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mercoledì 2 agosto 2017

QUASI NIENTE - Mauro Corona, Luigi Maieron

“Se tuto gnènt”

Titolo: Quasi niente
Autori: Mauro Corona, Luigi Maieron
Editore: Chiarelettere
Anno: 2017
Genere: Saggio società
Pagine: 173

“Se tuto gnènt”(È tutto niente) è una citazione di Mario Rigoni Stern riportata all’inizio del libro e che, in qualche modo, ne costituisce uno dei fili conduttori. Quasi niente è una raccolta di discorsi tra due amici che si legge d’un fiato e nella quale si fa i conti con la vita, con se stessi, con quello che si è stati, con gli errori, con onestà e lealtà. Raccolta non indispensabile, forse, ma godibile.

In una malinconica giornata di ottobre i due si trovano di fronte al Col Nudo, la punta più alta delle Prealpi venete. Da piccolo, uno dei due, vedendo quella punta meravigliosa desiderava salirci. Era il suo sogno e avere sogni è tutto, i desideri, invece, ci spengono. Non è un caso che i sogni siano propri dell’infanzia che lasciano il posto ai desideri, tipici dell’età adulta. I due parlano delle donne di quei luoghi e ricordano la storia di Anna, cresciuta nel linguaggio della solitudine e morta per amore. Anna che non si vendica: lei non è capace di odiare, Anna è consapevole del fatto che il dolore è parte integrante della vita. E parlano del coraggio femminile della forza di quegli esseri che hanno l’innata capacità di elaborare il dolore, agli uomini non hanno insegnato a perdere, non hanno insegnato loro il valore della sconfitta che, spesso, è stimolo a migliorarsi. E continuano ricordando uomini che hanno visto in faccia il dolore e che di quel dolore ne hanno fatto la loro forza: Orlandin che aveva perso entrambe le mani a seguito dello scoppio di una bomba, a soli quindici anni. Orlandin che senza mani non poteva più suonare la sua fisarmonica e che, nella sua piccola bottega, voleva costruire nuovi arti che sapessero suonare. E ci riuscì. O la storia di Donada, il contrabbassista, che perse la falange dell’indice: il dito per lui più importante. Ma continuò a suonare: con un dito di legno vuoto simile a un ditale…

“Ma provando a vedere la vita con lealtà devo schierarmi dalla parte della donna. In queste valli sono stato uno dei primi a dire che era uguale al maschio, forse meglio. Nei libri ho dato alla donna il valore che ha e che merita, soprattutto a quelle donne che sono state sconfitte, picchiate, massacrate e alla fine ne sono uscite con dignità.” (Pag. 9)

Dall’amicizia tra Mauro Corona e Luigi Maieron, grande musicista friuliano, è nato questo libro che ha i toni di una lunga chiacchierata. E come le buone chiacchierate tra amici si può tranquillamente passare dai ricordi dell’infanzia, anche quelli tristi e dolorosi, al riportare in vita storie vecchie che hanno il sapore di leggende. E nelle pagine scorrono le vicende di personaggi comuni, ma che hanno qualcosa di speciale perché amavano la vita, perché erano animati da forti passioni come, per esempio, la musica. Personaggi che, solo in certi luoghi, son diventati leggendari, ma mai famosi, ai quali la penna di Mauro Corona si è ispirata nei suoi romanzi perché il loro ricordo non venisse a morire. E poi citazioni, richiami letterari e musicali, discorsi sull'educazione, sulle radici “elastiche” che per quanto ci si allontani da esse si potranno assottigliare, ma mai recidersi, sui mali del nostro tempo, parole a cascata dominate dalla compagnia calda e austera della montagna, saggia madre e anche matrigna. Montagna come libertà, montagna che è maestra. E la montagna, gli errori commessi e la vita insegnano, sempre.

“Alziamo il culo la mattina e ci sentiamo colpevoli di qualcosa che non abbiamo fatto. Siamo in trappola di noi stessi se non ci rassegniamo che possiamo anche perdere e fallire.” (Pag. 31)

E ci si rende conto, dopo anni, che la vera felicità sta nel non avere desideri e capire di non essere il centro del mondo, ma di esserne parte. Una sorta di riconciliazione con se stessi e con il mondo.


lunedì 25 luglio 2016

FAVOLA IN BIANCO E NERO - Mauro Corona

Brutta gente

Titolo: Favola in bianco e nero
Autore: Mauro Corona
Editore: Mondadori
Anno: 2015
Pagine: 93
Genere: Racconto

Si chiama favola, ma si legge invettiva.
Un Mauro Corona cattivissimo e, al tempo stesso, verissimo.
Brutta gente nel mondo. Brutti i pensieri, le azioni e le omissioni.

Avvenne tutto di sera in quello stesso paesino di montagna nel quale, due anni prima, la signora Leonida aveva notato l’assenza del Bambino Gesù. Ma questa volta è un po’ diverso: dando uno sguardo al presepe si nota che i Bambin Gesù son ben due.  Uno bianco e uno nero: con le braccine tese quasi a volersi tenere per mano. Ovvio che quei due non possano stare insieme. I razzisti si inalberano e, nell’immediato,  tentano di rimuovere il bambino color cioccolato, ma quello riappare. Anche i non razzisti, che in pubblico parlano di amore universale, di pace e fratellanza, nel segreto delle loro dimore, tentano di eliminarlo: o a martellate, se la statuina è di gesso oppure cercano di bruciarlo nella stufa, se è di legno: ma non serve, il bambino riappare subito dopo. Bisogna adottare soluzioni drastiche dicono i più decisi e, così, ricorrono alla magica dinamite per far saltare in aria le case: ma il bambino nero riappare, stavolta nelle loro tasche. La questione investe tutti i media nonché tutte le categorie di “esperti e cercatori dell’inutile”, ma nulla cambia. Naturalmente intervengono i Grandi del mondo per arrivare, dopo estenuanti sedute, a una conclusione: la necessità di verbalizzare, e, con atto pubblico,  l’impossibilità di separare i due. Ma, si sa bene “grandi del pianeta, soluzioni bonsai”. Che fare allora?...
Non si pensi di trovare in questa favola i boschi e i paesaggi delle montagne ertane, i cieli nevosi e l’aria pura. No, niente di tutto questo. Questa è una favola cattiva che assume i toni dell’invettiva. Corona, con l’immagine di due Bambin Gesù, di cui uno colorato, affonda la sua penna tagliente e decisamente arrabbiata nelle pecche dell’umanità che, di fatto, ha ben poco di umano “oramai l’esistenza di noi umani è disumana” dirà a un certo punto con amara consapevolezza. Perché l’uomo è egoista, vendicativo e tremendamente ipocrita. Ipocrisia che pare enfatizzarsi nel periodo natalizio dove c’è quasi -per quel male terribile che è il buonismo- la necessità abusare di belle parole: tutte finte, non sentite, sia chiaro. Perché, appunto, così dev’essere, perché è Natale. Non amiamo i nostri vicini, le disgrazie dei nostri amici ci rendono felici come ebbe a dire La Rochefoucauld, non accettiamo i diversi e i fatti recenti legati al fenomeno dell’immigrazione, al quale le parole di Corona inevitabilmente richiamano, lo dimostrano chiaramente. Perché noi siamo la guerra, amiamo la guerra e la vogliamo. E se il suo scopo dichiarato era quello di scrivere una fiaba cattiva sul Natale “perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni”, diciamo che c’è riuscito benissimo.