mercoledì 21 marzo 2018

Silenzi d'amore - Duccio Demetrio

I luoghi del silenzio                   
   Titolo: Silenzi d'amore
Autore: Duccio Demetrio
Editore: Mimesis
Anno: 2015
Pagine: 52
Genere: Saggio

“Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero sentito parlare dell’Amore” affermava, nel seicento, il celebre aforista francese François de La Rochefoucauld. Ma gli aforismi, come è ben noto, non in tutti i casi contengono verità assolute: infatti, non sempre si ha bisogno di parole – in fondo, quanto son stolti gli amanti che, per dirla con Rilke, non si stancano di scambiarsi parole l’una dentro l’altra? -, anzi è possibile, come spesso accade, che ci si innamori senza aver mai sentito parlare dell’amore. Il silenzio, nel suo significato ambivalente –se c’è, infatti, il silenzio impaziente dell’attesa dell’amante c’è, d’altro canto, il silenzio che accompagna la cerimonia degli addii - è parte fondamentale di ogni amore che possa essere definito tale. E quando si parla di silenzi non si può non tener conto del ruolo della scrittura, luogo di silenzi per eccellenza. È fatta di silenzi sia la fase di gestazione della scrittura così come il suo adempiersi e tale arte diviene ancor più preziosa se si tiene conto delle enormi potenzialità in essa insita: quella di rinobilitare ogni amore non “consegnandolo una volta per tutte al passato”, ma, al contrario, alla memoria…
Duccio Demetrio direttore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia e fondatore, insieme con Nicoletta Polla-Mattior, dell’Accademia del Silenzio nel suggestivo borgo di Anghiari in questo breve saggio affronta i temi che costituiscono la parte portante dei suoi studi e delle sue ricerche: il silenzio e la scrittura strumento, quest’ultimo, in grado di realizzare “il miracolo della complicità tra la parola e il silenzio”. E, forse, è proprio di questo miracolo quello di cui abbiamo bisogno per uscire dal gorgo chiassoso, frenetico, senza pause nel quale quotidianamente siamo immersi o, meglio, sommersi. Un libro breve, ma molto denso scritto con un linguaggio che, a tratti, sfiora il lirismo, che, indubbiamente, aiuta a riflettere, a porsi dei quesiti –numerosi, a dire il vero- e a rivalutare l’opportunità, spesso trascurata, di concedersi il benessere dato da attimi di silenzio per guardarsi dentro, per fare un lungo scavo all’insegna dell’introspezione profonda per ritrovare noi stessi, molto spesso persi chissà dove. O anche per scrivere poiché la scrittura è “quanto di più e di meglio la mente umana abbia escogitato per far rivivere ancora quanto si credeva per sempre perduto.”

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Amicizia, Ralph Waldo Emerson

lunedì 19 marzo 2018

SE MI DISTRAGGO PERDO - Anna Giurickovic


Sussurri 
Titolo: Se mi distraggo perdo
Autore: Anna Giurickovic
Editore: Gorilla Sapiens edizioni
Anno: 2013
Genere: Racconti
Pagine: 144


Nicola, sotto la cappa di afa che domina Sabaudia, guarda Luisa con le sue caviglie gonfie, con la pelle che si increspa attorno alle labbra. E ricorda la soffitta nella quale avevano vissuto da giovani e l’amore consumato sulle note dei Guns N’ Roses. E, soprattutto, ricorda che si innamorò dei suoi malleoli…Crizia ha venticinque anni, è una sfigata. Lo è sempre stata.  Sua madre era iperprotettiva, lei non usciva, faceva i compiti e mangiava, mangiava…Marinuzzedda e Giovanna si incontrano dopo tanti anni. E iniziano a ricordare le figure che hanno popolato la loro gioventù. Giovanna ricorda quanto fosse brutta Marinuzzedda e, nonostante ciò, si è sposata e ha avuto figli, dal canto suo Marinuzzedda ricorda quanto buttanazza fosse la cara Giovanna…Lui è andato via, ma lei lo aspetta. Ogni notte, ogni santa notte. E prepara la cena, la tiene in caldo. Lo sa che lui è andato via perché lei è ormai vecchia…

Sono quattordici i racconti che formano la raccolta Se mi distraggo perdo della giovane catanese Anna Giurickovic. Con una scrittura vivace, moderna non scevra di una singolare delicatezza, quasi sfiorandoci, l’autrice ci apre le porte di un universo tutto al  femminile, con le sue molteplici varianti, con le sue fragilità e paure, avendo cura di non tralasciare alcuna sfumatura. Sono storie molto diverse tra loro e ognuna di esse risulta filtrata dall’occhio e dal sentimento di donne che, a modo loro, hanno affrontato l’amore, il rapporto  filiale, la morte, l’abbandono. Le protagoniste della raccolta si nutrono di pensieri, vivono degli stessi, ripercorrono, come se stessero guardano un album di vecchie fotografie, il loro passato senza mai tentare di riscriverlo o accettano il presente e le scelte altrui aspettando, spesso in silenzio o tra le parole di un monologo interiore, che le cose cambino o che qualcuno ritorni. Son donne che sussurrano, non urlano. A fine lettura, rimane addosso un alone di malinconia, quasi soave e mai fastidioso.


Recensione già pubblicata su Mangialibri

Vedi anche:
Alcuni casi stupefacenti tra cui un gufo rotto, Davide Predosin

giovedì 15 marzo 2018

L'ALBERO DI GIUDA - Silvana Grasso


Il capitale

Titolo: L’albero di Giuda
Autore: Silvana Grasso
Editore: Marsilio
Anno: 2011
Genere: Romanzo
Pagine: 297



Una bella sorpresa questo romanzo perché vivace, frizzante, ironico, ma – a suo modo – anche triste e melanconico.

Sicilia, Bulalà. Alle sei e tre quarti del 15 giugno  Sasà Azzarello, arrivava, puntuale come sempre, alla cancellata della Villa Comunale. Lì, in quella Villa, luogo d’incontro con i suoi amici – o quasi amici, o forse per niente amici – il settantenne Sasà sente, ogni volta, il respiro del mare. Certo, non tutti potevano sentirlo quel respiro: bisognava averci l’anima, bisognava non essere bestiacce con il cervello crudo. Un’anima fine ci voleva, come la sua che non solo il respiro, ma anche il cuore del mare sentiva e ciò in barba alle amarezze che la vita gli aveva donato. E quelle bestiacce dei suoi amici, che di fine non avevano proprio nulla, figuriamoci l’anima, gli ripetevano quanto cretino fosse. No! Non era il mare quello: erano le ciminiere quelle che sentiva. Ma Sasà, intelligente com’era, lo capiva che erano solo degli invidiosi, in  particolare il logorroico Cataratta che ci moriva d’invidia. Ed era anche normale: Sasà è colto, laureato figlio del direttore didattico. Sasà che tutti a Bulalà, chiamavano il filosofo. Per sfotterlo, certo, ma filosofo lui lo era. E il vecchio settantenne ogni volta si riprometteva di non incontrarli quegli avvelenati di invidia , ma poi si ritrovava nel cancelletto della villa perché, in fondo, quei maledetti erano meglio della solitudine, sempre meglio dei ricordi della sua triste vita…

Pubblicato per la prima volta con Einaudi nel 97 poi con Marsilio nel 2011 L’albero di Giuda -tra l’altro vincitore del premio Napoli e del Premio Vittorini nel 1997 – è un romanzo ironico, frizzante, e surreale nel quale, con il veicolo della comicità e del paradosso, si affrontano tematiche forti. Sasà, il protagonista, ormai anziano, ripercorre gli anni della sua vita passata, marchiati dall’infelicità, per scelta propria e altrui, per destino, per mancanza di coraggio, per un arrendersi al corso degli eventi. Si parla di amore, quello grande di Sasà per la friulana, un amore contrastato dal padre, figura dominante, si parla del rapporto padre-figlio nel quale il genitore pretende, e si impegna alacremente in questo, per scrivere la vita del figliolo: decidendo, sin dalla nascita, il suo ruolo nel mondo, la sua intelligenza e, naturalmente, il possesso –tra le gambe – di quel preziosissimo “capitale” perché lui è figlio del direttore didattico!  Tutto nella norma in quella realtà descritta dalla Grasso nella quale la virilità è bene assoluto per quanto poi si tratti solo di virilità solo illustrata e decantata, ma mai dimostrata nel concreto nei fatti. A fine lettura rimane un senso di amarezza perché, alla resa dei conti, nessuno ha vissuto davvero la vita che voleva o, ancor peggio, nessuno ha compreso cosa effettivamente volesse dalla vita…ma, poi, volevano davvero qualcosa? Ampio spazio, in questo assurdo quadro, trovano i ripetuti e costanti pensieri di morte: Sasà, per tutta la vita, ha sognato il suicidio ponendo in essere tentativi sfioranti il grottesco. E solitudine tanta e, poi, la vecchiaia il decadimento, la sordità, i passi lenti, il balbettio. Il tutto narrato con toni comici, divertenti, amari con un uso largo del dialetto che colora e vivacizza.


lunedì 12 marzo 2018

L'USIGNOLO - Kristin Hannah


Nell'ombra 

Titolo: L’Usignolo
Autore: Kristin Hannah
Editore: Mondadori
Anno: 2016
Genere: Romanzo guerra
Pagine: 466
Traduzione: Federica Garlaschelli

Francia, Carrevau, agosto 1939. È una calda giornata e Vianne è felice: si appresta a fare, con suo marito e sua figlia, un picnic sulla riva del fiume. Il sole illumina le loro risate e le loro parole. E quando Antoine pronuncia il nome di Hitler e della sua maledetta guerra una nube pare oscurare quella che sembrava una giornata splendida. Già, la guerra. L’invasione tedesca e gli uomini che dovranno andare a combattere. Tra questi, anche Antoine…Parigi, giugno 1940. Isabelle, sorella diciottenne di Vianne, per l’ennesima volta è stata cacciata da un istituto per signorine perché Madame Allard ritiene come alla stessa non interessi “imparare ciò che abbiamo da insegnarle”. Non è la prima volta che Isabelle viene espulsa da una scuola. Alla fine, nella sua breve vita, è sempre stata cacciata: prima la morte di sua madre, poi l’abbandono del padre e anche Vianne, la lasciò. E, adesso, tornerà da suo padre che è sicura non la vorrà. Sarà così infatti: quel genitore, duro e distrutto dalla prima guerra mondiale, ritiene di non poterla tenere con sé e la invita –senza lasciarle alternative- a trasferirsi da Vianne. Nel lungo e tortuoso percorso che la condurrà a Carrevau, tra attacchi nemici e lunghe file di persone sofferenti, incontrerà Gaetan e capirà quale sarà il suo destino: ribellarsi e combattere questa guerra…

L’usignolo, pubblicato per la prima volta in America nel 2015, ha incontrato da subito il favore e l’entusiasmo dei lettori per la sua immediata capacità di regalare emozioni intense. È indubbio che la storia narrata, ambientata nei tristi giorni dell’occupazione nazista in Francia, non lasci indifferenti sia perché il periodo storico è descritto con precisione - facile evincere un lungo lavoro di ricerca e documentazione - ma soprattutto per la prospettiva, tutta al femminile, adottata dalla scrittrice. Sono, fatte alcune eccezioni, rari i romanzi che affrontano la guerra secondo una visione femminile, quasi che la guerra fosse solo “affare” o, anche, solo “di proprietà degli uomini” in quanto sono loro che partono, combattono, muoiono. Invece, qui appaiono donne che, seppure in modo diverso, lottano con coraggio e forza. Combatte Isabelle che persegue, senza nessuna incrinatura, il suo ideale di libertà,  senza nulla temere, perdendo la propria identità e rischiando la vita ogni giorno, ma combatte anche Vianne, apparentemente più pavida, restando in casa, sola con sua figlia, ad attendere il marito e nascondendo bambini ebrei. Le due sorelle divengono il simbolo di tutte le donne che hanno vissuto esperienze simili e che, pur non avendo ricevuto medaglie o riconoscimenti ufficiali, hanno posto dei piccoli e preziosi tasselli nell’accidentato percorso della liberazione. Un romanzo commovente, dettagliato, scorrevole che, in qualche modo, restituisce dignità a quelle persone che seppur lavorando nell’ombra, in silenzio, hanno dato molto alla Storia.

Leggi anche:
Eredità, Lilli Gruber

giovedì 8 marzo 2018

LETTERE AD AMELIA ROSSELLI - Alberto Moravia


Limiti e sogni

Titolo: Lettere ad Amelia Rosselli
Autore: Alberto Moravia
Editore: Bompiani
Anno: 2010
Pagine: 366
Genere: Saggio 
Curatore: Simone Casini


Moravia mi riporta al passato, agli anni del liceo.
Infatti, in quegli anni, lessi tutti i suoi romanzi. Tutto nacque per caso quando presi nella biblioteca della scuola i due volumi dei Racconti e da lì, acquistai, piano piano, tutti i suoi romanzi che, gradualmente, allineavo nella mia piccola libreria. Certo, non mi son rimasti tutti nel cuore, ma Gli indifferenti, be’ Gli indifferenti è speciale.

Negli anni della sua tormentata adolescenza, spesso trascorsa a Cortina immobilizzato nel letto di un sanatorio, un giovane studia, scrive racconti, scrive poesie, e soprattutto scrive lettere a sua zia. Il giovane è Alberto Pincherle, meglio conosciuto come Alberto Moravia,  e sua zia è Amelia Rosselli, madre di Nello e Carlo. Scrive per parlare della sua solitudine, dei suoi studi, dei suoi progetti e dei suoi desideri troppo spesso accantonati a causa della tubercolosi ossea che lo imprigiona e gli impedisce di fare quei voli che ogni giovane desidererebbe. Lettere che, ad un certo punto si interrompono, precisamente da quel  funesto 9 giugno 1937, giorno in cui, a Bagnoles-de-L’Orne, i fratelli Rosselli vengono assassinati…

I Pincherle e i Rosselli, due famiglie profondamente diverse e fortemente unite da un sincero legame d’affetto. Due ambienti differenti, forse troppo rigido e poco stimolante quello dei Pincherle, ricco di sensibilità civile e preparazione politica quello dei Rosselli. Da queste sessanta lettere, curate da Simone Casini, emerge uno spaccato dei rapporti familiari di uno dei più grandi scrittori del novecento. 
Emerge, gradualmente, la sua crescita sia come uomo sia  come scrittore. Una adolescenza fatta di limiti tutti prevalentemente legati alla sua malattia che lo costringe a ripetuti ricoveri e all’immobilità forzata. Un giovane che cresce con una sensibilità fuori dal comune e che trova in Amelia Rosselli, donna intelligente e forte, uno stimolo a non arrendersi. Amelia, in qualche modo, è stata la sua musa ispiratrice ed è Moravia stesso a riconoscere come i suoi progressi, in gran parte, sono dovuti a questa donna che gli “ ha messo le ali”. È in questi anni che Moravia inizia a scrivere Gli indifferenti che sarà pubblicato nel 1929, all’età di ventidue anni, il suo romanzo realistico nel senso non di minuziosa descrizione degli eventi, ma di abile scavo compiuto al fine di comprendere le ragioni profonde dei fenomeni. Le Lettere ad Amelia Rosselli sono anche uno scorcio di storia italiana, dell’Italia dominata dal fascismo. E grazie soprattutto all’opera esegetica di Casini è possibile far luce - senza i luoghi comuni che spesso hanno accompagnato tale vicenda  - sul silenzio che Moravia serbò dopo il 9 giugno 1937 quando i suoi due cugini furono assassinati in Francia, su mandato del regime italiano. Accusato e biasimato per quel silenzio, tacciato di opportunismo, Casini ci permette di comprendere meglio la posizione dello scrittore e in particolare i suoi rapporti con i Rosselli e la sua “non-opposizione” al regime. Forse una sorta di diffidenza da parte di Moravia nei confronti dello stile di vita della famiglia dei cugini che in qualche modo vedeva come ingenui e sentiva, in modo contraddittorio, come gli antifascisti fossero perdenti. La sua vita familiare lo portava a una sorta di ribellione o di rivolta non certo alla lotta civile, inoltre si innesta un altro sentimento forse una sorta di risentimento verso quei cugini che lo prendevano un po’ in giro e lo consideravano un ragazzino. Certo è che la corrispondenza con la zia riprenderà dopo molti anni, quando Moravia, già adulto, cercherà di spiegare, in modo quasi laconico quel silenzio e il dolore per la perdita degli amati cugini. La  raccolta di lettere è accompagnata anche da alcune poesie giovanili che contribuiscono a fornici un ritratto ad ampio spettro di un grande intellettuale dello scorso secolo.

Leggi anche:
Le lettere mai arrivate, Mauricio Rosencof


lunedì 5 marzo 2018

LE LETTERE MAI ARRIVATE - Mauricio Rosencof


Voci

Titolo: Le lettere mai arrivate
Autore: Mauricio Rosencof
Editore: Nova Delphi
Anno: 2015
Pagine: 130 
Traduzione: Fabia Del Giudice

Un libro drammatico, forte sull’importanza della parola, sulla necessità di non dimenticare perché solo raccontando c’è una possibilità di salvezza.


Ricorda molto bene la prima volta che vide sua madre: lei si trovava nel cortile pieno di piante. Di suo padre, invece, la prima cosa che scoprì furono gli occhi: chiari, trasparenti, ridenti. Aveva anche un fratello maggiore che, per tutta la vita, lo difese. Ricorda che un giorno suo papà arrivò ben vestito e felice e portava con sé una grande scatola rivestita di carta di giornale che appoggiò sul tavolo della cucina. Dentro c’era una radio. La domenica era il giorno nel quale si leggevano le lettere e il padre, senza mai sorridere, leggeva quelle vecchie perché quelle che aspettava non arrivarono mai. Rileggeva le lettere dei suoi genitori lontani che raccontavano dell’insediamento della Gestapo, di una fascia con una stella blu, del divieto di camminare sui marciapiedi. Si preparavano per il ghetto. E parlavano di una città per gli ebrei, solo per loro. Una città dove i vecchi prendono il tè e giocano a domino e, soprattutto, dove nessuno porta la stella di David. Terensienstadt si chiama quella città. La domenica era anche giorno del bollito di domenica. Ogni domenica bollito e lettere…

Nel leggere questa intensa ed emozionante opera non si può non considerare la vita di Mauricio Rosencof, uruguaiano, figlio di ebrei polacchi, fondatore dei Tupamanaros, noto anche come Movimiento de Liberación Nacional, che conobbe, dal 1972 al 1985, la terribile esperienza del carcere. È da questa esperienza di reclusione in quella fredda cella segreta che nasce in lui l’idea di scrivere le Lettere con le quali ricostruisce e recupera, con passione e sentimento, il suo passato, la sua infanzia, il rapporto con il padre. Un viaggio attraverso la memoria, nella quale dà voce non solo alla sua storia ma, in generale, alla Storia. Perché le voci degli uomini o, meglio, le grida di sofferenza non devono perdersi perché se è vero che gli uomini muoiono le grida, quelle non possono svanire nel nulla. Devono necessariamente salvarsi, sia per quelli che non sanno, sia per quelli che non vogliono sapere. Bisogna parlarne, bisogna raccontare onde evitare l’oblio “perché se raccontiamo i nostri naufragi è perché non siamo affogati”.

Altri libri:
L'amore necessario, Nadia Fusini
Per lettera, Iselin C. Hermann


giovedì 1 marzo 2018

BEAT HIPPIE YIPPIE - Fernanda Pivano

Sognando
Titolo: Beat Hippie Yippie
Autore: Fernanda Pivano
Editore: Bompiani
Anno: 2017
Genere: Saggio
Pagine:384

Ogni generazione ha il suo poeta-mito e, quella del secondo dopoguerra, lo trovò in Ginsberg il cui Urlo rappresentò il manifesto di chi si rifiutava di vedere dei benefici in ciò che aveva condotto alla  meccanicizzazione dell’America e all’adorazione del dio-denaro. Ginsberg auspicava fortemente un dialogo tra uomini che fossero liberi: liberi da qualsivoglia manipolazione o imposizione. Era necessario liberare la mente e tale necessità primaria si manifesta anche nell’uso di droghe volte ad ampliare la mente a differenza dell’oppio, usato abbondantemente nelle epoche precedenti, che ottenebrava le menti. Sono gli anni di Bob Dylan, il giovane Dylan umile  e frugale che, nelle sue parole e nelle sue azioni, disprezzava i valori  borghesi. Sono gli anni della beat generation, anche se, forse, fu un errore usare tale terminologia meglio sarebbe stato definirli go generation “in quanto dove andavano non lo sapevano di certo quei dolci e patetici hipster dal volto d’angelo che zigzagavano gli Stati Uniti […]in cerca di amici con cui andare, dove chi lo sa, ma andare” Nel 68 muore Neal Cassidy l’uomo e la parlata che furono il modello del protagonista de Sulla strada di Kerouac. Sono anche gli anni nei quali Amsterdam si distingue per la sua libertà e tolleranza per Assurgere al rango di città priva di proibizionismi. Sono gli anni, a Londra in Baker Street, del negozio dei Beatles “La Mela”, fuori dalle mode, il cui soffitto era una “volta celeste illuminata dalle stelle e dal sole”. Sono anche gli anni del Living Theater, il teatro della non-violenza che cerca di sottrarsi alle logiche commerciali della critica e della pubblicità rinunciando a fissare un prezzo fisso per il biglietto chiedendo solo un contributo volontario al fine di creare un contatto diretto con il pubblico…

Pubblicato per la prima volta nel 1972 dall’editore Arcana, poi riedito più volte da Bompiani, Beat Hippie Yippie rappresenta un importante documento volto a ricostruire un arco di tempo che va dagli anni ’50 al 1968. Una raccolta di saggi, di articoli, di aneddoti dai quali emergono le pulsioni, i sogni, la storia di un’epoca che la Pivano, con la sua penna attenta e curiosa, ha visto, vissuto in qualche modo e traposto in parole che non si riducono a una fredda cronaca giornalistica o a un reportage tout-court, ma sono parole di chi ha davvero “sentito” e toccato con mano quegli anni e le persone che ne percorrevano i sentieri, talora tortuosi, talora quasi magici. E il legame dell’autrice con la beat generation emerge tutto quanto, nella sua meticolosa osservazione di una generazione che ha fatto del sogno di una società migliore il proprio cavallo di battaglia, l’ideale con il quale convivere, con il quale cambiare, o tentare, di cambiare le cose. Perché un mondo migliore poteva esistere. Una raccolta quindi di sogni, di ribellioni, di inni alla libertà, e anche aneddoti divertenti che hanno il sapore di un’epoca quasi incantata, ma anche molto lontana. Indimenticabile l’episodio dedicato al primo incontro –decisamente movimentato- tra la Pivano e Neal Cassidy – il Dean Moriarty, il figlio del West e del sole di On the road -   quasi grottesco, ma malinconico e tristemente nostalgico. Insomma, un dettagliato resoconto di incontri, di chiacchierate, di canzoni, di parole, dai quali son venuti fuori notevoli e interessanti pagine non solo dal punto di vista storico, ma anche umano nelle quali sgorga l’amore incontenibile dell’autrice per quegli artisti sognatori, insolenti, a volte anche patetici.