Bumèrando
Titolo: Montedidio
Autore: Erri
De Luca
Editore: Feltrinelli
Genere: Romanzo
breve
Anno: 2007
Pagine:144
Adoro
questo piccolo libro. La prima volta lo lessi in pullman durante un viaggio accidentato
e lungo da Cagliari a Nuoro. Ricordo che eravamo una trentina di persone delle
età più disparate e ci recavamo a Nuoro per un congresso dei Comunisti
Italiani. Quando ancora ci credevo, aggiungo. E ricordo che, nonostante il
sottofondo chiassoso, riuscii a leggere e a sottolineare questo libro e ad
innamorarmi del piccolo protagonista napoletano. L’ho riletto adesso nella
tranquillità di casa mia (se di tranquillità di può parlare vista la piccola e
vispa bimba pestifera che ho generato) e l’amore per il piccolo protagonista
non è stato scalfito, lo stesso non si può dire per i comunisti italiani, ma
questa è un’altra storia.
Le
vicende si svolgono a Napoli nel quartiere di Montedidio. Lui ha appena
compiuto tredici anni e il babbo, come è giusto che sia, l’ha messo a lavorare.
Anzi, rispetto ai suoi coetanei l’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto in
ritardo visto che era un po’ malatticcio. È il suo primo giorno nella bottega
di mast’Errico. Imparerà a lavorare il legno e la sera annoterà i fatti del
giorno in un avanzo di bobina regalatagli dal tipografo che è buono, in fondo,
gli piace soltanto toccare il piscitiello
ai ragazzini. Con sé porta sempre il bumeràn
che proviene dall’Australia, ma non lo può lanciare perché nel suo
quartiere non c’è lo spazio nemmeno per uno sputo. Fa niente: può sempre fare
la mossa di tirarlo. Il bottega c’è anche Don Rafaniello, o’ scarparo, che ha
la gobba dalla quale un giorno spunteranno le ali che lo porteranno a
Gerusalemme: si sentono già scricchiolare le ossa delle ali. E poi c’è lei:
Maria…
Tra
gli stretti e chiassosi vicoli di Montedidio si staglia la figura di un
tredicenne che fa la cronaca delle sue giornate e la fa in italiano, pur
sentendosi un traditore del suo dialetto, perché l’italiano è zitto e ci può
mettere i fatti “riposati dal chiasso napoletano”.
Montedidio ha la sostanza di
una favola, amara certo, nella quale l’io narrante ci porta nel suo brusco
percorso di crescita privo di tappe intermedie che si traduce in uno
sfondamento quasi violento di quelle porte che conducono nel mondo adulto. È un
romanzo ricco di tenerezza e magia nel quale domina l’assenza, dirà molto
saggiamente il protagonista “I grandi vanno dietro ai loro guai e noi restiamo
nelle case sorde che non sentono più un rumore.
Solo il nostro sentiamo e fa un
po’ paura.” La solitudine, le assenze e le dolorose perdite si uniscono, quasi
a creare una compensazione salvifica, con la forza, la voglia di vivere,
“l’ammore” e, soprattutto, i sogni i quali, in qualche modo, si realizzeranno
nella notte di Capodanno tra colorati e rumorosi fuochi d’artificio. De Luca ci
regala una storia tenera, fiabesca ma non troppo, in un alternarsi di crudezza
e lirismo che ha la capacità di incantare dalla prima all’ultima pagina. E il
piccolo napoletano rimarrà con noi anche a libro terminato.
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