Capre e Madames
Titolo: Vita e miracoli di Tieta d'Agreste
Autore: Jorge Amado
Editore: Garzanti
Anno: 2010
Pagine: 616
Traduttore: Elena Grechi
Brasile. Bel clima, spezie
profumate, frutti tropicali. In un angolino di questo accogliente e
vivace stato si trova Agreste. Un paesino, piccolo, ma talmente piccolo
che la vita di ogni abitante diviene la vita di tutti. Nessun segreto vi
può attecchire. Non esistono vite private, né corrispondenza che non
possa divenire oggetto di conoscenza da parte di tutti. È in questo
delizioso villaggio che nasce Tieta. Tieta ragazzina che, capretta
affamata, percorre le tortuose strade di campagna, per saziare la sua
fame prematura di uomini.
Che sia forse posseduta dal demonio?
O forse la bella ragazzina ama solo possedere e farsi possedere, senza che sia necessario chiamare in causa un ipotetico e, quantomeno dubbio, esorcista?
Sia come sia, Tieta disonora il buon nome della famiglia. E, causa la delazione della sua quasi divina sorella Perpetua, perpetuamente intenta a perpetuare l'arte della preghiera e a lucidare con le sue devote mani le perle del suo benedetto rosario, Tieta verrà cacciata via dalla famiglia e dal paese, con l'ausilio dei colpi di bastone del severo padre.
Ma si sa, certe macchie possono essere cancellate, soprattutto se il magico e infallibile smacchiatore di chiama Denaro. Denaro di Tieta, ovviamente. Perché quel denaro e gli onerosi regali che Tieta invierà ai suoi parenti nel corso degli anni, favoriscono un rapido passaggio dall'indegno status di puttana a quello di santa. La generosità di Tieta consentirà alle sue sorelle, delatrice compresa, e a suo padre di condurre una vita agiata. Tieta, figliola ripudiata, condividerà amorevolemente i proventi della sua attività di Sao Paolo con i suoi cari, in nome del legame di sangue. Ovviamente, tutti credono che la fortuna di Tieta, ormai divenuta rispettabile e finanche signora, derivi dal suo matrimonio con il commendatore del Papa - e scusate se è poco.
Chi mai potrebbe immaginare che la vecchia pastora di capre, Tieta d'Agreste - alias Madame Antoinette- gestisca, invece, un bordello? Di lusso, ma pur sempre bordello. Chi mai potrebbe immaginare che l'Agrestana redenta continui a fare, anche nella lontana città, ciò che sempre ha amato fare, ossia godere dei piaceri della vita, in posizione orizzontale (anche se non sempre, per la verità), con qualche focoso montone? Eh! le caprette perdono il pelo, ma non il vizio...
Eccola, dopo anni e anni, Tieta, non più pastorella, ma donna ormai vedova, torna ai profumi, alle voci e agli affetti del suo natio paesello con la sua "figliastra" Leonora, bella come il sole e ospite, anch'essa della lussuosa casa nella quale si pratica il mercimonio dei corpi, fatto quest'ultimo neanche degno di nota, visto che non sottoposto a divulgazione.
Nessuno potrebbe immaginarlo d'altronde ed è questo ciò che conta.
Suvvia, di fronte alla ricca vedova che importanza potrebbe avere un' indagine più approfondita sulla loro vita? Non è forse sufficiente sapere che la procace Tieta si di titolare di un negozio - non si sa bene di che - e che sia stata moglie del commendatore? Non basta questo per far concludere anzitempo le indagini a improvvisati p.m. agrestiani? Basta, eccome!
L'accoglienza sarà calorosa quasi quanto il sole che riscalda le strade non troppo perfette del paesino. Il poeta le dedicherà versi. Le sarà intitolata una strada. La beghina Perpetua, sempre accessoriata del divin rosario vede in Tieta il futuro dei suoi figli (Peto e Ricardo), lo stumento per una loro crescita, soprattutto economica. Subdolamente si muoverà nel realizzare il suo sogno approvato, ovviamente, dal suo dio: far adottare, almeno uno dei suoi figli, dalla cara e ricca zia. E Tieta, con cuore immenso, non attenderà l'emanazione di un provvedimento di adozione per dedicare, ai nipoti anima e corpo ai nipoti, soprattutto corpo nel caso di Ricardo. Piccolo e tenero Cardo, primogenito di Perpetua destinato dalla stessa alle sante vie del sacerdozio, immergerà cosi la sua vocazione nel corpo, pieno e sensuale, della zia che tornerà cosi a sentirsi la vecchi capretta dei vecchi tempi andati. Anche perchè per la Tieta procace e vogliosa i piaceri della carne sono infiniti come la bonta di dio e non hanno limiti né di sangue nè di età. Le sue pulsioni sessuali son torrenti in piena a fronte del quale non tengono gli argini della decenza o del buon nome della famiglia.
Insomma, Tieta al di là di questi peccatucci che rimangono confinati nel segreto divien la voce della saggezza. Anche quando si prospetta la possibilità di installare ad Agreste una fabbrica di Titanio avendo i furboni dirigenti - tra cui un italiano, guarda caso - avendo menato per il naso, il futuro sindaco del paese Sor Ascanio. Il quale, ingenuo come pochi, vede nella realizzazione di quel progetto la possibilità di eleversi e divenire qualcuno e, finalmente, sposare la bella candida e pura (secondo lui) figliastra di Tieta.
Alla fine gli eventi precipiteranno e quel castello sorretto dai fittizi pilastri del denaro e dell'ipocrisia inizierà a sgretolarsi lentamente.C'è tanto in quest'opera che l'autore ironicamente definisce romanzetto. E, ad esser sinceri, a volte c'è pure troppo tanto che la fine pare, in alcuni passi, allontanarsi anziché avvicinarsi.
C'è l'aroma del caffè, il profumo dei piatti che stimolano continuamente il palato, i succhi dei frutti tropicali maturi, i profumi delle spiagge e c'è la rappresentazione perfetta dei vizi e delle virtù dell'uomo. (Mi vien da domandarmi: ma quanto è brutto l'uomo?)
La descrizione realistista dell'essere umano e la sua insana tendenza a creare miti e a forgiare santi - quando fa comodo- salvo poi - sempre per comodità- abbattere con violenza il piedistallo nel quale il santo era stato religiosamente posato. E c'è il silenzio, la necessità di tacere per tornaconto personale, salvo poi sventolare bandiere di moralità nel momento in cui certe cose - divenute di dominio pubblico - non possono più essere occultate.
Che sia forse posseduta dal demonio?
O forse la bella ragazzina ama solo possedere e farsi possedere, senza che sia necessario chiamare in causa un ipotetico e, quantomeno dubbio, esorcista?
Sia come sia, Tieta disonora il buon nome della famiglia. E, causa la delazione della sua quasi divina sorella Perpetua, perpetuamente intenta a perpetuare l'arte della preghiera e a lucidare con le sue devote mani le perle del suo benedetto rosario, Tieta verrà cacciata via dalla famiglia e dal paese, con l'ausilio dei colpi di bastone del severo padre.
Ma si sa, certe macchie possono essere cancellate, soprattutto se il magico e infallibile smacchiatore di chiama Denaro. Denaro di Tieta, ovviamente. Perché quel denaro e gli onerosi regali che Tieta invierà ai suoi parenti nel corso degli anni, favoriscono un rapido passaggio dall'indegno status di puttana a quello di santa. La generosità di Tieta consentirà alle sue sorelle, delatrice compresa, e a suo padre di condurre una vita agiata. Tieta, figliola ripudiata, condividerà amorevolemente i proventi della sua attività di Sao Paolo con i suoi cari, in nome del legame di sangue. Ovviamente, tutti credono che la fortuna di Tieta, ormai divenuta rispettabile e finanche signora, derivi dal suo matrimonio con il commendatore del Papa - e scusate se è poco.
Chi mai potrebbe immaginare che la vecchia pastora di capre, Tieta d'Agreste - alias Madame Antoinette- gestisca, invece, un bordello? Di lusso, ma pur sempre bordello. Chi mai potrebbe immaginare che l'Agrestana redenta continui a fare, anche nella lontana città, ciò che sempre ha amato fare, ossia godere dei piaceri della vita, in posizione orizzontale (anche se non sempre, per la verità), con qualche focoso montone? Eh! le caprette perdono il pelo, ma non il vizio...
Eccola, dopo anni e anni, Tieta, non più pastorella, ma donna ormai vedova, torna ai profumi, alle voci e agli affetti del suo natio paesello con la sua "figliastra" Leonora, bella come il sole e ospite, anch'essa della lussuosa casa nella quale si pratica il mercimonio dei corpi, fatto quest'ultimo neanche degno di nota, visto che non sottoposto a divulgazione.
Nessuno potrebbe immaginarlo d'altronde ed è questo ciò che conta.
Suvvia, di fronte alla ricca vedova che importanza potrebbe avere un' indagine più approfondita sulla loro vita? Non è forse sufficiente sapere che la procace Tieta si di titolare di un negozio - non si sa bene di che - e che sia stata moglie del commendatore? Non basta questo per far concludere anzitempo le indagini a improvvisati p.m. agrestiani? Basta, eccome!
L'accoglienza sarà calorosa quasi quanto il sole che riscalda le strade non troppo perfette del paesino. Il poeta le dedicherà versi. Le sarà intitolata una strada. La beghina Perpetua, sempre accessoriata del divin rosario vede in Tieta il futuro dei suoi figli (Peto e Ricardo), lo stumento per una loro crescita, soprattutto economica. Subdolamente si muoverà nel realizzare il suo sogno approvato, ovviamente, dal suo dio: far adottare, almeno uno dei suoi figli, dalla cara e ricca zia. E Tieta, con cuore immenso, non attenderà l'emanazione di un provvedimento di adozione per dedicare, ai nipoti anima e corpo ai nipoti, soprattutto corpo nel caso di Ricardo. Piccolo e tenero Cardo, primogenito di Perpetua destinato dalla stessa alle sante vie del sacerdozio, immergerà cosi la sua vocazione nel corpo, pieno e sensuale, della zia che tornerà cosi a sentirsi la vecchi capretta dei vecchi tempi andati. Anche perchè per la Tieta procace e vogliosa i piaceri della carne sono infiniti come la bonta di dio e non hanno limiti né di sangue nè di età. Le sue pulsioni sessuali son torrenti in piena a fronte del quale non tengono gli argini della decenza o del buon nome della famiglia.
Insomma, Tieta al di là di questi peccatucci che rimangono confinati nel segreto divien la voce della saggezza. Anche quando si prospetta la possibilità di installare ad Agreste una fabbrica di Titanio avendo i furboni dirigenti - tra cui un italiano, guarda caso - avendo menato per il naso, il futuro sindaco del paese Sor Ascanio. Il quale, ingenuo come pochi, vede nella realizzazione di quel progetto la possibilità di eleversi e divenire qualcuno e, finalmente, sposare la bella candida e pura (secondo lui) figliastra di Tieta.
Alla fine gli eventi precipiteranno e quel castello sorretto dai fittizi pilastri del denaro e dell'ipocrisia inizierà a sgretolarsi lentamente.C'è tanto in quest'opera che l'autore ironicamente definisce romanzetto. E, ad esser sinceri, a volte c'è pure troppo tanto che la fine pare, in alcuni passi, allontanarsi anziché avvicinarsi.
C'è l'aroma del caffè, il profumo dei piatti che stimolano continuamente il palato, i succhi dei frutti tropicali maturi, i profumi delle spiagge e c'è la rappresentazione perfetta dei vizi e delle virtù dell'uomo. (Mi vien da domandarmi: ma quanto è brutto l'uomo?)
La descrizione realistista dell'essere umano e la sua insana tendenza a creare miti e a forgiare santi - quando fa comodo- salvo poi - sempre per comodità- abbattere con violenza il piedistallo nel quale il santo era stato religiosamente posato. E c'è il silenzio, la necessità di tacere per tornaconto personale, salvo poi sventolare bandiere di moralità nel momento in cui certe cose - divenute di dominio pubblico - non possono più essere occultate.