"Nacqui in inverno"
Titolo: Leggenda privata
Autore: Michele Mari
Editore: Einaudi
Genere. Romanzo
Anno: 2017
Pagine:171
Leggenda privata è il primo romanzo che leggo di
Michele Mari, autore che mi ha sempre incuriosito tanto. Sono rimasta folgorata
dallo stile di Mari tremendamente originale, alto, mutevole. Rimane impresso
senza dubbio.
Nacqui d’inverno, al nostro discontento. Fui cupo e spinoso, poi come un buon cactus produssi dei fiori, cibandoli delle mie polpe. I miei libri, quei fiori; il mio stile di vita, le spine; la bio-vita, la polpa; il mondo, il deserto, ove tallotta uno scorpio, un crotalo, un formicaleone; oppure il sitibondo che ti amputa e scortica per succhiarti la fibra: «Ma prendi i miei fiori» gli dici col pensiero, «alliétati di quella fragranza»: macché, vuole attingere al bio, colui, né più né meno degli Accademici; e tu resti poi monco, fiorito ma monco, e ludibrio alla famiglia dei cactus e degli alberi tutti. (incipit)
Alla mezzanotte lo scrittore Michele Mari è stato
convocato nella Sala del Camino. Era buio, ma lui sentiva la presenza di tutti
loro. Quello che Gorgoglia gli ha chiesto la sua autobiografia. Ma come la
mettiamo con l’altra autobiografia già commissionatagli, la settimana
precedente, dall’Accademia dei Ciechi? E no! Ha precisato Quello che Gorgoglia:
questa dovrà essere diversa, totalmente nuova e solo un fatto potrà essere
ripetuto: l’essere egli nato da un amplesso abominevole. “Scrivi” continuano a
ripetergli. E il povero Michele ha paura, ha il sospetto che potrebbero anche
affidare l’intera faccenda a Quella dalle Orbite Vuote e questo proprio non lo
sopporterebbe. Proprio no. E scrive della sua nascita, avvenuta in inverno, otto
mesi dopo il concepimento e il numero otto, si sa, è simbolo di aberrazione. Ma
egli non fu mostro, però fu mostruoso fu il rapporto che intrattenne con se
stesso. Poi di cosa potrebbe parlare per rimanere nel concetto di “bio”? Di Ovidio
il bidello? O dello studio o del fatto che egli fu cupo e spinoso come un
cactus e produsse dei fiori cibandoli delle sue stesse polpe? E tutti quei
grumo-nodi irrisolti? Il grumo-nodo padre? Il grumo nodo madre?...
"Il fatto è che scrivo al ribasso. Non invento, non enfatizzo: grado della mitopoiesi molto vicino allo zero. Semmai ometto, attenuo, eufemizzo. Ma questi mostri vogliono il carnevale, l’euforia della forma: per cogliermi lì, ignudo sotto un travestimento così sfarzoso da non poter diventare una seconda pelle. L’idea è che l’ingombro del travestimento sia tale da trasformarsi in una prigione." (Pag. 99)
Michele Mari torna in libreria con una autobiografia
definita horror. In uno scenario tra il fantastico e il grottesco, l’autore
scava nel proprio passato, per affrontare paure e mostri più o meno malvagi. E
sono proprio gli anni della giovinezza – tema peraltro non nuovo nelle opere
del Mari – quelli nei quali si trova precipitato, per merito o colpa degli
Accademici, per impelagarsi nel suo labirintico passato di dubbi, fobie, ma
anche amore e cercare di dipanare quelle matasse – o meglio grumo nodi – da cui
ha origine la sua natura quasi scissa: una madre la cui divisa era la tristezza
e un padre, il noto designer Enzo Mari, ingombrante e immenso. È un romanzo crudo, ma anche crudele, feroce,
senza orpelli nel quale l’autore si trova a fare i conti con la sua infanzia
perché benché, come il medesimo ha dichiarato “piena di traumi e di lutti”
rimane per lui la “cosa più significativa”
che ha vissuto. E le sue parole colpiscono e feriscono perché prive di
addolcenti, di anestetizzanti neppure blandi. Entra a testa alta nel suo
passato, nei suoi conflitti familiari, nelle sue guerre, senza alcuna corazza.
Coraggiosamente. Il tutto con il suo stile originale, fuori da schemi
preconfezionati nel quale si passa, con nochalance,
da un registro linguistico ad un altro e con l’uso sapiente di una lingua che
risulta, ad ogni pagina, fertile, ricca e variegata. Il libro è inoltre
intervallato da una trentina di fotografie
in bianco e nero che accompagnano e esplicano la lettura degli eventi
narrati, ma che – in qualche modo- parlano da sole.
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