sabato 1 ottobre 2016

IL BASILICO RACCOLTO ALL'ALBA - Eugènie Genin

"Quand on à dix-sept  ans"
Titolo: Il basilico raccolto all’alba
Autrice: Eugènie Genin
Editore: Milena Edizioni
Anno: 2015
Pagine: 140
Genere: Romanzo erotico

Donne che crescono, scoprono, che entra nel mondo misterioso e affascinante del sesso. Indubbiamente, un buon esordio quello dell’autrice e, per quanto io non ami follemente la letteratura erotica, è ben vero che la Génin ha una scrittura interessante e delicata.

1988, estate. La sedicenne Doria si trova - e si annoia - nella pensione del padre che, anch’essa, si chiama Doria in onore della omonima squadra di calcio tifata, con anima e corpo, dal genitore. È il primo luglio, un venerdì come un altro quando fa ingresso nella pensione lui, il Professore che, diretto a Nizza, ha bisogno di una stanza per fare un pausa. Ha una mole importante, la barba ispida, nell'aspetto ricorda un orso. Doria, con la freschezza dei suoi anni con la sua canotta bianca e i pantaloncini in spugna rosa lo accompagna nella sua stanza. Dopo la prima rampa sente i suoi occhi nei suoi glutei e nota in lui in certo rossore. Imbarazzo, sicuramente. Ore dopo, lui tornerà in sala per la cena, con un libro che sfoglia lentamente. Lei mentre gli apparecchia la tavola, sbircia tra le pagine di quel libro. Lui la ignora. Che prima, nelle scale, la giovane abbia frainteso? Porta il bicchiere e legge tra quelle pagine “On n’est pas”. Già, Rimbaud. Il poeta maledetto. “On n’est pas sérieux quand on à dix-sept  ans”…

Eugènie Gènin è stata la moglie di Georges Méliès figura cardine nella storia del cinema ed è  è lo pseudonimo -o meglio, l’eteronimo come la stessa preferisce definirlo- scelto dall’autrice per il suo primo romanzo. Il basilico raccolto all’alba essenzialmente è una storia di formazione nel quale si racconta il percorso di crescita, sessuale ma non solo, della sedicenne protagonista: giovane, inesperta, curiosa, passionale e assetata di conoscenza quasi imprigionata nelle quattro mura della pensione paterna che, comunque, non riescono a tarparle le ali. Nasce e si sviluppa un continuo parallelismo tra la conoscenza del proprio corpo e la conoscenza in senso ampio. Per quanto la trama sia incentrata sulle esperienze sessuali, sull’iniziazione, sul sondare il misterioso e intrigante mondo di passione vi è anche altro. Infarcito di sentimento, di citazioni dotte e di poesia ne vien fuori romanzo molto delicato scevro di quelle volgarità che, spesso, caratterizzano i romanzi a sfondo erotico. Sicuramente un buon esordio, sicuramente una piacevole lettura per gli amanti del genere.


giovedì 29 settembre 2016

IL BAMBINO E IL MAGO - Salvatore Brizzi e Enrico Geminiani

Magie ritrovate
Titolo: Il bambino e il mago
Autori: Salvatore Brizzi e Riccardo Geminiani
Editore:Edizioni Il Punto d’Incontro
Anno: 2013
Pagine: 128
Genere: Saggio esoterismo

Magia e curiosità sono questi gli ingredienti di questo libro particolare che si legge in un soffio. Il bambino e il mago nasce con spirito ludico e arriva a regalare quei piccoli grandi insegnamenti che, troppo spesso, dimentichiamo.
Il piccolo Geremia trova in biblioteca un libro dalla copertina tutta bianca, La porta del Mago,  scritto dal mago Salvatore Brizzi. Stupito dal fatto che il bibliotecario gli dice che quel volume, proprio perché parla di magia, non possa essere interessante per un bimbo, Geremia decide di scrivere una lettera al Mago in persona, la cui risposta non tarderà ad arrivare. Inizierà tra i due una lunga corrispondenza attraverso la quale il Mago svelerà i suoi segreti al piccolo…
Il bambino e il mago nasce da un gioco: Geminiani, fingendosi un bambino, indirizza una prima lettera a Brizzi ponendogli delle domande, ispirategli da suo figlio, sul mondo della magia. Brizzi – conscio della sensibilità del piccolo – spiega allo stesso cosa significhi essere mago superando i luoghi comuni che riducono il mago a colui che fa sparire le persone o riesce con estrema facilità a estrarre conigli da un cilindro. Nulla di tutto questo: esser maghi significa, fondamentalmente, essere presenti a se stessi e avere la capacità di non giudicare il prossimo. Da questi principi cardini si dipanano una lunga serie di insegnamenti che non sono altro che un incitamento a guardarsi dentro, ad amare, a vivere secondo modalità che, troppo spesso, l’adulto dimentica perché troppo impegnato e soffocato da  condizionamenti esterni di vario tipo che gli fanno trascurare la sua vera essenza. Un libro che può piacevolmente essere letto anche da chi, come me, nutre un forte scetticismo nei confronti di tali tematiche perché, comunque, contiene verità profonde che più spesso dovrebbero essere applicate nella quotidianità, quali quella di ringraziare ogni giorno per ciò che si possiede o quella di donare senza necessariamente attendere qualcosa in cambio. Non è un caso che tale corrispondenza particolare si sia sviluppata con un bambino che ha la curiosità e la libertà spesso carenti nell’uomo adulto. E al di là delle proprie convinzioni personali, dello scettiscismo di ognuno di noi, è sicuramente un dato di fatto che la vera magia, di questi tempi, sia quella di essere presenti a se stessi.


lunedì 26 settembre 2016

I LIBRI SI PRENDONO CURA DI NOI - Régine Detambel

Mondi magici

Titolo: libri si prendono cura di noi
Autore: Régine Detambel
Editore: Ponte alle Grazie
Anno: 2016
Traduzione: Francesco Bruno
Genere: Saggio salute /Benessere
Pagine: 120

Interessante questo piccolo volume che si immerge nel mondo dei libri senza però fornire le classiche soluzioni miracolose che, spesso, son poco credibili.

I libri contengono già tutto, compresa l’arte di amare. Non esiste, infatti, nessun sentimento o emozione che sfugga a una rappresentazione verbale. Ed è proprio su questo che nasce e si sviluppa la biblioterapia, già sperimentata nei primissimi del ‘900, e definita compiutamente, nel 1961, nel Webster International come “l’utilizzo di un insieme di letture scelte quali strumenti terapeutici in medicina e psichiatria. E un mezzo per risolvere problemi personali grazie a una lettura guidata.” Pertanto, il libro è lo strumento dotato di forza immensa e capace di attuare un processo di liberazione e apertura oltreché modo eletto per uscire da forme di isolamento, per reinventarsi, riscoprirsi e rinascere. Il biblioterapeuta, nel suo percorso, dovrà semplicemente spingere il lettore a divenire “lettore di se stesso” in quanto le parole non hanno mai un fine in sé ma in noi. I libri, quelli buoni, sono quelli che incidono –a mo’ di bisturi- sulla sensibilità del lettore – in modo tale che egli riuscirà a vedere, con occhi completamente nuovi, gli oggetti più conosciuti come se li vedesse per la prima volta…
Régine Detambel, kinesiologa e scrittrice francese, in questo piccolo saggio ha riunito il materiale elaborato, nel corso degli anni, da vari studiosi in relazione al concetto e allo sviluppo della biblioterapia. Non è un caso che la stessa, sin da bambina, raccogliesse, ritagliasse e incollasse, con certosina pazienza le citazioni più diverse con una passione quasi da collezionista, lei stessa chiama i pezzi di tali raccolte “francobolli”. Interessante l’approccio adottato volto a creare una biblioterapia che sia creativa e che sia in grado di scuotere, come insegna Kafka con la metafora dell’ascia, abbandonando la c.d. biblio-coaching, di stampo anglosassone, tutta incentrata su letture “facili” e didascaliche. No, i libri devono essere complessi, lasciare spazio a interpretazioni,, a introspezioni, a tuffi e profonde nuotate nel nostro animo perché solo così potremmo trovarci o ritrovarci. No, quindi, a una biblioterapia medicalizzata in quanto tale arte non è né può ridursi a una semplice prescrizione: inutile, pertanto, attendersi da un biblioterapeuta un elenco di titoli tematici. In linea di massima, un libro interessante per l’approccio nuovo e lontano da libri simili nei quali, spesso, l’autore si pone sulla cattedra a dettare soluzioni magiche. Certo è, comunque, che la presenza costante – e quasi martellante – di citazioni e richiami renda la lettura un po’ macchinosa.

Altri libri:
Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi, Corrado Augias
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges

domenica 7 agosto 2016

I GIORNI SOSPESI - Anna Hope

Nessun vince
Titolo: I giorni sospesi
Autore:Anna Hope
Editore: Sperling & Kupfer
Anno: 2015
Pagine:348
Traduzione: Velia Februari
Genere: Romanzo storico


In soli cinque giorni si svolge la trama di questo gradevole romanzo che pone l’obiettivo sulle donne e sulla guerra e mette in evidenza quello che è il motore delle storie e, spesso, anche della Storia: il sentimento. Motore che, talora, si inceppa, senza mai fermarsi del tutto.

Londra, 1920. Hettie e Di sono in taxi e cercano il Dalton, il famoso locale notturno che è divenuto leggenda tanto che qualcuno ritiene nemmeno esista. Ma il locale esiste, eccome. Emozionate vi entrano, Di vede subito Humphrey, del resto è per lui che è andata nel club. A Hettie viene, invece, presentato Gus: massiccio, flaccido e con la pelle lucida dal sudore. Non certo un adone e sicuramente negato per il ballo, ma almeno è innocuo, pensa Hettie. Poi, appare lui, il fascinoso e misterioso Ed, bello “ma in modo particolare”… Evelyn vive con la sua amica Doreen. È mattina, la sveglia suona: Evelyn deve alzarsi in quelle gelide stanze, deve prepararsi per andare da sua madre perché è il giorno del suo compleanno. Ci sarà il solito pranzo di famiglia dove la perfezione è di casa…Jack e Ada sono sposati da venticinque anni. Un amore intenso il loro, coronato da un matrimonio ben riuscito. Ma c’è un ombra, quasi tangibile nella loro vita: la morte in guerra del loro figliolo, Michael. Ada non crede sia morto davvero, le capita, ogni tanto, di sentirlo e di vederlo, ma non riesce mai a raggiungerlo. Certo, di Michael non si parla in casa, perché non parlarne è meglio e certamente più semplice…

Un esordio ben riuscito quello della scrittrice americana Anna Hope, che con I giorni sospesi ha scritto un’opera apprezzata sia dai lettori sia dalla critica e, non è un caso, che ne sia prevista la pubblicazione in ben 12 Paesi. I giorni sospesi di cui al romanzo sono solo cinque e, in questo ristretto arco di tempo, si dipanano le storie di tre donne che hanno vissuto, da casa, quel mostruoso evento che è la guerra. E son rimaste ad aspettare e a raccogliere le ferite di una guerra nella quale, alla fine, nessuno vince se non, appunto, la guerra stessa. E pare non si possa trovare nessuna giustificazione per quei giovani la cui vita è stata troncata anzitempo da una granata, per quelle croci in terra straniera, per i pianti, per quel male che pare non finire mai. Un romanzo intimo, che scava nel fragile e complesso terreno del dolore immune a ogni balsamo lenitivo. Tenero, doloroso, ma che, comunque, regala un pugno di speranza poiché alla fine la vita con i suoi meccanismi, con le sue comparse, con le sue verità e le sue bugie ci impone di rialzarci, di andare avanti nonostante i macigni nel cuore. Un romanzo delicato su sentimenti forti che germogliano in un terreno reso arido dalla fredda macchina della guerra.

Altre recensioni:  
L'usignolo, Kristin Hannah             


venerdì 5 agosto 2016

GRANDE SENO, FIANCHI LARGHI - Mo Yan

Non solo tette

Titolo: Grande seno, fianchi larghi
Autore: Mo Yan
Editore: Einaudi
Anno: 2006
Pagine: 899
Traduzione: Giorgio Trentin
Genere: Romanzo

Un romanzo di ampio respiro, impegnativo e non solo per la mole. Una saga familiare che è anche la storia della Cina e cattura, affascina e appassiona. Un abile narratore Mo Yan capace di usare con maestria le parole per creare immagini, suoni e profumi. Ottima lettura.

Nella provincia orientale dello Shadong, in un villaggio rurale nei pressi di Gaomi, la giornata si presenta ricca di eventi. Innanzitutto, Shangguan Lu sta per partorire e nella sua famiglia ci si augura che, dopo sette femmine, il nascituro sia finalmente un maschio inoltre, durante il travaglio, è giunta la notizia che annuncia l’imminente arrivo dei diavoli giapponesi. Ma questi eventi, per la famiglia Shangguan, sono ben poca cosa rispetto all’altro parto che si sta svolgendo con molte difficolta nella stalla vicina: quello dell’asina nera. Alla fine, Shangguan Lu riuscirà a partorire due bimbi: una femmina affetta da cecità e il tanto agognato maschietto che sarà chiamato Jintong, il bimbo d’oro, il bimbo dai capelli biondi nato da una relazione clandestina di sua madre con il prete svedese Ma Luoya…

Attraverso la storia della famiglia Shangguan il premio Nobel 2012, Mo Yan, disegna una saga familiare che ripercorre quasi tutto il XX secolo della storia cinese: dalla società feudale degli anni trenta, all’invasione giapponese, a Mao fino all’odierno capitalismo.  Al centro della narrazione è la figura di Shangguan Lu, descritta dalle parole di Jintong che è voce narrante, la quale rappresenta la Madre capace di infondere non solo l’afflato vitale, ma anche e, nonostante tutto, di proteggere, di dare nutrimento e combattere una lotta quotidiana per la sopravvivenza dei suoi figli. Una figura quasi monumentale alla quale fa da contraltare Jintong, personaggio bizzoso e viziato, morbosamente legato al seno materno fino all’adolescenza e chiuso nel suo continuo – e quasi unico- impegno a soddisfare i suoi bisogni egoistici. Con uno stile che mescola abilmente realismo, crudezza e aspetti tragici con toni grotteschi e quasi poetici se non magici lo scrittore cinese dimostra le sua grandi doti affabulatorie grazie anche al lessico ricco e variegato e la certo non comune capacità di rendere quasi tangibili le immagini, acuti e talora gravi i suoni e inebrianti i profumi delle storie narrate.

martedì 2 agosto 2016

GLI AMICI NASCOSTI - Cecilia Bartoli

Volere l'impossibile: una vita normale


Titolo:  Gli amici nascosti
Autore: Cecilia Bartoli
Anno: 2014
Editore: Topipittori
Pagine: 64
Genere: Bambini
Età: dai 10 anni

Una storia difficile, tenera, dolorosa quella raccontata da Robera, un bimbo etiope, e affidata alla penna attenta di Cecilia Bartoli. Una storia come tante, purtroppo e che, comunque, regala un filo di speranza.

Robera è un bambino etiope nato in Sudan nella città che significa proboscide di elefante, Karthum. È venuto al mondo in quella città gialla come il deserto che la circonda perché i suoi genitori appartengono al gruppo etnico degli oromi e, spesso, si son visti costretti a viaggiare in tanti altri paesi per trovare gli “amici nascosti”, persone disponibili e dall’animo buono, persone come loro, persone per le quali basta un semplice sguardo per riconoscersi in qualunque posto si trovino. Robera e sua madre Taiba, tra i tanti viaggi che vestono sempre gli abiti di una fuga hanno fatto anche quello tormentato via mare verso l’Italia  prima di stabilirsi definitivamente in Norvegia…

Cecilia Bartoli nella sua attività di psicoterapeuta all’interno dell’associazione romana Asinitas ha conosciuto Robera, un bimbo etiope figlio di perseguitati politici. Tra le tante storie che la Bartoli ha ascoltato negli anni quella di Robera si è imposta tenacemente, non ammettendo di rimanere relegata in silenzio tra i suoi appunti, quasi dimenandosi per saltar fuori: è così che è nato questo piccolo libro che racconta, appunto, con gli occhi e la semplicità di un bambino, vicende tragiche e tristemente attuali che, a tratti, assumono il colore di una favola anche grazie al lieto fine tanto sospirato che è, in fondo per il bimbo etiope e i suoi genitori, solo il desiderio di una vita normale, del riconoscimento di diritti che dovrebbero essere naturali, di un briciolo di serenità. Il racconto pubblicato nella collana Gli anni in tasca, dal titolo del famoso film di François Truffaut del 1976, che ha come obiettivo quello di offrire al lettore storie autobiografiche di infanzie e adolescenze, è accompagnato dalle illustrazioni, tutte in bianco e nero, di Guido Scarabottolo che danno un valore aggiunto a una storia già toccante e tenera.

Altri libri:
Occhi chiusi spalle al mare, Donato Cutolo


domenica 31 luglio 2016

FRA I BOSCHI E L'ACQUA - Patrick Leigh Fermor

Sì, viaggiare

Titolo: Fra i boschi e l'acqua
Autore:Patrick  Leigh Fermor
Editore: Adelphi
Anno: 2013
Pagine: 290
Traduzione: Adriana Bottini, Jacopo M. Colucci

Genere: Libro di viaggio


Non conoscevo Fermor e scoprire che lo stesso era noto per essere un ribelle ha acuito la mia curiosità. Un libro molto interessante nel quale il senso dell’avventura ha un ruolo predominante. Ma non è solo un freddo resoconto di un viaggio, sia chiaro: è molto di più. È un'ode alla natura, è poesia, è magia, è amicizia. È un viaggio in senso lato ed è un viaggio meraviglioso.

Il suo arrivo a Esztergom fu preceduto da una lettera di un suo amico e indirizzata al borgomastro il quale veniva invitato  ad avere un occhio di riguardo per il giovane che aveva intrapreso il lungo viaggio verso Costantinopoli. Vi giunse il Sabato Santo proprio nel momento in cui una carrozza si arrestò e dalla stessa scese l'arcivescovo di Esztergom, principe-primate d'Ungheria. La folla, quella stessa che il giovane vide precedentemente nelle rive del Danubio, riempì l'immensa cattedrale: erano giovani fanciulle, contadini, borghesi, zingare dai colori sgargianti, militari, monache. E fu un tripudio di luci e fu una distanza abissale dall'oscurità che dominava la piccola chiesa slovacca vista solo due giorni prima...
Il giovanissimo ribelle e indisciplinato Fermor nell’anno 1934 decise di intraprendere, a piedi, un viaggio da Londra a Costantinopoli. La prima parte di tale avventuroso viaggio è narrata in Tempo di regali a cui ha fatto seguito, appunto, Fra i boschi e l'acqua che ne costituisce la seconda parte e  che descrive il percorso che inizia nel confine tra Slovacchia e Ungheria fino all'arrivo al Ponte di Ferro. Definire questa maestosa opera come un resoconto di viaggio sarebbe quantomeno riduttivo perché esso è un percorso di crescita, un continuo arricchimento, una immersione nella natura, una conoscenza di tradizioni e leggende di vari popoli, è anche una lunga serie di aneddoti, di storie di amicizie, è, ma non esclusivamente, un'immersione nella natura,una contemplazione di quelle stelle che spesso hanno costituito il tetto del giovane viaggiatore. Le parole di Fermor sono cariche di fascino, le sue dettagliate descrizioni raggiungono picchi di lirismo che lasciano a bocca aperta il lettore che si vede regalare, pagina dopo pagina, delle vere e proprie perle. E se questo è il regalo che il lettore riceve vien naturale perdonare quel viandante per il fatto che non abbia mantenuto integralmente il proposito iniziale: fare tutto il viaggio a piedi.

mercoledì 27 luglio 2016

FINZIONI - Jorge Luis Borges

Datemi un labirinto e lasciatemi lì


Titolo: Finzioni
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Einaudi
Anno: 2004
Pagine: 154
Genere: Racconti
Traduzione: Franco Lucentini

Arricchisce, confonde, apre la mente, l’immaginazione, fa sognare. Tutto questo è Borges, l’immenso Borges. Difficile parlarne, difficile dire tutto ciò che la lettura dei suoi libri mi lascia ogni volta. Tanto, certo, ma indefinibile. Finzioni è una meravigliosa raccolta di racconti che riesce a trasportarci quasi in un’altra dimensione, in un mondo diverso che, a sua volta, potrebbe essere il riflesso di un altro mondo ancora che non avevamo considerato. Tutto può essere: anche il contrario di tutto. Aprire le porte a Borges ed entrare nei suoi labirinti è quanto di meglio abbia fatto da quando ho iniziato a leggere.

A notte fonda, si scoprì la mostruosità posseduta dagli specchi. Infatti “gli specchi come la copula sono abominevoli poiché moltiplicano il numero degli uomini”: questa frase riportata da Bioy Cassidy fu pronunciata, a suo dire, da un eresiarca di Uqbar. Ma come mai l’Enciclopedia Britannica non parla di Uqbar?  Sarà la scoperta, fortuita, di un volume dell’Enciclopedia di Tlon a chiarire il mistero e scoprire un mondo nuovo… Nel ’32 esce, a Bombay, stampato su carta che pareva quasi di giornale il primo romanzo poliziesco il cui protagonista, giovane studente, dedica la sua vita alla ricerca di un’anima attraverso i riflessi che ha lasciato nelle altre… Esiste un’opera incompiuta e sotterranea di Pierre Mènard: Il Don Chisciotte. Mènard non intendeva affatto scrivere un altro Don Chisciotte che si affiancasse a quello di Cervantes, egli voleva proprio scrivere il Chisciotte producendo pagine che, parola per parola, coincidessero. Voleva essere Cervantes… Un uomo taciturno proveniente dal sud sbarca con la sua canoa di bambù, bacia la terra, si arresta in prossimità delle rovine di un tempio. Si addormenta. Sogna di trovarsi al centro del tempio e di dettare, ad un collegio di studenti, lezioni di anatomia, cosmografia e magia. Un giorno capisce di non aver sognato e, infine, comprende che lui era solo una parvenza e che un altro lo stava sognando… A Babilonia ogni momento della vita dei cittadini è deciso da un sorteggio effettuato da una Compagnia il cui precipuo compito è quello di stabilire l’ordine… L’Universo è formato da una infinita Biblioteca, suddivisa in esagoni e che contiene tutti i libri pensabili che, a loro volta, sono costituiti  da tutte le possibili combinazioni delle 22 dell'alfabeto, del punto e della virgola…
I quattordici racconti contenuti in Finzioni suddivisi in due parti – Il giardino dei sentieri che si biforcano Artifici - sono stati pubblicati in Argentina nel ’44 e l’edizione Einaudi ce li offre con la traduzione curata da Lucentini che, in nota, sottolinea di aver rivisto la traduzione del ‘55 in modo da renderla più “spagnoleggiante e letterale”. Non si può dimenticare come per Borges il racconto fosse la forma letteraria perfetta poiché analogamente alla poesia il racconto ha la capacità di concentrarsi sull’essenziale. In queste parole pronunciate dall’autore nel corso di un’intervista, emerge quel legame tra società attuale e racconto: una società in movimento, basata sulla velocità della comunicazione che non si presta ai prolissi romanzi che richiedono tempo e comporterebbero un inaccettabile rallentamento. Finzioni si pone su piano pluridisciplinare, non segue un percorso lineare, i concetti si deformano, si ampliano, si ramificano. Il fulcro dell'opera è il tema del labirinto – come lo era nell’altra raccolta L’Aleph - tema caro a Borges, non a caso definito dall’Enciclopedia Einaudi  del 1979 il più grande labirintologo contemporaneo. L’autore, infatti, mostra una predilezione per le situazioni confuse, labirintiche, dai contorni non ben delineati, matasse aggrovigliate nelle quali non si riesce a trovare il bandolo, quasi prive di logica. I suoi labirinti, rispecchiano lo schema del monoviario classico – secondo la classificazione fattane da Umberto Eco - ma ciò che a lui  preme non è il percorso in quanto tale, ma il centro. E soprattutto quell’attività, essenzialmente spirituale, che l’uomo deve compiere per raggiungerlo. Ai labirinti si affiancano, in numerosi racconti, sia il tema dell’infinito sia il concetto binomiale di tempo-eternità, già visto in altri autori, basti pensare ai racconti di Kafka e in particolare La muraglia cinese o Davanti alla legge. Numerose le metafore: la ricerca infinita da parte dell’uomo di qualcosa che dia un senso alla vita o alla ricerca. E poi, concetti matematici, filosofici, meta letteratura, recensioni geometricamente perfette di opere inesistenti di autori inesistenti. In questo sofisticato labirintico meandro di meta- letteratura, di specchi che ampliano e deformano, di letteratura che diviene fantasia paradossalmente reale la mente del lettore viene rapita e nessuno vorrebbe pagare il riscatto per liberarsene.  

Altri libri:
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges


lunedì 25 luglio 2016

FAVOLA IN BIANCO E NERO - Mauro Corona

Brutta gente

Titolo: Favola in bianco e nero
Autore: Mauro Corona
Editore: Mondadori
Anno: 2015
Pagine: 93
Genere: Racconto

Si chiama favola, ma si legge invettiva.
Un Mauro Corona cattivissimo e, al tempo stesso, verissimo.
Brutta gente nel mondo. Brutti i pensieri, le azioni e le omissioni.

Avvenne tutto di sera in quello stesso paesino di montagna nel quale, due anni prima, la signora Leonida aveva notato l’assenza del Bambino Gesù. Ma questa volta è un po’ diverso: dando uno sguardo al presepe si nota che i Bambin Gesù son ben due.  Uno bianco e uno nero: con le braccine tese quasi a volersi tenere per mano. Ovvio che quei due non possano stare insieme. I razzisti si inalberano e, nell’immediato,  tentano di rimuovere il bambino color cioccolato, ma quello riappare. Anche i non razzisti, che in pubblico parlano di amore universale, di pace e fratellanza, nel segreto delle loro dimore, tentano di eliminarlo: o a martellate, se la statuina è di gesso oppure cercano di bruciarlo nella stufa, se è di legno: ma non serve, il bambino riappare subito dopo. Bisogna adottare soluzioni drastiche dicono i più decisi e, così, ricorrono alla magica dinamite per far saltare in aria le case: ma il bambino nero riappare, stavolta nelle loro tasche. La questione investe tutti i media nonché tutte le categorie di “esperti e cercatori dell’inutile”, ma nulla cambia. Naturalmente intervengono i Grandi del mondo per arrivare, dopo estenuanti sedute, a una conclusione: la necessità di verbalizzare, e, con atto pubblico,  l’impossibilità di separare i due. Ma, si sa bene “grandi del pianeta, soluzioni bonsai”. Che fare allora?...
Non si pensi di trovare in questa favola i boschi e i paesaggi delle montagne ertane, i cieli nevosi e l’aria pura. No, niente di tutto questo. Questa è una favola cattiva che assume i toni dell’invettiva. Corona, con l’immagine di due Bambin Gesù, di cui uno colorato, affonda la sua penna tagliente e decisamente arrabbiata nelle pecche dell’umanità che, di fatto, ha ben poco di umano “oramai l’esistenza di noi umani è disumana” dirà a un certo punto con amara consapevolezza. Perché l’uomo è egoista, vendicativo e tremendamente ipocrita. Ipocrisia che pare enfatizzarsi nel periodo natalizio dove c’è quasi -per quel male terribile che è il buonismo- la necessità abusare di belle parole: tutte finte, non sentite, sia chiaro. Perché, appunto, così dev’essere, perché è Natale. Non amiamo i nostri vicini, le disgrazie dei nostri amici ci rendono felici come ebbe a dire La Rochefoucauld, non accettiamo i diversi e i fatti recenti legati al fenomeno dell’immigrazione, al quale le parole di Corona inevitabilmente richiamano, lo dimostrano chiaramente. Perché noi siamo la guerra, amiamo la guerra e la vogliamo. E se il suo scopo dichiarato era quello di scrivere una fiaba cattiva sul Natale “perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni”, diciamo che c’è riuscito benissimo.

sabato 23 luglio 2016

EX VOTO - Marcello Fois

Di miracoli e altre storie

Titolo: Ex voto
Autore: Marcello Fois
Editore: Minimum Fax
Anno: 2015
Pagine: 101
Genere: Romanzo breve

Mi incuriosiva leggere questo libro. Vedere la penna di Fois lontana dalla sua isola. Ed è inutile negarlo: un romanzo ben scritto, anche interessante, ma lontano da quel Fois che mi fa battere il cuore. E ci rimango pure male nel dirlo.

Australia, Adelaide. È il sabato della vigilia di Pasqua del 2014 e di pomeriggio, Ryan e Antonia, o meglio Tony, vanno in spiaggia a fare surf. In un attimo il cielo diventa scuro, i due a malapena riescono a radunare le loro cose e, rapidamente, raggiungono la macchina. Tornano a casa e, nel momento in cui sono a letto, arriva - interrompendo il loro amplesso - una telefonata. Ryan sente Tony che dice al suo interlocutore “quale ospedale?” e, ancora “sei veramente un coglione, John! Sto arrivando”. La conversazione termina, Ryan  aspetta una spiegazione, comprende solo che si trattava dell’ex marito di Tony. Silenzio. Jenny, la figlia di Tony si è fatta male, è in ospedale. Si offre di accompagnarla, ma lei rifiuta. Si precipita in ospedale, ad attenderla c’è John che le indica l’ambulatorio. Entra e la vede: lì a cavalcioni su un cavalletto che dondola le gambe. Niente di grave, solo una caduta mentre facevano il barbecue, un piccolo taglio allo zigomo. La sua bambina sta bene. Ha bisogno solo di una piccola medicazione. Già, la sua bambina di diciassette anni. Con le sue efelidi, la sua inseparabile bambola, Carlotta, e quei disegni sempre simili a macchie. E disegna, disegna in continuazione perché lei vuole sentirsi invisibile…

Marcello Fois con questa fulminea storia abbandona le atmosfere della sua isola, la Sardegna, per trasportarci in Australia. Tre donne le protagoniste: Antonia, sua figlia Jenny e sua madre, Mariarca. In un arco temporale ridottissimo, tre giorni che vanno dalla viglia di Pasqua al lunedì dell’angelo, si mescolano superstizioni, storie familiari, amore materno, elementi divini, scontri generazionali, e quel necessario confronto con le radici (napoletane, nel caso di Antonia) per quanto spesso si cerchi, per difesa, di chiuderle in un cassetto, per non ricordarle perché possono far male. Su tutte le loro vicende, i loro conflitti, le loro parole domina il concetto di miracolo che, in qualunque modo lo si intenda, diviene il nucleo centrale del romanzo perché è da quello che Mariarca chiese alla Madonna dell’Arco che tutto iniziò, è da quel miracolo che lei divenne per tutti  “la Strega” ed è lo stesso per il quale scapparono da Napoli per rifugiarsi in Australia. Ex voto nasce come supporto narrativo a uno studio antropologico relativo al culto napoletano della Madonna dell’Arco e conferma, ancora una volta, le grandi doti scrittorie di Fois e la sua capacità di indagare, come pochi sanno fare, l’animo umano anche se, a onor del vero, manca -in questo pur pregevole romanzo- quel pathos e quell’intensità che caratterizza le sue opere precedenti: inevitabile il confronto, con un po’ di nostalgia (lo ammetto), con la magia che regala la trilogia dedicata alla famiglia Chironi.


giovedì 21 luglio 2016

DESTINI VERTICALI - Alessandro Toso

"Sfide"

Titolo: Destini verticali
Autore: Alessandro Toso
Editore: Ediciclo
Anno: 2014
Pagine: 208
Genere: Romanzo

Un libro che, a guardarlo, pare un taccuino. Una storia graziosa ambientata nelle fredde montagne nelle quali si muovono i protagonisti con il loro passato. Umano, molto umano. E voglia di assaggiare 'sta sgnapa.

In un rifugio di montagna si ritrovano quattro giovani amici: Paco, Gildo, Roger e Berto oltre il proprietario, Steno. È una giornata tranquilla, tra un bicchiere di sgnàpa e l’altra, i giovani chiacchierano vivacemente sognando di entrare nelle mutandine di qualche bella rieda o, ancora, di poggiare il fondoschiena sulle morbide pelli dei sedili di una potente macchina. A un certo punto, nel rifugio cala il  silenzio: quella chiassosa combriccola viene interrotta dall’ingresso del vecchio Corin, amico del padre di Paco – nonché ritenuto responsabile della sua morte e anche ex fidanzato della madre del giovane. La tensione sale e mentre tutti attendono una rissa tra i due che pare inevitabile, Corin lancerà una sfida al giovane, il quale accetterà…

Alessandro Toso, già conosciuto al grande pubblico per la sua partecipazione al talent show “Masterpiece” e per i suoi racconti, debutta con Destini verticali come romanziere. Il mondo descritto nelle sue pagine è un mondo tutto al maschile che si muove tra montagne impervie e cieli offuscati nei quali si consuma una sfida anch’essa, ovviamente, tutta al maschile. Ma, in fondo, il vero protagonista di quella sfida è Zirio, il padre di Paco che morendo in quel terribile incidente ha lasciato al figlio una pesante eredità: quella di vendicarlo: o almeno questa è l’interpretazione che ne ha dato Paco. Ma quella competizione, sentita come necessaria e inevitabile, diventerà l’occasione per i due partecipanti di una profonda introspezione. Toso ci presenta una storia fatta di emozioni, sentimenti, contrasti e paure tutte umane che, quasi impercettibilmente proprio come la neve, riempiono pagine di godibilissima lettura


Altre recensioni:
A galla, Alessandro Toso




mercoledì 20 luglio 2016

EREDITÀ - Lilli Gruber

"Heimatando"

Titolo: Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo
Autore: Lilli Gruber
Editore: Rizzoli
Anno 2012
Pagine: 354
Genere: Romanzo

Un vecchio diario. Tutto è partito da lì. Poi le storie familiari che si intrecciano con la Storia. Una riscoperta del passato e di se stessi.

Sudtirolo, piccolo villaggio di Pinzon. Rosa Rizzolli, nata Tiefenthaler, prende il suo diario con la copertina in pelle marrone e, dopo aver intinto la penna nell’inchiostro, annota in tedesco antico “Novembre 1918”. Non indica il giorno perché non è necessario: ogni santo giorno di quel nefasto mese è stato segnato da sofferenze. Il suo piccolo grande mondo sta per spezzarsi: dopo l’armistizio con l’esercito italiano il Sudtirolo passerà all’Italia. Rosa soffre perché è conscia del fatto che la sua vita cambierà drasticamente, teme per la sua famiglia, per tutto il suo popolo e per la sua identità ormai minata. Si avvicina al lettino dove dorme la sua ultima figlia, la piccola Hella di soli due anni, e si chiede, senza darsi una risposta,  se quella giovane creatura innocente potrà un giorno conoscere la felicità…


Il ritrovamento del diario della bisnonna  ha offerto a Lilli Gruber, volto noto della televisione italiana, il primo spunto per dare alle stampe un romanzo sincero e appassionato nelle cui pagine la sua famiglia diviene il filtro attraverso il quale si snodano gli eventi storici che coprono un arco di tempo che va dalla fine dell’ottocento sino al fascismo. La Gruber che è cresciuta “in un continuo dialogo con il passato che non voleva passare” ha continuato questo dialogo intenso mettendo nero su bianco i travagli di un popolo, quello del Sudtirolo, e la sua dura lotta per conservare l’identità dando voce a quel sentimento che lega le persone alla propria heimat che è un concetto che va al di là di quello, troppo riduttivo, di patria o di luogo natio, è un sentimento ben più profondo, viscerale e perciò stesso intraducibile. Pagine intense quelle di Eredità nelle quali la forte carica emotiva si unisce armoniosamente con la verità storica spesso crudele, spesso difficile da accettare. 

martedì 19 luglio 2016

CARBONIA - Nanni Balestrini

Sodomie

Titolo: Carbonia. Eravamo tutti comunisti
Autore: Nanni Balestrini
Editore: Bompiani
Anno: 2013
Pagine: 83
Genere: Romanzo

Incalzante, martellante quasi, parole che si susseguono senza interruzioni,come canzone ben ritmata. Incazzato, blasfemo, amaro e fatalista: siamo tutti fottuti. 

Durante la guerra si arruola in Marina e la sua nave sarà colpita dall’aviazione angloamericana. Ferito, sarà condotto in ospedale. Dopo la fuga del re e degli ufficiali  anche lui tenta di fuggire attraverso le montagne, ma viene catturato dei tedeschi e condotto in un campo delle SS. Qui scopre di essere comunista. Scopre di odiare i fascisti e i tedeschi. Qualche tempo dopo si ritroverà a Livorno ad assistere alla reazione violenta del popolo per l’attentato di Togliatti. Torna in Sardegna e dopo un breve periodo nel suo paese si ritroverà a Carbonia a lavorare in miniera per scelta quasi obbligata: primo perché ha messo incinta la sua ragazza ed è opportuno sfuggire a un matrimonio riparatore e secondo perché nel suo paesino è pieno di fascisti travestiti da democristiani che lui, si sa, non sopporta. Perché lui è comunista e odia i fascisti anche se travestiti…

Nanni Balestrini, classe 1935, grande esponente del movimento di neovanguardia Gruppo 63 e autore del famosissimo romanzo politico Vogliamo tutto torna a parlarci con Carbonia dei deboli, degli ultimi e lo fa attraverso la voce del protagonista, un minatore, che urlando, bestemmiando e non abbandonando mai i suoi propositi di lotta dà voce a un’intera classe sociale. Con una prosa ridotta all’essenziale, con frasi taglienti e incisive, privo di pause - non è presente, nell’opera, alcun segno di interpunzione- Carbonia è un romanzo vero, crudo e forte nel quale il punto forte è, senza dubbio, l’originalità dello stile. Un racconto di lotte, di soprusi subiti, di scioperi, di sofferenze dominato da una sorta  di amarezza di fondo quasi a voler dimostrare come nonostante la guerra, nonostante la liberazione, - qualunque essa sia - rimarrà sempre l’inestirpabile e eterna dicotomia tra sfruttati e sfruttatori “…e così noi ce la pigliamo sempre nel culo”. Amen.

Altri libri:
Il domatore, Alberto Secci



lunedì 18 luglio 2016

RADICI - Alex Haley

"Perché?"
Titolo: Radici
Autore:Alex Haley
Editore: BUR
Anno: 1980
Pagine: 505
Traduzione: Marco Amante
Genere: Romanzo

Radici è uno di quei libri per i quali si dice, una volta finito, “Ma perché non l’ho letto prima?”. Cinquecento pagine che affascinano, incantano, e suscitano, nel lettore, una miriade di sensazioni oscillanti tutte intorno a un sentimento di rabbia nei confronti del genere umano. E, inoltre, c’è stato anche tutto quel recupero dei tempi andati, il tornare indietro nel tempo, a quando bambina, con la mia famiglia, c’era l’appuntamento in tv con la miniserie omonima e l’indimenticabile Kunta Kinte Quegli appuntamenti serali di una volta che avevano il sapore di un rito. Magico.

Gambia, 1750. È una giornata di inizio primavera quando, nel villaggio di Jaffure, nasce il figlio nero-ebano di Omoro e Binta Kinte. In quel villaggio, nel quale il trascorrere del tempo si misura con le lune e con le piogge, la nascita di un maschio è di buon auspicio per tutto il parentado. Omoro, novello padre, segue quella che è una tradizione da tempo immemorabile: nei sette  giorni successivi alla nascita dovrà dedicarsi solo alla scelta del nome. Il nome è qualcosa di prezioso, deve contenere storia e promesse poiché per la sua tribù, Mandinka, il bimbo erediterà le virtù delle persona o cosa di cui porterà il nome. L’ottavo giorno, Omoro esce dalla sua capanna e si piazza davanti all’assemblea trepidante, solleva il bimbo tra le braccia sussurrandogli, per tre volte,  Kunta Kinta: il nome del nonno. Passano le lune, Kunta Kinte, vive felice la sua infanzia, lavora, cresce e, finalmente, può indossare il suo primo dundiko e smettere di andare nudo come un fanciullo. Quando suo fratello gli domanderà cosa siano gli schiavi lui non sa rispondere, si informa e capisce che “esiste una terra dove vendono gli schiavi a dei grossi, grossissimi cannibali chiamati taubob che ci mangiano”. Un giorno, tra il profumo familiare di fiori selvatici, Kunta percorre un boschetto per tagliare un tronco e farne un tamburo e, all’improvviso, percepisce dei rumori insoliti. Comprende: sono i taubob. Si difende, lotta disperatamente, ma perde i sensi. Si risveglierà su un’imbarcazione, incatenato, al buio, quasi soffocato da un fetore insopportabile…

"Dopo avergli guardato ben bene nella bocca, ispezionavano il fotò agli uomini e alle donne le loro parti intime. Alla fine li facevano accucciare e li marchiavano con un ferro rovente, sulla schiena o sulle spalle. Poi i prescelti, che urlavano e si divincolavano, venivano condotti sulla riva dove li attendevano le piccole canoe per portarli a bordo delle grandi canoe. Io e i miei fratelli ne abbiamo visti molti gettarsi a terra e afferrare e mangiare la sabbia...come se volessero abbracciare e baciare per l'ultima volta la loro patria. Ma venivano trascinati via a forza e battuti. Quando le piccole canoe erano in mezzo al fiume, molti ancora seguitavano a dibattersi, a sfidare le sferze e le percosse. E qualcuno riusciva a saltare in acqua. Ma nell'acqua c'erano enormi pesci dal dorso grigio e dal ventre bianco, con la bocca ricurva irta di denti, che li divoravano arrossando l'acqua del loro sangue." (Pag. 60)


Ben dodici anni sono stati necessari a Alex Haley per scrivere questo possente romanzo nel quale egli ricostruisce le vicende della sua famiglia, da parte materna, partendo dal suo avo, Kunta Kinte, rapito nella sua terra dall’uomo bianco per ridurlo in schiavitù. Sette generazioni si ritrovano in queste pagine che vedono la loro origine nella forza del racconto orale, in quelle vecchie storie che la nonna gli ha raccontato e che si sono conservate, quasi inalterate,  grazie alla memoria e alla ripetizione di padre in figlio. A tale nucleo originario, impregnato di magia e di tradizione,  si è poi aggiunta una lunga ricerca storica unita a viaggi dello stesso autore in quella terra africana che, in una lontana primavera, diede i natali al giovane Kunta Kinte.  
Radici è il racconto dettagliato di una delle più deprecabili azioni compiute dall’uomo che pone in luce, dolorosamente, quanto spesso, e purtroppo, la vita umana abbia poco valore nel momento in cui entrano in gioco la sete di potere e di ricchezza. E in questo quadro desolante, fatto di dolore, di sofferenze inflitte, di uomini ridotti al rango di oggetti di scarso valore, in questo quadro orrifico, a tinte fosche, c’è chi -pur divenuto  merce - abbia avuto la forza di amare, di conservare la dignità, di attendere e di sperare un futuro. Un romanzo intenso, commovente, toccante nel quale si muovono tragedia, tradizioni, magia, dolore, tutti elementi che non lasciano tregua nella lettura sempre avvincente senza cali. Peraltro, non si può affermare di aver terminato la lettura una volta chiuso il libro perché le riflessioni che esso muove rimangono intatte anche dopo, così come quelle domande incentrate sul “perché” che non avranno sagge risposte e la triste constatazione di quanto la storia, spesso, insegni ben poco. 

domenica 17 luglio 2016

SUL SOFFITTO - Éric Chevillard

"Denti per il mio pane"
Titolo: Sul soffitto
Autore: Éric Chevillard
Editore: Del Vecchio
Anno: 2015
Pagine: 144
Traduzione: Gianmaria Finardi
Genere: Romanzo


Per me che amo i personaggi fuori dalle righe, tremendamente strampalati, che ho una grande passione per le situazioni dominate dall'assurdo, questo romanzo è stato un balsamo, un'esperienza divertente e entusiasmante. Bello immergersi   in un mondo “non-normale”, bello seguire le avventure da altre prospettive, dal soffitto per esempio. Bello sfidare le leggi, soprattutto quella di gravità.

Il grigio. Il grigio delle nuvole, dell’elefante, dell’ippopotamo. Grigio è la “sottile manifestazione del visibile, ciò che si distingue appena dal nulla o se ne avvicina di più”. Anche lui è un uomo vestito  di grigio, dalla testa ai piedi, un uomo comune, “uno che somiglia”, ma nonostante il suo grigiore, tutte le volte che esce, le persone lo notano, lo guardano –male, sia chiaro- additandolo. Lui, fin da bambino, esce con una sedia rovesciata sulla testa e con essa vive un rapporto simbiotico. C’è pure chi non lo addita: sono i suoi amici. Come l’impagliatrice di sedie che cresce i suoi bambini nella sua pancia e non li partorisce per evitare che conoscano le brutture del mondo, come Kolski che attende che il suo fetore un giorno assuma consistenza per poter modellare una statua “un’opera colorita, leggera, indistruttibile che avrebbe chiamato la primavera” o come Topouria l’uomo che crede di essere una gru. Capita che un giorno vengano sbattuti fuori dalla loro abitazione, il cantiere di una biblioteca mai realizzata e decidano di trasferirsi a casa dei genitori di Méline, la sua fidanzata. Lì vivranno sul soffitto, a testa in giù, sfidando la legge di gravità… Chevillard, autore di numerosi romanzi, vincitore di numerosi premi nonché creatore del blog "Autofictif" nel quale, giornalmente, pubblica tre aforismi di carattere ironico e provocatorio, con Sul soffitto, edito in Francia nel 1997, per la prima volta viene pubblicato e tradotto in Italia: finalmente, mi vien da dire. Entrare nel mondo di Chevillard significa rimanere spiazzati, destabilizzati, perdere punti di riferimento, cambiare continuamente prospettiva. Il protagonista e i suoi amici fuori dalle righe, ci conducono, con continua ironia, in un mondo capovolto e, soprattutto, in un universo destinato a privarsi della fissità o routine che dir si voglia. Non 

 è un caso che Chevillard sia stato considerato l’erede di Alfred Jarry, esponente della patafisica il cui obiettivo era, appunto, quello di studiare le regole che studiano le eccezioni. È chiaro il volersi distaccare drasticamente dalle convenzioni, dagli usi e, in genere, da tutto ciò che sia codificato o comunemente accettato e dato per normale e vero. Distacco dalle convenzioni non solo per quanto concerne la trama –che già di per sé basterebbe - e per i concetti spesso complessi, ma anche per lo stile e il lessico utilizzato, assai ricercato, per l’uso particolare dei segni di interpunzione, per i periodi talora prolissi e l’uso abnorme di incisi che aprono altri mondi all’interno della narrazione. A fine lettura rimane un senso di smarrimento e la certezza di aver letto un bellissimo romanzo certamente merito anche dell’ottima traduzione. Una curiosità: l’artista canadese Ted Hierbert ha reso omaggio all’opera con il progetto On the ceiling realizzando 39 fotografie ritraenti persone con una sedia in testa o appese al soffitto. Buon rovesciamento.

sabato 16 luglio 2016

ALTEZZA REALE - Thomas Mann

Titolo: Altezza reale
Autore: Thomas Mann
Editore: Newton & Compton
Traduzione: Francesca Ricci
Anno: 1993
Pagine: 272

Lessi Altezza reale per la prima volta a 18 anni durante una vacanza al mare. Tante cose sono cambiate da allora. Per esempio, ora non prendo più il sole, per dire. Però è, comunque, bellissimo riprendere in mano vecchi libri per rileggerli con nuovi occhi e, magari, scoprire che – a distanza di vent’anni e più – un libro amato possa rivelarsi deludente: non è questo il caso. Mann si rivela, ancora una volta, un grande autore in grado di leggere e descrivere un’epoca in caduta.

Per legge e per tradizione i figli della coppia regnante devono nascere nella fortezza di Grimmburg. Ai primi di giugno, esattamente il giorno dopo pentecoste, sessantadue colpi di cannone annunciano un lieto evento: la granduchessa Dorothea ha dato alla luce, per la seconda volta, luce un principe. Il padre del piccolo, avvisato telegraficamente, si precipita alla fortezza per ammirare il nuovo nato. Pare sano, soprattutto rispetto al primogenito da sempre di salute cagionevole, tranne che per quella piccola mano rattrappita e i medici, chiamati ad esaminarlo, affermano trattarsi di un’atrofia incurabile. Ma dopo la prima reazione si comprende come ci si debba abituare a quella malformazione e, d’altronde, una zingara profetizzò la salvezza del regno ad opera di un sovrano con una mano sola…
Come nei Buddenbrook anche in questa opera del 1909 Mann affronta il tema della decadenza, questa volta di una dinastia di un piccolo regno, scandita dal ritmo lento delle vicende nelle quali muove i suoi passi e con la mano atrofica rigorosamente celata agli sguardi altrui, Klaus Heinrich, secondogenito, ma destinato a svolgere le funzioni del fratello, il granduca, sempre afflitto da problemi di salute. Il regno è sommerso dai debiti, le manovre economiche si son rivelate insoddisfacenti e le sale di rappresentanza magistralmente simboleggiano, con le loro tende scolorite e divorate dalle tarme, un crescente degrado che, comunque, non impedisce lo svolgersi delle cerimonie di rito perché cosi dev’essere.  Klaus è amabile nella sua ingenuità, nella sua voglia di scoprire il mondo pur soffocato dall’isolamento e i suoi sforzi volti a mescolarsi col mondo esterno risultano vani e fagocitati da ciò che rappresenta: non può essere diverso da ciò che deve essere. Più che un essere umano è un simbolo. E quando si lascia andare spogliandosi dei suoi panni non gli è consentito muoversi liberamente perché tutti “pur senza indovinarla” sentono la sovranità. E se la prima parte del romanzo lascia presagire una decadenza tout court ci si dovrà ricredere nell’ultima dove Mann ha dato un cambio di rotta al racconto regalandoci il dolce sapore di una favola.


venerdì 15 luglio 2016

AMICIZIA - Ralph Waldo Emerson

"Per campagne e per naufragi"

Titolo: Amicizia
Autore: Ralph Waldo Emerson
Editore: Piano B Edizioni
Anno: 2010
Pagine: 120
Traduzione: Antonio Tozzi e Stefano Paolucci
Genere: Saggio filosofia

Natura, amicizia, bellezza, poesia: il tutto, ma non solo, concentrato in un piccolo volume da leggersi con quella benefica lentezza necessaria per guardare un bellissimo tramonto. Senza fretta, soffermandosi ogni tanto.

Viaggio per riflettere. Viaggio per arricchirci. Partiamo dall’amicizia, quel nobile sentimento che s’accompagna agli slanci dell’ingegno e alle estasi della religione. Perché vi è qualcosa di sacro in quel sentimento. Essa è fatta per i giorni sereni, per le passeggiate in idilliache campagne, ma anche - forse soprattutto - per le strade impervie e i naufragi. Non esistono regole predeterminate per avere un amico: basta, semplicemente, esserlo. Amico, Giano bifronte, figlio di “tutte le mie ore passate, il profeta di quelle a venire, e l’araldo di un amico più grande” . Soffermiamoci sulla prudenza, che è l’atto più esteriore della vita interiore. Prudenza non come fuga, ma intesa come coraggio. Prudenza che assurge al rango di virtù insieme con l’amore, l’umiltà, la verità e la franchezza. Nel nostro tragitto incontriamo l’amore, che, simile a un divino furore o a un incantesimo,  si impossessa dell’uomo, attuando una rivoluzione mentale e fisica. Se si ama qualcuno che c’entra la persona amata? Nulla, visto che ciò che amiamo è al di sopra della nostra volontà. Nell’altro amiamo quell’irradiazione, quel qualcosa che l’amato non conosce né potrà mai conoscere. Parliamo anche di Politica. Non dimentichi mai l’uomo che le istituzioni non sono originarie, non sono superiori al cittadino, poiché esse non sono altro che l’atto di un uomo. La ragion d’essere dello stato è da rinvenire nell’educazione dell’uomo saggio: il saggio è lo Stato. Infine, concludiamo questo viaggio soffermandoci su questo meraviglioso dipinto che è la Natura nei cui paesaggi possiamo provare massimi livelli di stupore per l’incontro tra cielo e terra. La Natura è poesia e bellezza in ogni istante , essa non si fa mai “sorprendere in vestaglia. La bellezza irrompe sempre”…


Amicizia è un piccolo ma intenso libro che raccoglie cinque saggi – "Amicizia", "Prudenza", "Amore", "Politica" e "Natura" - provenienti dalla prima e dalla seconda serie degli Essayes dati alle stampe, rispettivamente, nel 1841 e nel 1844 da un autore statunitense forse poco conosciuto in Europa, nonostante il suo movimento filosofico – il trascendentalismo – abbia influenzato molti campi, da quello della letteratura a quello del diritto. In Amicizia è palese l’impronta di tale corrente filosofica, che partendo dal concetto trascendentale Kantiano, tenta di ribaltare le impostazioni di fondo del razionalismo onde porre l’accento sull’individuo, in particolare nei suoi rapporti con la natura e con la società. Autore molto stimato dal critico letterario  Harold Bloom che lo definisce “Mr America” e collocato dallo stesso tra le figure centrali della cultura americana, Emerson ci propone temi attualissimi, non ultimo quello della natura quale bene da preservare, ci porta a fare delle riflessioni circa il ruolo dei moderni governi che, in nome di principi di natura prettamente economica, spesso trascurano come il concetto di ricchezza di uno stato coincida (o dovrebbe coincidere) con quello di benessere dei cittadini. Bene che troppo spesso viene posto in secondo piano. Temi profondi trattati con passione alla quale si accompagna una buona dose di liricità che rende la lettura appassionante e ricca di fascino.