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giovedì 13 luglio 2017

LA SCENA PERDUTA - Abraham B. Yehoshua

Dentro la metafora

Titolo: La scena perduta
Autore: Abraham B. Yehoshua
Editore: Einaudi
Anno: 2011
Pagine: 367
Genere: Romanzo
Traduzione: Alessandra Shomroni


Intimistico, metaforico, ossessivo, simbolico, come viaggiare in un sogno i cui contorni non sono, né possono essere, mai netti. Aspramente criticato dagli amanti dell’autore, La scena perduta è stato, per me, una bella esperienza nella quale mi son piacevolmente persa in astratti e complessi meandri.

Spagna, Santiago de Compostela. Il regista israeliano, Yair Moses, nonostante l’età avanzata, si reca in Spagna per una retrospettiva dei suoi film. Ad accompagnarlo c’è Ruth, attrice, ancora ricca di grazia e di fascino, un tempo compagna di Shaul Trigano, suo sceneggiatore e, ora, divenuta “un personaggio affidato a lui”. Nei confronti della donna l’anziano regista ha dei riguardi particolari: è ignara del fatto che non avrà nessuna parte nel suo prossimo film. Inizia la prima giornata della retrospettiva e i due decidono di concedersi qualche ora di riposo nella lussuosa camera dell’hotel, prima che la situazione diventi troppo movimentata. E mentre Ruth dorme ancora, il regista osserva con attenzione una riproduzione alla parete: una giovane donna, col seno scoperto, allatta un vecchio muscoloso con  le mani legate dietro la schiena, un prigioniero forse. Scruta meglio per cercare il nome dell’artista, ma non lo trova, ci sono solo due parole: Caritas Romana. E ricorda la scena del suo film, la scena che Trigano scrisse e che Ruth fermamente rifiutò: no, non poteva rappresentare una donna che allattava un uomo. E quella scena fu tagliata, e quella scena perduta determinò la rottura tra Ruth e Trigano e l’allontanamento definitivo tra lo sceneggiatore e il regista…

L’israeliano Yehoshua non ha certo bisogno di presentazioni e con La scena perduta conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la sua grande abilità di scrittore. Risulta quasi automatico, nel corso della lettura, fare un’associazione tra il regista protagonista e lo scrittore stesso per quanto, infatti,il romanzo non sia totalmente autobiografico è vero che nello stesso, come ha dichiarato lo stesso autore, ci sono parti che in qualche modo sono sue: tanto per dirne una, i primi film di Moses riprendono due suoi racconti giovanili  – precisamente, L’ultimo comandante e Il rapido seerale di Yatir. Moses si ritrova a fare il famoso bilancio, a recuperare volti, immagini e suoni, quasi – il suo- un voler (o dover) tornare indietro nel tempo a recuperare qualcosa o qualcuno, a riprendere quella scena perduta che forse, noi tutti, abbiamo. Lontano dal realismo La scena perduta è un susseguirsi di simboli, di immagini evanescenti, di percorsi tutti a ritroso in un mondo in cui gli aspetti astratti e onirici meritano un posto d’onore. Forse abbiamo bisogno di ciò? Di simboli, di cose astratte, di metafore? E la risposta la dà lo stesso autore: Sì, ne abbiamo bisogno per fronteggiare la situazione che abbiamo intorno.


giovedì 14 luglio 2016

ANNI D'INFANZIA - Jona Oberski

"Di storie e di stelle"

Titolo: Anni d’infanzia. Un bambino nel lager
Autore: Jona Oberski
Editore. Giuntina
Anno: 1996
Pagine: 119
Traduzione: Amina Pandolfi
Genere: Romanzo autobiografico

La ferocia e il dolore raccontati da uno spettatore e cronista speciale: un bambino.

Il bimbo e la madre era stati presi dai soldati. Buio, in un luogo con le pareti di legno. Odori sconosciuti e rumori che confermavano la presenza di altre persone. La madre lo accarezza, lui chiede del papà. La madre lo consola dicendogli che è stato tutto uno sbaglio e che presto sarebbero tornati a casa, dal padre. Una settimana dopo, insieme ad altre poche persone, tornano davvero a casa. Ricomincia la vita normale, il compleanno del bimbo e quel regalo meraviglioso, un burattino, i giochi in strada. Ma anche i negozianti che si rifiutano di dar loro qualcosa, anche se pagano, e la stella gialla cucita nei vestiti. Una mattina il bimbo viene svegliato dalle urla di un uomo. Capisce che devono sbrigarsi. Devono partire, senza perdere tempo: il soldato continua a urlare. La mamma prepara le valigie. Il bimbo si ricorda del suo burattino: troppo tardi, la valigia era già stata chiusa. Il papà stacca il burattino dal muro e glielo porge: dovrà portarlo il piccolo.  Camminano con quelle valigie pesanti,. Arriva un camion, salgono con tanta altra gente. Il bimbo vedeva solo cappotti. Poi il viaggio in treno e, infine, la separazione dal padre – il bimbo starà con la madre - e una baracca: dal numero della stessa capisce che è un’altra rispetto a quella della volta precedente… 

"La mamma mi aveva cucito sul cappotto una stella gialla. Disse:<Guarda, ora hai anche tu una stella bella come quella del papà>."

L’olandese Jona Oberski, classe ’38, ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza del lager: era, allora, un bambino. E, dopo lunghi anni di analisi, ha ritrovato il bambino che lui è stato, il testimone di quell’atroce esperienza, e lo ha fatto parlare: infatti, nonostante Anni d’infanzia sia stato pubblicato nel 1978, trent’anni dopo l’esperienza vissuta, è comunque il bambino Oberski che parla non già l’adulto. Non è un caso che lo stesso Oberski abbia affermato che la guerra, prima del percorso terapeutico a cui si è sottoposto, per lui non era mai esistita e quando scrisse il libro voleva semplicemente “esprimere ciò che quella vicenda aveva significato per un bambino (…) e quando scrissi Anni d’infanzia i ricordi erano vividissimi come sono stati raccontati nel libro.”

"La sera la mamma mi domandò che cosa avevo fatto durante il giorno. Le raccontai che ero stato insieme ai ragazzi più grandi. Mi domandò se mi prendevano così senz'altro con loro e io le spiegai che ora sì, mi prendevano con loro, perché avevo superato la prova. Ero stato all'osservatorio. Lei mi domandò che cos'era, un osservatorio. Risposi che lo sapeva benissimo, che lì c'erano i cadaveri e che sapeva anche benissimo che mio padre era stato gettato sopra gli altri cadaveri e che non aveva neppure un lenzuolo e io avevo detto ai bambini che ne aveva sì uno, mentre avevo visto benissimo che non ne aveva. Mi misi a strillare che lei era matta a lasciare che lo buttassero così sugli altri cadaveri senza lenzuolo."

Una storia atroce che suscita tenerezza, ma sempre raccontata con estrema precisione per quella grande capacità che hanno i bambini di osservare i dettagli. L’esperienza del campo di concentramento vista attraverso il filtro degli occhi dei bambini che, con il loro candore, riescono a narrare episodi dolorosi e tristi (che sia la morte del padre o la follia della madre o, ancora, lo svolgere il compito di aiutante in cucina per raschiare i pezzi di patate rimasti attaccati al fondo dei pentoloni) con un una semplicità che solo loro hanno il privilegio di possedere. Dal romanzo è stato tratto, nel 1993, anche un film, Jona che visse nella balena, per la regia di Roberto Faenza.

Altri libri:
La scena perduta, Abraham Yehoshua