mercoledì 20 luglio 2016

EREDITÀ - Lilli Gruber

"Heimatando"

Titolo: Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo
Autore: Lilli Gruber
Editore: Rizzoli
Anno 2012
Pagine: 354
Genere: Romanzo

Un vecchio diario. Tutto è partito da lì. Poi le storie familiari che si intrecciano con la Storia. Una riscoperta del passato e di se stessi.

Sudtirolo, piccolo villaggio di Pinzon. Rosa Rizzolli, nata Tiefenthaler, prende il suo diario con la copertina in pelle marrone e, dopo aver intinto la penna nell’inchiostro, annota in tedesco antico “Novembre 1918”. Non indica il giorno perché non è necessario: ogni santo giorno di quel nefasto mese è stato segnato da sofferenze. Il suo piccolo grande mondo sta per spezzarsi: dopo l’armistizio con l’esercito italiano il Sudtirolo passerà all’Italia. Rosa soffre perché è conscia del fatto che la sua vita cambierà drasticamente, teme per la sua famiglia, per tutto il suo popolo e per la sua identità ormai minata. Si avvicina al lettino dove dorme la sua ultima figlia, la piccola Hella di soli due anni, e si chiede, senza darsi una risposta,  se quella giovane creatura innocente potrà un giorno conoscere la felicità…


Il ritrovamento del diario della bisnonna  ha offerto a Lilli Gruber, volto noto della televisione italiana, il primo spunto per dare alle stampe un romanzo sincero e appassionato nelle cui pagine la sua famiglia diviene il filtro attraverso il quale si snodano gli eventi storici che coprono un arco di tempo che va dalla fine dell’ottocento sino al fascismo. La Gruber che è cresciuta “in un continuo dialogo con il passato che non voleva passare” ha continuato questo dialogo intenso mettendo nero su bianco i travagli di un popolo, quello del Sudtirolo, e la sua dura lotta per conservare l’identità dando voce a quel sentimento che lega le persone alla propria heimat che è un concetto che va al di là di quello, troppo riduttivo, di patria o di luogo natio, è un sentimento ben più profondo, viscerale e perciò stesso intraducibile. Pagine intense quelle di Eredità nelle quali la forte carica emotiva si unisce armoniosamente con la verità storica spesso crudele, spesso difficile da accettare. 

martedì 19 luglio 2016

CARBONIA - Nanni Balestrini

Sodomie

Titolo: Carbonia. Eravamo tutti comunisti
Autore: Nanni Balestrini
Editore: Bompiani
Anno: 2013
Pagine: 83
Genere: Romanzo

Incalzante, martellante quasi, parole che si susseguono senza interruzioni,come canzone ben ritmata. Incazzato, blasfemo, amaro e fatalista: siamo tutti fottuti. 

Durante la guerra si arruola in Marina e la sua nave sarà colpita dall’aviazione angloamericana. Ferito, sarà condotto in ospedale. Dopo la fuga del re e degli ufficiali  anche lui tenta di fuggire attraverso le montagne, ma viene catturato dei tedeschi e condotto in un campo delle SS. Qui scopre di essere comunista. Scopre di odiare i fascisti e i tedeschi. Qualche tempo dopo si ritroverà a Livorno ad assistere alla reazione violenta del popolo per l’attentato di Togliatti. Torna in Sardegna e dopo un breve periodo nel suo paese si ritroverà a Carbonia a lavorare in miniera per scelta quasi obbligata: primo perché ha messo incinta la sua ragazza ed è opportuno sfuggire a un matrimonio riparatore e secondo perché nel suo paesino è pieno di fascisti travestiti da democristiani che lui, si sa, non sopporta. Perché lui è comunista e odia i fascisti anche se travestiti…

Nanni Balestrini, classe 1935, grande esponente del movimento di neovanguardia Gruppo 63 e autore del famosissimo romanzo politico Vogliamo tutto torna a parlarci con Carbonia dei deboli, degli ultimi e lo fa attraverso la voce del protagonista, un minatore, che urlando, bestemmiando e non abbandonando mai i suoi propositi di lotta dà voce a un’intera classe sociale. Con una prosa ridotta all’essenziale, con frasi taglienti e incisive, privo di pause - non è presente, nell’opera, alcun segno di interpunzione- Carbonia è un romanzo vero, crudo e forte nel quale il punto forte è, senza dubbio, l’originalità dello stile. Un racconto di lotte, di soprusi subiti, di scioperi, di sofferenze dominato da una sorta  di amarezza di fondo quasi a voler dimostrare come nonostante la guerra, nonostante la liberazione, - qualunque essa sia - rimarrà sempre l’inestirpabile e eterna dicotomia tra sfruttati e sfruttatori “…e così noi ce la pigliamo sempre nel culo”. Amen.

Altri libri:
Il domatore, Alberto Secci



lunedì 18 luglio 2016

RADICI - Alex Haley

"Perché?"
Titolo: Radici
Autore:Alex Haley
Editore: BUR
Anno: 1980
Pagine: 505
Traduzione: Marco Amante
Genere: Romanzo

Radici è uno di quei libri per i quali si dice, una volta finito, “Ma perché non l’ho letto prima?”. Cinquecento pagine che affascinano, incantano, e suscitano, nel lettore, una miriade di sensazioni oscillanti tutte intorno a un sentimento di rabbia nei confronti del genere umano. E, inoltre, c’è stato anche tutto quel recupero dei tempi andati, il tornare indietro nel tempo, a quando bambina, con la mia famiglia, c’era l’appuntamento in tv con la miniserie omonima e l’indimenticabile Kunta Kinte Quegli appuntamenti serali di una volta che avevano il sapore di un rito. Magico.

Gambia, 1750. È una giornata di inizio primavera quando, nel villaggio di Jaffure, nasce il figlio nero-ebano di Omoro e Binta Kinte. In quel villaggio, nel quale il trascorrere del tempo si misura con le lune e con le piogge, la nascita di un maschio è di buon auspicio per tutto il parentado. Omoro, novello padre, segue quella che è una tradizione da tempo immemorabile: nei sette  giorni successivi alla nascita dovrà dedicarsi solo alla scelta del nome. Il nome è qualcosa di prezioso, deve contenere storia e promesse poiché per la sua tribù, Mandinka, il bimbo erediterà le virtù delle persona o cosa di cui porterà il nome. L’ottavo giorno, Omoro esce dalla sua capanna e si piazza davanti all’assemblea trepidante, solleva il bimbo tra le braccia sussurrandogli, per tre volte,  Kunta Kinta: il nome del nonno. Passano le lune, Kunta Kinte, vive felice la sua infanzia, lavora, cresce e, finalmente, può indossare il suo primo dundiko e smettere di andare nudo come un fanciullo. Quando suo fratello gli domanderà cosa siano gli schiavi lui non sa rispondere, si informa e capisce che “esiste una terra dove vendono gli schiavi a dei grossi, grossissimi cannibali chiamati taubob che ci mangiano”. Un giorno, tra il profumo familiare di fiori selvatici, Kunta percorre un boschetto per tagliare un tronco e farne un tamburo e, all’improvviso, percepisce dei rumori insoliti. Comprende: sono i taubob. Si difende, lotta disperatamente, ma perde i sensi. Si risveglierà su un’imbarcazione, incatenato, al buio, quasi soffocato da un fetore insopportabile…

"Dopo avergli guardato ben bene nella bocca, ispezionavano il fotò agli uomini e alle donne le loro parti intime. Alla fine li facevano accucciare e li marchiavano con un ferro rovente, sulla schiena o sulle spalle. Poi i prescelti, che urlavano e si divincolavano, venivano condotti sulla riva dove li attendevano le piccole canoe per portarli a bordo delle grandi canoe. Io e i miei fratelli ne abbiamo visti molti gettarsi a terra e afferrare e mangiare la sabbia...come se volessero abbracciare e baciare per l'ultima volta la loro patria. Ma venivano trascinati via a forza e battuti. Quando le piccole canoe erano in mezzo al fiume, molti ancora seguitavano a dibattersi, a sfidare le sferze e le percosse. E qualcuno riusciva a saltare in acqua. Ma nell'acqua c'erano enormi pesci dal dorso grigio e dal ventre bianco, con la bocca ricurva irta di denti, che li divoravano arrossando l'acqua del loro sangue." (Pag. 60)


Ben dodici anni sono stati necessari a Alex Haley per scrivere questo possente romanzo nel quale egli ricostruisce le vicende della sua famiglia, da parte materna, partendo dal suo avo, Kunta Kinte, rapito nella sua terra dall’uomo bianco per ridurlo in schiavitù. Sette generazioni si ritrovano in queste pagine che vedono la loro origine nella forza del racconto orale, in quelle vecchie storie che la nonna gli ha raccontato e che si sono conservate, quasi inalterate,  grazie alla memoria e alla ripetizione di padre in figlio. A tale nucleo originario, impregnato di magia e di tradizione,  si è poi aggiunta una lunga ricerca storica unita a viaggi dello stesso autore in quella terra africana che, in una lontana primavera, diede i natali al giovane Kunta Kinte.  
Radici è il racconto dettagliato di una delle più deprecabili azioni compiute dall’uomo che pone in luce, dolorosamente, quanto spesso, e purtroppo, la vita umana abbia poco valore nel momento in cui entrano in gioco la sete di potere e di ricchezza. E in questo quadro desolante, fatto di dolore, di sofferenze inflitte, di uomini ridotti al rango di oggetti di scarso valore, in questo quadro orrifico, a tinte fosche, c’è chi -pur divenuto  merce - abbia avuto la forza di amare, di conservare la dignità, di attendere e di sperare un futuro. Un romanzo intenso, commovente, toccante nel quale si muovono tragedia, tradizioni, magia, dolore, tutti elementi che non lasciano tregua nella lettura sempre avvincente senza cali. Peraltro, non si può affermare di aver terminato la lettura una volta chiuso il libro perché le riflessioni che esso muove rimangono intatte anche dopo, così come quelle domande incentrate sul “perché” che non avranno sagge risposte e la triste constatazione di quanto la storia, spesso, insegni ben poco. 

domenica 17 luglio 2016

SUL SOFFITTO - Éric Chevillard

"Denti per il mio pane"
Titolo: Sul soffitto
Autore: Éric Chevillard
Editore: Del Vecchio
Anno: 2015
Pagine: 144
Traduzione: Gianmaria Finardi
Genere: Romanzo


Per me che amo i personaggi fuori dalle righe, tremendamente strampalati, che ho una grande passione per le situazioni dominate dall'assurdo, questo romanzo è stato un balsamo, un'esperienza divertente e entusiasmante. Bello immergersi   in un mondo “non-normale”, bello seguire le avventure da altre prospettive, dal soffitto per esempio. Bello sfidare le leggi, soprattutto quella di gravità.

Il grigio. Il grigio delle nuvole, dell’elefante, dell’ippopotamo. Grigio è la “sottile manifestazione del visibile, ciò che si distingue appena dal nulla o se ne avvicina di più”. Anche lui è un uomo vestito  di grigio, dalla testa ai piedi, un uomo comune, “uno che somiglia”, ma nonostante il suo grigiore, tutte le volte che esce, le persone lo notano, lo guardano –male, sia chiaro- additandolo. Lui, fin da bambino, esce con una sedia rovesciata sulla testa e con essa vive un rapporto simbiotico. C’è pure chi non lo addita: sono i suoi amici. Come l’impagliatrice di sedie che cresce i suoi bambini nella sua pancia e non li partorisce per evitare che conoscano le brutture del mondo, come Kolski che attende che il suo fetore un giorno assuma consistenza per poter modellare una statua “un’opera colorita, leggera, indistruttibile che avrebbe chiamato la primavera” o come Topouria l’uomo che crede di essere una gru. Capita che un giorno vengano sbattuti fuori dalla loro abitazione, il cantiere di una biblioteca mai realizzata e decidano di trasferirsi a casa dei genitori di Méline, la sua fidanzata. Lì vivranno sul soffitto, a testa in giù, sfidando la legge di gravità… Chevillard, autore di numerosi romanzi, vincitore di numerosi premi nonché creatore del blog "Autofictif" nel quale, giornalmente, pubblica tre aforismi di carattere ironico e provocatorio, con Sul soffitto, edito in Francia nel 1997, per la prima volta viene pubblicato e tradotto in Italia: finalmente, mi vien da dire. Entrare nel mondo di Chevillard significa rimanere spiazzati, destabilizzati, perdere punti di riferimento, cambiare continuamente prospettiva. Il protagonista e i suoi amici fuori dalle righe, ci conducono, con continua ironia, in un mondo capovolto e, soprattutto, in un universo destinato a privarsi della fissità o routine che dir si voglia. Non 

 è un caso che Chevillard sia stato considerato l’erede di Alfred Jarry, esponente della patafisica il cui obiettivo era, appunto, quello di studiare le regole che studiano le eccezioni. È chiaro il volersi distaccare drasticamente dalle convenzioni, dagli usi e, in genere, da tutto ciò che sia codificato o comunemente accettato e dato per normale e vero. Distacco dalle convenzioni non solo per quanto concerne la trama –che già di per sé basterebbe - e per i concetti spesso complessi, ma anche per lo stile e il lessico utilizzato, assai ricercato, per l’uso particolare dei segni di interpunzione, per i periodi talora prolissi e l’uso abnorme di incisi che aprono altri mondi all’interno della narrazione. A fine lettura rimane un senso di smarrimento e la certezza di aver letto un bellissimo romanzo certamente merito anche dell’ottima traduzione. Una curiosità: l’artista canadese Ted Hierbert ha reso omaggio all’opera con il progetto On the ceiling realizzando 39 fotografie ritraenti persone con una sedia in testa o appese al soffitto. Buon rovesciamento.

sabato 16 luglio 2016

ALTEZZA REALE - Thomas Mann

Titolo: Altezza reale
Autore: Thomas Mann
Editore: Newton & Compton
Traduzione: Francesca Ricci
Anno: 1993
Pagine: 272

Lessi Altezza reale per la prima volta a 18 anni durante una vacanza al mare. Tante cose sono cambiate da allora. Per esempio, ora non prendo più il sole, per dire. Però è, comunque, bellissimo riprendere in mano vecchi libri per rileggerli con nuovi occhi e, magari, scoprire che – a distanza di vent’anni e più – un libro amato possa rivelarsi deludente: non è questo il caso. Mann si rivela, ancora una volta, un grande autore in grado di leggere e descrivere un’epoca in caduta.

Per legge e per tradizione i figli della coppia regnante devono nascere nella fortezza di Grimmburg. Ai primi di giugno, esattamente il giorno dopo pentecoste, sessantadue colpi di cannone annunciano un lieto evento: la granduchessa Dorothea ha dato alla luce, per la seconda volta, luce un principe. Il padre del piccolo, avvisato telegraficamente, si precipita alla fortezza per ammirare il nuovo nato. Pare sano, soprattutto rispetto al primogenito da sempre di salute cagionevole, tranne che per quella piccola mano rattrappita e i medici, chiamati ad esaminarlo, affermano trattarsi di un’atrofia incurabile. Ma dopo la prima reazione si comprende come ci si debba abituare a quella malformazione e, d’altronde, una zingara profetizzò la salvezza del regno ad opera di un sovrano con una mano sola…
Come nei Buddenbrook anche in questa opera del 1909 Mann affronta il tema della decadenza, questa volta di una dinastia di un piccolo regno, scandita dal ritmo lento delle vicende nelle quali muove i suoi passi e con la mano atrofica rigorosamente celata agli sguardi altrui, Klaus Heinrich, secondogenito, ma destinato a svolgere le funzioni del fratello, il granduca, sempre afflitto da problemi di salute. Il regno è sommerso dai debiti, le manovre economiche si son rivelate insoddisfacenti e le sale di rappresentanza magistralmente simboleggiano, con le loro tende scolorite e divorate dalle tarme, un crescente degrado che, comunque, non impedisce lo svolgersi delle cerimonie di rito perché cosi dev’essere.  Klaus è amabile nella sua ingenuità, nella sua voglia di scoprire il mondo pur soffocato dall’isolamento e i suoi sforzi volti a mescolarsi col mondo esterno risultano vani e fagocitati da ciò che rappresenta: non può essere diverso da ciò che deve essere. Più che un essere umano è un simbolo. E quando si lascia andare spogliandosi dei suoi panni non gli è consentito muoversi liberamente perché tutti “pur senza indovinarla” sentono la sovranità. E se la prima parte del romanzo lascia presagire una decadenza tout court ci si dovrà ricredere nell’ultima dove Mann ha dato un cambio di rotta al racconto regalandoci il dolce sapore di una favola.


venerdì 15 luglio 2016

AMICIZIA - Ralph Waldo Emerson

"Per campagne e per naufragi"

Titolo: Amicizia
Autore: Ralph Waldo Emerson
Editore: Piano B Edizioni
Anno: 2010
Pagine: 120
Traduzione: Antonio Tozzi e Stefano Paolucci
Genere: Saggio filosofia

Natura, amicizia, bellezza, poesia: il tutto, ma non solo, concentrato in un piccolo volume da leggersi con quella benefica lentezza necessaria per guardare un bellissimo tramonto. Senza fretta, soffermandosi ogni tanto.

Viaggio per riflettere. Viaggio per arricchirci. Partiamo dall’amicizia, quel nobile sentimento che s’accompagna agli slanci dell’ingegno e alle estasi della religione. Perché vi è qualcosa di sacro in quel sentimento. Essa è fatta per i giorni sereni, per le passeggiate in idilliache campagne, ma anche - forse soprattutto - per le strade impervie e i naufragi. Non esistono regole predeterminate per avere un amico: basta, semplicemente, esserlo. Amico, Giano bifronte, figlio di “tutte le mie ore passate, il profeta di quelle a venire, e l’araldo di un amico più grande” . Soffermiamoci sulla prudenza, che è l’atto più esteriore della vita interiore. Prudenza non come fuga, ma intesa come coraggio. Prudenza che assurge al rango di virtù insieme con l’amore, l’umiltà, la verità e la franchezza. Nel nostro tragitto incontriamo l’amore, che, simile a un divino furore o a un incantesimo,  si impossessa dell’uomo, attuando una rivoluzione mentale e fisica. Se si ama qualcuno che c’entra la persona amata? Nulla, visto che ciò che amiamo è al di sopra della nostra volontà. Nell’altro amiamo quell’irradiazione, quel qualcosa che l’amato non conosce né potrà mai conoscere. Parliamo anche di Politica. Non dimentichi mai l’uomo che le istituzioni non sono originarie, non sono superiori al cittadino, poiché esse non sono altro che l’atto di un uomo. La ragion d’essere dello stato è da rinvenire nell’educazione dell’uomo saggio: il saggio è lo Stato. Infine, concludiamo questo viaggio soffermandoci su questo meraviglioso dipinto che è la Natura nei cui paesaggi possiamo provare massimi livelli di stupore per l’incontro tra cielo e terra. La Natura è poesia e bellezza in ogni istante , essa non si fa mai “sorprendere in vestaglia. La bellezza irrompe sempre”…


Amicizia è un piccolo ma intenso libro che raccoglie cinque saggi – "Amicizia", "Prudenza", "Amore", "Politica" e "Natura" - provenienti dalla prima e dalla seconda serie degli Essayes dati alle stampe, rispettivamente, nel 1841 e nel 1844 da un autore statunitense forse poco conosciuto in Europa, nonostante il suo movimento filosofico – il trascendentalismo – abbia influenzato molti campi, da quello della letteratura a quello del diritto. In Amicizia è palese l’impronta di tale corrente filosofica, che partendo dal concetto trascendentale Kantiano, tenta di ribaltare le impostazioni di fondo del razionalismo onde porre l’accento sull’individuo, in particolare nei suoi rapporti con la natura e con la società. Autore molto stimato dal critico letterario  Harold Bloom che lo definisce “Mr America” e collocato dallo stesso tra le figure centrali della cultura americana, Emerson ci propone temi attualissimi, non ultimo quello della natura quale bene da preservare, ci porta a fare delle riflessioni circa il ruolo dei moderni governi che, in nome di principi di natura prettamente economica, spesso trascurano come il concetto di ricchezza di uno stato coincida (o dovrebbe coincidere) con quello di benessere dei cittadini. Bene che troppo spesso viene posto in secondo piano. Temi profondi trattati con passione alla quale si accompagna una buona dose di liricità che rende la lettura appassionante e ricca di fascino. 


CHIRÙ - Michela Murgia

"Affinità"
Titolo: Chirú
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Anno: 2015
Pagine: 200
Genere: Romanzo


Mi incuriosiva molto leggere l’ultimo romanzo della Murgia soprattutto per le recensioni contrastanti lette in giro. Due i blocchi contrapposti: da un lato quelli che “manca una trama”, o anche “è un esercizio di stile”, dall'altro quelli che “è bellissimo”. Aggiungerei il terzo blocco: quelli –adorabili come l’eritema - che non hanno letto, non leggeranno il romanzo “ché tanto è brutto” Ma dove sta la verità? Non c’è una verità, chiaro. C’è però una storia, d’amore, di sentimenti certo. E c’è l’uso sapiente, scelto, delle parole che emerge in ogni riga. E poiché credo  che l’uso delle parole faccia la differenza in uno scrittore (ma guarda un po’!) io l’ho apprezzato.

"Chirù venne a me come vengono i legni alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva."
Sardegna, Cagliari. Eleonora, attrice di teatro affermata, ha trentotto anni quando incontra il diciottenne Chirú. Il giovane, quel giorno, è convinto, perché così qualcuno erroneamente gli ha fatto credere, di dover suonare il violino nel palco accanto a lei durante lo spettacolo. Eleonora gli spiega come preferisca recitare in silenzio. Al termine della rappresentazione quel giovane, vestito da adulto, con le braccia fin troppo lunghe e con appresso il suo violino, con il candore dei suoi anni chiede all’attrice se può seguirla a cena. Lei accetta. La loro non fu un’immediata affinità elettiva, lei semplicemente “lo riconobbe dall’odore delle cose marcite che gli veniva da dentro” forse perché quell’odore Eleonora lo  conosceva bene: era lo stesso suo. A tavola, tra altre persone che paiono quasi sfumate, i due conversano, ma lei vuole sapere esattamente cosa ci faccia lui con lei e Chirú, con sfrontatezza, afferma di volere che lei lo accompagni “anche se non sapeva dove andare” perché la donna conosce tante cose e lui vuole imparare, e tanto. Un allievo. Ancora? Sarebbe giusto? Sono passati ben otto anni dall’ultima volta che Eleonora ha preso con sé il suo terzo e ultimo allievo, o meglio quello che credeva fosse l’ultimo: ora ci sarà Chirú, il quarto…

Dopo Accabadora che le valse, tra gli altri, il premio Campiello l’autrice sarda torna, dopo sei anni, in libreria con un nuovo romanzo anch’esso ambientato prevalentemente in Sardegna seppur lontano dalle atmosfere ancestrali e magiche dell’opera precedente. Romanzo scritto in un momento particolare e di certo difficile della sua vita privata, "non è un libro autobiografico, ma racconta molto della mia vita" ha, infatti affermato la Murgia, Chirú, suddiviso non in capitoli, ma in 17 lezioni e un compimento finale, si presenta fortemente crudo nell’offrirci un percorso di formazione e di acquisizione di consapevolezza del sé alla luce di una introspezione intensa e anche dolorosa. La Murgia l’ha definito un “romanzo politico” tutto incentrato com’è sul concetto di potere che domina i rapporti umani, primi fra tutti quelli familiari, la figura del padre di Eleonora ne è l’emblema, ma sono impregnate di potere tutte le relazioni sentimentali, senza dimenticare che ogni relazione è, comunque, sentimentale, dirà Eleonora. Politico anche perché l’autrice, sempre attenta al problema delle donne, detronizza l’uomo per affidare stavolta il ruolo di mentore a Eleonora "infelice con classe", una donna la quale incarnerà la maestra intesa in senso ampio affiancando il giovane nella vita. E l’insegnamento non è solo un dare, non è mai –né mai può essere- unidirezionale: è un filtro a maglie larghe che permette un interscambio tra docente e discente quasi che, a un certo punto, i ruoli paiono confondersi. Una storia dal punto di vista dell’intreccio narrativo priva di eventi eclatanti, lineare, tutta basata sull’interiorità dei protagonisti e sul ruolo delle parole che paiono frutto di una scelta minuziosa e attenta, mai frutto della casualità, pesate una per una, accarezzate e adagiate delicatamente nella pagine per creare immagini eleganti e sonorità raffinate. Una curiosità: nella fase immediatamente precedente all’uscita del libro la Murgia ha aperto una pagina Fb a nome di Chirú, il quale ha interagito con i lettori e proposto il suo punto di vista, i suoi dubbi, le sue paure, scavalcando le pagine del libro per diventare, seppur in modo atipico,  “reale”.