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domenica 15 marzo 2020

UN LEGAME SOTTILE - Paola Cosmacini

Di sage femme
Titolo: Un legame sottile
Autrice: Paola Cosmacini
Editore: Baldini & Castoldi
Anno: 2019
Genere: Saggio salute
Pagine: 215

L’ostetricia, da ob stare, stare davanti, ha le sue radici in Francia. Essa è innanzitutto un’arte, l’arte di assistere la partoriente e il neonato nelle prime ore di vita. Ci sono dei momenti fondamentali nell’evoluzione di tale arte prima che si arrivi a considerarla una vera e propria scienza. Nel 1513 nella luterana Strasburgo compare Der roszgarten, il primo libro a tema ostetrico. Testo fondamentale che costituirà, per più di due secoli, un importante punto di riferimento non solo per le levatrici. Ma anche per i medici. Al tempo della sua pubblicazione l’accouchement, il parto, è quasi esclusivamente un affare di donne e sarà fino alla metà del 600 che, in tale delicato momento, non si ricorrerà a figure maschili se non per casi particolarmente complicati per i quali è indispensabile l’intervento di un medico, quindi di un uomo. Di fatto, chi si occuperà per secoli del parto sarà la sage femme, ossia la figlia o moglie del medico capace di gestire il parto eutocico e distocico e alla quale anche la comunità religiosa aveva riconosciuto un certo status sociale autorizzandola, finanche, a battezzare in situazione drammatiche. Nel 1627 la sage femme Louyse Bourgeois promotrice e sostenitrice dell’eliminazione nel parto di vincoli - sostenendo come debba essere la donna a scegliere la posizione più adatta - pubblica un opuscolo, Apologie contre le rapport de Médecin con il quale critica l’ingerenza dei medici nel campo ostetrico. Con il tempo e con l’acquisizione di maggiori conoscenze sanitarie, la prerogativa femminile nel campo dell’ostetricia viene meno e ciò quando l’ostetricia assume, gradualmente, le forme di una disciplina medico-scientifica, quindi per ciò stesso di appannaggio maschile. Nasce quindi un sapere nuovo praticato e insegnato da una nuova figura, l’accoucher, esclusivamente maschile…
Paola Cosmacini, medico radiologo, divulgatrice scientifica, nel descrivere due figure fondamentali nel campo dell’ostetricia, Madame Marie Boivin e Monsieur Stéphane Tarnier, ci delinea, in modo completo e dettagliato, il lungo e tortuoso excursus storico dell’antica arte di assistere la partoriente. Un’arte che, per molti secoli è stata di esclusiva competenza della donna (in alcune epoche della donna-strega). Momento storico che passa anche attraverso le figure di Boivin che fu levatrice e divenne medico e di Tarnier il primo ostetrico con particolare attenzione a quel legame sottile che li unì. Due studiosi che, di fatto, non si conobbero personalmente, ma furono comunque uniti dalla smisurata passione per lo studio per la ricerca nonché mossi da una attenzione per la cura e l’assistenza delle persone sofferenti. Entrambi vissuti nella Parigi dell’Ottocento, “si passarono il testimone della scienza ostetrica e ginecologica”. Due mani piccole, delicate e femminili quelle della Boivin e due mani armate quelle di Tarnier: entrambi furono animati dal medesimo spirito medico avanguardista che ha rappresentato il “vero motore di un’ostetricia d’ancien regime verso l’alba dell’ostetricia moderna” (Tarnier è considerato anche l’ideatore della incubatrice neonatale). Un apprezzabile testo documentato e ricco di riferimenti bibliografici dietro il quale si intravede uno studio attento delle fonti storiche anche nel delineare sia quel sempre difficile e ostacolato percorso di evoluzione del ruolo della donna in campo medico sia quel passaggio storico nel quale il parto da momento intimo da svolgersi tra le quattro mura di una casa (con tutti i pericoli connessi alla salute della donna e del nascituro) diviene momento da svolgersi in ospedale (con maggiori garanzie per la salute).

lunedì 19 marzo 2018

SE MI DISTRAGGO PERDO - Anna Giurickovic


Sussurri 
Titolo: Se mi distraggo perdo
Autore: Anna Giurickovic
Editore: Gorilla Sapiens edizioni
Anno: 2013
Genere: Racconti
Pagine: 144


Nicola, sotto la cappa di afa che domina Sabaudia, guarda Luisa con le sue caviglie gonfie, con la pelle che si increspa attorno alle labbra. E ricorda la soffitta nella quale avevano vissuto da giovani e l’amore consumato sulle note dei Guns N’ Roses. E, soprattutto, ricorda che si innamorò dei suoi malleoli…Crizia ha venticinque anni, è una sfigata. Lo è sempre stata.  Sua madre era iperprotettiva, lei non usciva, faceva i compiti e mangiava, mangiava…Marinuzzedda e Giovanna si incontrano dopo tanti anni. E iniziano a ricordare le figure che hanno popolato la loro gioventù. Giovanna ricorda quanto fosse brutta Marinuzzedda e, nonostante ciò, si è sposata e ha avuto figli, dal canto suo Marinuzzedda ricorda quanto buttanazza fosse la cara Giovanna…Lui è andato via, ma lei lo aspetta. Ogni notte, ogni santa notte. E prepara la cena, la tiene in caldo. Lo sa che lui è andato via perché lei è ormai vecchia…

Sono quattordici i racconti che formano la raccolta Se mi distraggo perdo della giovane catanese Anna Giurickovic. Con una scrittura vivace, moderna non scevra di una singolare delicatezza, quasi sfiorandoci, l’autrice ci apre le porte di un universo tutto al  femminile, con le sue molteplici varianti, con le sue fragilità e paure, avendo cura di non tralasciare alcuna sfumatura. Sono storie molto diverse tra loro e ognuna di esse risulta filtrata dall’occhio e dal sentimento di donne che, a modo loro, hanno affrontato l’amore, il rapporto  filiale, la morte, l’abbandono. Le protagoniste della raccolta si nutrono di pensieri, vivono degli stessi, ripercorrono, come se stessero guardano un album di vecchie fotografie, il loro passato senza mai tentare di riscriverlo o accettano il presente e le scelte altrui aspettando, spesso in silenzio o tra le parole di un monologo interiore, che le cose cambino o che qualcuno ritorni. Son donne che sussurrano, non urlano. A fine lettura, rimane addosso un alone di malinconia, quasi soave e mai fastidioso.


Recensione già pubblicata su Mangialibri

Vedi anche:
Alcuni casi stupefacenti tra cui un gufo rotto, Davide Predosin

lunedì 12 marzo 2018

L'USIGNOLO - Kristin Hannah


Nell'ombra 

Titolo: L’Usignolo
Autore: Kristin Hannah
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Genere: Romanzo guerra
Pagine: 466
Traduzione: Federica Garlaschelli

Francia, Carrevau, agosto 1939. È una calda giornata e Vianne è felice: si appresta a fare, con suo marito e sua figlia, un picnic sulla riva del fiume. Il sole illumina le loro risate e le loro parole. E quando Antoine pronuncia il nome di Hitler e della sua maledetta guerra una nube pare oscurare quella che sembrava una giornata splendida. Già, la guerra. L’invasione tedesca e gli uomini che dovranno andare a combattere. Tra questi, anche Antoine…Parigi, giugno 1940. Isabelle, sorella diciottenne di Vianne, per l’ennesima volta è stata cacciata da un istituto per signorine perché Madame Allard ritiene come alla stessa non interessi “imparare ciò che abbiamo da insegnarle”. Non è la prima volta che Isabelle viene espulsa da una scuola. Alla fine, nella sua breve vita, è sempre stata cacciata: prima la morte di sua madre, poi l’abbandono del padre e anche Vianne, la lasciò. E, adesso, tornerà da suo padre che è sicura non la vorrà. Sarà così infatti: quel genitore, duro e distrutto dalla prima guerra mondiale, ritiene di non poterla tenere con sé e la invita –senza lasciarle alternative- a trasferirsi da Vianne. Nel lungo e tortuoso percorso che la condurrà a Carrevau, tra attacchi nemici e lunghe file di persone sofferenti, incontrerà Gaetan e capirà quale sarà il suo destino: ribellarsi e combattere questa guerra…

L’usignolo, pubblicato per la prima volta in America nel 2015, ha incontrato da subito il favore e l’entusiasmo dei lettori per la sua immediata capacità di regalare emozioni intense. È indubbio che la storia narrata, ambientata nei tristi giorni dell’occupazione nazista in Francia, non lasci indifferenti sia perché il periodo storico è descritto con precisione - facile evincere un lungo lavoro di ricerca e documentazione - ma soprattutto per la prospettiva, tutta al femminile, adottata dalla scrittrice. Sono, fatte alcune eccezioni, rari i romanzi che affrontano la guerra secondo una visione femminile, quasi che la guerra fosse solo “affare” o, anche, solo “di proprietà degli uomini” in quanto sono loro che partono, combattono, muoiono. Invece, qui appaiono donne che, seppure in modo diverso, lottano con coraggio e forza. Combatte Isabelle che persegue, senza nessuna incrinatura, il suo ideale di libertà,  senza nulla temere, perdendo la propria identità e rischiando la vita ogni giorno, ma combatte anche Vianne, apparentemente più pavida, restando in casa, sola con sua figlia, ad attendere il marito e nascondendo bambini ebrei. Le due sorelle divengono il simbolo di tutte le donne che hanno vissuto esperienze simili e che, pur non avendo ricevuto medaglie o riconoscimenti ufficiali, hanno posto dei piccoli e preziosi tasselli nell’accidentato percorso della liberazione. Un romanzo commovente, dettagliato, scorrevole che, in qualche modo, restituisce dignità a quelle persone che seppur lavorando nell’ombra, in silenzio, hanno dato molto alla Storia.

Leggi anche:
Eredità, Lilli Gruber

lunedì 12 febbraio 2018

TERRADILEI - Charlotte Perkins Gilman


"Gelose come scimmie"
Titolo: Terradilei
Autore: Charlotte Perkins Gilman
Editore: La Vita Felice
Anno: 2015
Pagine: 476
Genere: Romanzo fantastico
Traduzione: Franco Venturi

Una bella scoperta questo romanzo che si colloca nella scia dei romanzi utopici e che, soprattutto, mi ha dato l’occasione di approfondire la figura di Charlotte Perkins Gilman e di conoscere il suo pensiero e le sue battaglie. Grande donna.
Terry, Vandick e Jeff sono tre amici che, per una serie di circostanze, partecipano ad una grande spedizione scientifica. Nel corso della stessa apprendono dell’esistenza di paese straordinario “dove non esistevano uomini, solo donne e bambine” così ripetevano i selvaggi che incontravano. Una leggenda, sicuramente. Un’invenzione. Ma, in ogni caso, decidono di cercare questo fantomatico paese e lo trovano pure. E la cosa sconvolgente è che quel Paese sembra perfetto: tutto in ordine e curato nei minimi dettagli, non un’erbaccia, non un rampicante in disordine e che dire delle piante? Tutte cariche di succosi frutti commestibili. E la cosa più imbarazzante per loro è scoprire che si tratta – ma guarda un po’! – di un Paese civile. Certo la civiltà senza uomini non è possibile, lo sanno bene loro! Gli uomini ci devono essere per forza, ovvio. Si tratta solo di trovarli e loro, chiaro, li troveranno e per un medico, un esploratore e un sociologo quali sono loro non ci saranno certo ostacoli a scovarli: a loro nulla può sfuggire. Poi, hanno visto i bambini: mica possono esistere bambini senza uomini, son cose che sanno tutti. Intanto vengono a stretto contatto con tre ragazze che, con tranquillità, si dondolano tra gli alberi: sono Alima, Celis e Ellador…
Terradilei, edito per la prima volta nel 1915, si colloca, storicamente, nell’epoca di maggior fioritura del romanzo utopico essendo lo stesso assurto al rango di strumento atto a esprimere forme di opposizione ai mali dell’industrializzazione, ma anche a dar voce – in concomitanza con i movimenti a favore del voto alle donne – alle esigenze del femminismo. E il femminismo è stato uno dei cavalli di battagli della Gilman, la “mediocre studente” divenuta grande intellettuale, conferenziera, sociologa ed economista oltre che, appunto, scrittrice. Dalla sua penna nasce questo meraviglioso romanzo fantastico che ci trasporta in un mondo utopico fatto solo di donne e bambine nelle cui righe è facile ritrovare il pensiero dell’autrice e, in particolare la teoria secondo la quale il patriarcato è solo un misero tassello nell’evoluzione della specie, obsoleto e da superare. Da ciò consegue come non possa esservi evoluzione della specie se la donna è confinata nelle grigie pareti domestiche vivendo un rapporto di dipendenza umana ed economica dal maschio: solo superando questi vincoli si potrà parlare di liberazione della specie umana. Con arguzia e una abbondante dose di ironia, Terradilei realizza la società perfetta, tutta al femminile, che si riproduce per partenogenesi, che vive un rapporto di profondo rispetto con la natura, e nella quale la maternità è non tanto un istinto, ma una religione. Date queste premesse non è un caso che tutte le certezze credute assolute dai curiosi visitatori vengano sfaldate piano piano insieme al loro bagaglio di luoghi comuni. E dire che loro credevano di essere il meglio che potesse esistere, e dire che, con estrema sicurezza, Terry diceva “Le conosciamo le donne, non sono capaci di organizzarsi tra loro. Non fanno che bisticciarsi, gelose come scimmie una dell’altra.”

Altre recensioni:
Il sogno più dolce, Doris Lessing


venerdì 9 febbraio 2018

IL SOGNO PIÙ DOLCE - Doris Lessing

Dipingendo generazioni 


Titolo: Il sogno più dolce
Autore: Doris Lessing
Editore: Feltrinelli 
Anno: 2017
Pagine: 455
Genere: Romanzo
Traduzione: Monica Pareschi

Ogni volta che leggo la Lessing rimango affascinata dalla sua prosa capace di creare dipinti, di persone, di epoche, di generazioni e di rimanere lì a contemplarli, quei dipinti.
Il sogno più dolce è un romanzo complesso che, con precisione e pagina dopo pagina, ricostruisce un’epoca.

È una sera d’autunno e Frances è insolitamente felice, fluttua quasi. L’origine di quello stato d’animo risiede nel telegramma ricevuto, tre giorni prima, dal suo ex marito Johnny – il compagno Johnny - con il quale annunciava di aver sottoscritto un contratto per il filmato su Fidel e, soprattutto, il pagamento di tutti gli arretrati. Tale evento le permetterà di accettare la proposta di ottenere una parte in un lavoro teatrale con due protagonisti di alto livello e, va da sé, che per un’attrice minore come lei questa potrebbe essere un’ottima occasione. E, chiaramente, le permetterà di rifiutare l’altra proposta di lavoro del Defender: gestire una rubrica di consulenza ai lettori. Perché il teatro è sempre stato il suo sogno. Si sporge dalla finestra e, dall’angolo, vede giungere il maggiolino di Johnny e capisce subito: quei tre giorni impegnati a immaginarsi di calcare le scene di colpo svaniscono. Mentre scende le scale ha l’amara certezza di dover scrivere al Defender per accettare quel lavoro. Vede Johnny, spavaldo ma anche contrito, e, attorno al tavolo, diversi ragazzi, tra i quali i loro due figli, Andrew e Colin che, come lei, sanno che quei soldi annunciati non ci sarebbero stati, come era già successo in passato, come succedeva sempre. E lui, l’ex marito, il compagno adorato dai ragazzi presenti figli esclusi, conferma, con stampato in viso un sorriso addolorato: nessun contratto, niente soldi, troppi problemi, colpa della CIA. Già, la CIA. E i due figli si ritrovano davanti a una scena già vissuta troppe volte: la stessa che si ripeteva dalla loro infanzia. Niente di nuovo….

Doris Lessing amatissima autrice scomparsa a novantaquattro anni, nel 2013, vincitrice di numerosi premi nonché del Nobel per la letteratura nel 2007, ci racconta, in queste pagine dense, una storia familiare degli anni sessanta (e oltre) precisando peraltro, nella prefazione, come l’opera non costituisca un’autobiografia avendo ella optato per “scrittura basata sull’invenzione per non far soffrire alcune persone. Anzi per proteggerle.” Con la sua prosa ammaliante, scorrevole e precisa nei minimi dettagli, la Lessing ci regala il ritratto di una generazione, di un’epoca attraverso la descrizione degli eventi che avvengono all’interno di una grande casa. Una casa, di proprietà della suocera di Frances, abitata non solo dagli stretti familiari, ma da una miriade di giovani che vedevano in quel luogo una sorta di rifugio, di punto di riferimento. Una casa che ricorda una comune nella quale si sviluppano, si moltiplicano e si infrangono anni di sogni, di illusioni, di lotte e si muovono anche personaggi poco empatici ad iniziare dal compagno Johnny che in nome dei suoi sogni, dei suoi ideali, della “causa” non si preoccupa di porre un freno al suo ego ipertrofico e al suo egoismo. E poi ci sono le donne – tre generazioni di donne rappresentate da Frances, Julia e Silvya– diverse, distanti ma anche vicine che dominano l’opera, senza che però il romanzo possa, neanche per errore, essere considerato “per sole donne” definizione che, peraltro, la Lessing ha sempre rifiutato. E se l’intento dichiarato dell’autrice era quello di creare lo spirito degli anni sessanta diciamo che ci è riuscita pienamente.

sabato 23 luglio 2016

EX VOTO - Marcello Fois

Di miracoli e altre storie

Titolo: Ex voto
Autore: Marcello Fois
Editore: Minimum Fax
Anno: 2015
Pagine: 101
Genere: Romanzo breve

Mi incuriosiva leggere questo libro. Vedere la penna di Fois lontana dalla sua isola. Ed è inutile negarlo: un romanzo ben scritto, anche interessante, ma lontano da quel Fois che mi fa battere il cuore. E ci rimango pure male nel dirlo.

Australia, Adelaide. È il sabato della vigilia di Pasqua del 2014 e di pomeriggio, Ryan e Antonia, o meglio Tony, vanno in spiaggia a fare surf. In un attimo il cielo diventa scuro, i due a malapena riescono a radunare le loro cose e, rapidamente, raggiungono la macchina. Tornano a casa e, nel momento in cui sono a letto, arriva - interrompendo il loro amplesso - una telefonata. Ryan sente Tony che dice al suo interlocutore “quale ospedale?” e, ancora “sei veramente un coglione, John! Sto arrivando”. La conversazione termina, Ryan  aspetta una spiegazione, comprende solo che si trattava dell’ex marito di Tony. Silenzio. Jenny, la figlia di Tony si è fatta male, è in ospedale. Si offre di accompagnarla, ma lei rifiuta. Si precipita in ospedale, ad attenderla c’è John che le indica l’ambulatorio. Entra e la vede: lì a cavalcioni su un cavalletto che dondola le gambe. Niente di grave, solo una caduta mentre facevano il barbecue, un piccolo taglio allo zigomo. La sua bambina sta bene. Ha bisogno solo di una piccola medicazione. Già, la sua bambina di diciassette anni. Con le sue efelidi, la sua inseparabile bambola, Carlotta, e quei disegni sempre simili a macchie. E disegna, disegna in continuazione perché lei vuole sentirsi invisibile…

Marcello Fois con questa fulminea storia abbandona le atmosfere della sua isola, la Sardegna, per trasportarci in Australia. Tre donne le protagoniste: Antonia, sua figlia Jenny e sua madre, Mariarca. In un arco temporale ridottissimo, tre giorni che vanno dalla viglia di Pasqua al lunedì dell’angelo, si mescolano superstizioni, storie familiari, amore materno, elementi divini, scontri generazionali, e quel necessario confronto con le radici (napoletane, nel caso di Antonia) per quanto spesso si cerchi, per difesa, di chiuderle in un cassetto, per non ricordarle perché possono far male. Su tutte le loro vicende, i loro conflitti, le loro parole domina il concetto di miracolo che, in qualunque modo lo si intenda, diviene il nucleo centrale del romanzo perché è da quello che Mariarca chiese alla Madonna dell’Arco che tutto iniziò, è da quel miracolo che lei divenne per tutti  “la Strega” ed è lo stesso per il quale scapparono da Napoli per rifugiarsi in Australia. Ex voto nasce come supporto narrativo a uno studio antropologico relativo al culto napoletano della Madonna dell’Arco e conferma, ancora una volta, le grandi doti scrittorie di Fois e la sua capacità di indagare, come pochi sanno fare, l’animo umano anche se, a onor del vero, manca -in questo pur pregevole romanzo- quel pathos e quell’intensità che caratterizza le sue opere precedenti: inevitabile il confronto, con un po’ di nostalgia (lo ammetto), con la magia che regala la trilogia dedicata alla famiglia Chironi.


venerdì 13 novembre 2015

L'AMORE CATTIVO - Francesca Mazzucato

C'ERAVAMO TANTO NON-AMATI

Titolo: L'amore cattivo
Autore: Francesca Mazzucato
Editore: Giraldi
Anno: 2015
Pagine: 210
Genere: Romanzo



L’amore cattivo è, di fatto, un non-amore e la Mazzucato, scrittrice, giornalista e traduttrice, l’ha  raccontato con una intensità simile a quella con cui si racconta l’amore, con una grande sensibilità, con forza, con passione offrendoci un meraviglioso romanzo che sfianca, spezza, sfalda, sfascia fa male lasciandoci un segno del suo passaggio, incidendosi nell’anima, nel cuore e nella pelle.

“Stuprata dalla realtà e scheggiata dalla sfiducia. Vivi tra il bisogno di una fiaba e la vita che ti ha tolto un possibile lieto fine.”

(Pag. 102)
 
Nora è una quarantenne, vive a Milano, ha un lavoro che ama, è una donna coraggiosa nonostante tutto. Nonostante il suo passato, la sua infanzia di amore negato. Orfana dell’amore materno, schiacciata da sensi di colpa, dalla bulimia, dai tagli sul corpo. Era solo una bambina, una bambina sbagliata, imperfetta, inetta. Ha poche amiche, la sua vita è sempre stata solitaria. Quel passato fa ancora male e basta poco perché si ricatapulti nel suo presente, nella sua nuova vita: è sufficiente una telefonata di sua madre. Di nuovo ansia, panico, buio. Ma la vita pare regalarle qualcosa di bello che si incarna in Alessandro. Lo incontra in libreria. Dolce, colto, intelligente e pure bello.  Perde la testa, lui è diverso: così crede. Tutto va molto in fretta nonostante piccoli segnali, nonostante quegli atteggiamenti di Alessandro che lei non comprende bene, ma lo giustifica. Andranno a vivere insieme, ma ha come la sensazione di essere controllata, di non essere libera…

“L’amore cattivo morde il corpo e lo sventra. Avvilisce l’anima. La rimpicciolisce e la devasta. L’amore cattivo incenerisce ogni cosa. È piromane, assassino, criminale. Difficile però che resti lontano, escluso, in prigione. La cenere aumenta man mano. In maniera infida. Giorno dopo giorno. Restano polvere odore di bruciato, impronte di baci malefici. L’amore cattivo è senza suono e senza odore. La frontiera fangosa delle anime prostituite.”

(Pag. 171)

C’è l’amore che accoglie, protegge e riscalda e c’è l’amore cattivo che annulla ogni slancio, gela il cuore, ferisce è quello  nato dalle macerie di abbracci materni mancati, di parole d’affetto non  dette, di privazioni di sicurezze, di parole non ascoltate. Nora, delicata, intelligente cerca di soddisfare quel bisogno tutto umano di calore, bisogno innato di cui è rimasta solo una sete insaziabile. Crescere senza amore rende orfani. Per sempre. Parole taglienti, crude quelle della Mazzucato che riesce a scandagliare l’animo umano per portarci in un percorso, tutto salite e profondi precipizi, nelle troppe fragilità dell’animo femminile. Animo femminile tragicamente sensibile privato dei sogni più importanti: quelli dell’infanzia.
A fine lettura rimane un vuoto fatto di silenzi perché dove non c’è amore, o c’è un amore cattivo che è lo stesso, le parole son davvero poca cosa.

giovedì 20 novembre 2014

LA FELICITÀ DI EMMA - Claudia Schreiber


Mondi fuori dal mondo


Titolo: La felicità di Emma
Autore: Claudia Schreiber
Editore: Keller, 2010
Traduzione: Angela Lorenzini
Pagine: 240

Capita spesso che, nella lettura, ci si innamori di qualche personaggio  e che si crei un immaginario gruppo simil-ultrà per manifestare un tifo silenzioso, ma sfegatato. Ecco, “Forza Emma!” pensavo durante lo scorrere delle pagine perché lei, la protagonista, ha suscitato tutta la mia simpatia per la sua bizzarria, per il suo anticonformismo e per la sua capacità innata di coltivare sogni.
Emma alleva maiali, si confida con il suo gallo e ha un amico corvo il quale, poggiandosi sulla sua spalla, la accompagna nelle sue lunghe passeggiate. Vive da sola in una fattoria ereditata dai suoi genitori. Pare tranquilla, non curandosi della pulizia della casa che, col tempo, ha assunto i connotati di un domestico immondezzaio ricco di liquidi vari e non ben identificati, di muffa e di odori che si mescolano compulsivamente tra loro. Non ha le preoccupazioni tipicamente femminili (“Oddio, cosa mi metto oggi?”), ma Emma ogni notte prega affinché da lassù qualcuno le recapiti un uomo e la faccia diventare ricca. E, poiché è risaputo come le vie del signore siano infinite, un giorno le sue preghiere paiono esaudirsi. Arriverà, via incidente stradale, un giovane, Max, con molti soldi. Emma lo trova svenuto, lo osserva lo annusa, è perfetto: è l’uomo della sua vita. Ancora non sa che Max ha un cancro al pancreas e che manca poco alla sua morte.
Questo romanzo, pubblicato nel 2003, è stato un caso letterario in Germania, oggi tradotto in otto lingue e trasposto cinematograficamente, nel 2006,  con il titolo Emma Gluck per la regia di Sven Taddicken.  Con ironia, schiettezza e un pizzico di surrealismo la Schreiber ci trasporta in un mondo “fuori dal mondo”. Un piccolo universo fatto di semplici cose, di contatto diretto con la natura, dove troneggia  una donna che pare bastare a se stessa e che sembra dura e insensibile capace, fin dalle prime pagine, di conquistare il lettore.  Ma dietro quella corazza ricoperta da sgargianti colori, come le sue sottovesti, dietro le sue stravaganze – cito, solo a titolo esemplificativo, quella di fare lunghe corse con la sua vecchia moto onde  procurarsi il suo orgasmo quotidiano - che allietano e stupiscono piacevolmente, si nasconde una donna con un passato doloroso, che ha ereditato insieme con la fattoria e i suoi amati animali un’infanzia traumatica e una lunga serie di ricordi difficili da dimenticare. Ricordi che ustionano. Nonostante tutto, Emma è alla ricerca quasi spasmodica, di un sentimento che le riscaldi quel cuore troppo spesso spezzato, ma che, a dispetto di tutto,  riesce a battere ancora. I sogni, a volte, si realizzano per destino o, chissà, per la forza insita nelle preghiere. Ma è anche vero che la vita è troppo crudele dare qualcosa  gratuitamente, figuriamoci la realizzazione di un sogno. Tutto si paga. Ciò non impedisce di accarezzare delicatamente quei meravigliosi doni, di apprezzarli anche se fugaci, di viverli intensamente. Fino alla fine. Fino all’ultimo estremo atto. D’amore anch’esso. Eros e Thanatos convivono pacificamente, si incastrano alla perfezione come per magia in questa strampalata storia intrisa di un romanticismo atipico, non melenso, non stucchevole,  con una delicatezza che può appartenere solo a quel mondo “fuori dal mondo”. Solo al mondo di Emma.

lunedì 17 novembre 2014

NOME IN CODICE VERITY - Elizabeth Wein

AMICIZIA & GUERRA
 Titolo:Nome in codice Verity
Autore: Elisabeth Wein
Editore: Rizzoli
Anno 2013
Genere: Romanzo guerra
Traduttore: Giulia Bertoldo

Nel mondo infuria la seconda guerra mondiale con il suo spettacolo di terrore e angoscia. Nel novembre dell’anno 1943 l’aereo pilotato dalla giovane inglese Maddie viene abbattuto dal fuoco nemico. In quell’aereo c’era anche una passeggera, Julie Beaufort, agente scozzese del SOE la quale viene catturata dalla Gestapo. Julie stringerà un accordo con il glaciale Von Linden delle SS: in cambio della restituzione di ogni suo capo di vestiario dovrà rivelare una sequenza di codici. Ma non solo, Julie, in quella tetra e gelida cella, comprerà anche del tempo, esattamente due settimane oltre la carta e l’inchiostro per scrivere una confessione su tutto ciò di cui è a conoscenza sullo sforzo bellico inglese…Intanto Maddie, che Julie crede morta nell’incidente, cambia identità e ospitata in un piccolo paesino francese si unisce alla resistenza allo scopo di liberare la sua amica…
La Wein, scrittrice inglese, è una grande appassionata di volo e tale passione si è trasfusa in queste pagine avventurose nelle quali gli aerei hanno un ruolo dominante. Al di là dello scenario bellico, delle atrocità, delle sofferenze e delle tragedie emergono, quasi a edulcorare lo spettacolo triste della seconda guerra mondiale, due figure di donne molto diverse tra loro, appartenenti a due classi sociali differenti che, paradossalmente, la guerra ha avvicinato e che, presumibilmente, senza la guerra non si sarebbero mai incontrate: Maddie e Julie. Son loro che dominano la scena con la loro forza ed emancipazione, ma anche con le loro paure e le loro fragilità e le contraddizioni di due animi femminili. E su tutto emerge quel saldo legame di amicizia che unisce, fino alle fine, le due donne disposte a compiere qualsiasi gesto, anche il più atroce, in nome di un sentimento incontaminato e profondo. Ne risulta una bella storia ricca di suspence, di avventura e di amore che, per quanto sia frutto della fantasia dell’autrice, risulta molto credibile, ma, a onor del vero, la lettura non è comunque omogenea: ad una prima parte assai lenta e prolissa segue, e aggiungo per fortuna, una parte più scorrevole e più in sintonia con il genere del romanzo stesso. Altra nota negativa è data dalla presenza di numerosi refusi che fanno inalberare anche il lettore più distratto. Nel complesso, una lettura gradevole credo soprattutto per gli amanti del genere un po’ meno per me che di guerre e di aerei non sono esperta.

Altre recensioni:
L'usignolo, Kristin Hannah

domenica 16 novembre 2014

DONNE INNAMORATE - D. H. LAWRENCE

                                                     PENSAVO FOSSE AMORE...
                                                                    Titolo: Donne innamorate
                                                                       Autore: D. H. Lawrence
                                                               Editore: Newton & Compton
                                                                         Anno:1992                                                                                             Pagine: 482
                                              Traduzione: Delia Piergentili Agozzino
Sono trascorsi esattamente 22 anni dalla prima lettura, l’edizione è vecchissima, del ’92, ingiallita e sottolineata, le pagine si sono staccate e in mezzo ad esse ho trovato i biglietti per una festa scolastica nella quale ho immaginato di essermi divertita. Certo, ventidue anni sono tanti. Questo per dire che: sono una vecchia babbiona o quasi e, soprattutto,  rileggere Donne innamorate mi è piaciuto come la prima volta. Forse di più.

Siamo nell’Inghilterra post-industriale. Le sorelle Brangwen, Ursula e Gudrun, vivono nella cittadina di Beldover: la prima è un’insegnante di letteratura inglese e la seconda è un’artista, una scultrice, e fondamentalmente è uno spirito libero che ha viaggiato e conosce bene il mondo. L’esistenza di Gudrun si incrocerà con il bello e prestante Gerald Crich, che ereditando le miniere paterne ne è divenuto proprietario e le gestisce con uno zelo a dir poco ammirevole. Ursula, invece, conoscerà l’ispettore scolastico Rupert Birkin, cupo e estremamente riflessivo…
Pubblicato nel 1920 Donne innamorate costituiva, nelle intenzioni dell’autore, la continuazione ideale de L’arcobaleno da cui se ne discosta sia per lo spirito sia per l’ambientazione: i personaggi, infatti, si muovono in un’epoca dominata dal progresso industriale e urbano in un cielo grigio e soffocante come quello delle miniere di carbone. Lawrence con questo romanzo, intenso e profondamente meditativo, caratterizzato da una ininterrotta non-azione ha abbandonato la tradizione naturalista e, con essa, lo schema classico del romanzo ottocentesco per far spazio a riflessioni di natura  prettamente metafisica. Il romanzo è privo di un disegno coerente e lineare possiede, invece, una sua propria ondulazione data da lunghi, spesso lunghissimi dialoghi, da considerazioni profonde sull’uomo e sulla natura che si adagiano su uno sfondo pessimistico costellato da momenti di altissimo lirismo. In particolare emerge un netto contrasto tra Birkin, alter ego dell’autore, e Gerald. Se il primo si abbandona a lunghe e spesso altisonanti dissertazioni sulla vita e sulla morte, Gerald è proprio uomo del suo tempo emblema di una società materialistica nella quale tutto fa parte di un meccanismo perfetto dove più che esistere persone sembrerebbero esistere ingranaggi che, ogni tanto, hanno bisogno di piccole opere di manutenzione e nulla più.
Al di là del titolo che farebbe pensare a tutt’altro (tipo donne che soffrono per amore e piangono, piangono e piangono, per esempio) l’opera scandaglia, con meticolosità quasi chirurgica, l’animo umano nelle sue diverse sfaccettature e, soprattutto, analizza i rapporti tra uomo e donna facendo dell’amore quasi un’esperienza mistica. È palese come l’ottocento sia stato ormai lasciato alle spalle, le donne di austeniana memoria non ci sono più: abbiamo donne autonome, coraggiose e piene di contrasti che non vivono più in funzione del matrimonio (rimangono esseri umani anche se non convolano a nozze, oh che strano) e se, per le signorine Bennett, il matrimonio era una meta per Ursula è la fine di ogni esperienza.