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martedì 6 agosto 2019

SULLA TRACCIA DI NIVES - Erri De Luca

Titolo: Sulla traccia di Nives
Autore: Erri De Luca
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Genere: Saggio intervista
Pagine: 160

Sono in due: lui, lo scrittore Erri e lei, l’alpinista. È una notte fortunata, senza vento. Quel vento che quando c’è bisogna saperlo ascoltare perché sa essere molto prepotente e questo lo sa bene chi, come Nives, frequenta le alte quote. Vento che, nelle alte quote, diviene padrone del tempo. Diviene, è una persona. E lei gli parla, gli racconta: il vento sa ascoltare. In fondo, lei attende sempre che lui faccia comunque il suo lavoro. E pur non sapendo quando smetterà di salire, nonostante non possa sapere quali saranno i risultati, potrà dire, ogni volta, di avergli fatto compagnia. Sempre. In quelle cime e ridiscese in compagnia del vento ed evidenzia, Nives, il concetto di “ridiscese” perché non basta una cima raggiunta, bisogna ridiscenderla quella cima con la stanchezza al culmine e con il peso di quello svuotamento che dà l’arrivo in cima. Scendere è, essenzialmente, “disfare la salita, scucire tutti i punti dove hai messo i passi”. Cime e ridiscese: sono il punto più distante da casa…

Il libro nasce da una chiacchierata-intervista notturna tra Erri De Luca e la famosa alpinista Nives Miroi, avvenuta in una tenda, in Himalaya, prima di una salita. Un alternarsi di voci, di riflessioni intorno alla natura, al concetto di sfida, ai sogni, al rapporto – spesso difficile – tra l’uomo e la montagna. Emergono, dalle parole rese dai due sotto un cielo stellato, due persone molto diverse: se lo scrittore risulta tendenzialmente calato in un mondo quasi spirituale o anche visionario, l’alpinista emerge, invece, in tutta la sua concretezza. E, alla fine, Nives Miroi, la cosiddetta tigre di alta montagna, con la sua personalità e la tenacia con la quale persegue i suoi obiettivi, affascina e incuriosisce, lo scrittore – che, in qualche modo, la sovrasta, lasciandole poco spazio – certamente non incuriosisce col suo offrirci ampi e ripetuti richiami alle sacre scritture, sviluppando, oltremisura, l’assunto per il quale “molta scrittura sacra è alpinista”. Sviluppi che, a onor del vero, talora non affascinano, talora cadono in retoriche affermazioni che stonano profondamente con un personaggio come la Meroi della quale, a fine lettura, si ha la sensazione di aver letto veramente poco essendo certi che avesse – o avrebbe potuto avere – tante cose interessanti da raccontare sul suo mondo, sulla sua vita, sui profumi e i suoni della montagna.

Articolo già pubblicato su Mangialibri. 

domenica 1 marzo 2015

MONTEDIDIO - Erri De Luca

Bumèrando
Titolo: Montedidio
Autore: Erri De Luca
Editore: Feltrinelli
Genere: Romanzo breve
Anno: 2007
Pagine:144


Adoro questo piccolo libro. La prima volta lo lessi in pullman durante un viaggio accidentato e lungo da Cagliari a Nuoro. Ricordo che eravamo una trentina di persone delle età più disparate e ci recavamo a Nuoro per un congresso dei Comunisti Italiani. Quando ancora ci credevo, aggiungo. E ricordo che, nonostante il sottofondo chiassoso, riuscii a leggere e a sottolineare questo libro e ad innamorarmi del piccolo protagonista napoletano. L’ho riletto adesso nella tranquillità di casa mia (se di tranquillità di può parlare vista la piccola e vispa bimba pestifera che ho generato) e l’amore per il piccolo protagonista non è stato scalfito, lo stesso non si può dire per i comunisti italiani, ma questa è un’altra storia. 


Le vicende si svolgono a Napoli nel quartiere di Montedidio. Lui ha appena compiuto tredici anni e il babbo, come è giusto che sia, l’ha messo a lavorare. Anzi, rispetto ai suoi coetanei l’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto in ritardo visto che era un po’ malatticcio. È il suo primo giorno nella bottega di mast’Errico. Imparerà a lavorare il legno e la sera annoterà i fatti del giorno in un avanzo di bobina regalatagli dal tipografo che è buono, in fondo, gli piace soltanto toccare il piscitiello ai ragazzini. Con sé porta sempre il bumeràn che proviene dall’Australia, ma non lo può lanciare perché nel suo quartiere non c’è lo spazio nemmeno per uno sputo. Fa niente: può sempre fare la mossa di tirarlo. Il bottega c’è anche Don Rafaniello, o’ scarparo, che ha la gobba dalla quale un giorno spunteranno le ali che lo porteranno a Gerusalemme: si sentono già scricchiolare le ossa delle ali. E poi c’è lei: Maria…


Tra gli stretti e chiassosi vicoli di Montedidio si staglia la figura di un tredicenne che fa la cronaca delle sue giornate e la fa in italiano, pur sentendosi un traditore del suo dialetto, perché l’italiano è zitto e ci può mettere i fatti “riposati dal chiasso napoletano”. 
Montedidio ha la sostanza di una favola, amara certo, nella quale l’io narrante ci porta nel suo brusco percorso di crescita privo di tappe intermedie che si traduce in uno sfondamento quasi violento di quelle porte che conducono nel mondo adulto. È un romanzo ricco di tenerezza e magia nel quale domina l’assenza, dirà molto saggiamente il protagonista “I grandi vanno dietro ai loro guai e noi restiamo nelle case sorde che non sentono più un rumore.
 Solo il nostro sentiamo e fa un po’ paura.” La solitudine, le assenze e le dolorose perdite si uniscono, quasi a creare una compensazione salvifica, con la forza, la voglia di vivere, “l’ammore” e, soprattutto, i sogni i quali, in qualche modo, si realizzeranno nella notte di Capodanno tra colorati e rumorosi fuochi d’artificio. De Luca ci regala una storia tenera, fiabesca ma non troppo, in un alternarsi di crudezza e lirismo che ha la capacità di incantare dalla prima all’ultima pagina. E il piccolo napoletano rimarrà con noi anche a libro terminato.