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martedì 23 ottobre 2018

IL DOMATORE - Alberto Secci

Amore e odio

Titolo:Il domatore
Autore: Alberto Secci
Editore: Domus De Janas
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine:  208


Ho letto questo libro per  caso, o meglio, per via di una casella. Un mio collega, un giorno, mi ha lasciato nella casella avvocati il libro, invitandomi a leggerlo. Successivamente, sempre per caso, ho avuto l’occasione di parlarne diffusamente nel corso della presentazione tenutasi a Seui presso i locali del Museo. E ora, dopo più di un anno dalla prima lettura, mi ritrovo a scrivere qualcosa su questo romanzo con la puntualità che mi è propria, ma il concetto di tempo è relativo, si sa.
Il domatore è un libro che ha un sapore aspro e dolce,  il sapore di storie vecchie, storie di nonni, quelle storie che posseggono concetti e verità che rimangono immutati e immutabili nonostante lo scorrere del tempo. Ha la forza e il fascino dell’oralità pur essendo messo nero su bianco e credo sia proprio questo uno dei punti di forza del libro.
Sardegna. Nel paesino di Colimandola c’è un lieto evento. Nella casa di Don Francesco Pira nasce il piccolo Eusebio, ad assistere la madre nessuna levatrice, ma solo il padrone di casa, don Francesco appunto, che si è preoccupato di allontanare dalla soglia una donna che, benevolmente, intendeva assistere la partoriente. Diciotto giorni dopo quella nascita, la madre di Eusebio morirà, lasciando all’altero Don Francesco il compito di occuparsi di quel figlio marchiato tristemente da precoce orfanezza. Sarà una capra che fornirà il nutrimento vitale a quel bimbo. Il di lui padre forse si aspettava per il figlio una vita diversa, ma il piccolo manifesta, precocemente, una predispozione e una sensibilità abnorme per gli animali. Eusebio ha un animo da domatore, esattamente come il padre o, forse, meglio del padre, riuscendo a stabilire, con gli animali, una sintonia e a comunicare, grazie alle sue doti, con essi. La campagna, il verde e gli animali diventeranno la sua arcadia, ma quando quell’agreste mondo sarà colpito da una forte crisi, che non risparmierà tutto il territorio sardo, Eusebio inseguirà, con sua moglie Caterina, il sogno - allettante oltremodo - della miniera, lasciando Colimandola, lasciando le sue radici, lasciando i suoi animali  e suo padre. Ma la vita, spesso, è un cerchio ed è fatta più che di abbandoni, di ritorni...
Attraverso le vicende personali di Eusebio,  Alberto Secci dipinge un affascinante nonché realistico affresco di storia sarda che copre un arco di tempo di circa cinquantanni. Eusebio è un bimbo sveglio, perspicace ben consapevole di quello che vorrà essere. Il suo rapporto speciale con gli animali , la sua sensibilità fuori dal comune lo porterà a essere un domatore, a seguire la via paterna per raggiungere risultati anche più elevati del suo maestro. E là nelle campagne, a volte generose e a volte ostili, che sceglie di vivere, di crescere di formarsi rinunciando allo studio. Ma quelle campagna, a un certo punto, non basta più soprattutto e, allora, la miniera con le sue promesse di felicità diverrà la sua nuova vita. Ma le promesse molto spesso sono deludenti, la vita in miniera è dura, grigia, faticosa. Alla fine il cerchio si chiuderà con un ritorno: il ritorno al punto di partenza, cresciuto e uomo. Sono storie semplici quelle raccontate da Secci con una scrittura limpida e scorrevole, nella quale si muovono uomini con il loro bagaglio di sogni, di passioni, di amore e odio.  
Al centro del plot narrativo, e all’interno della cornice storica trattata,  si pone il rapporto padre-figlio sempre complesso, fatto di parole non dette, di silenzi pesanti, ma carichi di significati. Un rapporto difficile nel quale l’odio e l’amore lottano incessantemente, senza cedere, né l'uno né l'altro, a una resa. Ma Il domatore non è solo questo, poiché trattasi di romanzo capace di dipanarsi su più piani, c’è anche l’amore intenso, forte travolgente che si erge a pilastro fondamentale. E ci son le donne, dipinte nella loro imperfetta perfezione, dispensatrici di forza, sono cariche di fascino e di saggezza le donne descritte da Secci, sono le donne sarde, frutto di quella terra aspra nella quale si sono formate, alimentando passioni, proteggendo e curando le famiglie, senza mai esagerare con le parole, senza mai fare troppe domande. Senza mai dire troppo, ma spesso indirizzando, con fili invisibili, le scelte altrui. E c’è, su tutto, la terra, quel legame con la terra natia, viscerale, a tratti astioso, ma incancellabile. Insomma, un romanzo contenitore in grado di riempirsi di tante storie, di tanti sentimenti, di sogni, vario e sfaccettato come la vita: ed è questo, infatti, che contiene, tanta vita.

Altri libri:
Carbonia. Eravamo tutti comunisti, Nanni Balestrini

martedì 29 marzo 2016

IL BALLO CON LE JANAS - Tonino Oppes

Il ballo con le janas
Fermiamoci e balliamo
Titolo: Il ballo con le janas
Autore: Tonino Oppes
Editore: Domusdejanas
Pagine: 126
Genere: Racconti


La danza di Liliana Cano è la bellissima immagine impressa nella copertina di questo prezioso libro che ho letto con immenso piacere sia per la profonda stima che nutro per l'autore, sia per la capacità dello stesso di farmi recuperare, ogni volta, piccole storie della mia infanzia che pensavo sepolte: e invece no, le vecchie storie rimangono e se ne possono recuperare tutti i suoni e tutti i profumi.

Conosciamo Antine nel giorno della festa grande del paese che, quasi magicamente, viene travolto da una forza sconosciuta e misteriosa e si ritrova a ballare una danza primordiale. È come se le stelle del cielo lo guidassero in quel ballo. Ma chi l'ha trasportato in quei passi che non sembravano umani? Sono le janas che hanno scelto lui per una missione importante. Sarà la Jana Tidora a svegliarlo, qualche giorno dopo, per spiegargli come lei e le sue sorelle sono tornate. Loro, le eredi delle fate di Monte Oe le stesse che custodivano il più grande tesoro della zona. Sì, proprio così: quelle magiche creature sono di nuovo tra gli umani. E son tornate, pur credendosi per tanto tempo immortali, perché dirà Tidora, "abbiamo paura di morire". La memoria del giovane torna indietro nel tempo, approdando alla sua felice infanzia e all'immagine del vecchio che, alternandosi con la moglie, raccontava a bimbi affascinati tante belle storie: ogni giorno una diversa...

Tonino Oppes, ancora una volta, torna in libreria con un'opera che si incentra su temi a lui molto cari: la memoria, il passato, l'esigenza di non far cadere in quel tritatutto che è l'oblio le vecchie leggende che contengono le nostre radici e che sono in grado di aprirci le porte a un futuro che non sia solo frutto di tecnologia, di fredda tecnologia. Ecco perché quelle delicate creature che son le Janas tornano: perché hanno timore di essere dimenticate e scelgono come loro interprete Antine che ha, ancora, il ricordo di storie dell'infanzia. Vecchie storie che si inseriscono nel tessuto narrativo per arrichirlo e restituire al lettore quella magia di chi si ha bisogno, spesso senza esserne pienamente consapevoli. E ciò per il semplice fatto che i racconti dell'infanzia hanno un potere benefico, quasi curativo e, soprattutto, regalano la capacità di sognare che noi "adulti" - per una visione ristretta o distorta di quella che dovrebbe essere la maturità- ci neghiamo del tutto o ce la limitiamo in nome di un presunto principio del "ci sono cose più importanti da fare."
È indubbio che ci sia un errore di fondo in tutto questo, così come è chiato che bisognerebbe armarsi di buona volontà o forse dedicarsi più tempo per scavare nei ricordi dei nostri nonni, dei nostri genitori, fare un viaggio intenso nei meandri dei nostri piccoli paesini per recuperare frammenti preziosi di racconti, di storie, di leggende. E ricominciare a parlare, a comunicare. E non dimenticare le parole di Tidora che, come un giudice impietoso, afferma 
"Comunicate con tutto il mondo, ma non con i nostri vicini e avete lasciato morire la comunità del racconto, quella che viveva se si creava l'incontro tra le generazioni."
Quanta verità in queste parole!
È proprio vero che manca la parola e, con essa, il sogno.
È vero che, piano piano, ci si dimentica di chi siamo stati e di chi siamo realmente.
Forse sarebbe opportuno fermarsi, smettere di correre (per andare dove, poi?) e ascoltare, col cuore, una storia che sia quella de Sa colora o quella di Rebeccu Rebecchei o le tantissime altre che, probabilmente, son dentro di noi, in qualche remoto angolo, e che abbiamo sotterrato in un oceanico affastellarsi di impegni, familiari, sociali o lavorativi.
Il ballo con le janas è un libro per l'anima che addolcisce predisponendo la mente a inevitabili e profonde riflessioni, che ci conduce in un tempo lontano - ma, forse, non ancora del tutto perduto - il tutto con uno stile lieve, lineare privo di orpelli che porta dritto al cuore lasciandoci la voglia di un ballo. Con le Janas.