giovedì 25 ottobre 2018

PUSSY - Howard Jacobson

Fracassi


Titolo: Pussy
Autore: Howard Jacbson
Editore: La Nave di Teseo
Anno: 2018
Genere: Romanzo satirico
Pagine: 250
Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra





Pussy è dissacrante, feroce, senza limiti.

In una mattina di un inverno caldissimo, il professor Probius Kolskeggur vagava, alla ricerca del Palazzo delle Porte Dorate, tra le ziggurat e gli obelischi più alti della Repubblica di Urbs-Ludus. Quella visita significa per lui un nuovo posto di lavoro dopo il licenziamento a seguito dell’accusa di condiscendenza cognitiva. Ma adesso le cose dovrebbero volgere al meglio visto il suo imminente incarico come precettore di Fracassus secondogenito e presunto erede del duca di Origen. Finalmente varca le porte del Palazzo e, dopo meticolosa perquisizione, viene invitato ad accomodarsi per essere poi accompagnato al centodiciassettesimo  piano e introdotto niente meno che alla presenza del granduca e della granduchessa in persona. Lui il granduca, incipriato e ricoperto di medaglie. Lei, con un sontuoso abito da sera. Entrambi con i capelli color crema al limone. Dopo le presentazioni di rito, il granduca espone Probius quello che sarà il suo compito: occuparsi del loro figliolo, Fracassus ormai quindicenne. Fracassus era stato un bambino pressoché comune,dice il granduca, litigioso, egocentrico, presuntuoso, non molto attento al mondo che lo circondava e abituato ad averla sempre vinta. E soprattutto, già da tenera età, il fanciullino era stato un chiaro esempio lampante dei risultati che la libertà dall’istruzione poteva garantire. Chiaro che il padre riponeva nel figlio tutte le ambizioni pur conoscendolo poco essendo “troppo assorbito dall’idea di Fracassus per poter prestare attenzione a quello vero”. AL momento del conferimento dell’incarico, il Professore viene anche autorizzato a epurare gli altri precettori dell’erede, e lui li licenziò tutti, tranne la dottoressa Cobalt..
“Era abituato a svegliarsi con un’erezione e lo attribuiva alle ore che aveva appena trascorso in compagnia di se stesso” (Pag. 119)
Howard Jaboson, scrittore, saggista, giornalista, umorista, vincitore di numerosi premi, tra i quali, nel 2010, il Man Booker Prize per il romanzo L’enigma di Finkler e definito, da più parti, sia per il suo stile, sia per i temi trattati, il Philip Roth inglese ha fatto dell’umorismo il suo punto di forza, sostenendo come solo l’ironia e la comicità siano gli strumenti più adatti a salvare il grande romanzo e, soprattutto, la migliore maniera per cambiare il mondo. E Pussy, uscito nel 2017, e scritto in sole sei settimane, subito dopo la vittoria delle elezioni presidenziali americane di Donald Trump si inserisce a pieno titolo nel canale della comicità e dell’ironia, offrendoci il ritratto, grottesco, surreale, atroce del presidente americano. Nessuna difficoltà per il lettore a identificare Fracassus, il protagonista, con Trump per quanto questi non venga nominato apertamente. Fracassus / Trump è un pozzo di superficialità, di ignoranza, di inettitudine, che vive nella sua tebaide, avvolto nel mondo dei social network, appassionato di ripetute sbirciatine sotto le gonne femminili, tremendamente misogino, titolare di lessico ridotto all’osso (però conosce tutti i sinonimi di puttana) si dimostra, a tutti gli effetti, inidoneo a governare la cosa pubblica. Irriverente, con la struttura di una favola, Pussy si rivela una satira feroce e senza confini, non esiste il senso della misura in questa favola di granduchi e granduchesse, nella quale non vi è spazio per il politicamente corretto, ma tra un sorriso e l’altro (spesso amari) fa riflettere sulla pochezza di alcuni personaggi, sulla triste nostra realtà.

martedì 23 ottobre 2018

IL DOMATORE - Alberto Secci

Amore e odio

Titolo:Il domatore
Autore: Alberto Secci
Editore: Domus De Janas
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine:  208


Ho letto questo libro per  caso, o meglio, per via di una casella. Un mio collega, un giorno, mi ha lasciato nella casella avvocati il libro, invitandomi a leggerlo. Successivamente, sempre per caso, ho avuto l’occasione di parlarne diffusamente nel corso della presentazione tenutasi a Seui presso i locali del Museo. E ora, dopo più di un anno dalla prima lettura, mi ritrovo a scrivere qualcosa su questo romanzo con la puntualità che mi è propria, ma il concetto di tempo è relativo, si sa.
Il domatore è un libro che ha un sapore aspro e dolce,  il sapore di storie vecchie, storie di nonni, quelle storie che posseggono concetti e verità che rimangono immutati e immutabili nonostante lo scorrere del tempo. Ha la forza e il fascino dell’oralità pur essendo messo nero su bianco e credo sia proprio questo uno dei punti di forza del libro.
Sardegna. Nel paesino di Colimandola c’è un lieto evento. Nella casa di Don Francesco Pira nasce il piccolo Eusebio, ad assistere la madre nessuna levatrice, ma solo il padrone di casa, don Francesco appunto, che si è preoccupato di allontanare dalla soglia una donna che, benevolmente, intendeva assistere la partoriente. Diciotto giorni dopo quella nascita, la madre di Eusebio morirà, lasciando all’altero Don Francesco il compito di occuparsi di quel figlio marchiato tristemente da precoce orfanezza. Sarà una capra che fornirà il nutrimento vitale a quel bimbo. Il di lui padre forse si aspettava per il figlio una vita diversa, ma il piccolo manifesta, precocemente, una predispozione e una sensibilità abnorme per gli animali. Eusebio ha un animo da domatore, esattamente come il padre o, forse, meglio del padre, riuscendo a stabilire, con gli animali, una sintonia e a comunicare, grazie alle sue doti, con essi. La campagna, il verde e gli animali diventeranno la sua arcadia, ma quando quell’agreste mondo sarà colpito da una forte crisi, che non risparmierà tutto il territorio sardo, Eusebio inseguirà, con sua moglie Caterina, il sogno - allettante oltremodo - della miniera, lasciando Colimandola, lasciando le sue radici, lasciando i suoi animali  e suo padre. Ma la vita, spesso, è un cerchio ed è fatta più che di abbandoni, di ritorni...
Attraverso le vicende personali di Eusebio,  Alberto Secci dipinge un affascinante nonché realistico affresco di storia sarda che copre un arco di tempo di circa cinquantanni. Eusebio è un bimbo sveglio, perspicace ben consapevole di quello che vorrà essere. Il suo rapporto speciale con gli animali , la sua sensibilità fuori dal comune lo porterà a essere un domatore, a seguire la via paterna per raggiungere risultati anche più elevati del suo maestro. E là nelle campagne, a volte generose e a volte ostili, che sceglie di vivere, di crescere di formarsi rinunciando allo studio. Ma quelle campagna, a un certo punto, non basta più soprattutto e, allora, la miniera con le sue promesse di felicità diverrà la sua nuova vita. Ma le promesse molto spesso sono deludenti, la vita in miniera è dura, grigia, faticosa. Alla fine il cerchio si chiuderà con un ritorno: il ritorno al punto di partenza, cresciuto e uomo. Sono storie semplici quelle raccontate da Secci con una scrittura limpida e scorrevole, nella quale si muovono uomini con il loro bagaglio di sogni, di passioni, di amore e odio.  
Al centro del plot narrativo, e all’interno della cornice storica trattata,  si pone il rapporto padre-figlio sempre complesso, fatto di parole non dette, di silenzi pesanti, ma carichi di significati. Un rapporto difficile nel quale l’odio e l’amore lottano incessantemente, senza cedere, né l'uno né l'altro, a una resa. Ma Il domatore non è solo questo, poiché trattasi di romanzo capace di dipanarsi su più piani, c’è anche l’amore intenso, forte travolgente che si erge a pilastro fondamentale. E ci son le donne, dipinte nella loro imperfetta perfezione, dispensatrici di forza, sono cariche di fascino e di saggezza le donne descritte da Secci, sono le donne sarde, frutto di quella terra aspra nella quale si sono formate, alimentando passioni, proteggendo e curando le famiglie, senza mai esagerare con le parole, senza mai fare troppe domande. Senza mai dire troppo, ma spesso indirizzando, con fili invisibili, le scelte altrui. E c’è, su tutto, la terra, quel legame con la terra natia, viscerale, a tratti astioso, ma incancellabile. Insomma, un romanzo contenitore in grado di riempirsi di tante storie, di tanti sentimenti, di sogni, vario e sfaccettato come la vita: ed è questo, infatti, che contiene, tanta vita.

Altri libri:
Carbonia. Eravamo tutti comunisti, Nanni Balestrini

venerdì 19 ottobre 2018

OCCHI CHIUSI SPALLE AL MARE - Donato Cutolo

Distacchi

Titolo: Occhi chiusi spalle al mare
Autore: Donato Cutolo
Editore: Spartaco
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine: 143

Il catanese Donato Cutolo, in poche pagine, ci regala una storia delicata e tenera affrontando varie tematiche che vanno dall’analisi di un rapporto padre-figlio assai complesso al tema dell’immigrazione clandestina.
Sono le cinque e ventiquattro di un mattino di giugno. La città dorme, regna  un profondo silenzio tranne che per il rumore del SUV condotto da Piero. Il suo cuore batte all’impazzata all’interno dell’abitacolo. Tensione e sudore. Sente di potercela fare, sente di poter arrivare puntuale a quello che è l’appuntamento più importante della sua vita in un palazzo abbandonato. Lì, lo attendono una donna e un bambino: Jasmine e Yousself. Ha paura, Piero. Tanta paura. È solo la terza volta che usa la macchina di suo padre, l’ingegner Mauro Righieri, l’uomo che, a parer del figlio, non era mai stato bambino, l’uomo adulto da sempre. Sono le 5.30 e Piero perde il controllo del veicolo. Si sveglierà in un letto di ospedale, in una stanza dalla mura bianche, nel reparto di terapia intensiva. Immobile, fermo, occhi chiusi. A un certo punto scorge gli occhi di suo padre là fuori dalla stanza. Suo padre, quel concentrato di ”ammonizione e autorità” ben distante dalla dolcezza di Viola, sua madre, andata via troppo presto: Piero era solo un bambino di nove anni…
“Non era mai a suo agio, lui, cresciuto tra l’intimità delle passeggiate con sua madre e i forti conflitti di quest’ultima con suo padre. L’ingegnere in casa era un estraneo, apriva bocca solo per inveire contro Viola o impartire ordini a lei e a suo figlio, con una violenza tale da impaurire e segnare Piero, giorno dopo giorno sempre più schivo e insicuro. Molto spesso e con una remissività insolita per un bambino di quell’età, obbediva rassegnato ai comandi e si defilava in camera sua quando la discussione tra i genitori diventavano accese.” (Pag. 23)
Quarto romanzo dello scrittore e compositore Donato Cutolo, Occhi chiusi spalle al mare dipinge, con una prosa essenziale e delicata, il quadro di un rapporto padre-figlio dominato dall'assenza di amore. Piero, orfano di madre, è schivo, chiuso nel suo mondo entro i confini delineati da un padre autoritario e privo di slanci affettivi. Ma la vita offre sempre qualche possibilità anche sotto forma di casualità: sarà infatti il caso a fornire a Piero l’opportunità di esprimersi, di essere se stesso e di offrirsi a qualcuno che di opportunità ne ha avute ben poche. E sarà quel caso che permetterà al giovane di staccarsi dal modello paterno con coraggio e, soprattutto, con estrema sensibilità. E sarà possibile vivere con gli occhi aperti e con il viso rivolto al mare. Ambientato in un’isola immaginaria del sud, Isonta, destinazione ideale per gli sbarchi clandestini, l’opera rispecchia argomenti di forte attualità, con il grande merito di essere descritti senza un filo di retorica. Il romanzo è anche accompagnato dalla colonna sonora di Rita Marcotulli con la voce di Sergio Rubini, scaricabile sul sito dell’editore, che aiuta a dare una voce altra ai protagonisti e a rendere ancora più vivide e materiali le immagini.

Altri libri:
Gli amici nascosti, Cecilia Bartoli

mercoledì 17 ottobre 2018

TOLSTOJ - Pietro Citati

                   La vita è un bilico

Titolo: Tolstoj
Autore: Pietro Citati
Editore: Adelphi
Anno 1996
Genere: Saggio letteratura
Pagine: 325

Appena terminata la lettura, mi son trovata a riflettere sulla sua bellezza cercando di capire da dove, di preciso, si irradiasse poiché Tolstoj non è una normale biografia che segue i consueti percorsi (nascita, studi, opere, morte). No, la bellezza nasce nel presentarci Tolstoj a tutto tondo, ma non attraverso la voce del biografo-Citati, ma attraverso le voci dei protagonisti di quella immensa impalcatura che sono le grandi, immense opere tolstojane: Guerra e Pace e Anna Karenina in primis. Un racconto che segue e si adatta alla tortuosa e ondivaga personalità dello scrittore russo: narcisista, depresso, felice, fervente credente, vittima di un dio che lo abbandona.

Vediamo, per iniziare, il grande Tolstoj, adolescente, in piedi davanti allo specchio, con se stesso, inebriato dal proprio io: nessun uomo ha mai conosciuto una “così vertiginosa ubriachezza del proprio io.” E con la stessa intensità con la quale si ammirava riusciva a trovarsi odioso, ripugnante e detestabile. Un grande narciso che, a momenti, non si sopportava e, in quell’immagine riflessa, vedeva il suo viso volgare. E si accusava, non c’era vizio che non gli appartenesse. Perché era uomo da mille sfaccettature, altamente volubile, il suoi umore si barcamenava tumultuosamente tra l’allegria e la tristezza, tra l’angoscia e la sfrenatezza. Nell’arco di una giornata riusciva ad avere fisionomie diverse. Era uomo discontinuo e di tale discontinuità riusciva a impregnare ogni attimo della sua vita. I suoi sentimenti erano contraddittori. Fu un essere indemoniato che non conosceva l’equilibrio, innalzando verso un punto di rottura tutte le sue esperienze. E chiedeva, chiedeva ossessivamente alla vita una felicità assoluta. Nel 1851 si trasferisce in un piccolo villaggio nel Caucaso, nella sua tenuta e si sposava con la natura, andava a caccia, attraversava le pianure  e le paludi: e lì una strana felicità e di amore per tutti si impossessava di lui. Di lui che si sentiva un segmento di natura. E lì, scrive e vedeva nella scrittura una cura. Ma come per tutte le cose con quell’ardore con la quale esaltava la letteratura la accusava perché illusoria, perché altro non era che finzione…
Pietro Citati, noto scrittore e saggista, con quest’opera che, peraltro, gli valse il Premio Strega per l’anno 1983, ci fa immergere nel variegato e complesso mondo tolstojano. Con una scrittura scorrevole e immediata ci offre un ritratto a tutto tondo del grande autore russo non soffermandosi -tanto e, comunque, non solo- sulle vicende biografiche quanto sulla personalità del medesimo. E ne vien fuori un Tolstoj non perfetto, per ciò stesso vero, contraddittorio, un Tolstoj che emerge, pagina dopo pagina, non da una descrizione analitica delle tappe della sua vita, ma dall’osservazione del suo profilo psicologico, dalla voce dei suoi personaggi quasi a farci scordare che, dietro, si muove la penna di Citati. Pare che, a tratti, sia  lo stesso Tolstoj a comparirci davanti, ci pare di vederlo mentre si rimira allo specchio, mentre odia furiosamente o ama con altrettanta furia, mentre vive in simbiosi con la Natura. E i suoi stessi romanzi, i suoi personaggi, paiono parlarci e pare quasi di vedere il famoso cielo di Austerlitz del Principe Andrej. Perché è da quei personaggi, dalle loro parole, dalle loro azioni o silenzi, che, di fatto affiora il grande letterato russo, “dobbiamo avanzare cercando di risalire dalla carta bianca e dalla penna che vergò le parole fino alla mente che le nascose in se stessa” questo è quello che ha affermato Citati. Questo è ciò che ha fatto.

martedì 24 aprile 2018

QUANDO ERAVAMO ORFANI - Kazuo Ishiguro


Titolo: Quando eravamo orfani
Autore: Kazuo Ishiguro
Editore: Einaudi
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine: 332
Traduzione: Susanna Basso

Ishiguro si rivela sempre scrittore raffinato, anche se – a onor del vero – questo romanzo, pur pregevole, l’ho trovato, in alcuni punti, poco convincente, ingenuo quasi

Nell’estate del 1923 il giovane Christopher Banks, dopo aver terminato gli studi a Cambridge, decise di stabilirsi a Londra, nonostante la zia lo volesse con sé nello Shorphire. Il suo sogno, coltivato fin dall’infanzia e simbolicamente rappresentato da una lente di ingrandimento che i compagni di scuola gli regalarono anni addietro e dalla quale mai si separerà, di divenire investigatore, è ora una realtà. Piano, piano il suo nome diviene noto grazie ai casi che, man mano, risolve. I misteri e la ricerca della verità sono i suoi obiettivi principali. Già, i misteri. Uno in particolare. Uno che riguarda la sua famiglia, la sua infanzia. È quello il mistero che lo ossessiona. Perché tutta la sua esistenza pare non riuscire a smuoversi davvero, ad avere un senso, fintanto che non comprenderà le ragioni vere per le quali i suoi genitori furono rapiti a Shangai. Da quello strano rapimento derivò il suo viaggio, ancora bambino, verso l’Inghilterra, presso la zia. Ma lui ha deciso che tornerà lì, a Shangai, troverà il nascondiglio nel quale si trovano i suoi genitori, rivedrà il suo amico d’infanzia, Akira, perché è certo, il nostro Bansk che Akira si trovi ancora lì visto che ne era innamorato. Sarà quella la sua indagine più importante e seria della sua vita…
Kazuo Ishiguro insignito, lo scorso anno, del Premio Nobel per la letteratura, ancora una volta   conferma, con questo romanzo, la maestria, la delicatezza e la raffinatezza della sua scrittura sempre precisa, attenta e priva di sbavature.. Non ci sono grandi eroi tra le pagine, ci sono personaggi che vagano, ancorati a un passato che non hanno ben inquadrato, che errano con una bagaglio fatto di sogni, di paure, di desideri, tanti desideri. E quello di vagare, senza avere una dimora fissa, pare essere il destino di chi, come il protagonista, ma anche come Jennifer, è orfano: chi è orfano non ha una dimora, continua a cercare, indizi, verità, per colmare vuoti, per ricostruire, a piccoli passi, frammenti di vita passati divenuti, con il tempo, sfumati, poco precisi. Tale ricerca, quasi ossessiva, accompagna il giovane Bansk che vive nel presente, ma è sempre proiettato nella sua infanzia, nei ricordi, come se non avesse un’epoca, un posto suo. Per quanto si resti affascinati dalla bellezza della scrittura, per quanto il tema di fondo sia appassionante, non mancano delle ingenuità, delle coincidenze improbabili oltre che dei colpi di scena poco credibili, se non proprio irreali che, di fatto – è spontaneo il confronto – rendono quest’opera distante da Quel che resta del giorno, che conserva intatto il podio.


venerdì 20 aprile 2018

LEGGENDA PRIVATA - Michele Mari


"Nacqui in inverno"

Titolo: Leggenda privata
Autore: Michele Mari
Editore: Einaudi
Genere. Romanzo
Anno: 2017
Pagine:171


Leggenda privata è il primo romanzo che leggo di Michele Mari, autore che mi ha sempre incuriosito tanto. Sono rimasta folgorata dallo stile di Mari tremendamente originale, alto, mutevole. Rimane impresso senza dubbio.

Nacqui d’inverno, al nostro discontento. Fui cupo e spinoso, poi come un buon cactus produssi dei fiori, cibandoli delle mie polpe. I miei libri, quei fiori; il mio stile di vita, le spine; la bio-vita, la polpa; il mondo, il deserto, ove tallotta uno scorpio, un crotalo, un formicaleone; oppure il sitibondo che ti amputa e scortica per succhiarti la fibra: «Ma prendi i miei fiori» gli dici col pensiero, «alliétati di quella fragranza»: macché, vuole attingere al bio, colui, né più né meno degli Accademici; e tu resti poi monco, fiorito ma monco, e ludibrio alla famiglia dei cactus e degli alberi tutti. (incipit)

Alla mezzanotte lo scrittore Michele Mari è stato convocato nella Sala del Camino. Era buio, ma lui sentiva la presenza di tutti loro. Quello che Gorgoglia gli ha chiesto la sua autobiografia. Ma come la mettiamo con l’altra autobiografia già commissionatagli, la settimana precedente, dall’Accademia dei Ciechi? E no! Ha precisato Quello che Gorgoglia: questa dovrà essere diversa, totalmente nuova e solo un fatto potrà essere ripetuto: l’essere egli nato da un amplesso abominevole. “Scrivi” continuano a ripetergli. E il povero Michele ha paura, ha il sospetto che potrebbero anche affidare l’intera faccenda a Quella dalle Orbite Vuote e questo proprio non lo sopporterebbe. Proprio no. E scrive della sua nascita, avvenuta in inverno, otto mesi dopo il concepimento e il numero otto, si sa, è simbolo di aberrazione. Ma egli non fu mostro, però fu mostruoso fu il rapporto che intrattenne con se stesso. Poi di cosa potrebbe parlare per rimanere nel concetto di “bio”? Di Ovidio il bidello? O dello studio o del fatto che egli fu cupo e spinoso come un cactus e produsse dei fiori cibandoli delle sue stesse polpe? E tutti quei grumo-nodi irrisolti? Il grumo-nodo padre? Il grumo nodo madre?...

"Il fatto è che scrivo al ribasso. Non invento, non enfatizzo: grado della mitopoiesi molto vicino allo zero. Semmai ometto, attenuo, eufemizzo. Ma questi mostri vogliono il carnevale, l’euforia della forma: per cogliermi lì, ignudo sotto un travestimento così sfarzoso da non poter diventare una seconda pelle. L’idea è che l’ingombro del travestimento sia tale da trasformarsi in una prigione." (Pag. 99)

Michele Mari torna in libreria con una autobiografia definita horror. In uno scenario tra il fantastico e il grottesco, l’autore scava nel proprio passato, per affrontare paure e mostri più o meno malvagi. E sono proprio gli anni della giovinezza – tema peraltro non nuovo nelle opere del Mari – quelli nei quali si trova precipitato, per merito o colpa degli Accademici, per impelagarsi nel suo labirintico passato di dubbi, fobie, ma anche amore e cercare di dipanare quelle matasse – o meglio grumo nodi – da cui ha origine la sua natura quasi scissa: una madre la cui divisa era la tristezza e un padre, il noto designer Enzo Mari, ingombrante e immenso.  È un romanzo crudo, ma anche crudele, feroce, senza orpelli nel quale l’autore si trova a fare i conti con la sua infanzia perché benché, come il medesimo ha dichiarato “piena di traumi e di lutti” rimane per lui la “cosa più significativa”  che ha vissuto. E le sue parole colpiscono e feriscono perché prive di addolcenti, di anestetizzanti neppure blandi. Entra a testa alta nel suo passato, nei suoi conflitti familiari, nelle sue guerre, senza alcuna corazza. Coraggiosamente. Il tutto con il suo stile originale, fuori da schemi preconfezionati nel quale si passa, con nochalance, da un registro linguistico ad un altro e con l’uso sapiente di una lingua che risulta, ad ogni pagina, fertile, ricca e variegata. Il libro è inoltre intervallato da una trentina di fotografie  in bianco e nero che accompagnano e esplicano la lettura degli eventi narrati, ma che – in qualche modo- parlano da sole.

martedì 17 aprile 2018

INCHIESTA SU GESÙ - Corrado Augias


Gesù chi?

Titolo: Inchiesta su Gesù
Autori: Corrado Augias – Mauro Pesce
Editore: Mondadori
Anno: 2006
Genere: Saggio religione
Pagine: 280


Chi era Gesù? Chi era l’uomo che parlò alle folle lanciando messaggi nuovi e originali? L’uomo amato, speciale, ma anche torturato, condannato a morte e crocifisso? L’uomo che, forse, risorse? È molto probabile che quell’uomo vide i propri natali a Nazareth, un piccolo villaggio sito in Galilea, ciò che, invece, è certo è che egli fu partorito da Maria. Maggiori dubbi, come è risaputo, sussistono circa la sua paternità: se il Vangelo di Giovanni ritiene che sia stato Giuseppe il padre fisico di Gesù, quelli di Matteo e Luca, invece, sostengono la sua nascita miracolosa ad opera dello Spirito Santo. A lui, quasi sicuramente, si deve la composizione della preghiera Padre Nostro. È altresì certo che Gesù fosse un ebreo: per dire, egli crede in unico Dio e, nell’antichità, questa risulta essere una caratteristica precipua dell’ebraismo, così come sono fondamentalmente ebraici tutti gli insegnamenti divulgati da Gesù. Passo opportuno per comprendere davvero chi sia stato quell’uomo è quello di abbandonare una forma mentis imbevuta di cristianesimo e “guardarlo con occhi ebraici.”

"Si acclama un leader, lo si osanna, da lui ci si aspettano una certa quantità di benefici; quando, per un qualsiasi motivo, le ragioni della sua forza, e per conseguenza i benefici sperati, e quindi il suo fascino, vengono meno, con molta rapidità la folla si allontana lasciando solo l’uomo fino a poco prima idolatrato"

In questo ottimo saggio, edito nel 2006, il noto giornalista Augias intavola un interessante dialogo con il biblista Mauro Pesce al fine di offrirci un ritratto, terreno, dell’uomo chiamato Gesù. Una conversazione nella quale le domande, curiose e talora provocatorie di Augias trovano le risposte precise e dettagliate di Pesce il quale, nelle sue argomentazioni, rimane ancorato a un approccio prettamente storico che, nel suo intento, non “compromette la fede, ma neppure obbliga a credere.” Il punto forte di questo vivace botta e risposta è quello di restituirci la figura di Gesù nella sua dimensione terrena, nella sua fisicità di “carne, muscoli,” ed è pregevole il risultato: quell’uomo che percorreva le vie di Israele e diffondeva messaggi a carattere universale diviene quasi tangibile e, in qualche maniera, molto vicino a noi grazie all’eliminazione di quei pesanti veli che. nel corso del tempo, per esigenze religiose e teologiche, si sono stratificati su quella figura. Tale analisi ha comportato una disamina della miriade di fonti esistenti e di interpretazioni contraddittorie che spesso hanno alterato le vicende concrete. Un’inchiesta affascinante che muovendosi in quei testi, dalla cui lettura emergono anche degli splendidi passi letterari, in grado di colpire tutti: credenti e atei.

Altri libri: