Settembre 1951. Non era stato possibile partecipare alla prima veneziana del Rake’s Progress di Stravinskij e ciò sia perché i soldi, dopo le vacanze a Positano, erano davvero pochi e sia perché era necessario studiare per gli esami universitari. E, comunque, a dire il vero, le recensioni erano tutte molto titubanti… A Venezia nel 1955 si tenne la prima “storica e fantasmagorica” de L’Angelo di fuoco di Prokofiev, fu un grande successo, il pubblico ne fu incantanto senza dubbio… Prima che il Muro divenisse una realtà, e una metafora anche, la Berlino del dopoguerra era, al tempo stesso, divertente e tragica. Nonostante i bombardamenti e la distruzione quella città tornava a risplendere, a dispetto di tutto, come capitale che riusciva a ospitare spettacoli sensazionali. Tra quei teatri rabberciati, tra quelle rovine splendevano, come fiori nel deserto, i miti del novecento: la contessa mozartiana e Fiordiligi, ma anche la prima rappresentazione scenica, al Thaeter Des Wensten del Moses und Aron di Schonberg…

Alberto Arbasino intellettuale, saggista, scrittore (autodefinitosi “estemporaneo”), giornalista nonché critico musicale e teatrale in queste densissime pagine ripercorre i suoi ricordi musicali degli anni cinquanta, in particolare, soffermandosi, ma non solo, sulle prime storiche, quella di Prokofiev, per esempio. Marescialle e libertini è un’opera complessa, di non facile lettura in quanto articolata su più livelli dalla quale emerge l’immensa e enciclopedica conoscenza dell’autore. Se il tema di fondo è la musica, è ben vero come il medesimo si dirami, poi, in altri direzioni, verso altre mete, altri mondi. Infatti vi troviamo quel forte intreccio tra musica e letteratura, ma anche il quadro della società dell’epoca, il dipinto degli spettatori che, talora affascinati, assistevano alle rappresentazioni, finanche la descrizione minuziosa del loro abbigliamento. Pagine che, indubbiamente, arricchiscono, e, soprattutto, stimolano a ricerche ulteriori perché caratterizzate, come è nello stile proprio di Arbasino, da infiniti e continui rimandi ad altre materie, ad altri argomenti. Insomma, si entra, con la lettura, in un gradevole e affascinante mondo che è quello della musica con la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo labirintico nel quale non esistono vicoli ciechi, ma solo nuove strade di conoscenza da percorrere. Il tutto ad infinitum.


giovedì 14 febbraio 2019

MANUALE MINIMO DEL ROCK PROGRESSIVO - Stefano Orlando Puracchio


Titolo: Manuale minimo del rock progressivo
Autore: Stefano Orlando Puracchio
Editore: Demian
Anno: 2018
Genere: Saggio musica
Pagine: 226



È la domanda delle domande “che cosa è il rock progressivo?” e, soprattutto, “esiste un rock progressivo?” È indubbio come il fenomeno prog in sé e una sua definizione univoca sia una questione assai complessa e controversa. Ogni volta che si tenta di darne una definizione si cammina su un terreno incerto. Per dirla con le parole del fondatore dei New Trolls, Vittorio De Scalzi, “il progressive rock è il rock che si libera dalle sue catene. Cioè che si svincola dagli schemi tradizionali che sono quelli derivati dal blues.” Quindi il prog è un metagenere? O, forse, una sorta di multi-ibrido?  Certo è che, al di là dell’inclusione nell’una o nell’altra categoria, il prog è qualcosa di innovativo sul piano compositivo. La novità, essenzialmente, risiede nella capacità del compositore di far coesistere tradizione con suoni che, in apparenza, appaiono poco conciliabili onde produrre, infine, un prodotto valido sia dal punto di vista artistico sia dal punto di vista estetico. È difficile, all’interno di questo maxi-ibrido o metagenere che dir si voglia, individuare una precisa linea di confine, ma si possono individuare quelli che sono gli elementi fondamentali: la suite, l’uso della tastiera a discapito della chitarra, i testi impegnati, colti ispirati al mondo della letteratura. Idealmente il prog si colloca tra il rock e il jazz: un rock, insomma, che diviene colto imbevendosi di elementi estranei al suo mondo originario.
Stefano Orlando Puracchio, giornalista, conduttore radiofonico e grande conoscitore e appassionato di musica prog ha raccolto, in un unico volume cartaceo. le sue precedenti indagini e ricerche contenute in tre ebook pubblicati rispettivamente nel 2014, 2015 e 2016. Una summa, quindi, riveduta, corretta e arricchita dei suoi lavori pregressi. Strutturalmente il manuale che, ci tiene a precisare nella prefazione l’autore stesso, è soltanto divulgativo e non ha natura di trattato di musicologia, è suddiviso in tre parti fondamentali caratterizzate da un’attenta analisi dei testi prog, da una serie di riflessioni dello stesso Puracchio e, infine, da interviste ai protagonisti del prog. Trattasi di manuale complesso, in grado di aprirci le porte a quel fenomeno tutto europeo che è, appunto, il rock progressivo, e dal quale emerge chiaramente il lungo lavoro  di ricerca, costante e continuo da parte dell’autore, e la sua immensa passione per la musica in generale e per il prog in particolare. Non è un caso che Puracchio sia divenuto il punto di riferimento fondamentale per tutti gli appassionati del genere. Con una scrittura lineare, precisa, senza mai essere troppo tecnica o didascalica, Puracchio appassiona e incuriosisce e vien voglia di ascoltarli quei testi prog, colti e impegnati.

lunedì 19 febbraio 2018

SOTTO LE CIGLIA CHISSÀ - Fabrizio De André


"Metteva l'amore sopra ogni cosa"

Titolo: Sotto le ciglia chissà
Autore: Fabrizio De André
Genere: Biografie / Diari
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Pagine: 237



"Non sono i ciechi ad aver bisogno di un bastone, ognuno di noi ha bisogno di una luce, di un'idea, di una speranza."

Ho letto con piacere Sotto le ciglia chissà, una raccolta, frammentaria, di pensieri del grande cantautore genovese. Amato, adorato sin da bambina. Tanti pensieri, sparsi qua e là, su tutto e dai quali emerge tutta la sua grandezza.

Parole, scrittura, musica, Perché scrivere? Per paura. “Paura che si perda il ricordo della vita e delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me”. Domande e risposte, “Non chiedete a uno scrittore di canzoni cosa ha pensato, che cos’ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera”. Sogni, desideri, utopie come necessita “Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Paradisi, qui, sulla terra “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. E, naturalmente, Genova, città “severissima” che, in ciò, assomiglia alla Sardegna e nella quale ci si ritorna volentieri perché non è un’amante, ma “Genova è mia moglie”…


Senza tempo e senza concatenazione sono i pensieri sparsi che formano questa opera frutto dell’attività certosina di raccolta da parte di Dori Ghezzi e conservate presso l’Università di Siena nel Centro Studi dedicato al grande cantautore. Uno zibaldone di parole, dettato dalla necessità istintuale di fissare sulla carta pensieri, osservazioni, impressioni, critiche che De André annotava su ciò che, sul momento, aveva a disposizione: agende, libri, buste o scontrini. C’è tutto De André: il suo sarcasmo, il suo spirito anarchico, la sua ironia affilata e feroce. C’è l’amore, c’è l’attenzione, tutta sua, per l’umanità ai margini, la cura e il rispetto per le lingue minori, le lingue dell’anonimato, il rapporto genitori e figli. C’è il profumo della terra sarda e il legame fortissimo con Genova e i suoi carruggi. Ci sono anche momenti dell’infanzia con i suoi ricordi e l’eredità lasciata. E mentre si leggono questi frammenti per quanto essi siano eterogenei si ha quasi l’impressione di riuscire a metterli in un ordine, fuori dall’ordine, e aggiungere nuovi tasselli a una figura che riesce sempre a colpire la nostra mente e il nostro cuore con la consapevolezza, al tempo stesso, che rimarranno sempre degli spazi da colmare per ricostruire una figura che ha qualcosa di immenso. E oggi, manca, manca tanto.


domenica 14 maggio 2017

LA MUSICA A TEREZÍN 1941-1945 - Joža Karas

Ossimori

Titolo: La musica a Terezín
Autore: Joža Karas
Editore: Il nuovo Melangolo
Anno: 2011
Pagine: 250
Genere: Saggio storia
Traduzione: Francesca R. Recchia Luciani, Raffaele Pellegrini

Cecoslovacchia. Narra la leggenda che Rip è il luogo nel quale il patriarca Cerch, con tribù al seguito, si insediò dopo lungo vagare. Rip è terra prospera, è un paradiso terrestre. E 13 secoli dopo, a poca distanza da quel leggendario paradiso, 140.000 persone innocenti precipiteranno negli abissi dell’inferno. La storia vuole che Terezín nasca nel 1780 quando Giuseppe II, al precipuo scopo di proteggere i suoi territori e preservarli da una temuta invasione germanica da nord, fece erigere, appunto, una città fortificata: la città di Teresa, Terezín, in onore di sua madre. 24 Novembre 1941: cambia la “destinazione d’uso” di Terezín e il primo convoglio di ebrei arriva. Ne seguiranno altri, tanti altri. Il bagaglio dei deportati è costituito da soli 50 kg di beni di prima necessità e dalla speranza, leggera come una piuma ma resistente come l’edera…


Joža Karas ci presenta un importante documento frutto di dieci anni quasi ininterrotti di lavoro, di ricerca di documenti e di testimonianze. Una perfetta ricostruzione di quel campo di concentramento che la propaganda nazista ha stato sempre definito, quasi con orgoglio, il “campo modello”. A prima vista, infatti, Terezín potrebbe sembrare  un’eccezione al sistema di sterminio messo in piedi dal nazismo. Ma è solo apparenza perché, di fatto, Terezín rientrava in un programma specifico della politica tedesca del tempo rispondente ad esigenze di carattere pratico. Era necessario fornire un quadro edulcorato di tale campo perché destinato, in un primo momento, a ebrei anziani ed ex combattenti della prima guerra mondiale che si erano distinti in campo tedesco e, in seguito, a ebrei importanti la cui scomparsa avrebbe destato un ingiustificabile scandalo internazionale. Pura strategia politica. Pertanto, per tali ebrei – prima facie privilegiati - Terezín non era altro che l’anticamera per l’inferno. Per Auschwitz.  E in tale tetra anticamera si assiste, nonostante tutto, alla nascita di una fervente vita culturale. Composizioni musicali, concerti, rappresentazioni teatrali. Il tutto a dispetto dell’aridità, del fetore di morte, della violenza. Perché la musica era necessaria per sopravvivere. Perché non era un hobby: era la vita. E Karas con estrema precisione, grazie ad alcuni passi indubbiamente commoventi oltre che grazie alle recensioni musicali e al materiale fotografico inserito, è riuscito a rappresentare dettagliatamente  quell’ossimoro vivente che è stato Terezín, a dimostrare, per dirlo con le parole di una splendida canzone di Fabrizio De André, che “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.


venerdì 15 luglio 2016

CHIRÙ - Michela Murgia

"Affinità"
Titolo: Chirú
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Anno: 2015
Pagine: 200
Genere: Romanzo


Mi incuriosiva molto leggere l’ultimo romanzo della Murgia soprattutto per le recensioni contrastanti lette in giro. Due i blocchi contrapposti: da un lato quelli che “manca una trama”, o anche “è un esercizio di stile”, dall'altro quelli che “è bellissimo”. Aggiungerei il terzo blocco: quelli –adorabili come l’eritema - che non hanno letto, non leggeranno il romanzo “ché tanto è brutto” Ma dove sta la verità? Non c’è una verità, chiaro. C’è però una storia, d’amore, di sentimenti certo. E c’è l’uso sapiente, scelto, delle parole che emerge in ogni riga. E poiché credo  che l’uso delle parole faccia la differenza in uno scrittore (ma guarda un po’!) io l’ho apprezzato.

"Chirù venne a me come vengono i legni alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva."
Sardegna, Cagliari. Eleonora, attrice di teatro affermata, ha trentotto anni quando incontra il diciottenne Chirú. Il giovane, quel giorno, è convinto, perché così qualcuno erroneamente gli ha fatto credere, di dover suonare il violino nel palco accanto a lei durante lo spettacolo. Eleonora gli spiega come preferisca recitare in silenzio. Al termine della rappresentazione quel giovane, vestito da adulto, con le braccia fin troppo lunghe e con appresso il suo violino, con il candore dei suoi anni chiede all’attrice se può seguirla a cena. Lei accetta. La loro non fu un’immediata affinità elettiva, lei semplicemente “lo riconobbe dall’odore delle cose marcite che gli veniva da dentro” forse perché quell’odore Eleonora lo  conosceva bene: era lo stesso suo. A tavola, tra altre persone che paiono quasi sfumate, i due conversano, ma lei vuole sapere esattamente cosa ci faccia lui con lei e Chirú, con sfrontatezza, afferma di volere che lei lo accompagni “anche se non sapeva dove andare” perché la donna conosce tante cose e lui vuole imparare, e tanto. Un allievo. Ancora? Sarebbe giusto? Sono passati ben otto anni dall’ultima volta che Eleonora ha preso con sé il suo terzo e ultimo allievo, o meglio quello che credeva fosse l’ultimo: ora ci sarà Chirú, il quarto…

Dopo Accabadora che le valse, tra gli altri, il premio Campiello l’autrice sarda torna, dopo sei anni, in libreria con un nuovo romanzo anch’esso ambientato prevalentemente in Sardegna seppur lontano dalle atmosfere ancestrali e magiche dell’opera precedente. Romanzo scritto in un momento particolare e di certo difficile della sua vita privata, "non è un libro autobiografico, ma racconta molto della mia vita" ha, infatti affermato la Murgia, Chirú, suddiviso non in capitoli, ma in 17 lezioni e un compimento finale, si presenta fortemente crudo nell’offrirci un percorso di formazione e di acquisizione di consapevolezza del sé alla luce di una introspezione intensa e anche dolorosa. La Murgia l’ha definito un “romanzo politico” tutto incentrato com’è sul concetto di potere che domina i rapporti umani, primi fra tutti quelli familiari, la figura del padre di Eleonora ne è l’emblema, ma sono impregnate di potere tutte le relazioni sentimentali, senza dimenticare che ogni relazione è, comunque, sentimentale, dirà Eleonora. Politico anche perché l’autrice, sempre attenta al problema delle donne, detronizza l’uomo per affidare stavolta il ruolo di mentore a Eleonora "infelice con classe", una donna la quale incarnerà la maestra intesa in senso ampio affiancando il giovane nella vita. E l’insegnamento non è solo un dare, non è mai –né mai può essere- unidirezionale: è un filtro a maglie larghe che permette un interscambio tra docente e discente quasi che, a un certo punto, i ruoli paiono confondersi. Una storia dal punto di vista dell’intreccio narrativo priva di eventi eclatanti, lineare, tutta basata sull’interiorità dei protagonisti e sul ruolo delle parole che paiono frutto di una scelta minuziosa e attenta, mai frutto della casualità, pesate una per una, accarezzate e adagiate delicatamente nella pagine per creare immagini eleganti e sonorità raffinate. Una curiosità: nella fase immediatamente precedente all’uscita del libro la Murgia ha aperto una pagina Fb a nome di Chirú, il quale ha interagito con i lettori e proposto il suo punto di vista, i suoi dubbi, le sue paure, scavalcando le pagine del libro per diventare, seppur in modo atipico,  “reale”.