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martedì 24 aprile 2018

QUANDO ERAVAMO ORFANI - Kazuo Ishiguro


Titolo: Quando eravamo orfani
Autore: Kazuo Ishiguro
Editore: Einaudi
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine: 332
Traduzione: Susanna Basso

Ishiguro si rivela sempre scrittore raffinato, anche se – a onor del vero – questo romanzo, pur pregevole, l’ho trovato, in alcuni punti, poco convincente, ingenuo quasi

Nell’estate del 1923 il giovane Christopher Banks, dopo aver terminato gli studi a Cambridge, decise di stabilirsi a Londra, nonostante la zia lo volesse con sé nello Shorphire. Il suo sogno, coltivato fin dall’infanzia e simbolicamente rappresentato da una lente di ingrandimento che i compagni di scuola gli regalarono anni addietro e dalla quale mai si separerà, di divenire investigatore, è ora una realtà. Piano, piano il suo nome diviene noto grazie ai casi che, man mano, risolve. I misteri e la ricerca della verità sono i suoi obiettivi principali. Già, i misteri. Uno in particolare. Uno che riguarda la sua famiglia, la sua infanzia. È quello il mistero che lo ossessiona. Perché tutta la sua esistenza pare non riuscire a smuoversi davvero, ad avere un senso, fintanto che non comprenderà le ragioni vere per le quali i suoi genitori furono rapiti a Shangai. Da quello strano rapimento derivò il suo viaggio, ancora bambino, verso l’Inghilterra, presso la zia. Ma lui ha deciso che tornerà lì, a Shangai, troverà il nascondiglio nel quale si trovano i suoi genitori, rivedrà il suo amico d’infanzia, Akira, perché è certo, il nostro Bansk che Akira si trovi ancora lì visto che ne era innamorato. Sarà quella la sua indagine più importante e seria della sua vita…
Kazuo Ishiguro insignito, lo scorso anno, del Premio Nobel per la letteratura, ancora una volta   conferma, con questo romanzo, la maestria, la delicatezza e la raffinatezza della sua scrittura sempre precisa, attenta e priva di sbavature.. Non ci sono grandi eroi tra le pagine, ci sono personaggi che vagano, ancorati a un passato che non hanno ben inquadrato, che errano con una bagaglio fatto di sogni, di paure, di desideri, tanti desideri. E quello di vagare, senza avere una dimora fissa, pare essere il destino di chi, come il protagonista, ma anche come Jennifer, è orfano: chi è orfano non ha una dimora, continua a cercare, indizi, verità, per colmare vuoti, per ricostruire, a piccoli passi, frammenti di vita passati divenuti, con il tempo, sfumati, poco precisi. Tale ricerca, quasi ossessiva, accompagna il giovane Bansk che vive nel presente, ma è sempre proiettato nella sua infanzia, nei ricordi, come se non avesse un’epoca, un posto suo. Per quanto si resti affascinati dalla bellezza della scrittura, per quanto il tema di fondo sia appassionante, non mancano delle ingenuità, delle coincidenze improbabili oltre che dei colpi di scena poco credibili, se non proprio irreali che, di fatto – è spontaneo il confronto – rendono quest’opera distante da Quel che resta del giorno, che conserva intatto il podio.


venerdì 9 febbraio 2018

IL SOGNO PIÙ DOLCE - Doris Lessing

Dipingendo generazioni 


Titolo: Il sogno più dolce
Autore: Doris Lessing
Editore: Feltrinelli 
Anno: 2017
Pagine: 455
Genere: Romanzo
Traduzione: Monica Pareschi

Ogni volta che leggo la Lessing rimango affascinata dalla sua prosa capace di creare dipinti, di persone, di epoche, di generazioni e di rimanere lì a contemplarli, quei dipinti.
Il sogno più dolce è un romanzo complesso che, con precisione e pagina dopo pagina, ricostruisce un’epoca.

È una sera d’autunno e Frances è insolitamente felice, fluttua quasi. L’origine di quello stato d’animo risiede nel telegramma ricevuto, tre giorni prima, dal suo ex marito Johnny – il compagno Johnny - con il quale annunciava di aver sottoscritto un contratto per il filmato su Fidel e, soprattutto, il pagamento di tutti gli arretrati. Tale evento le permetterà di accettare la proposta di ottenere una parte in un lavoro teatrale con due protagonisti di alto livello e, va da sé, che per un’attrice minore come lei questa potrebbe essere un’ottima occasione. E, chiaramente, le permetterà di rifiutare l’altra proposta di lavoro del Defender: gestire una rubrica di consulenza ai lettori. Perché il teatro è sempre stato il suo sogno. Si sporge dalla finestra e, dall’angolo, vede giungere il maggiolino di Johnny e capisce subito: quei tre giorni impegnati a immaginarsi di calcare le scene di colpo svaniscono. Mentre scende le scale ha l’amara certezza di dover scrivere al Defender per accettare quel lavoro. Vede Johnny, spavaldo ma anche contrito, e, attorno al tavolo, diversi ragazzi, tra i quali i loro due figli, Andrew e Colin che, come lei, sanno che quei soldi annunciati non ci sarebbero stati, come era già successo in passato, come succedeva sempre. E lui, l’ex marito, il compagno adorato dai ragazzi presenti figli esclusi, conferma, con stampato in viso un sorriso addolorato: nessun contratto, niente soldi, troppi problemi, colpa della CIA. Già, la CIA. E i due figli si ritrovano davanti a una scena già vissuta troppe volte: la stessa che si ripeteva dalla loro infanzia. Niente di nuovo….

Doris Lessing amatissima autrice scomparsa a novantaquattro anni, nel 2013, vincitrice di numerosi premi nonché del Nobel per la letteratura nel 2007, ci racconta, in queste pagine dense, una storia familiare degli anni sessanta (e oltre) precisando peraltro, nella prefazione, come l’opera non costituisca un’autobiografia avendo ella optato per “scrittura basata sull’invenzione per non far soffrire alcune persone. Anzi per proteggerle.” Con la sua prosa ammaliante, scorrevole e precisa nei minimi dettagli, la Lessing ci regala il ritratto di una generazione, di un’epoca attraverso la descrizione degli eventi che avvengono all’interno di una grande casa. Una casa, di proprietà della suocera di Frances, abitata non solo dagli stretti familiari, ma da una miriade di giovani che vedevano in quel luogo una sorta di rifugio, di punto di riferimento. Una casa che ricorda una comune nella quale si sviluppano, si moltiplicano e si infrangono anni di sogni, di illusioni, di lotte e si muovono anche personaggi poco empatici ad iniziare dal compagno Johnny che in nome dei suoi sogni, dei suoi ideali, della “causa” non si preoccupa di porre un freno al suo ego ipertrofico e al suo egoismo. E poi ci sono le donne – tre generazioni di donne rappresentate da Frances, Julia e Silvya– diverse, distanti ma anche vicine che dominano l’opera, senza che però il romanzo possa, neanche per errore, essere considerato “per sole donne” definizione che, peraltro, la Lessing ha sempre rifiutato. E se l’intento dichiarato dell’autrice era quello di creare lo spirito degli anni sessanta diciamo che ci è riuscita pienamente.

domenica 16 novembre 2014

DONNE INNAMORATE - D. H. LAWRENCE

                                                     PENSAVO FOSSE AMORE...
                                                                    Titolo: Donne innamorate
                                                                       Autore: D. H. Lawrence
                                                               Editore: Newton & Compton
                                                                         Anno:1992                                                                                             Pagine: 482
                                              Traduzione: Delia Piergentili Agozzino
Sono trascorsi esattamente 22 anni dalla prima lettura, l’edizione è vecchissima, del ’92, ingiallita e sottolineata, le pagine si sono staccate e in mezzo ad esse ho trovato i biglietti per una festa scolastica nella quale ho immaginato di essermi divertita. Certo, ventidue anni sono tanti. Questo per dire che: sono una vecchia babbiona o quasi e, soprattutto,  rileggere Donne innamorate mi è piaciuto come la prima volta. Forse di più.

Siamo nell’Inghilterra post-industriale. Le sorelle Brangwen, Ursula e Gudrun, vivono nella cittadina di Beldover: la prima è un’insegnante di letteratura inglese e la seconda è un’artista, una scultrice, e fondamentalmente è uno spirito libero che ha viaggiato e conosce bene il mondo. L’esistenza di Gudrun si incrocerà con il bello e prestante Gerald Crich, che ereditando le miniere paterne ne è divenuto proprietario e le gestisce con uno zelo a dir poco ammirevole. Ursula, invece, conoscerà l’ispettore scolastico Rupert Birkin, cupo e estremamente riflessivo…
Pubblicato nel 1920 Donne innamorate costituiva, nelle intenzioni dell’autore, la continuazione ideale de L’arcobaleno da cui se ne discosta sia per lo spirito sia per l’ambientazione: i personaggi, infatti, si muovono in un’epoca dominata dal progresso industriale e urbano in un cielo grigio e soffocante come quello delle miniere di carbone. Lawrence con questo romanzo, intenso e profondamente meditativo, caratterizzato da una ininterrotta non-azione ha abbandonato la tradizione naturalista e, con essa, lo schema classico del romanzo ottocentesco per far spazio a riflessioni di natura  prettamente metafisica. Il romanzo è privo di un disegno coerente e lineare possiede, invece, una sua propria ondulazione data da lunghi, spesso lunghissimi dialoghi, da considerazioni profonde sull’uomo e sulla natura che si adagiano su uno sfondo pessimistico costellato da momenti di altissimo lirismo. In particolare emerge un netto contrasto tra Birkin, alter ego dell’autore, e Gerald. Se il primo si abbandona a lunghe e spesso altisonanti dissertazioni sulla vita e sulla morte, Gerald è proprio uomo del suo tempo emblema di una società materialistica nella quale tutto fa parte di un meccanismo perfetto dove più che esistere persone sembrerebbero esistere ingranaggi che, ogni tanto, hanno bisogno di piccole opere di manutenzione e nulla più.
Al di là del titolo che farebbe pensare a tutt’altro (tipo donne che soffrono per amore e piangono, piangono e piangono, per esempio) l’opera scandaglia, con meticolosità quasi chirurgica, l’animo umano nelle sue diverse sfaccettature e, soprattutto, analizza i rapporti tra uomo e donna facendo dell’amore quasi un’esperienza mistica. È palese come l’ottocento sia stato ormai lasciato alle spalle, le donne di austeniana memoria non ci sono più: abbiamo donne autonome, coraggiose e piene di contrasti che non vivono più in funzione del matrimonio (rimangono esseri umani anche se non convolano a nozze, oh che strano) e se, per le signorine Bennett, il matrimonio era una meta per Ursula è la fine di ogni esperienza.