sabato 30 novembre 2019

TRE PREGHIERE - Jane Austen

Amen

Titolo: Tre preghiere 
Autrice: Jane Austen 
Editore: Oligo 
Anno: 2019 
Pagine: 38 
Genere: Saggio religione 
Traduzione: Cristiano Ferrarese

È giunta la sera, la giornata volge al termine, si è soli con se stessi, in una stanza silenziosa. È, questo, quindi, il momento più adatto perché le nostre parole, i nostri pensieri si possano rivolgere a Lui, l’Onnipotente. Per chiedere il Suo misericordioso perdono per i peccati commessi, perché Egli insegni a ognuno di noi a comprendere quanto i nostri cuori siano colmi di peccato. E ogni cuore, è necessario, che si ponga delle domande quotidiane: abbiamo forse trascurato quelli che sono i nostri doveri? Abbiamo arrecato, volontariamente o inconsapevolmente, un dolore, un qualsiasi dolore, ad altri esseri umani? E si chiede a quel Dio per il quale non abbiamo alcun segreto, a quel supremo Essere che tutto vede e tutto sente, di difenderci sempre dal male. Si domanda – ora e sempre – costante protezione per tutti, in particolare per gli ammalati, per chi soffre, per chi è orfano, per le vedove. Per chi è solo. E si prega affinché la divina pietà possa giungere a tutti coloro che sono rinchiusi e privati del bene della libertà personale…
Il piccolo volume edito da Oligo riproduce tre preghiere della sera contenute in un manoscritto messo all’asta da due nipoti di Charles Austen, fratello della nota scrittrice inglese. Ma come ogni manoscritto che si rispetti anche questo ha fatto sorgere dei dubbi circa la vera paternità dell’opera che parrebbe non integralmente frutto della penna della scrittrice per via delle diverse calligrafie che vi compaiono, ma – sembrerebbe – come il contenuto rientri, comunque nell’orbita della famiglia Austen. Al di là della querelle, trattasi, comunque, di un ritrovamento importante, soprattutto per gli appassionati, nel quale, appunto, emerge il forte sentimento religioso della famiglia Austen, non è un caso che il padre della scrittrice fosse un pastore anglicano. È forte la devozione che traspare da queste pagine, così come il bisogno di perdono, la consapevolezza di essere dei peccatori, ma anche la richiesta di aiuto non solo per se stessi, ma altruisticamente anche per chi soffre. Il volume, scarno, risulta molto ben curato ed è, anche, arricchito e impreziosito da bellissime riproduzioni di incisioni risalenti al XIX secolo.


giovedì 21 novembre 2019

MATRIOSKA - Cristina Comencini

Diverse, ma non troppo

Titolo: Matrioska
Autrice: Cristina Comencini
Editore: Feltrinelli
Anno: 2004 
Pagine:191
Genere: Romanzo


Antonia, l’artista napoletana, la scultrice, si presenta agli occhi di Chiara con un caftano rosso a coprire il suo immenso corpo: il corpo più sterminato che Chiara abbia mai visto. In testa, Antonia, porta un turbante scuro. “Faccio questo libro solo per i soldi”, queste le parole della scultrice. Già, perché Chiara ha accettato l’incarico di scrivere una biografia dell’artista. Solo dopo qualche minuto di conversazione, la futura biografa sente premerle dentro una strana sensazione, quasi un senso di ripulsa nei confronti di quella donna monumentale, forse per il suo eccessivo esibizionismo senile, per quella fastidiosa totale assenza di pudore e anche per il suo autoritarismo. Ma la scrittrice, nonostante quella prima impressione, andrà avanti pur non sapendo ancora come quell’incontro, strano e poco piacevole, sarà l’inizio non solo di un percorso lavorativo, ma anche di una conoscenza di se stessa. Non sa ancora che Antonia, come dirà più avanti scrivendo il libro, assomigli “a una bambola russa che ne contiene altre più piccole, tutte con i pomelli rossi e gli occhi bistratti”, una matrioska, insomma. Ancora non lo sa, ma inizia tirando fuori il suo piccolo registratore…
Cristina Comencini, regista e scrittrice, con Matrioska esegue il ritratto di due donne profondamente diverse sia per carattere, sia per professione, sia per esperienze di vita. Antonia è tendenzialmente proiettata verso il “ciò che è stato”, Chiara, invece, è lanciata verso il suo futuro: la sua crescita professionale, il rapporto con suo marito e la crescita dei figli. Talmente diverse che lo scontro è inevitabile così come è inevitabile il non fuggire in quella sorta di battaglia, ma scontrarsi e combattere continuamente. Ma alla fine, tale lotta non è mai fine a se stessa perché il tutto si inserisce in un quadro nel quale le due protagoniste, in qualche modo, si avvicinano e si completano. Ad un certo punto, si verifica una sorta di transfert: “da quando l’ho incontrata sono assediata dai miei ricordi, li mischio ai suoi”, dirà Chiara. La Comencini, con la delicatezza che le è propria, riscostruisce un universo femminile in tutte le sue articolazioni e complessità. Sia la complessità di Antonia, la matrioska, e della sua vita colma di tante storie che si intersecano, si moltiplicano, si sovrappongono. Sia la complessità, meno evidente, di Chiara che si ritrova a rievocare ricordi del suo passato legato a una madre mancante. E la figura della madre (nelle sue esplicazioni/varianti di rifiuto, abbandono, morte), infine, diviene una sorta di punto di contatto tra le due protagoniste. Divise, ma unite.


venerdì 4 ottobre 2019

L'ISOLA DEI PESCECANI - Paola Ravani


Di sogni e prigioni
Titolo: L’isola dei pescecani
Autrice: Paola Ravani
Editore: Einaudi ragazzi
Anno: 2019
Pagine: 156
Genere: Ragazzi
Età: dai 12 anni

"L'isola dei pescecani, affusolata e panciuta in lontananza, assomigliava a uno squalo con la bocca spalancata, pronto ad azzannare con i denti aguzzi chiunque si avvicinasse" (Incipit)
Due giovani fratelli, Ruben e Babila, vivono nell’isola blu. Hanno, come tutti nella loro terra, il terrore dell’Isola dei pescecani che si scorge in lontananza “mai dirigere la prua verso l’isola dei Pescecani” ripetevano, da tempo immemore, gli anziani. Un monito, quello. Una regola di vita. Un insegnamento da non trasgredire. Ma, nonostante ciò, i genitori di Babila e Ruben violarono quel precetto e si avventurano in mare, diretti verso l’isola del terrore, per non fare mai ritorno nella loro terra. Lasciando, sulla terraferma, due orfani. Ruben e Babila hanno sogni, tanti, ma paiono destinati, come tutti, a non poter mai abbandonare il luogo natio. Ruben dovrà fare il pescatore, così vuole la tradizione. Dovrà abbandonare il sogno di divenire musicista? E sua sorella Babila dovrà rinunciare al suo smisurato amore per i libri? Rinunciare a fare l’insegnante? Pare proprio di sì. Ma un giorno qualcosa di inaspettato potrà sconvolgere quegli equilibri….
L’isola dei pescecani ha il sapore e i profumi dei vecchi libri d’avventura che hanno costellato la nostra infanzia. Ruben e Babila ci conducono nel loro mondo, ristretto, nel quale comunque i sogni mettono radici. I due condividono la quotidianità nella loro isola avulsa dal resto del mondo, condividono il dolore per la perdita dei loro genitori. Attorno a loro ruota una serie di personaggi: amici, nemici, animi divorati dall’avidità, ma anche anime delicate e gentili, il tutto nella tradizionale dicotomia buoni-cattivi. Ma nell’intreccio narrativo domina su tutto la natura, con la sua fauna e il suo mare, madre e matrigna, selvaggia e buona e, in particolare, l’isola, intesa in senso fisico ma anche metaforico, isola che protegge, ma che può essere anche carcere.  La Ravani è riuscita, indubbiamente, a ben orchestrare una storia avvincente, all’insegna dell’avventura nella quale dominano il coraggio, la voglia – quasi la necessità – di un riscatto, ma anche all’insegna dei grandi sentimenti, dell’amore in senso lato, inteso come amore familiare, fraterno, come amicizia. Un romanzo ricco di forti messaggi sulla opportunità, talora, di non temere ciò che non si conosce, un invito a osare perché non sempre ciò che temiamo è davvero così orribile. Un libro sulla Natura, sulla crudeltà della medesima, ma – alla fin dei conti – in una ipotetica bilancia sarà sempre la cattiveria umana a superare quella della natura.


martedì 17 settembre 2019

IL FRUTTO DEL FUOCO - Elias Canetti

L'intensità della giovinezza

Titolo: Il frutto del fuoco
Autore: Elias Canetti
Editore: Adelphi
Anno: 1994
Genere: Saggio biografico
Pagine:375
Traduzione: Renata Colorni, Andrea Casalegno

Lui era abituato, ai cambiamenti. Già da bambini accettava, senza polemica alcuna, i posti nuovi: mai vi si era ribellato. Tutto ciò fino a quando ebbe sedici anni. Infatti, fu proprio a quell’età – correva l’anno 1921 – che visse, con una forte amarezza, il distacco da Zurigo, città nella quale, infatti, avrebbe voluto trascorrere tutta la sua esistenza. Quel cambiamento fu una dolorosa ferita che riteneva insanabile. Fu così che si ritrovò catapultato a Francoforte, in un ambiente completamente diverso, nel quale visse con addosso quel sentimento dominante di nostalgia. Andò, con la madre e il fratello Georg, ad abitare in una pensione: vivevano in due stanze e consumavano i pasti in una sala comune con gli altri pensionanti. C’era, a quella tavola condivisa, la signora Raham la quale scendeva a mangiare soltanto ogni tanto per via della linea. Tutti, o meglio tutti gli uomini, la desideravano. Poi c’era una vedova di guerra, la signora Kupfer e suo figlio Oskra e tanti altri, chi per molto tempo, chi per breve tempo. Sua madre, a essere onesti, alla pensione godeva di una certa considerazione, senza però avere mai un ruolo dominante…
Il frutto del fuoco costituisce la seconda parte della biografia dell’autore insignito del premio Nobel per la letteratura nell’anno 1981. Se nella prima parte, La lingua salvata, il tema erano gli anni dell’infanzia, ne Il frutto del fuoco si condensa il decennio (1921-1931) della giovinezza. L’opera rientra, a pieno titolo, nel bildungsroman: è il romanzo di formazione del giovane Canetti che, appunto, si ritrova in un mondo nuovo fervido di spinte intellettuali. Ma ci saranno anche i compagni di scuola, le intense e profonde discussioni, le amicizie, i conflitti con la madre. Saranno la Berlino di Brecht e la Vienna di Karl Kraus, nella quale si laureò in chimica, ad accompagnarlo in questi anni, fondamentali per la sua crescita intellettuale e spirituale ed è sempre di questi anni la nascita del suo interesse per il concetto di massa, quella cosiddetta “pulsione di massa”, in eterno contrasto con la pulsione della personalità che, infine, costituiranno il punto di partenza per la sua evoluzione che, poi, confluiranno con sviluppi ulteriori nella sua monumentale opera Massa e potere. Una giovinezza intensa quella di Canetti, acuto osservatore della società che lo circondava, sempre attento a studiare con meticolosità il mondo nel quale si trovava a vivere, inserito in ambienti che, in qualche modo, gli hanno consentito di esprimere e meglio ampliare quella grandezza che già, ab origine, egli possedeva.


lunedì 16 settembre 2019

Concorso di poesia "Il Parnaso"

Concorso di poesia "IL PARNASO" 

Sezione speciale poesia sperimentale destrutturalista.
Gratuito.

Per visionare modalità di partecipazione clicca qui


sabato 14 settembre 2019

IL FALLIMENTO DELLA CONSAPEVOLEZZA - Raffaele La Capria


Titolo: Il fallimento della consapevolezza
Autore. Raffaele La Capria
Editore: Mondadori
Anno: 2018
Genere; Saggio letteratura
Pagine: 113

A Napoli, città dai mille volti che recita se stessa, vi nacque. Era l’anno 1922. Nacque in quella città fortemente ambigua nella quale la linea di demarcazione tra il vero e il falso è perennemente instabile, in un clima, quello del fascismo, di falsa coscienza diffusa. Egli, scrittore, ha cercato sempre di rompere le catene derivanti da tali condizionamenti, auspicando altro, rincorrendo un oltre “per sentirmi uno scrittore il più possibile libero”. La sua è stata, fondamentalmente, un’epoca senza maestri e la sua àncora di salvezza l’ha sempre scorta nella letteratura. Fu Benedetto Croce il suo punto di riferimento nonostante se ne parlasse poco, nonostante intorno al suo nome si fosse innalzata una cappa di silenzio. Croce diede a lui, e ai giovani della sua generazione, la possibilità di accedere alla modernità e fu sempre grazie a Croce che si instillò nel giovane La Capria un concetto fondamentale, ossia che la letteratura fosse uno strumento potente in forza della quale “si poteva intraprendere il cammino verso una libertà spirituale e intellettuale che, allora, durante il periodo fascista ci era negata”…
Raffaele La Capria è uno tra i più grandi autori della letteratura italiana, vincitore, tra gli altri, del Premio Strega con il romanzo Ferito a morte che, all’età di 96 anni, torna in libreria con quest’opera nella quale pone l’accento su quella che, appunto, è stata la sua carriera di scrittore e intellettuale. Scandaglia le sue opere, disserta sulla funzione dello scrittore che, sottolinea, deve essere quella di “critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una conflittualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla.” Pagine che ruotano tutte intorno alla letteratura e a Napoli, sua città natale, che viene soprattutto richiamata per criticare aspramente quella definizione/luogo comune di “letteratura napoletana” che, da sempre, gli è parsa ostica, restrittiva vedendo, in essa, un allineamento assurdo di scrittori profondamente diversi tra loro e trascurando, in tal modo, le peculiarità di ognuno di essi per volerli cacciare, in nome di una definizione, nel medesimo sacco; chiedendosi anche perché non esista, di contro, una letteratura “milanese” o “torinese”. Si entra, con questo volume, nell’immenso mondo della letteratura, nel mondo di La Capria che ci offre anche un capitolo di autopresentazione: chi è La Capria? Uno scrittore estemporaneo, fedele alla sua vocazione letteraria seppure sempre distratto da altro. Si conoscono le sue opere, il suo percorso di crescita, il suo approccio con Croce, si legge di una sua conversazione con De Masi e ci offre, finanche, le lettere che lo stesso inviò, militare a Caserta, al suo amico Peppino Patroni Griffi. E il tutto si legge con grande ammirazione e interesse.

mercoledì 11 settembre 2019

VIVERE CON I LIBRI - Alberto Manguel

Amore

Titolo: Vivere con i libri
Autore: Alberto Manguel
Editore: Einaudi
Anno: 2018
Genere: Saggio letteratura
Traduzione: Duccio Sacchi
Pagine: 128

La sua ultima biblioteca, composta da trentacinquemila volumi, si trovava in Francia, a sud della Loira, in un granaio adibito appunto a biblioteca all’interno di una antica canonica in pietra. Erroneamente aveva pensato come, una volta sistemati i libri, anche lui avrebbe trovato il proprio posto: i fatti, invece, lo smentirono quando dovette abbandonare la Francia per trasferirsi in America e, di conseguenza, imballare di nuovo quei libri e fare una selezione. La biblioteca francese ospitò i suoi libri per quindici anni e fu organizzata in base a mere “esigenze e pregiudizi personali”. In quegli scaffali non mancavano anche i libri brutti che, appunto, conservava qualora gli fosse servito un esempio di libro brutto! Nella sua vita ha sempre avuto una biblioteca personale. La prima, a due, tre anni, era una mensola affissa sopra il suo letto, a Tel Aviv, poi a Buenos Aires, in età adolescenziale, e a Londra, a Milano, a Tahiti. Ma cos’è, in fondo, una biblioteca? Indubbiamente, un luogo di memoria e ogni volta che, dalle casse, si estraggono i libri si crea un rituale di rimemorazione, in quel momento si evocano, per dirla con Benjamin “non pensieri, ma immagini, ricordi”. Al contrario, mettere i libri negli scatoloni è un esercizio di oblio. Le biblioteche contengono pezzi noi, sono autobiografiche e, imballarle, in qualche modo, significa redigere il necrologio di noi stessi…

Alberto Manguel, scrittore e bibliotecario argentino nonché lettore e amico di Borges, racconta, in queste gradevoli pagine, di quel momento della sua vita in cui si è trovato, causa l’ennesimo trasloco, a dover lasciare la Francia e, quindi, a dover imballare i numerosi volumi della sua biblioteca che credeva, una volta tanto, definitiva. Troviamo il suo universo tutto incentrato su un incommensurabile amore per i libri strumenti fondamentali strumenti di conoscenza del mondo. Manguel parla di se, della sua infanzia, della sua devozione alle biblioteche che, nel corso degli anni, ha costruito, della sua ritrosia a prestare i libri, delle modalità di catalogazione dei libri improntate a criteri del tutto personali, confessa la sua predilezione per la sezione dedicata ai dizionari che, come per tutti quelli della sua generazione, sono stati, in fase giovanile, oggetti magici sia perché, in essi, era contenuta la totalità del linguaggio comune sia perché essi contenevano una risposta a ogni domanda. Un’ode alla biblioteca che si traduce, di fatto, in una appassionata dichiarazione d’amore eterno alla parola scritta, a quei volumi contenenti sempre “promesse di conforto” ma anche possibilità di conversazioni illuminanti intervallata da piacevoli digressioni ruotanti sempre intorno al mondo delle lettere, della scrittura e degli scrittori.


lunedì 9 settembre 2019

IL PARTIGIANO EDMOND - Aharon Appelfeld

Corri, Edmond

Titolo: Il partigiano Edmond
Autore: Aharon Appelfeld
Editore: Guanda
Anno: 2017
Genere: Romanzo
Pagine: 332
Traduzione: Elena Loewenthal


Ucraina. Edmond è un ragazzo di diciassette anni, è scampato alla deportazione: non ha mai preso quel treno che lo attendeva per il viaggio verso la morte. In stazione con lui, suo padre e sua madre. Sente ancora le loro voci che lo incitavano, con decisione, a scappare via. Lui li ascoltò: li lasciò lì, per salvarsi, senza mai prendere quel treno. Ed è finito sulle colline, con il gruppo dei partigiani comandati da Kamil, uomo allenato alla guerra di pochi contro molti. Colline desolate, prive di boschi e, loro, i partigiani hanno imparato a nascondersi, a strisciare per terra. Ma quelle colline ben presto verranno abbandonate, Il comandante ha deciso di cambiare zona, andranno in un posto pieno d’acqua e paludi. E avanzano, lentamente, ma con costanza e solo di notte perché il giorno “non sta dalla loro parte e, alla fine, hanno imparato ad apprezzare le tenebre”. I giorni passano, Edmond pensa al fatto che, solo un anno prima, era seduto sui banchi di scuola. Bravo negli studi, follemente innamorato di Anastasia e, ora, invece la sua giornata inizia puntualmente alle sei del mattino, scandita dalle solite attività: corsa, ginnastica, colazione e, naturalmente, esercitazioni…

Aharon Appelfeld, come è noto, è scrittore ebraico che conobbe, da giovane, l’orrore dei campi di concentramento: deportato riuscì a salvarsi, fuggendo. E in queste pagine, cariche di sofferenza e di umanità, ci racconta, le giornate di un gruppo di partigiani. Non sono grandi eroi gli uomini, i giovani, i comandanti, raccontati dallo scrittore ebraico, ma uomini che, incessantemente, lottano non solo con il grande e ingiusto nemico tedesco, ma anche con se stessi: con le loro paure, con i crolli emotivi che, spesso, prendono il sopravvento, con i rimorsi (loro si sono, alla fine salvati, ma gli altri sono saliti su quei maledetti treni per un viaggio senza ritorno). Uomini spaventati, ma al tempo stesso animanti da elevati ideali, dal desiderio di proteggere i più deboli “a volte è come se lo scopo della nostra vita fosse vegliare su coloro che non sono in grado di badare a se stessi”: è questo il loro principale dovere, una cosa naturale che non merita riconoscimenti o medaglie, “faccio quello che devo fare. Il dovere non è da considerarsi un atto nobile”, dirà uno dei partigiani. Con una scrittura lineare Apperfeld ci regala una sorta di diario di una guerra nella guerra ricca di sofferenza, per l’inverno duro e rigido, per le piccole sconfitte, per la fame, per la depressione che incupisce gli animi, animi provati, ma anche ricchi di umanità, di solidarietà e di senso di fratellanza che riescono a germogliare anche in quei terreni resi aridi dalla ferocia e dalla follia dell’uomo.

sabato 7 settembre 2019

MARESCIALLE E LIBERTINI - Alberto Arbasino

Mondi 

Titolo: Marescialle e libertini
Autore: Alberto Arbasino
Editore: Adelphi
Anno: 2004
Genere: Saggio musica
Pagine: 479

Settembre 1951. Non era stato possibile partecipare alla prima veneziana del Rake’s Progress di Stravinskij e ciò sia perché i soldi, dopo le vacanze a Positano, erano davvero pochi e sia perché era necessario studiare per gli esami universitari. E, comunque, a dire il vero, le recensioni erano tutte molto titubanti… A Venezia nel 1955 si tenne la prima “storica e fantasmagorica” de L’Angelo di fuoco di Prokofiev, fu un grande successo, il pubblico ne fu incantanto senza dubbio… Prima che il Muro divenisse una realtà, e una metafora anche, la Berlino del dopoguerra era, al tempo stesso, divertente e tragica. Nonostante i bombardamenti e la distruzione quella città tornava a risplendere, a dispetto di tutto, come capitale che riusciva a ospitare spettacoli sensazionali. Tra quei teatri rabberciati, tra quelle rovine splendevano, come fiori nel deserto, i miti del novecento: la contessa mozartiana e Fiordiligi, ma anche la prima rappresentazione scenica, al Thaeter Des Wensten del Moses und Aron di Schonberg…

Alberto Arbasino intellettuale, saggista, scrittore (autodefinitosi “estemporaneo”), giornalista nonché critico musicale e teatrale in queste densissime pagine ripercorre i suoi ricordi musicali degli anni cinquanta, in particolare, soffermandosi, ma non solo, sulle prime storiche, quella di Prokofiev, per esempio. Marescialle e libertini è un’opera complessa, di non facile lettura in quanto articolata su più livelli dalla quale emerge l’immensa e enciclopedica conoscenza dell’autore. Se il tema di fondo è la musica, è ben vero come il medesimo si dirami, poi, in altri direzioni, verso altre mete, altri mondi. Infatti vi troviamo quel forte intreccio tra musica e letteratura, ma anche il quadro della società dell’epoca, il dipinto degli spettatori che, talora affascinati, assistevano alle rappresentazioni, finanche la descrizione minuziosa del loro abbigliamento. Pagine che, indubbiamente, arricchiscono, e, soprattutto, stimolano a ricerche ulteriori perché caratterizzate, come è nello stile proprio di Arbasino, da infiniti e continui rimandi ad altre materie, ad altri argomenti. Insomma, si entra, con la lettura, in un gradevole e affascinante mondo che è quello della musica con la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo labirintico nel quale non esistono vicoli ciechi, ma solo nuove strade di conoscenza da percorrere. Il tutto ad infinitum.


giovedì 5 settembre 2019

IL PRIMO UOMO CATTIVO - Miranda July

L'essenza del rosso

Titolo: Il primo uomo cattico
Autrice: July Miranda
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Genere: Romanzo
Traduzione: Silvia Rota Speri
Pagine: 261

Cheryl Glickman ha quarantatré anni e, da circa trent’anni, il Globus hystericus la tormenta. Un bel giorno decide, su consiglio del suo collega di lavoro Phillip, di consultare il Dottor Jens Broyard, cromoterapeuta. Entra in sala d’aspetto e, in cuor suo, spera di trovarci anche il “suo” – quasi o forse, suo – Phillip ma nulla, lui non c’è. La delusione è grande, per un attimo Cheryl pensa pure di tornarsene a casa, ma rimane: anche senza il “suo” – o quasi o forse, suo – Phillip. Il medico le consegna un flaconcino di vetro con su scritto “rosso”, l’essenza del rosso: la cura per il suo Globus. Appena esce dall’ambulatorio chiama subito Phillip e realizza come sia la prima volta che lo chiama e, nonostante l’imbarazzo, gli mostra un po’ di ardore dicendogli, dopo averlo ringraziato per averle consigliato il medico, “Se ami il rischio fammi un fischio”. Forse Phillip non ha bene colto il segno di quell’ardore che lei voleva rappresentare e, ad ogni buon conto, lui riaggancia. Questa storia di dimostrare l’ardore le era stata consigliata dal suo capo dell’Open Palm, l’associazione no-profit che si occupa di distribuzione di dvd di fitness, nella quale Cheryl lavora “come se fosse nel consiglio di amministrazione”. Quel capo che qualche tempo dopo chiede a Cheryl di ospitare in casa Clee,la sua adorata figliola. Cheryl ancora non sa che l’ingresso di quella figliola altrui nella sua vita cambierà le sue abitudini…

Miranda July, musicista, artista, regista e anche scrittrice statunitense, ha creato con Il primo uomo cattivo un personaggio strampalato, un po’ naif, che si barcamena tra manie e ossessioni – ad esempio, il rigoroso e personalizzato ordine che regna nella sua casa – e tra sogni (erotici e/o sentimentali) e realtà. Intorno a lei una serie di personaggi anch’essi particolari, eufemisticamente parlando: tra tutti Phillip, per il quale la nostra Cheryl nutre un grande sentimento amoroso, ma lui non riesce a cogliere, impegnato com’è a conquistare una adolescente. Poi c’è Clee con la quale Cheryl inizierà una convivenza forzata che porterà alla nascita di un rapporto assai originale, inusuale anch’esso: in un primo momento sarà la violenza – tecnicamente, botte da orbi – a caratterizzare il loro rapporto che, pian piano, si trasformerà. Non mancheranno neanche i figli dei fiori e neanche le riflessioni intorno alla maternità. Insomma, la July non ci fa mancare nulla in questo romanzo divertente e tenero al tempo stesso, ma che – vuoi per la pluralità di argomenti trattati, vuoi per una costruzione caotica forse non supportata da uno stile eccelso – manca di organicità e si sente il peso, in qualche modo, della sovrabbondanza di elementi che, pagina dopo pagina, diventa quasi soffocante. Una curiosità: l’autrice, in un sito, ha posto in vendita cinquanta degli oggetti presenti nel romanzo. Non manca, naturalmente, l’essenza del rosso al prezzo di 159,48 dollari!

Articolo già pubblicato su Mangialibri

giovedì 29 agosto 2019

IL NOSTRO PRIMO, SOLENNE, STRANISSIMO NATALE SENZA DI LEI - Franco Stelzer

 Cucinar ratti

Titolo: Il nostro primo, solenne stranissimo natale senza di lei
Autore: Franco Stelzer
Editore: Einaudi
Anno: 2003
Genere: romanzo
Pagine: 126 


Era il primo Natale che trascorrevano senza di lei. Entrarono con quel grosso tacchino, con un rametto di rosmarino infilzato nel buco del culo, con le cosce ornate da ciuffetti di carta, bellamente adagiato su un vassoio colmo di patate. Così lo presentarono alla tavolata dei parenti. Ma quel tacchino, dal prominente ventre, non era ben cotto, anzi era proprio crudo… Avevano la loro postazione: un buco aperto, faticosamente, in un pannello. E, con desiderio, attraverso quell’ingegnoso foro, osservavano le imprese erotiche della loro zia. C’era l’emozione, ma anche la paura di essere scoperti che, sicuramente, avrebbe comportato, l’immediato loro trasferimento in un collegio o in un istituto penale! Ma quel giorno in quell’alcova succedeva qualcosa di nuovo: la zia urlo, al suo uomo, “basta!”. E lui, lo spione, ebbe, per la prima volta, un pensiero filosofico: tutto finisce… Problema: come si cucina un ratto? Lo si lascia prima in salamoia? O lo si griglia fresco, fresco? Bisogna impanarlo? Suo zio riteneva che i ratti fossero buoni in tutti i modi…Dopo lunghe trattative con i proprietari presero in affitto la casa al mare. Rispolverarono le stoviglie, fu fatta la spese e si passò alla distribuzione delle stanze. A lui toccò lo zio e, dal suo leggero odore di colonia, il ragazzo comprese come, in quella settimana, sarebbe accaduto qualcosa di interessante…
Franco Stelzer affida alla voce e agli occhi dei bambini il compito di narrarci nove storie per dipingerci il loro mondo. Un mondo variegato e ricco nel quale trovano spazio emozioni, sentimenti diversi, ilarità, stupore, curiosità. Ci sono bambini che acquistano e cucinano un tacchino “per salvare la loro solitudine”, per riempire il vuoto di quel primo Natale senza un affetto. Bambini che si pongono grandi e piccole domande: come il capo fa la pipì. Bambini che danno voce a ricordi comuni a tutti: un panino in spiaggia, la sabbia sulle mutande. Quei ricordi, insomma, che hanno carattere universale esattamente come quel momento, quasi inevitabile, nel quale amaramente si comprende come certe cose non potranno più ritornare, alcune persone ci lasceranno, certi sapori – anno dopo anno – saranno sempre diversi. Perché tutto finirà travolto da una cappa di nebbia, tutto si offuscherà nell’esatto momento in cui si comprenderà come ogni cosa è destinata a finire. E rimarrà, sempre e comunque, quel filo di nostalgia a ricordarci che quel passato, fatto di nonni, di zie eroticamente attive o di zii che si mangiavano topi, è davvero esistito e, in parallelo, cresca il numero dei Natali con sempre più “senza”.


martedì 27 agosto 2019

LO STRADONE - Francesco Pecoraro

Ristagni

Titolo: Lo stradone
Autore: Francesco Pecoraro
Editore: Ponte Alle Grazie
Anno: 2019
Genere: Romanzo
Pagine: 443

Città di Dio. L’uomo ha oramai settant’anni e abita, da circa vent’anni, al settimo piano di una palazzina, lì nello Stradone dove “la città fa una pausa”. In quel frammetto di città dove insiste lo Stradone ci sono entità umane diacroniche, tutte estranee tra di loro: vecchi come lui che si incontrano al bar, il Porcacci, a bere un caffè che è sempre cattivo, dove ci si scambiano poche parole o, al contrario, dove si possono dire stronzate per ore perché li, al Porcacci nessuno te se ‘ncula, ed è proprio questo il bello, alla fine. Ma c’è anche il tifo per ‘a squadra  che pare quasi unirli questi estranei perché essa assurge a “ultimo ente simbolico” che dà un senso di appartenenza con quel suo avere “tacitamente la precedenza su tutto e tutti”. La facciata del suo palazzo è esposta a nord, non prende mai il sole. E da lì il suo occhio vigile e sensibile vede tutto, soprattutto vede ciò di cosa sono capaci gli incapaci, vede come l’inerzia dell’amministrazione, la stupidità di tecnici-architetti-urbanisti incida negativamente su una porzione di citta, o meglio di non-città. O forse non è esattamente così: forse è vero che la città che si costruisce è un prodotto collettivo: “la città demmerda è un’incerta auto-celebrante messa in figura della gente demmerda che ci abita e la costruisce”. Ma tant’è. L’uomo, l’anziano, il fallito, sta bene e sta male nello Stradone, incasellato nella categoria degli Inutili o, meglio, dei Dannosi. Il Sistema gli ha concesso una pausa pre-morte (morte, non trapasso, non scomparsa) con una pensione calcolata ai tempi della socialdemocrazia…
Francesco Pecoraro, poeta, scrittore e architetto, è tornato, quest’anno, in libreria dopo un intervallo di sei anni dall’uscita del suo precedente romanzo, La vita in tempo di pace, che gli valse numerosi encomi dalla critica. Lo Stradone, in primis, è un’opera, con le sue 400 pagine e oltre, che affascina anche per il suo essere ibrida, non essendo facile inserirla univocamente in una precisa categoria: è un romanzo, ma anche un saggio, anche un memoriale. Manca lo schema tipico del romanzo, del “raccontare una storia” con tutti i tipici elementi che una storia dovrebbe avere. La vera protagonista è, alla fine, una voce, senza nome: voce che proviene da un anziano, con i capelli diradati, guance infossate, pelle ingiallita, un anziano come altri, come tutti gli anziani del mondo. Voce che incessantemente parla, di sé, dei suoi fallimenti, dei suoi sogni di accademico infranti, del suo inserimento in un Ministero, del suo inserirsi, poi, nel partito socialista, della corruzione, dell’arresto. Ma è anche una voce che parla di quella porzione di città nella quale si fabbricavano i mattoni per la creazione della città di Dio. E che parla dell’oggi, dei “jeans falso consumati. Falso strappati.” E delle “birre falso-artigianali”. E noi, incantati, seguiamo quelle parole che ci portano al degrado, al Ristagno, a quel senso di non-appartenenza costante. E vediamo quei vecchi, nello Stradone, con i loro terribili giubbotti multi-tasche, che consumano la loro pensione raschiando gratta&vinci, vediamo la loro solitudine e sentiamo anche le voci dei fornaciari, con il loro peso di mattoni da 36 kg, e er Partito e la sindacalizzazione e Lenin in Italia e l’edilizia con la sua necessaria speculazione e le case dell’IACP. Tutto vediamo e sentiamo. Un’opera nuova, originale quella creata da Pecoraro anche per l’uso sapiente di registri narrativi differenti, per il passaggio, sempre senza sbavature, da linguaggi prettamente letterari, elevati, poetici, aulici talora, all’uso di linguaggi tecnici o all’uso del romanesco o, anche, alla trasformazione di lemmi onde ricavarne neologismi.

Articolo già pubblicato su Mangialibri


venerdì 23 agosto 2019

SEMPRE CARO - Marcello Fois

Titolo: Sempre caro
Autore: Marcello Fois
Editore: Einaudi
Anno: 2015
Genere: Romanzo
Pagine: 100

Si diceva che Bustianu, dopo pranzo, stesse andando a fare una passeggiata: il “sempre caro”. Così la chiamava, proprio come la poesia di Leopardi. E con “sempre caro” egli non intendeva il colle, intendeva proprio prendersi un po’ di fresco in altura e godersi il panorama. Si diceva che Bustianu fosse pensieroso e ciò poteva solo significare che avesse tra le mani una causa complessa e che, pare, non volgesse al meglio. Stava difendendo un giovane, Zenobi, bello come il sole che si era messo nei guai: accusato di aver derubato degli agnelli per poi rivenderseli. E nulla, quella causa non andava proprio bene, dato che il giovine si era dato alla latitanza. E, no, ripeteva zia Rosina, madre di Zenobi, che non poteva aver fatto una cosa simile suo figlio: lei lo conosceva bene. E poi, c’era anche la storia di Sisinnia, bella come una madonnina, e pare che tra lei e il giovane latitante ci fosse del tenero. E pare ancora che il padre di lei, della madonnina, fosse pure contento di quella simpatia tra i due. E allora, perché Zenobi avrebbe dovuto rubare gli agnelli proprio a Casula Pès, padre di Sisinnia? Perché?...

Sempre caro fa parte del progetto letterario di Marcello Fois mirante a creare una saga con personaggio fisso e di cui costituisce il primo volume, seguito da Sangue dal cielo e L’altro mondo, tutti editi da Einaudi. Il protagonista Bustianu trova la sua origine in un personaggio realmente esistito: il grande avvocato, poeta e intellettuale nuorese Sebastiano Satta. La storia raccontata rispecchia lo schema tipico del giallo: delitto-indagine- individuazione del colpevole, ma si arricchisce di nuovi elementi tanto da potersi indubbiamente definire un giallo atipico che fuoriesce da quelli che sono i rigidi confini di tale genere. Un romanzo di più ampio respiro quindi, innovativo sia per l’impianto narrativo sia, e soprattutto, per lo stile e per l’uso attento e originale della lingua utilizzata dall’autore. In primis, risulta strutturata su più voci che si alternano senza sovrapporsi: un primo narratore che ci presenta Bustianu; Bustianu stesso che ci racconta la storia dal suo punto di vista e, infine, un terzo narratore. Voci con tre registri narrativi diversi e che, talora, attingendo all’oralità, tessono un romanzo intricato, poetico, con bellissime descrizioni che restituiscono immagini di paesaggi agresti, ma anche riflessioni sulla società sarda dell’ottocento, sul ruolo-missione dell’avvocato, sul concetto di giustizia. Su tutto domina la lingua utilizzata da Fois: si passa da interi periodi in sardo a singoli lemmi e anche, traduzioni letterali in italiano, di modi di dire o espressioni tipicamente sarde. Un romanzo sui generis come lo definisce Camilleri nella prefazione che, nel concentrarsi sul concetto di lingua dell’autore, richiama, a proposito, le parole di Sergio Atzeni: “quando cerco una parola che abbia un suono diverso, che porti a una specificazione più precisa, uso il sardo. Credo che questo sia il contributo che ogni etnia regionale dovrebbe portare”.

mercoledì 21 agosto 2019

DIALOGHI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE - Virginie Priolo

Parla che ti passa

Titolo: Dialoghi di ordinaria amministrazione
Autrice: Virginie Priolo
Editore: La Zattera
Anno: 2019 
Pagine: 116


"Tesoro, è evidente che ci sia qualcosa che ti turba, ma se non me lo spieghi io non posso aiutarti." questa è la domanda che, una mattina, in bagno, Guido pone a sua moglie poco prima di recarsi al lavoro. La domanda delle domande. Chiaramente Laura, la di lui moglie, risponde, come da tradizione un significativo "Ma no, non è niente di che." E, sempre come da tradizione, da quel piccolo niente si scatena una valanga di, in ordine sparso: tu non mi ascolti mai, non ti emozioni se io ti propongo le cose, perché non posso ingelosirmi anche io, il tutto, naturalmente, senza dimenticare di riportare alla luce un episodio accaduto tempo prima. Non sia mai che la memoria non venga stimolata abbastanza... Che bellezza andare al supermercato insieme, c'è pure la Nutella in offerta e la magia di quelle corsie che, magicamente, si trasformano, in buone occasioni per polemiche, discussioni, ma poi, domanda Guido, chi è 'sto Luca che frequenta la loro figliola?... Ci sono anche le cene a casa di amici che, guarda un po', iniziano a litigare brutalmente. E, infine, la buonanotte. 

Virginie Priolo, psicologa cagliaritana e mediatrice familiare, ci offre, con il suo esordio, uno spaccato di vita quotidiana, analizzando, attraverso i dialoghi dei protagonisti, il complesso e articolato mondo delle relazioni umane: d'amore, d'amicizia, di parentela. La struttura narrativa evoca più una pièce teatrale che  un vero e proprio romanzo dalla cui lettura è facile immaginarsi una chiara suddivisione in atti ove i dialoghi danno vita a scene estrapolate dalla quotidianità di ognuno di noi. I battibecchi tra marito e moglie, non sempre letali e spesso contenenti tanto amore, le discussioni con gli amici, il rapporto con i figli, insomma cose comuni un po' a tutti noi, ma la differenza risiede sempre nelle modalità con le quali il dialogo (un qualsivoglia dialogo) viene instaurato e si sviluppa perché è proprio da ciò, anche nei piccoli frammenti di routine giornaliera, che i rapporti umani possono arricchirsi, migliorare o deteriorarsi o morire del tutto. Dialoghi di ordinaria amministrazione è frizzante, divertente, ironico, ma lascia spazio a riflessioni circa l'importanza di quel dono che possediamo: le parole. Parole con le quali si costruiscono mondi e, spesso, sta a noi scegliere quanti, e soprattutto quali, mondi costruire. Si legge in un soffio, regala quella leggerezza positiva, fa sorridere e, alla fine, non si esime dal propinarci una dose di amarezza, perché alla fine, l'opera è, in qualche modo, lo specchio di quello che è la vita: attimi, piccoli gesti, gioie e dolori. 


martedì 6 agosto 2019

SULLA TRACCIA DI NIVES - Erri De Luca

Titolo: Sulla traccia di Nives
Autore: Erri De Luca
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Genere: Saggio intervista
Pagine: 160

Sono in due: lui, lo scrittore Erri e lei, l’alpinista. È una notte fortunata, senza vento. Quel vento che quando c’è bisogna saperlo ascoltare perché sa essere molto prepotente e questo lo sa bene chi, come Nives, frequenta le alte quote. Vento che, nelle alte quote, diviene padrone del tempo. Diviene, è una persona. E lei gli parla, gli racconta: il vento sa ascoltare. In fondo, lei attende sempre che lui faccia comunque il suo lavoro. E pur non sapendo quando smetterà di salire, nonostante non possa sapere quali saranno i risultati, potrà dire, ogni volta, di avergli fatto compagnia. Sempre. In quelle cime e ridiscese in compagnia del vento ed evidenzia, Nives, il concetto di “ridiscese” perché non basta una cima raggiunta, bisogna ridiscenderla quella cima con la stanchezza al culmine e con il peso di quello svuotamento che dà l’arrivo in cima. Scendere è, essenzialmente, “disfare la salita, scucire tutti i punti dove hai messo i passi”. Cime e ridiscese: sono il punto più distante da casa…

Il libro nasce da una chiacchierata-intervista notturna tra Erri De Luca e la famosa alpinista Nives Miroi, avvenuta in una tenda, in Himalaya, prima di una salita. Un alternarsi di voci, di riflessioni intorno alla natura, al concetto di sfida, ai sogni, al rapporto – spesso difficile – tra l’uomo e la montagna. Emergono, dalle parole rese dai due sotto un cielo stellato, due persone molto diverse: se lo scrittore risulta tendenzialmente calato in un mondo quasi spirituale o anche visionario, l’alpinista emerge, invece, in tutta la sua concretezza. E, alla fine, Nives Miroi, la cosiddetta tigre di alta montagna, con la sua personalità e la tenacia con la quale persegue i suoi obiettivi, affascina e incuriosisce, lo scrittore – che, in qualche modo, la sovrasta, lasciandole poco spazio – certamente non incuriosisce col suo offrirci ampi e ripetuti richiami alle sacre scritture, sviluppando, oltremisura, l’assunto per il quale “molta scrittura sacra è alpinista”. Sviluppi che, a onor del vero, talora non affascinano, talora cadono in retoriche affermazioni che stonano profondamente con un personaggio come la Meroi della quale, a fine lettura, si ha la sensazione di aver letto veramente poco essendo certi che avesse – o avrebbe potuto avere – tante cose interessanti da raccontare sul suo mondo, sulla sua vita, sui profumi e i suoni della montagna.

Articolo già pubblicato su Mangialibri. 

mercoledì 3 luglio 2019

LA PRESUNTA STORIA VERA DI GIULIA E GIULIO - Giovanni Follesa


Il gigante egoista

Titolo: La presunta storia vera di Giulia e Giulio
Autore: Giovanni Follesa
Editore: Arkadia
Anno: 2018
Genere: Romanzo
Pagine: 208


Roma, anno 2032. Giulia e Giulio sono due fratelli, gemelli, figli del grande Ernesto Luigi Saccherio, il magistrato, l’uomo che ha dato una svolta al Paese e, soprattutto, a un sistema politico fatto di mollezze e di corruzione, Ernesto chiamato dai figli anche il Papa e, da Giulia, il “grande egoista di merda”. Saccherio padre ha votato la sua esistenza al diritto, appartiene alla categoria di coloro che posseggono una dirittura morale tale da contrastare il decadimento della politica degli anni passati. Con lui,  grazie al suo operato si è attuata una grande trasformazione di tutto il sistema, sotto il vessillo della giustizia, dell’onestà: anche la Chiesa non ha più sede in Italia, ma in Sudamerica. Tutto è cambiato. E di quel padre egoista, egocentrico, sia Giulio sia Giulia seguiranno le orme: entrambi studieranno legge. E impareranno ad amare, seppure in modi diversi, quella materia. Forse perché in quella casa si respirava, in ogni attimo, il diritto, forse perché, nonostante l’insofferenza ne hanno sentito forte il fascino. O la paura. I due giovani hanno quasi terminato il loro percorso di studi, sono alle soglie della laurea. Quando Giulia si recherà dall’esimio professor Bozzolo per chiedere di discutere la tesi con lui, scoprirà che il fratello, di lei più talentuoso e con una visione quasi mistica del diritto, si è già recato dal professore. Vista la duplice richiesta, Bozzolo propone ai due gemelli una tesi congiunta sull’analisi dei fatti, storici e sociali, che hanno portato al quadro attuale: insomma un’analisi dei mutamenti che hanno condotto al vigente sistema con il trasferimento della Chiesa in terra sudamericana. Nel far questo i due giovani dovranno accedere al bunker paterno, il suo archivio segreto, contenente una mole immensa di documenti. I due figlioli troveranno un accordo con il padre: potranno varcare quella porta blindata e ogni giorno, per un mese in tutto, potranno consultare quei documenti. “Troverete la mia vita disegnata su queste carte. Ci troverete il vostro futuro” sentenzierà il grande Saccherio….
Pubblicato per i tipi di Arkadia nel 2018 e recante in copertina la riproduzione del bellissimo dipinto di Sergio Fiorentino, La presunta vera storia di Giulia e Giulio si presenta, già dalle prime pagine, come un romanzo in grado di catturare l’attenzione del lettore, facendolo immergere, piano piano, in una vicenda intricata e costruita abilmente. Ambientato in un futuro non troppo lontano, il 2032, il romanzo ci presenta un nuovo periodo storico nel quale il passato (che, di fatto è il nostro presente) è stato spazzato via. E parallelamente a tale analisi, vi è uno scavo profondo nei rapporti familiari, in affetti tormentati, in mancanze, in ferite sempre purulente. Un viaggio, tortuoso, nell’infanzia dei due gemelli. E, passo dopo passo, con una tensione crescente, scandita da quelle giornate nel bunker paterno, prenderà vita un quadro dalla tinte fosche. Follesa è bravo nel regalarci dosi sempre crescenti di inquietudine, con una gradualità dosata, come uno stillicidio che mantiene sempre viva l’attenzione. Ha molte facce questo romanzo, come la verità che mai è un blocco uniforme e compatto e, di fatto, pone una lunga serie di quesiti. È presente un’analisi del potere nelle sue mille sfaccettature - esiste, alla fine un potere, che sia anche buono? Forse potere e giustizia saranno sempre destinati ad essere riposti nei cassetti degli ossimori insuperabili. Il romanzo è anche un esame sulla verità, sulla sua ardua ricerca e sul fatto che, alla fine dei conti, il suo raggiungimento - o presunto tale-  mai del tutto risulta soddisfacente. Fa riflettere tanto questo libro. Sia sul ruolo delle scelte, di certe scelte, soprattutto politiche, quelle che spesso, con il tempo, perdono di senso e delle quali si smarrisce il filo originario che le ha fatte sviluppare. Sia, infine, su quella che è la situazione politica attuale, su quella che è stata e su quella che sarà. E Follesa non pare regalare speranze: difficile vedere spiragli di luce quando il buio è divenuto parte integrante di noi stessi. Nel chiudere il libro tanta amarezza, senso di impotenza, sensazione che tutto pare destinato a ripetersi solo con volti e nomi diversi, ma che tutto, in fondo, rimanga uguale. Ottimo romanzo, ottima caratterizzazione dei personaggi, ricco di contenuti che non dà risposte, ma ci fa porre tante domande, il tutto con uno stile scorrevole, pulito senza sbavature. Leggerlo è un’esperienza.
Articolo già pubblicato nella rivista Làcanas


giovedì 13 giugno 2019

COL CORPO CAPISCO - David Grossman

Titolo: Col corpo capisco
Autore:David Grossman
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Pagine: 308
Genere: Racconti
Traduzione: Alessandra Shomroni

Shaul li vede, li sente. Vede sua moglie Elisheva con l’altro, basta che chiuda gli occhi. E vede come Elisheva afferra la spalla dell’uomo e si piega per togliersi le scarpe. La vede aggrapparsi a quel corpo. I vestiti sparsi per terra. Shaul sa. E li vede anche in quella giornata di ottobre quando si trova a bordo di una Volvo con una gamba ingessata, mentre sua cognata, la moglie di suo fratello, Esti, è al volante. Dopo trenta minuti di viaggio i due cognati non hanno ancora iniziato qualcosa di simile a una conversazione. Esti ancora non sa che quel viaggio sarà l’occasione per sentire la storia di Elisheva e Shaul e di quel tradimento, di quel terribile tradimento che ossessiona Shaul, ma di cui lui ha la certezza pur non avendoli mai seguiti quei due. E forse anche Esti avrà qualcosa da raccontare… Sua madre è ammalata, a letto. Lei, Rotem, sua figlia, è tornata da Londra: è da due anni che non si vedono. La guarda, quella donna morente, e per quanto si forzi non riesce a collegarla alla donna che era, la regina delle indovine, ma che di lei non sa nulla. Rotem ha scritto e, soprattutto, ha scritto di sua madre. E, ora, al suo capezzale, le leggerà, sera dopo sera, quelle parole. Parole del passato, dell’infanzia, delle lezioni di yoga che sua madre, all’epoca, teneva e di quel ragazzino…
Col corpo capisco è il secondo dei due lunghi racconti che compongono l’opera del celebre autore israeliano e che, appunto, dà il titolo alla medesima. Racconti differenti certo, ma uniti da due elementi cardine: il corpo e il sentimento della gelosia, seppur visti con prospettive diverse. Infatti, se da un lato,  si descrive, con minuzia e con precisione quasi chirurgica com’è tipico di Grossman, il sentimento di gelosia all’interno di un matrimonio, dall’altro, la gelosia sarà il tarlo che intaccherà, in modo quasi traumatico, il rapporto di una figlia con la madre. E tutta la narrazione sarà un ruotare attorno al binomio corpo-gelosia, in una sorta di danza che alterna realtà e immaginazione, alternanza che, a tratti, viene meno, fino a creare una totale commistione tra realtà e pensiero fino a non scorgere più di alcuna linea di confine tra i due, creando terreno fertile per una dimensione nebulosa, sfumata, tipica del mondo onirico. Come negli altri suoi romanzi, Grossman riesce, e in ciò è sempre abile, a mettere a nudo l’animo umano, a compiere complesse analisi introspettive, a trasformare i corpi, tangibili, in sensazioni, per definizione non tangibili, a ridurre tutto al rango di sentimento. Ma nel far ciò porta tutto all’esasperazione e la lettura è, a tratti, faticosa, fors’anche per la ricchezza della sua lingua esacerbata dal continuo e ripetuto ricorso ad aggettivi che, ridondanti, affaticano.
Articolo già pubblicato su Mangialibri



mercoledì 24 aprile 2019

LA RAGAZZA DI MARSIGLIA - Maria Attanasio



Titolo: La ragazza di Marsiglia
Autore: Maria Attanasio
Editore: Sellerio
Anno: 2018
Pagine: 400


È il 1849, è passato un anno dai moti rivoluzionari siciliani al quale il giovane partecipò. Quel giovane, il 17 maggio, con i capelli alla nazarena e una barba folta, si accinge a salire su un veliero per Marsiglia. Vi arriverà quattordici giorni dopo, più morto che vivo. La sua idea era quella di restarvi per poco tempo per poi recarsi a Parigi, dopo aver guadagnato qualcosa. Ma dimorare a Parigi, per un esule italiano, non è cosa facile. Decide, quindi, di spostarsi a Nizza e, infine, opta per Torino. L’attesa per ottenere il visto è lunghissima, quasi snervante, ma finalmente sente, dalla voce dei gendarmi sempre vigili, “tutto in ordine potere passare”. Finalmente! Prende una carrozza, per recarsi in via Vanchiglia, dall’amico, il calabrese, che l’avrebbe ospitato.  Apre il finestrino di quella carrozza, lo colpisce, come un fulmine,  il passo sfrontato di un donna, la quale, quasi voler rispondere a un muto richiamo, si gira verso di lui, sostenendone lo sguardo. Era proprio lei! La stessa donna che aveva incontrato a Marsiglia, all’ufficio passaporti. Scende velocemente dalla carrozza, ma la perde, non riesce più a scorgerla. Ma la incontrerà di nuovo. Quella donna è Rosalia Montmasson. Quel giovane è Francesco Crispi...

Il grande merito, seppur non unico a ben vedere, di questo splendido romanzo nato dalla penna dell’autrice siciliana, è quello di restituirci la figura di Rosalia Montmasson, figura storica che la politica, gli eventi storici, le ragioni di opportunità avrebbero voluto cancellare. Rosalia Montmasson fu la moglie di Crispi, l’unica donna  che partecipò all’impresa dei Mille. Una donna forte, tenace, con una personalità esplosiva, che emerge non in quanto “moglie di” ma in quanto donna caparbia, decisa e che ha sempre vissuto animata dalla passione. Una donna fortemente indipendente, mai di nessuno, ma solo di se stessa. È questa donna che Crispi, suo marito, voleva cancellare: perché così doveva essere, perché così egli avrebbe potuto tranquillamente convolare a nozze con un’altra donna, senza –non sia mai- esser accusato di bigamia. Certi mali – e il primo matrimonio, in quest’ottica, lo era – vanno eliminati alla radice. Un romanzo estremamente coinvolgente che entra nel mito di Mazzini, nel Risorgimento italiano,  con i suoi ideali, con le sue illusioni e delusioni, con i suoi personaggi piccoli e grandi. Dietro le parole della Attanasio emerge una grande opera di studio, di ricerca sui pochi documenti a disposizione, su ripetuti accessi ai luoghi calcati da Rosalia, che, per l’autrice, era diventata, come ha  detto la stessa, una vera ossessione. Un romanzo che è anche un prezioso saggio, vincitore peraltro di numerosi premi, e a noi non resta che ringraziare per averci donato, o restituito, la meravigliosa ragazza di Marsiglia.


sabato 20 aprile 2019

STORIE DI PRIMOGENITI E FIGLI UNICI - Francesco Piccolo

Dal lato della strada


Titolo: Storie di primogeniti e figli unici
Autore: Francesco Piccolo
Editore: Einaudi
Anno: 2015
Genere: Racconti
Pagine: 128

Quando era piccolo, su indicazione della madre, doveva tenere suo fratello per mano: cosa buona e giusta, per carità! Un po’ più strano, però, era il fatto che la madre precisasse come lui, in quanto fratello maggiore, dovesse stare dal lato della strada dove, guarda caso, passavano le macchine… Ah, le caramelle Charms! Un tempo, prima che togliessero loro i coloranti, studiava con Francesca, con quelle caramelle arcobaleno sulla scrivania e, di tanto in tanto, ne mangiavano una, scegliendone con cura il colore. Inevitabilmente arrivava il momento nel quale litigavano: l’ultima charms al lampone. Poi tutto si sbiadì, tutte uguali, tutte beige. Ma questo accadde dopo… Santino aveva otto anni quando, con la sua famiglia tornò dall’Africa. E il primo periodo, il piccolo, a ogni risveglio, credeva di sentire sua madre dire “vai a prendere l’acqua dal pozzo.” Poi si ricordava di essere in Italia, si ricordava che tutto era diverso… Chi abita al Sud dimentica gli ombrelli. Quelli del Sud si sorprendono quando piove, non hanno dimestichezza con la pioggia. E anche lui, puntualmente, dimenticava gli ombrelli. Continuava a disseminare ombrelli per la città, nonostante sua madre gli ripetesse sempre di stare attento. Ma lui non poteva farci niente….

Nove sono i racconti che compongono questa esilarante raccolta data alle stampe, per Feltrinelli, nell’anno 1996 e che segna la data dell’esordio narrativo di Francesco Piccolo. Nove piccole grandi storie, nove “debutti nella vita” come li definisce lo stesso autore, accomunati dal tema dell’essere figli unici o primogeniti, con le annesse sfortune e fortune del caso. Con il suo stile ironico, divertente e indubbiamente trascinante, l’autore ci apre le porte al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, prendendo spunto da eventi comuni, quotidiani che, senza mai cadere nella banalità, di fatto ci inducono talora a riflettere, talora a sorridere, talora a immergerci in episodi della nostra infanzia. Sì, perché è questo che fa Piccolo: scegliere e catturare piccoli dettagli, all’apparenza non rilevanti, e costruirci su delle belle storie, infarcendole con una buona dose di ilarità e che, alla fine, e inevitabilmente rimangono nel cuore. Nove storie che colpiscono e che regalano, seppur in misura diversa qualcosa: alcuni nostalgia, altri malinconia, altri risate. E, a fine lettura, si ha la sensazione di quanto, in fondo, sia bello ricordarsi delle colorate charms o riportare alla memoria compagni di classe che, magari, avevamo dimenticato, come gli ombrelli di uno dei raccaonti,  o anche solo ricordarsi che siamo stati bambini., prima che tutto assumesse quel monotono colore beige.

giovedì 4 aprile 2019

OGNI ANGELO È TREMENDO - Susanna Tamaro

Infanzie infelici


Titolo: Ogni angelo è tremendo
Autore: Susanna Tamaro
Genere: Romanzo autobiografico
Editore: La Nave di Teseo
Anno: 2018
Pagine. 268

Una lettura faticosa, farraginosa, e un sospiro di sollievo a lettura ultimata. E, in qualche modo, ho rivissuto le sensazioni provate tanto tempo fa alla lettura del grande successo della Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore che, appunto, mi lasciò una sensazione non piacevole. Insomma, ci sono amori che non potranno mai nascere.

Italia, Trieste. Quando lei nacque, nell’anno 1957,  la bora soffiava forte. La bora, una bora scura e intrisa di neve, continuava a soffiare quando uscì dal sanatorio mentre con i genitori percorreva una ripida salita che li avrebbe condotti a casa, la prima casa della sua vita. Quella casa si trovava in una palazzina di cemento armato costruita, nell’immediato dopoguerra, sulle macerie di un edificio distrutto dalle bombe. In quegli anni “costruire case e mettere al mondo figli era l’imperativo quasi biologico” e i suoi genitori, come tutti, non si sottrassero a tali impegni tassativi. Allora, suo padre e sua madre, erano giovani e anche ingenui e, in nessuna circostanza, furono anche solo sfiorati dal dubbio che un figlio anziché un “arpione lanciato verso il futuro” potesse, invece, diventare un’ancora che, una volta che è stata issata a bordo, ha la forza e la capacità di trascinare con sé strascichi dal fondale del passato. No, non lo sapevano né lo immaginavano. Forse perché, quei due, non “avevano mai avuto davvero il tempo di osservare il mondo con gli occhi di un neonato.”…

Riprendendo un verso di Rilke, appunto Ogni angelo è tremendo, nel 2013, la Tamaro ha consegnato ai lettori la sua biografia, ripercorrendo gli anni della sua infanzia, dell’adolescenza fino all’età adulta, fino alla Tamaro autrice del best-seller Va’ dove di porta il cuore e delle opere successive. E ne vien fuori il ritratto di una infanzia triste, fatta di dolore, di solitudine, il malinconico dipinto di una bambina perennemente insonne che, per intere ore, piangeva. Apparentemente senza motivo. L’autrice espone, senza remore, il suo mondo sempre minaccioso e la sua visione del mondo esterno, anch’esso terribilmente non protettivo, minaccioso anch’esso. E, infine, quel dolore, quelle assenze, quei pianti, quella solitudine, quelle fragilità che, dall’infanzia, si incollano alla pelle, si trasformano, senza sparire del tutto, in forza, in cambiamento. In opportunità. In strade differenti. Da un lato, indubbiamente è un viaggio introspettivo che possiede quasi il sapore di una seduta terapeutica, di cui però ci si sente spettatori invadenti o, comunque non invitati, e che, dall’altro lato, risulta purtroppo confuso, poco omogeneo, spesso ripetitivo e prolisso.