mercoledì 25 febbraio 2015

CONTRO L'OCCIDENTE - Alberto Abruzzese

CONTRO

Titolo: Contro l'Occidente. Analfabeti di tutto il mondo uniamoci
Autore: Alberto Abruzzese
Editore: Bevivino
Anno: 2010
Pagine: 253
Genere: Saggio



Non avrei, forse, mai pensato di leggere questo libro. Forse.

Ma la vita ti porta delle cose e se le porta a te vuol dire che le devi far tue in qualche modo. Certo,  del libro di Abruzzese non si può dire la tanto e usata –spesso abusata - frase “L’ho divorato” visto che la sua scrittura, forse anche per il tema trattato, richiede un certo impegno e dosi massicce di concentrazione. A piccoli passi, a piccole dosi, lentamente e con i sensi vigili: così l’ho letto.



“Caro lettore, ti scrivo”.  Così inizia questo complesso saggio. Ma perché scrive al lettore? Per interrompere quel patto, quella complicità che lega e ha da sempre legato – a mo’ di contratto sinallagmatico - un lettore all’autore. Per suscitare reazioni forti che nascano, se possibile, dalle viscere del cervello. Messaggi. Messaggi irrimediabilmente contro. Contro il libro. Contro gli scrittori, contro gli autori, gli intellettuali, le istituzioni, le politiche ed estetiche della scrittura, contro la lettura e i lettori. Non per ingannarvi, o miei cari lettori, non per farvi perdere minuti del vostro prezioso tempo, ma semplicemente per formularvi un invito. Un invito importante: l’invito ad ascoltarvi attentamente e arrivare a scoprirvi analfabeti e accettare, con serenità, il barbaro che c’è in voi. Date queste premesse, è quantomeno opportuna una solidarietà impossibile e perciò stessa pensabile – necessariamente pensabile - tra gli analfabeti. Unitevi e uniamoci. Perché il libro non è più un’arma o una difesa? Esso è morto perché mortale come un qualsiasi altro prodotto che ha esaurito il suo ciclo produttivo? Perché questo scontro? Perché ascoltare le ragioni del non-lettore? Siamo tutti moderni Prometeo? O Don Giovanni?... 


Analfabeti di tutto il mondo uniamoci è stato pubblicato per la prima volta nel 1996, due anni dopo l’ingresso sulla scena politica di Silvio Berlusconi e preceduto da Elogio del tempo nuovo. Perché Berlusconi ha vinto, viene ripresentato, immutato nei contenuti, nell’anno 2010, con il titolo Contro l’Occidente. Alberto Abruzzese è uno studioso e un grande conoscitore dei processi sociali e comunicativi del nostro secolo, non poteva esimersi dallo studiare quei fenomeni che si sono sviluppati nel Belpaese che, a dire il vero, di bello ha ben poco. Avvento dei new media, epoca di grandi mutamenti e, in particolare, l’evoluzione - sin troppo rapida - dei linguaggi virtuali a cui è corrisposta la nascita di forme di de-civilizzazione e barbarie.                                                        Ricco di metafore e impensabili richiami mitologici e biblici, non didascalico e non scevro di una certa ironia né privo, a dire il vero, di passi un tantino ostici e di non immediata percezione, ci offre una spietata analisi del tragico che si insinua nel passaggio, spesso troppo rapido, da un sistema comunicativo ad un altro che trova voce in Christine de Il fantasma dell’Opera richiamato dallo stesso autore “ Trovandomi davanti allo specchio, d’un tratto non l’ho più visto… l’ho cercato dietro ma non c’era più lo specchio, né il camerino… Ebbi paura e gridai” . Buio. Disorientamento. Urlo di terrorizzata angoscia che rappresenta, pienamente, la perdita e l’incapacità di ritrovare luoghi e immagini di identificazione. E che la lentezza della lettura sia con voi, o lettori.


martedì 27 gennaio 2015

FANTASMI A CAGLIARI. IL RITORNO DELLE ANIME - Pierluigi Serra

A VOLTE RITORNANO

Titolo:  Fantasmi a Cagliari
Autore: Pierluigi Serra
Anno: 2014
Editore: Libro Aperto International Publishing
Pagine: 204


Molti dei ricordi della mia infanzia trascorsi in un piccolo paese della Barbagia di Seulo sono legati a storie nelle quali il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti era molto labile, facile da oltrepassare. Non era infatti cosa fuori dal comune, in quei vecchi racconti, che i morti, di tanto in tanto, varcassero l’oltretomba e andassero a cercare i loro cari per una visita-lampo, per semplicemente accomodarsi nella sedia della cucina a volte senza neanche proferire verbo o, anche, per annunciare qualche evento futuro. E io quelle anime non le ho mai immaginate come ectoplasmi, ma come esseri tangibili forse per la forza insita in quei racconti che conferiva loro una sorta di materialità quasi a voler rafforzare un fatto che doveva considerarsi vero. Col tempo son diventata scettica, tremendamente scettica ma pur sempre affascinata dalle storie di fantasmi almeno quelli letterari visto che, ormai nessuno mi racconta quelle belle storie provenienti da voci profonde. È naturale che un libro come “Fantasmi a Cagliari” abbia attratto la mia attenzione. In un solo titolo due cose che mi incantano: i fantasmi e Cagliari.



A detta di molti non sarebbe raro incontrare per le vie di Castello un corpo senza testa che alteramente passeggia trascinando in mano la propria testa. Così come può accadere che una vecchia edizione de L’uomo che ride di Hugo spostato dalla proprietaria ritorni, nel corso della notte, nella libreria dalla quale era stato rimosso. O, ancora, può succedere che in una casa situata in Piazza Martiri ripetutamente compariano a turbare la vita di due donne  is duennas, apparizioni notturne…



  Io non credo ai fantasmi e i fantasmi non esistono: era questo il pensiero che dominava la mia mente mentre mi accingevo a leggere questo bel libro. A fine lettura, invece quel pensiero si è come sbiadito perché soppiantato da un altro: il valore delle storie, il valore del passato, del ricordo, la necessità – spesso trascurata – di non far cadere nell’oblio voci lontane nel tempo. Già perché Pierluigi Serra in questa opera ha, con piglio quasi scientifico, svolto un’opera di conservazione di storie dal sapore antico delle quali è necessario conservare il profumo. Non si parla di fantasmi tout court si parla di una città al limite del magico, esoterica,  ed è di palmare evidenza come tutta l’opera sia stata il frutto di lunga e paziente ricerca e di una grande capacità di ascolto. Se a ciò si aggiunge l’abilità dello scrittore, e del giornalista quale egli è, nel mettere insieme quelle tante voci e mescolare, con maestria, eventi storici realmente accaduti con un mondo surreale ne vien fuori una lettura interessante nella quale la curiosità del lettore è tenuta sempre desta. E’ un libro scorrevole e ben curato e leggerlo è come fare una lunga passeggiata nel tempo e nello spazio, una meravigliosa passeggiata in una Cagliari misteriosa e fortemente intrisa di fascino caratterizzata da mille sfaccettature e da ombre che si intersecano, si sovrappongono, si confondono armoniosamente. Non è un caso che a fine lettura venga il desiderio di armarsi di un buon paio di scarpe sportive e fare una lunga camminata nei luoghi, nelle strade e nelle case richiamate nel libro per trovare, forse, qualcuna di quelle ombre nel cocente sole cittadino.


mercoledì 14 gennaio 2015

LA COMPAGNIA DEL CORVO - James Barclay

DI CORVI E MAGIA

Titolo: La compagnia del corvo
Autore: James Barclay
Editore: Nord
Anno: 2010
Pagine: 518
Traduzione: Adria Tissoni

Credo di avere un piccolo grande limite: il fantasy. Non riesco ad amarlo fino in fondo, forse non lo comprendo, fatto sta che tutte le volte che leggo un libro appartenente a tale genere è come se vivessi una sensazione di allontanamento da ciò che mi piace e, a fine lettura, non riesco ad essere pienamente soddisfatta. Certo ci sono le eccezioni, anzi l'eccezione: l'immenso Il signore degli anelli che, fantasyasticamente, mi è rimasto nel cuore. Ma non demordo, io continuo a provarci, non sia mai che riesca a superare il mio limite ché quelli che capiscono le cose del mondo dicono sia cosa buona e giusta. E per me le cose del mondo son sempre mistero. Per esempio, intorno al genere di cui parlo, è un mistero il fatto che i romanzi fantasy facciano sempre parte (se va bene) di una trilogia e io, puntualmente, inizi dal secondo o dal terzo, è un mistero il fatto che tali romanzi abbiano sempre un numero di pagine superiore a 459. Basta.

Approdo, nella lettura, nella Terra di Balaia e lì trovo loro. Loro che son giovani, son forti e tenaci, non combattorno per un presunto o deviante spirito nazionalista e nemmeno per la inflazionata gloria. No, niente di tutto ciò. Combattono per ottenere in cambio sonanti vergargenti. Mercenari. Sono il Corvo. Uniti da un solenne giuramento che fa nascere tra loro legami indissolubili, in vita e anche dopo la morte. Ad essi è affidata una tra le missioni più importanti e più difficile della loro decennale carriera. Il destino di Balaia è minacciato dal ritorno dei Lord Stregoni i quali si son liberati dall'incantesimo che li aveva confinati nella prigione di mana per ben tre secoli. Il Corvo dovrà scortare il Mago Oscuro nella ricerca del Ruba Aurora -incantesimo potente - e degli annessi catalizzatori per portarlo nelle Terre Desolate e, ovviamente, lanciarlo contro i maligni Lord Stregoni. In una accesa lotta contro il tempo dovranno raggiungere tale incantesimo prema dei Lord onde evitarne un uso improprio che potrebbe determinare una conseguenza disastrosa: l'eliminazione del sole dal cielo. Vale la pena rischiare la vita e l'anima per aiutare l'ambiguo Mago Oscuro? Ha davvero un senso quella che pare assumere i caratteri di un'ultima missione? E, ancora, valgono più i sentimenti di amicizia che legano i membri del Corvo o l'esigenza di salvare il mondo?...

Primo romanzo di una trilogia intitolata Le cronache del corvo, quasi totalmente ispirato ai giochi di ruolo, come ha sottolineato lo stesso Barclay, autore inglese precocissimo. 
Del fantasy classico La compagnia del corvo possiede indubbiamente tutti gli ingredienti anche se, paiono, non perfettamente dosati. Alla scarna e insipida caratterizzazione dei personaggi fa da contrappeso un'ottima e ritmata descrizione delle battaglie - che si tratti di lotte contro le Ali nere o contro i Dragonene - e degli incantesimi. La magia permea ogni singola vicenda. Magia bianca, nera, sortilegi di ogni forma e natura. Lo schema, ricorda, a grandi linee, quello de Il Signore degli Anelli: la lunga ricerca di un oggetto ricco di potenzialità e, in astratto, idoneo a cambiare le sorti del mondo, le battaglie all'ultimo sangue e i sentimenti di amicizia e solidarietà tra coloro che appartengono al Ci totaorvo, ma anche la linea di demarcazione - anche se, spesso, molto sottile e facilmente valicabile - tra i buoni e i cattivi. 
Nel complesso, il romanzo risulta ben strutturato e, man mano che si procede nella lettura, si chiariscono, a tappe, quei punti che all'inizio parevano incomprensibili. Ben ritmato, continue scene di azione infarcite di quella buona magia che, complessivamente, rendono la lettura appassionante a patto, però, che del genere si sia estimatori e io...



sabato 20 dicembre 2014

VITA E MIRACOLI DI TIETA D'AGRESTE - Jorge Amado

Capre e Madames

Titolo: Vita e miracoli di Tieta d'Agreste
Autore: Jorge Amado
Editore: Garzanti
Anno: 2010
Pagine: 616
Traduttore: Elena Grechi

Brasile. Bel clima, spezie profumate, frutti tropicali. In un angolino di questo accogliente e vivace stato si trova Agreste. Un paesino, piccolo, ma talmente piccolo che la vita di ogni abitante diviene la vita di tutti. Nessun segreto vi può attecchire. Non esistono vite private, né corrispondenza che non possa divenire oggetto di conoscenza da parte di tutti. È in questo delizioso villaggio che nasce Tieta. Tieta ragazzina che, capretta affamata, percorre le tortuose strade di campagna, per saziare la sua fame prematura di uomini.
Che sia forse posseduta dal demonio?
O forse la bella ragazzina ama solo possedere e farsi possedere, senza che sia necessario chiamare in causa un ipotetico e, quantomeno dubbio, esorcista?
Sia come sia, Tieta disonora il buon nome della famiglia. E, causa la delazione della sua quasi divina sorella Perpetua, perpetuamente intenta a perpetuare l'arte della preghiera e a lucidare con le sue devote mani le perle del suo benedetto rosario, Tieta verrà cacciata via dalla famiglia e dal paese, con l'ausilio dei colpi di bastone del severo padre.
Ma si sa, certe macchie possono essere cancellate, soprattutto se il magico e infallibile smacchiatore di chiama Denaro. Denaro di Tieta, ovviamente. Perché quel denaro e gli onerosi regali che Tieta invierà ai suoi parenti nel corso degli anni, favoriscono un rapido passaggio dall'indegno status di puttana a quello di santa. La generosità di Tieta consentirà alle sue sorelle, delatrice compresa, e a suo padre di condurre una vita agiata. Tieta, figliola ripudiata, condividerà amorevolemente i proventi della sua attività di Sao Paolo con i suoi cari, in nome del legame di sangue. Ovviamente, tutti credono che la fortuna di Tieta, ormai divenuta rispettabile e finanche signora, derivi dal suo matrimonio con il commendatore del Papa - e scusate se è poco.
Chi mai potrebbe immaginare che la vecchia pastora di capre, Tieta d'Agreste - alias Madame Antoinette- gestisca, invece, un bordello? Di lusso, ma pur sempre bordello. Chi mai potrebbe immaginare che l'Agrestana redenta continui a fare, anche nella lontana città, ciò che sempre ha amato fare, ossia godere dei piaceri della vita, in posizione orizzontale (anche se non sempre, per la verità), con qualche focoso montone? Eh! le caprette perdono il pelo, ma non il vizio...
Eccola, dopo anni e anni, Tieta, non più pastorella, ma donna ormai vedova, torna ai profumi, alle voci e agli affetti del suo natio paesello con la sua "figliastra" Leonora, bella come il sole e ospite, anch'essa della lussuosa casa nella quale si pratica il mercimonio dei corpi, fatto quest'ultimo neanche degno di nota, visto che non sottoposto a divulgazione.
Nessuno potrebbe immaginarlo d'altronde ed è questo ciò che conta.
Suvvia, di fronte alla ricca vedova che importanza potrebbe avere un' indagine più approfondita sulla loro vita? Non è forse sufficiente sapere che la procace Tieta si di titolare di un negozio - non si sa bene di che - e che sia stata moglie del commendatore? Non basta questo per far concludere anzitempo le indagini a improvvisati p.m. agrestiani? Basta, eccome!
L'accoglienza sarà calorosa quasi quanto il sole che riscalda le strade non troppo perfette del paesino. Il poeta le dedicherà versi. Le sarà intitolata una strada. La beghina Perpetua, sempre accessoriata del divin rosario vede in Tieta il futuro dei suoi figli (Peto e Ricardo), lo stumento per una loro crescita, soprattutto economica. Subdolamente si muoverà nel realizzare il suo sogno approvato, ovviamente, dal suo dio: far adottare, almeno uno dei suoi figli, dalla cara e ricca zia. E Tieta, con cuore immenso, non attenderà l'emanazione di un provvedimento di adozione per dedicare, ai nipoti anima e corpo ai nipoti, soprattutto corpo nel caso di Ricardo. Piccolo e tenero Cardo, primogenito di Perpetua destinato dalla stessa alle sante vie del sacerdozio, immergerà cosi la sua vocazione nel corpo, pieno e sensuale, della zia che tornerà cosi a sentirsi la vecchi capretta dei vecchi tempi andati. Anche perchè per la Tieta procace e vogliosa i piaceri della carne sono infiniti come la bonta di dio e non hanno limiti né di sangue nè di età. Le sue pulsioni sessuali son torrenti in piena a fronte del quale non tengono gli argini della decenza o del buon nome della famiglia.
Insomma, Tieta al di là di questi peccatucci che rimangono confinati nel segreto divien la voce della saggezza. Anche quando si prospetta la possibilità di installare ad Agreste una fabbrica di Titanio avendo i furboni dirigenti - tra cui un italiano, guarda caso - avendo menato per il naso, il futuro sindaco del paese Sor Ascanio. Il quale, ingenuo come pochi, vede nella realizzazione di quel progetto la possibilità di eleversi e divenire qualcuno e, finalmente, sposare la bella candida e pura (secondo lui) figliastra di Tieta.
Alla fine gli eventi precipiteranno e quel castello sorretto dai fittizi pilastri del denaro e dell'ipocrisia inizierà a sgretolarsi lentamente.C'è tanto in quest'opera che l'autore ironicamente definisce romanzetto. E, ad esser sinceri, a volte c'è pure troppo tanto che la fine pare, in alcuni passi, allontanarsi anziché avvicinarsi.
C'è l'aroma del caffè, il profumo dei piatti che stimolano continuamente il palato, i succhi dei frutti tropicali maturi, i profumi delle spiagge e c'è la rappresentazione perfetta dei vizi e delle virtù dell'uomo. (Mi vien da domandarmi: ma quanto è brutto l'uomo?)
La descrizione realistista dell'essere umano e la sua insana tendenza a creare miti e a forgiare santi - quando fa comodo- salvo poi - sempre per comodità- abbattere con violenza il piedistallo nel quale il santo era stato religiosamente posato. E c'è il silenzio, la necessità di tacere per tornaconto personale, salvo poi sventolare bandiere di moralità nel momento in cui certe cose - divenute di dominio pubblico - non possono più essere occultate.

mercoledì 26 novembre 2014

IL CIELO È DEI VIOLENTI - Flannery O' Connor. Pazza idea...


Titolo: Il cielo è dei violenti

Autore: Flannery O' Connor  
Editore: Einaudi
Anno: 2008
Pagine: 206
Traduzione: Ida Ombroni 

 
“Lo zio di Francis Marion Tarwater era morto solo da mezza giornata quando il ragazzo si ubriacò troppo per finire la fossa, e un negro di nome Buford Munson, che era venuto a riempire una brocca, dovette terminare di scavarla e trascinarci il corpo, che era ancora seduto alla tavola della prima colazione, per dargli una sepoltura da cristiani, con le insegne del Salvatore sopra la testa e abbastanza terra perché i cani non lo scavassero fuori" 




Salvador Dalì, L'invenzione dei mostri

Bastano poche pagine, pochissime a dire il vero,  per comprendere come ci si trovi di fronte a una grande scrittrice. La scrittura della O’ Connor, credo fortemente, che non possa essere scissa da quella che è stata la sua vita, caratterizzata da un radicatissimo sentimento religioso e dalla malattia, il lupus eritematoso sistemico del quale era affetto anche il padre, che la portò ad una morte precoce e che lei visse sempre stoicamente, senza rifugiarsi in patetici atteggiamenti vittimistici, affermando quasi con candore “Non sono stata altrove che malata. In un certo senso la malattia è il luogo più istruttivo di un lungo viaggio in Europa”. Quindi, malattia come parte essenziale di se stessa, della propria natura, non una “nemica” e, spesso anzi, strumento indispensabile per interpretare e capire il mondo. Il cielo dei violenti (titolo originale The violent bear it away) il cui titolo prende il nome da una citazione evangelica è un crudo e intenso romanzo nel quale O’Connor fa calare in un’atmosfera atroce, venata di follia, il contrasto pressoché insanabile tra fede e pensiero razionale. Contrasto insanabile perché ci troviamo di fronte a due fanatismi uguali e diversi allo stesso tempo, rappresentati alla perfezione dal vecchio Tarwater, autoproclamatosi profeta, e dal maestro Ryber che del razionalismo puro ha fatto la sua ragione di vita. Parole dure, ruvide quelle della O’Connor, personaggi estremi e aberranti destinati a una costante e dolorosa non-salvezza o, al limite, a trovare la libertà in atti di violenza inaudita. Ambientato nell’America rurale degli anni ’60  il romanzo sfugge, comunque, a qualsivoglia e restrittiva collocazione temporale facendone un’opera senza tempo.



giovedì 20 novembre 2014

LA FELICITÀ DI EMMA - Claudia Schreiber


Mondi fuori dal mondo


Titolo: La felicità di Emma
Autore: Claudia Schreiber
Editore: Keller, 2010
Traduzione: Angela Lorenzini
Pagine: 240

Capita spesso che, nella lettura, ci si innamori di qualche personaggio  e che si crei un immaginario gruppo simil-ultrà per manifestare un tifo silenzioso, ma sfegatato. Ecco, “Forza Emma!” pensavo durante lo scorrere delle pagine perché lei, la protagonista, ha suscitato tutta la mia simpatia per la sua bizzarria, per il suo anticonformismo e per la sua capacità innata di coltivare sogni.
Emma alleva maiali, si confida con il suo gallo e ha un amico corvo il quale, poggiandosi sulla sua spalla, la accompagna nelle sue lunghe passeggiate. Vive da sola in una fattoria ereditata dai suoi genitori. Pare tranquilla, non curandosi della pulizia della casa che, col tempo, ha assunto i connotati di un domestico immondezzaio ricco di liquidi vari e non ben identificati, di muffa e di odori che si mescolano compulsivamente tra loro. Non ha le preoccupazioni tipicamente femminili (“Oddio, cosa mi metto oggi?”), ma Emma ogni notte prega affinché da lassù qualcuno le recapiti un uomo e la faccia diventare ricca. E, poiché è risaputo come le vie del signore siano infinite, un giorno le sue preghiere paiono esaudirsi. Arriverà, via incidente stradale, un giovane, Max, con molti soldi. Emma lo trova svenuto, lo osserva lo annusa, è perfetto: è l’uomo della sua vita. Ancora non sa che Max ha un cancro al pancreas e che manca poco alla sua morte.
Questo romanzo, pubblicato nel 2003, è stato un caso letterario in Germania, oggi tradotto in otto lingue e trasposto cinematograficamente, nel 2006,  con il titolo Emma Gluck per la regia di Sven Taddicken.  Con ironia, schiettezza e un pizzico di surrealismo la Schreiber ci trasporta in un mondo “fuori dal mondo”. Un piccolo universo fatto di semplici cose, di contatto diretto con la natura, dove troneggia  una donna che pare bastare a se stessa e che sembra dura e insensibile capace, fin dalle prime pagine, di conquistare il lettore.  Ma dietro quella corazza ricoperta da sgargianti colori, come le sue sottovesti, dietro le sue stravaganze – cito, solo a titolo esemplificativo, quella di fare lunghe corse con la sua vecchia moto onde  procurarsi il suo orgasmo quotidiano - che allietano e stupiscono piacevolmente, si nasconde una donna con un passato doloroso, che ha ereditato insieme con la fattoria e i suoi amati animali un’infanzia traumatica e una lunga serie di ricordi difficili da dimenticare. Ricordi che ustionano. Nonostante tutto, Emma è alla ricerca quasi spasmodica, di un sentimento che le riscaldi quel cuore troppo spesso spezzato, ma che, a dispetto di tutto,  riesce a battere ancora. I sogni, a volte, si realizzano per destino o, chissà, per la forza insita nelle preghiere. Ma è anche vero che la vita è troppo crudele dare qualcosa  gratuitamente, figuriamoci la realizzazione di un sogno. Tutto si paga. Ciò non impedisce di accarezzare delicatamente quei meravigliosi doni, di apprezzarli anche se fugaci, di viverli intensamente. Fino alla fine. Fino all’ultimo estremo atto. D’amore anch’esso. Eros e Thanatos convivono pacificamente, si incastrano alla perfezione come per magia in questa strampalata storia intrisa di un romanticismo atipico, non melenso, non stucchevole,  con una delicatezza che può appartenere solo a quel mondo “fuori dal mondo”. Solo al mondo di Emma.

lunedì 17 novembre 2014

NOME IN CODICE VERITY - Elizabeth Wein

AMICIZIA & GUERRA
 Titolo:Nome in codice Verity
Autore: Elisabeth Wein
Editore: Rizzoli
Anno 2013
Genere: Romanzo guerra
Traduttore: Giulia Bertoldo

Nel mondo infuria la seconda guerra mondiale con il suo spettacolo di terrore e angoscia. Nel novembre dell’anno 1943 l’aereo pilotato dalla giovane inglese Maddie viene abbattuto dal fuoco nemico. In quell’aereo c’era anche una passeggera, Julie Beaufort, agente scozzese del SOE la quale viene catturata dalla Gestapo. Julie stringerà un accordo con il glaciale Von Linden delle SS: in cambio della restituzione di ogni suo capo di vestiario dovrà rivelare una sequenza di codici. Ma non solo, Julie, in quella tetra e gelida cella, comprerà anche del tempo, esattamente due settimane oltre la carta e l’inchiostro per scrivere una confessione su tutto ciò di cui è a conoscenza sullo sforzo bellico inglese…Intanto Maddie, che Julie crede morta nell’incidente, cambia identità e ospitata in un piccolo paesino francese si unisce alla resistenza allo scopo di liberare la sua amica…
La Wein, scrittrice inglese, è una grande appassionata di volo e tale passione si è trasfusa in queste pagine avventurose nelle quali gli aerei hanno un ruolo dominante. Al di là dello scenario bellico, delle atrocità, delle sofferenze e delle tragedie emergono, quasi a edulcorare lo spettacolo triste della seconda guerra mondiale, due figure di donne molto diverse tra loro, appartenenti a due classi sociali differenti che, paradossalmente, la guerra ha avvicinato e che, presumibilmente, senza la guerra non si sarebbero mai incontrate: Maddie e Julie. Son loro che dominano la scena con la loro forza ed emancipazione, ma anche con le loro paure e le loro fragilità e le contraddizioni di due animi femminili. E su tutto emerge quel saldo legame di amicizia che unisce, fino alle fine, le due donne disposte a compiere qualsiasi gesto, anche il più atroce, in nome di un sentimento incontaminato e profondo. Ne risulta una bella storia ricca di suspence, di avventura e di amore che, per quanto sia frutto della fantasia dell’autrice, risulta molto credibile, ma, a onor del vero, la lettura non è comunque omogenea: ad una prima parte assai lenta e prolissa segue, e aggiungo per fortuna, una parte più scorrevole e più in sintonia con il genere del romanzo stesso. Altra nota negativa è data dalla presenza di numerosi refusi che fanno inalberare anche il lettore più distratto. Nel complesso, una lettura gradevole credo soprattutto per gli amanti del genere un po’ meno per me che di guerre e di aerei non sono esperta.

Altre recensioni:
L'usignolo, Kristin Hannah