lunedì 25 aprile 2016

IL CLUB DEGLI INTELLIGENTI - Ivo Murgia

"E fango è il mondo"
Titolo: Il club degli intelligenti
Autore: Ivo Murgia
Editore: Cenacolo di Ares
Pagine: 182
Anno: 2015
Genere: Romanzo 
  
Io mi immaginavo un Socrates con un fisico scolpito.Io mi immaginavo un Socrates bello come la luna, invece mi son ritrovata un gigolò decisamente diverso.

Pero simpatico, eh. Un romanzo divertente tutto basato sulla dicotomia sesso e filosofia, ma non solo. Pubblicato da Cenacolo di Ares nella Collana “Gli indipendenti” diretta da Igor Lampis la quale si pone l’obiettivo, come si legge nella prefazione di pubblicare “libri sicuramente diversi, che non sono scritti per altro scopo se non quello di raccontare un punto di vista puro e non distorto da altri interessi, come ad esempio quello economico” e questo è già un buon punto di partenza. Ma, eccovi Socrates.

Tra le vie di Cagliari incontriamo lui, Socrates. Ma come il calciatore brasiliano? Ma no! Come il filosofo ateniese, chiaro. Già, Il nostro Socrates, in quel di Cagliari, elabora una teoria filosofica rivoluzionaria: la teoria della mediocrità. Proprio così: il mondo è ingiusto perché governato dai mediocri che continuano a moltiplicarsi e a spalleggiarsi a vicenda. È in ciò che risiede l’ingiustizia del mondo. Interessante e apocalittica teoria che anche se non fornisce una soluzione, almeno dà una spiegazione e questo non è poco! Il suo lavoro non ha ancora ottenuto un riconoscimento dalla comunità filosofica internazionale e, in ogni caso, per tornare su argomenti più terreni, (il filosofo mi scuserà) anche i filosofi devono mangiare ragion per cui quello del filosofo è diventato per Socrates il suo secondo mestiere. Non a caso egli ha anche un altro mestiere, il primo. Fa il gigolò alla faccia della sua incipiente calvizie e del suo sovrappeso. E si impegna a far contente le varie Simoana, Genni, Sindi che richiedono i suoi favori. Donne annoiate, borghesi e non solo, milf con odore di ospizio, masochiste, sadiche: di tutto un po’. Certo poi c’è stato anche quel massaggio prostatico che proprio un bel ricordo non è stato. Poi c’è anche lei, il suo amore: Antonia. Ah! Quanto ci credeva in quella storia. Ma lei deciderà di lasciarlo e lo lascerà a fare i conti con il mostro della solitudine che, per lui, significa solo noia. E non dimentichiamo anche gli incidenti sul lavoro: la “rottura della tonaca albuginea dei corpi cavernosi”. Cioè quando, nel senso vero del termine, si era rotto il cazzo…

Il club degli intelligenti raccoglie tre lunghi racconti redatti nel corso degli ultimi anni dall’autore sardo, il cui filo conduttore sono le avventure porno-erotico-sentimentali nonché filosofiche di Socrates. Una lunga serie di peripezie tragicomiche, al limite del grottesco, nel quale il nostro eroe si troverà coinvolto, tutte narrate con una abbondante dose di ironia. Ma oltre l’aspetto leggero e comico è facile individuare delle note malinconiche e talora amare nascenti da riflessioni profonde sullo stato dell’umanità dominata, appunto, dalla mediocrità, dalla necessità – che si fa quasi bisogno – di seguire le mode del momento. 

“Così andava il mondo e il mondo faceva schifo, la vita era ingiusta ed era perfettamente inutile cercare una logica dove non ce ne poteva essere. Arrivederci e grazie.” Pag. 139


Brutto posto, il mondo pare dire il filoso-gigolò in slanci di leopardiana memoria che, tra un letto e l’altro, medita sulla solitudine dell’uomo quella solitudine che, erroneamente, viene scambiata, tanto per indorare la pillola, con la libertà cui si accompagnano considerazioni sulla realtà cagliaritana e sarda in generale e sul fatto che, spesso, non si conosca la propria storia, le proprie origini. Divertente senza essere frivolo, leggero e profondo allo stesso tempo, il romanzo è un’ottima occasione per trascorrere alcune ore di piacevole lettura e solidarizzare con Socrates il quale, un po’ come tutti noi, “fa quel che può” in un mondo dominato da ingiustizie dove i meriti e le capacità individuali contano sempre poco. Illuminante, a tal proposito, la figura del giovane precario plurititolato che trascorre le sue giornate a fare fotocopie.


“Non c’era da meravigliarsi, le cose non funzionavano perché il mondo era pieno di gente che non faceva un tubo per il semplice motivo che non sapeva fare un tubo, tutto qui. Lo sapeva bene e da tempo. Chi era in grado di fare qualcosa, veniva utilizzato per fare fotocopie e scaricare mail con allegati ad assessori impossibilitati e strapagati, il tutto per una miseria al limite dell’offensivo.” (Pag.25)


Triste, certo, ma anche tremendamente vero. Non passa inosservato lo stile brillante, scorrevole e lineare dell’opera che inserisce, nella trama, termini inglesi tutti rigorosamente riportati nel rispetto della fonetica italiana che raggiungono l’effetto di ampliare la comicità delle vicende tra Cagliari e interland, tra una milf mancata e una lediboi.

domenica 10 aprile 2016

MB in colore

Recensione di Rosanna Mutinelli ai dipinti di Mary Blindflowers accompagnata da immagini delle sue opere.

Il dio mangiato, Olio su tela
"L’artista Mary Blindflowers sforna una galleria infinita di immagini coloratissime, popolate di sagome infantili di animali, di figure biomorfiche e filiformi, oggetti che sembrano giocattoli, lavorando quasi esclusivamente con la tecnica ad olio su tela.

Al primo sguardo queste immagini possono suggerire una sensazione superficiale di spensieratezza. Ma si tratta di una leggerezza solo apparente: a uno sguardo attento, traspare un'essenza drammatica e piena di contrasti, un'essenza che rivela forse la personalità inquieta dell'artista.

La sua pittura è il frutto di una negazione del realismo e di una semplificazione dell'immagine, quelle che animano le sue opere non sono semplici figure, ma sensazioni, emozioni immediate e suggestioni. La sua realtà diventa un mondo di sogno e di incubo.

La sua arte appare concettuale, semplificata nelle forme, con segni e simboli distribuiti sulla tela secondo un ordine ben meditato, in una sorta di racconto ad episodi.
Anche se la pittura di Mary Blindflowers tende a tratti verso l’astrazione, nelle variopinte forme tra loro accostate, permane una traccia pregnanti del reale: un occhio, una mano, un piede, un corpo....

L’artista privilegia, esasperandolo, il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente. Il senso delle sue produzioni evidenzia una ribellione dello spirito contro la materia, costringendo ad una visione dove gli occhi dell'anima sono la base di partenza della sua poetica. L'osservazione introspettiva si sostituisce a quella esterna creando, in qualche modo, una sorta di confusione fra etica ed estetica.


Questo suo linguaggio riprende in qualche modo l'identificazione dolorosamente romantica fra arte e vita. La natura dei concetti rappresentati è ricca di contenuti sociali e di drammatica testimonianza della realtà, che, con scene a volte raccapriccianti, esprime un atteggiamento spiccatamente provocatorio e sembra polemizzare contro la società, l'alienazione, la visione positivistica del mondo dello scientismo e delle leggi di causalità.

Sembra che l’intento dell’artista Mary Blindflowers sia quello di ritrovare il dato comunicativo nell'arte: la semplificazione delle forme, l'abolizione della prospettiva e del chiaroscuro, l'uso di colori vivaci e innaturali, sull'uso incisivo del colore puro e una netta e marcata linea di contorno. Per lei l'importante non è quindi solo la forma, il colore, l'immediatezza, ma soprattutto il significato alchemico dell'opera. Partendo da suggestioni e stimoli diversi, ricerca un modo espressivo fondato sull'autonomia della rappresentazione: il rapporto con la realtà visibile non naturalistica, perché la natura è intesa come repertorio di segni al quale ispirarsi per una libera interpretazione."

Rosanna Mutinelli


Alchemy in between oils, Mary Blindflowers

The artist Mary Blindflowers leads to a way of colourful and undetermined images, populated with childish cutout of animals, biomorphic and thready figures, objects looking like toys, working quite exclusively with oil on canvas technique.

At a glance, these images are like suggesting a superficial feeling of lightheartedness. Although it's only an illusory carelessness: over a sharp look, it shows through a tragic experience full of many disagreements, the core that maybe reveals the troubled character of the artist.

Her style of painting is the natural outcome over the realism denial and the image simplification, the  figures that vivify her artworks are not simple pictures, but feelings, instant emotions and suggestions. Her reality turns into a world in between dreams and nightmares.

Her art form appears conceptual, streamlined over its shapes, with marks and symbols arranged on the canvas according a well-planned layout, just like an episode story.

Although Mary's painting tends towards the abstraction, it still remains a trace of reality among the multi-coloured shapes drawn close each other: an eye, maybe an hand, one foot, one body …

The sense of her works draws attention to a rebellion of the spirit against the matter, forcing into a point The artist prefers, intensifying it, the emotional side of the reality rather than the one objectively perceivable. of view where “the eyes of soul” are the starting point of her poetry.

The introspective examination replaces the outer view creating, somehow, a sort of confusion between ethics and aesthetics.This kind of language to her, reclaims in some ways, with anguish, the romantic identification between art and life. The nature of these symbolized concepts is full of social contents and dramatic proof of the reality that, sometimes with horrific scenes, shows a strong challenging attitude and it seems disputing against the society, the estrangement, the positivistic view of the scientism world and the casualities. The artist Mary Blindflowers' target is about finding the communicative element of the arts: simplifying outlines and shapes, abolishment of  perspective and chiaroscuro, using vivid and innatural colours, over the sharp usage of pure colour and clear and marked outline. Mary claims the relevance of shapes, colours, spontaneity, although the alchemic meaning of the artwork is essential. Starting from different suggestions and incentives, she is looking forward to a meaningful world based on the freedom of portrayal: the relation with the visible reality “not naturalistic”, because the nature is interpreted like collection of symbols from where one could be inspired towards an indipendent interpretation.  



Rosanna Mutinelli

 (Traduzione di Fremmy




martedì 29 marzo 2016

IL BALLO CON LE JANAS - Tonino Oppes

Il ballo con le janas
Fermiamoci e balliamo
Titolo: Il ballo con le janas
Autore: Tonino Oppes
Editore: Domusdejanas
Pagine: 126
Genere: Racconti


La danza di Liliana Cano è la bellissima immagine impressa nella copertina di questo prezioso libro che ho letto con immenso piacere sia per la profonda stima che nutro per l'autore, sia per la capacità dello stesso di farmi recuperare, ogni volta, piccole storie della mia infanzia che pensavo sepolte: e invece no, le vecchie storie rimangono e se ne possono recuperare tutti i suoni e tutti i profumi.

Conosciamo Antine nel giorno della festa grande del paese che, quasi magicamente, viene travolto da una forza sconosciuta e misteriosa e si ritrova a ballare una danza primordiale. È come se le stelle del cielo lo guidassero in quel ballo. Ma chi l'ha trasportato in quei passi che non sembravano umani? Sono le janas che hanno scelto lui per una missione importante. Sarà la Jana Tidora a svegliarlo, qualche giorno dopo, per spiegargli come lei e le sue sorelle sono tornate. Loro, le eredi delle fate di Monte Oe le stesse che custodivano il più grande tesoro della zona. Sì, proprio così: quelle magiche creature sono di nuovo tra gli umani. E son tornate, pur credendosi per tanto tempo immortali, perché dirà Tidora, "abbiamo paura di morire". La memoria del giovane torna indietro nel tempo, approdando alla sua felice infanzia e all'immagine del vecchio che, alternandosi con la moglie, raccontava a bimbi affascinati tante belle storie: ogni giorno una diversa...

Tonino Oppes, ancora una volta, torna in libreria con un'opera che si incentra su temi a lui molto cari: la memoria, il passato, l'esigenza di non far cadere in quel tritatutto che è l'oblio le vecchie leggende che contengono le nostre radici e che sono in grado di aprirci le porte a un futuro che non sia solo frutto di tecnologia, di fredda tecnologia. Ecco perché quelle delicate creature che son le Janas tornano: perché hanno timore di essere dimenticate e scelgono come loro interprete Antine che ha, ancora, il ricordo di storie dell'infanzia. Vecchie storie che si inseriscono nel tessuto narrativo per arrichirlo e restituire al lettore quella magia di chi si ha bisogno, spesso senza esserne pienamente consapevoli. E ciò per il semplice fatto che i racconti dell'infanzia hanno un potere benefico, quasi curativo e, soprattutto, regalano la capacità di sognare che noi "adulti" - per una visione ristretta o distorta di quella che dovrebbe essere la maturità- ci neghiamo del tutto o ce la limitiamo in nome di un presunto principio del "ci sono cose più importanti da fare."
È indubbio che ci sia un errore di fondo in tutto questo, così come è chiato che bisognerebbe armarsi di buona volontà o forse dedicarsi più tempo per scavare nei ricordi dei nostri nonni, dei nostri genitori, fare un viaggio intenso nei meandri dei nostri piccoli paesini per recuperare frammenti preziosi di racconti, di storie, di leggende. E ricominciare a parlare, a comunicare. E non dimenticare le parole di Tidora che, come un giudice impietoso, afferma 
"Comunicate con tutto il mondo, ma non con i nostri vicini e avete lasciato morire la comunità del racconto, quella che viveva se si creava l'incontro tra le generazioni."
Quanta verità in queste parole!
È proprio vero che manca la parola e, con essa, il sogno.
È vero che, piano piano, ci si dimentica di chi siamo stati e di chi siamo realmente.
Forse sarebbe opportuno fermarsi, smettere di correre (per andare dove, poi?) e ascoltare, col cuore, una storia che sia quella de Sa colora o quella di Rebeccu Rebecchei o le tantissime altre che, probabilmente, son dentro di noi, in qualche remoto angolo, e che abbiamo sotterrato in un oceanico affastellarsi di impegni, familiari, sociali o lavorativi.
Il ballo con le janas è un libro per l'anima che addolcisce predisponendo la mente a inevitabili e profonde riflessioni, che ci conduce in un tempo lontano - ma, forse, non ancora del tutto perduto - il tutto con uno stile lieve, lineare privo di orpelli che porta dritto al cuore lasciandoci la voglia di un ballo. Con le Janas.


sabato 19 marzo 2016

LETTINO - Martha Medeiros

Parole sdraiate

 Titolo: Lettino
Autore: Martha Medeiros
Editore: Beat
Anno: 2012
Pagine: 125
Traduzione: Cinzia Buffa
Genere: Romanzo

Bella scoperta questo piccolo e grazioso romanzo, dal titolo peraltro azzeccatissimo, della cui autrice conoscevo solamente la famosa poesia Lentamente muore, la stessa che, spesso, viene attribuita a Neruda.

È la sua prima seduta e Mercedes non sa bene cosa dire, come e da dove incominciare. Certo, è benestante, è sposata, ha tre figli, ha perso sua madre quand'era ancora bambina, ha un lavoro che le piace. Insomma, pare tutto in regola. Be', forse potrebbe dire al Dott. Lopes quanto odi parlare di bambini, di donne di servizio o di saldi, certo: forse è importante dirglielo. Anche se la domanda che, in continuazione, si ripete è cosa ci faccia dal Dottor Lopes. Per esempio, lei non soffre, che so, di cleptomania, non fa uso di droghe, non ha mai avuto crisi di panico e-guarda un po'- non si sente mai triste. Vorrebbe più che altro sapere chi è il vero capo tra tutte quelle persone che lei è: chi comanda dentro di lei? Perchè, Mercedes ammette "mi confondo con tante autorità, non so bene a chi obbedire"...

Così inizia l'analisi di Mercedes, donna che, prima facie, risulta forte e decisa, ma quando il percorso terapeutico prosegue iniziano a aprirsi delle falle in quel quadro che lei - artista naif? - ha dipinto con colori tenui e rassicuranti. E, piano piano, dal suo passato, remoto e prossimo, vengolo fuori tasselli dell'imperfezione che vanno a sovrapporsi, per sostituirla, a quella tela originaria.  E riaffiorano, galleggianti, i dolori antichi: in primis quel dolore di Mercedes bambina per il quale si è privata del sacrosanto diritto di soffrire e, a cascata gli altri: il lavoro, il marito, i figli. 

"Avevo otto anni quando morì mia madre, e da quel momento è accaduta una cosa strana: io che avevo tutti i motivi per soffrire non ho colto l'occasione. Se soffrire era tutto quello che si aspettavano da me, li ho sorpresi diventando matura prima del tempo, evitando di dare altre preoccupazioni a mio padre." (Pag. 11)

 Costruito come un lungo monologo, un flusso continuo di pensieri nel quale, appunto, l'unica voce narrante è Mercedes e gli altri personaggi ci vengono presentati attraverso la sua visione, Lettino è una lettura avvolgente che, in qualche astruso modo, ci porta quasi materialmente  a sdraiarci nel "lettino" di qualcuno disposto ad ascoltarci. 

Il percorso terapeutico della protagonista dura tre anni ed è possibile assistere alla sua evoluzione, ad una sua rinascita - o meglio, a una sua nascita - nella quale imparerà a ridere e a piangere perché, forse per la prima volta nella sua vita, non si è costruita verità a tavolino e ha rinunciato a schemi perfetti per vagare nel suo passato e nel suo presente. E nonostante il boato del suo mondo crollante sia stato assordante è anche vero che qualche piccolo frammento prezioso è rimasto per ricomporsi, in modo diverso, ma sicuramente più vero.

venerdì 18 marzo 2016

GIRL GANG - Ashley Little

                                C'eravamo tanto armate
  

                                              Titolo: Girl Gang
Autore: Ashley Little
Editore: 1Rosso
Anno: 2015
Pagine: 231
Traduzione: Cristiano Repetti
     Genere: Romanzo 


Canada, Vancouver. Una gang tutta al femminile, perché no? È questo quello che pensa la giovanissima Mac nel giorno in cui abbandona la gang dei Vipers quando la stessa costringe la sua amica, Mercy, a prostituirsi. E in una camera d'albergo odorante di ammoniaca, ma finalmente pulita e lontana dagli olezzi cui era abituata elabora nei dettagli il piano che porterà alla nascita delle Black Roses. Una gang solo di donne, senza protettori perché, dirà a una Mercy un po' stupita " ci proteggeremo da sole." Ed è così che, in una piovosa giornata di ottobre, le Black Roses nascono, ma mancano altre ragazze perché il piano si realizzi completamente. Le due, dopo un attento lavoro di ricerca, riescono finalmente a trovare altre tre ragazze degne di unirsi a loro: Kayos, Sly Girl e Z. 
A conferma della serietà dell'appartenenza al gruppo, ciascuna di esse si impegna a rispettare le rigorose regole che costituiscono lo statuto della gang...

Ashley Little, per la prima volta tradotta in Italia da Cristiano Repetti per i tipi della 1Rosso (Marchio della Parallelo45 Edizioni), con un romanzo in grado di colpire violentemente sia per la crudezza dei fatti descritti sia per lo stile diretto, incisivo che, senza indugi porta il lettore nell'universo delle gang, in un microcosmo fatto di solitudini, di abbandoni, di sofferenze. La descrizione delle gang femminili risulta molto precisa e dettagliata ed è facile intravedere, alla base, un'attività di studio e di puntuale documentazione circa le dinamiche del fenomeno da parte dell'autrice. Peculiare la struttura narrativa che costituisce il punto forte del romanzo. Un'opera corale nella quale si alternano le voci delle cinque ragazze protagoniste, pertanto il registro linguistico muta in continuazione a seconda dell'io narrante. Alle cinque voci, inoltre, si aggiunge la voce della città, Vancouver, con le sue ciniche strade che, quasi impassibile, assorbe e registra i passi, le cadute, i pianti dei suoi abitanti 
"dove le persone si incontrano, piangono, muoiono nei vicoli. Ogni singolo maledetto giorno. Sapevo che queste ragazze sarebbero finite qui? Così, in questo modo? Cosa posso fare se non osservare? E tenere dentro tutto. So che c'è la paura che brilla negli angoli dei loro occhi. So che altri diventeranno quello che loro adesso sono." 
Un'ottima prova narrativa che scava, dipingendola senza addolcirne i contorni, in una realtà fatta di solitudini, di giovani, giovanissime vite che vedono nella gang l'unica via per sopravvivere e, soprattutto, l'unico mezzo per essere amate, per ricevere quell'amore che in casa non hanno ricevuto perché abbandonate, rifiutate, molestate e, alla fine, per loro è la gang ad assumere i connotati di un famiglia fatta, appunto, di solidarietà, di amore, di aiuto reciproco. 
"Ama le altre Roses come te stessa. Nessun litigio all'interno del gruppo, nessuna pugnalata alle spalle, menzogna, furto, truffa contro i membri della gang. Stiamo insieme!" dice, appunto, una delle regole della gang. 

E quelle giovani, arroganti, coraggiose, tenaci, son pur sempre bambine, cresciute anzitempo, che hanno avuto la necessità di colmare dei baratri esistenziali prima di esserne assorbite o sparire del tutto. In fondo, quelle giovani hanno dei sogni, ma è purtroppo vero che anche il diritto ai sogni non è conferito in modo uguale a tutti. Ad alcuni, dopo un'iniqua distribuzione, rimangono solo incubi.



lunedì 7 marzo 2016

ALL'IMPROVVISO LA FELICITÀ - J. Courtney Sullivan

ANELLI E DINTORNI

 Titolo: All’improvviso la felicità
                                                  Autrice: J. Courtney Sullivan
Editore:Garzanti,
                                                                           Anno: 2014
                                                                          Pagine: 504
                                                  Traduzione: Stefano Beretta
                                                                 Genere: Romanzo




Se devo essere sincera (ma poi perché non dovrei esserlo?) stavo per abbandonare questo libro dopo venti pagine, ma –per ragioni che non sto qui a spiegare – l’ho portato a termine. Non amo molto i libri che esagerano con il romanticismo, non amo i libri di donnechesognanoilmatrimonio (sì, tutto attaccato) perché non credo, né voglio credere alla leggenda, metropolitana o agricola che sia, secondo la quale il sogno delle donne sia l’anello al dito.

Donne, quelle rappresentate dalla Sullivan, che si muovono in epoche storiche diverse e che hanno sogni e priorità differenti. Si chiamano Frances, Evelyn, Sheila, Delphine e Kate.

1947. Sono le tre del mattino e Frances navigando  tra un mucchio di carte pensa ad una frase per il nuovo slogan di una pubblicità di diamanti. Quello slogan dev’essere pronto per il giorno dopo: mancano poche ore…

1972. Evelyn non riesce a rassegnarsi all’idea che suo figlio abbia deciso di abbandonare sua moglie. Com’è possibile profanare il sacro vincolo del matrimonio con il divorzio?…

1987. James e Sheila vivono  in una modestissima casa e mentre James passeggia sotto la neve pensa che, forse, la sua Sheila avrebbe meritato un uomo migliore di lui, un uomo in grado di darle quella sicurezza economica che lui non è riuscito a garantirle…
2003. Delphine non è più sicura del fatto che aver abbandonato suo marito per seguire una passione travolgente sia stata la scelta migliore…

2012. Mentre Kate continua a portare avanti la sua battaglia contro il matrimonio e difende la sua relazione amorosa evitando di ingabbiarla in un contratto, partecipa ai preparativi per il matrimonio di suo cugino con il compagno…


All’improvviso la felicità è un concentrato di storie di donne fotografate nella loro quotidianità e che, in qualche modo, rappresentano l’epoca nella quale si trovano a vivere. Il fulcro di tali storie è il matrimonio, istituzione che assume significati diversi a seconda della protagonista: un vincolo indissolubile per la tradizionalista Evelyn e un laccio dal quale non farsi stringere per Kate. Come in ogni storia d’amore che si rispetti, secondo schemi un po’ troppo stereotipati, non poteva mancare l’ anello che funge da filo conduttore. La narrazione pecca di eccessi romanticismo, ma è anche vero che – per fortuna – gli stessi risultano stemperati (e per fortuna, aggiungo)  dalla figura di Frances, giovane copywriter realmente esistita che, negli anni quaranta, creò lo slogan “Un diamante è per sempre” che, come sappiamo, ha fatto storia. Una donna forte, moderna, anticonformista che, ironia della sorte, pare non si sposò mai, che ha il merito, in questo caso, in aggiunta allo stile scorrevole della Sullivan di regalarci ore di lettura comunque gradevoli, seppur non indimenticabili.