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giovedì 13 giugno 2019

COL CORPO CAPISCO - David Grossman

Titolo: Col corpo capisco
Autore:David Grossman
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Pagine: 308
Genere: Racconti
Traduzione: Alessandra Shomroni

Shaul li vede, li sente. Vede sua moglie Elisheva con l’altro, basta che chiuda gli occhi. E vede come Elisheva afferra la spalla dell’uomo e si piega per togliersi le scarpe. La vede aggrapparsi a quel corpo. I vestiti sparsi per terra. Shaul sa. E li vede anche in quella giornata di ottobre quando si trova a bordo di una Volvo con una gamba ingessata, mentre sua cognata, la moglie di suo fratello, Esti, è al volante. Dopo trenta minuti di viaggio i due cognati non hanno ancora iniziato qualcosa di simile a una conversazione. Esti ancora non sa che quel viaggio sarà l’occasione per sentire la storia di Elisheva e Shaul e di quel tradimento, di quel terribile tradimento che ossessiona Shaul, ma di cui lui ha la certezza pur non avendoli mai seguiti quei due. E forse anche Esti avrà qualcosa da raccontare… Sua madre è ammalata, a letto. Lei, Rotem, sua figlia, è tornata da Londra: è da due anni che non si vedono. La guarda, quella donna morente, e per quanto si forzi non riesce a collegarla alla donna che era, la regina delle indovine, ma che di lei non sa nulla. Rotem ha scritto e, soprattutto, ha scritto di sua madre. E, ora, al suo capezzale, le leggerà, sera dopo sera, quelle parole. Parole del passato, dell’infanzia, delle lezioni di yoga che sua madre, all’epoca, teneva e di quel ragazzino…
Col corpo capisco è il secondo dei due lunghi racconti che compongono l’opera del celebre autore israeliano e che, appunto, dà il titolo alla medesima. Racconti differenti certo, ma uniti da due elementi cardine: il corpo e il sentimento della gelosia, seppur visti con prospettive diverse. Infatti, se da un lato,  si descrive, con minuzia e con precisione quasi chirurgica com’è tipico di Grossman, il sentimento di gelosia all’interno di un matrimonio, dall’altro, la gelosia sarà il tarlo che intaccherà, in modo quasi traumatico, il rapporto di una figlia con la madre. E tutta la narrazione sarà un ruotare attorno al binomio corpo-gelosia, in una sorta di danza che alterna realtà e immaginazione, alternanza che, a tratti, viene meno, fino a creare una totale commistione tra realtà e pensiero fino a non scorgere più di alcuna linea di confine tra i due, creando terreno fertile per una dimensione nebulosa, sfumata, tipica del mondo onirico. Come negli altri suoi romanzi, Grossman riesce, e in ciò è sempre abile, a mettere a nudo l’animo umano, a compiere complesse analisi introspettive, a trasformare i corpi, tangibili, in sensazioni, per definizione non tangibili, a ridurre tutto al rango di sentimento. Ma nel far ciò porta tutto all’esasperazione e la lettura è, a tratti, faticosa, fors’anche per la ricchezza della sua lingua esacerbata dal continuo e ripetuto ricorso ad aggettivi che, ridondanti, affaticano.
Articolo già pubblicato su Mangialibri



giovedì 13 luglio 2017

LA SCENA PERDUTA - Abraham B. Yehoshua

Dentro la metafora

Titolo: La scena perduta
Autore: Abraham B. Yehoshua
Editore: Einaudi
Anno: 2011
Pagine: 367
Genere: Romanzo
Traduzione: Alessandra Shomroni


Intimistico, metaforico, ossessivo, simbolico, come viaggiare in un sogno i cui contorni non sono, né possono essere, mai netti. Aspramente criticato dagli amanti dell’autore, La scena perduta è stato, per me, una bella esperienza nella quale mi son piacevolmente persa in astratti e complessi meandri.

Spagna, Santiago de Compostela. Il regista israeliano, Yair Moses, nonostante l’età avanzata, si reca in Spagna per una retrospettiva dei suoi film. Ad accompagnarlo c’è Ruth, attrice, ancora ricca di grazia e di fascino, un tempo compagna di Shaul Trigano, suo sceneggiatore e, ora, divenuta “un personaggio affidato a lui”. Nei confronti della donna l’anziano regista ha dei riguardi particolari: è ignara del fatto che non avrà nessuna parte nel suo prossimo film. Inizia la prima giornata della retrospettiva e i due decidono di concedersi qualche ora di riposo nella lussuosa camera dell’hotel, prima che la situazione diventi troppo movimentata. E mentre Ruth dorme ancora, il regista osserva con attenzione una riproduzione alla parete: una giovane donna, col seno scoperto, allatta un vecchio muscoloso con  le mani legate dietro la schiena, un prigioniero forse. Scruta meglio per cercare il nome dell’artista, ma non lo trova, ci sono solo due parole: Caritas Romana. E ricorda la scena del suo film, la scena che Trigano scrisse e che Ruth fermamente rifiutò: no, non poteva rappresentare una donna che allattava un uomo. E quella scena fu tagliata, e quella scena perduta determinò la rottura tra Ruth e Trigano e l’allontanamento definitivo tra lo sceneggiatore e il regista…

L’israeliano Yehoshua non ha certo bisogno di presentazioni e con La scena perduta conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la sua grande abilità di scrittore. Risulta quasi automatico, nel corso della lettura, fare un’associazione tra il regista protagonista e lo scrittore stesso per quanto, infatti,il romanzo non sia totalmente autobiografico è vero che nello stesso, come ha dichiarato lo stesso autore, ci sono parti che in qualche modo sono sue: tanto per dirne una, i primi film di Moses riprendono due suoi racconti giovanili  – precisamente, L’ultimo comandante e Il rapido seerale di Yatir. Moses si ritrova a fare il famoso bilancio, a recuperare volti, immagini e suoni, quasi – il suo- un voler (o dover) tornare indietro nel tempo a recuperare qualcosa o qualcuno, a riprendere quella scena perduta che forse, noi tutti, abbiamo. Lontano dal realismo La scena perduta è un susseguirsi di simboli, di immagini evanescenti, di percorsi tutti a ritroso in un mondo in cui gli aspetti astratti e onirici meritano un posto d’onore. Forse abbiamo bisogno di ciò? Di simboli, di cose astratte, di metafore? E la risposta la dà lo stesso autore: Sì, ne abbiamo bisogno per fronteggiare la situazione che abbiamo intorno.