"Piccoli gesti"
Titolo: Per lettera
Autore: Iselin C. Hermann
Editore: Mondadori
Anno: 1999
Pagine: 138
Traduzione: Bruno Berni
Genere: Romanzo epistolare
"19 dicembre. A Jean-Luc
Foreur.
In qualche
punto sotto la pelle, dove la carne diventa fluida, vedo il suo quadro “Sans
titre 2,22x2" come era esposto nella
Galleria Y a Parigi.
O forse: i
colori, le linee, le sfumature mi sono entrati nel corpo. Anche se non lo possiedo quel quadro mi
appartiene.
Grazie,
Delphine.”
(Incipit)
Così inizia questo breve romanzo
epistolare, con queste parole con le quali Delphine comunica al pittore,
Fourier, di sentire suo il quadro dallo stesso dipinto. Non attende risposte. E,
invece, Jean Luc le risponderà. Inizierà così tra i due una fitta
corrispondenza germe di una passione che – giorno dopo giorno – diviene sempre
più incontenibile e nella quale arte e desiderio si fonderanno per confluire in
un epilogo inaspettato, totalmente inaspettato. Disperato in qualche modo.
In questi tempi fatti di mail,
whatsapp, like e unlike vari ritornare, con le parole della Iselin, alla
vecchia cara lettera restituisce il sapore di momenti lontani nei quali
attaccare il francobollo e far volare le parole aveva qualcosa di magico, per
non parlare dei giorni vissuti nell’attesa di una risposta. E in Per lettera le
parole producono un frastuono emotivo e corporeo quasi tangibile. L’amore nasce
con le parole e per le parole e, alla fine, poco conta chi sia a
pronunciarle/scriverle, perché rimangono, comunque, il veicolo privilegiato per
esprimere l’animo umano, per dipingere sguardi solo immaginati, sentimenti, le
emozioni. Ma sono anche lo strumento per creare e crearsi mondi immaginifici,
per forgiare volti e, finanche, toccare un corpo, nonostante le distanze.
E
lettera dopo lettera, seguiamo, con tensione crescente, quelle parole (a volte
intense, a volte banali come solo l’amore può essere) che, a tratti, uniscono i
due e, a tratti, paiono allontanarli. E chiedersi se sia mai possibile che due
persone –innamorate, legate – riescano ad amarsi esattamente nello stesso identico modo.
E, ancora, chiedersi se, talvolta, non sia meglio rimanere in quel limbo sicuro
alimentato dalle nostre fantasie e riscaldato da un desiderio solo mentale
piuttosto che spingersi oltre, fino a rendere tutto corporeo, materiale,
tangibile.
“Solo ora,
guardandomi indietro, so quanto ero felice. Felice e spensierata. Nella mia
euforia credevo che tutto fosse possibile. E credevo che la felicità più grande
fosse incontrare te. Che stupida! Quanto ero avida! Non rendermi conto che ero
felice perché sospesa. Non giungere a destinazione, non arrivare a nulla,
questa è la felicità più grande.” (Pag. 126)
Un libro che, nella sua normalità,
riesce, alla fine a stupire. Un libro che pone domande, forse non dà risposte perché, spesso, non esistono.
Altri libri:
Le ho mai raccontato del vento del Nord, Daniel Glattauer
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