sabato 23 luglio 2016

EX VOTO - Marcello Fois

Di miracoli e altre storie

Titolo: Ex voto
Autore: Marcello Fois
Editore: Minimum Fax
Anno: 2015
Pagine: 101
Genere: Romanzo breve

Mi incuriosiva leggere questo libro. Vedere la penna di Fois lontana dalla sua isola. Ed è inutile negarlo: un romanzo ben scritto, anche interessante, ma lontano da quel Fois che mi fa battere il cuore. E ci rimango pure male nel dirlo.

Australia, Adelaide. È il sabato della vigilia di Pasqua del 2014 e di pomeriggio, Ryan e Antonia, o meglio Tony, vanno in spiaggia a fare surf. In un attimo il cielo diventa scuro, i due a malapena riescono a radunare le loro cose e, rapidamente, raggiungono la macchina. Tornano a casa e, nel momento in cui sono a letto, arriva - interrompendo il loro amplesso - una telefonata. Ryan sente Tony che dice al suo interlocutore “quale ospedale?” e, ancora “sei veramente un coglione, John! Sto arrivando”. La conversazione termina, Ryan  aspetta una spiegazione, comprende solo che si trattava dell’ex marito di Tony. Silenzio. Jenny, la figlia di Tony si è fatta male, è in ospedale. Si offre di accompagnarla, ma lei rifiuta. Si precipita in ospedale, ad attenderla c’è John che le indica l’ambulatorio. Entra e la vede: lì a cavalcioni su un cavalletto che dondola le gambe. Niente di grave, solo una caduta mentre facevano il barbecue, un piccolo taglio allo zigomo. La sua bambina sta bene. Ha bisogno solo di una piccola medicazione. Già, la sua bambina di diciassette anni. Con le sue efelidi, la sua inseparabile bambola, Carlotta, e quei disegni sempre simili a macchie. E disegna, disegna in continuazione perché lei vuole sentirsi invisibile…

Marcello Fois con questa fulminea storia abbandona le atmosfere della sua isola, la Sardegna, per trasportarci in Australia. Tre donne le protagoniste: Antonia, sua figlia Jenny e sua madre, Mariarca. In un arco temporale ridottissimo, tre giorni che vanno dalla viglia di Pasqua al lunedì dell’angelo, si mescolano superstizioni, storie familiari, amore materno, elementi divini, scontri generazionali, e quel necessario confronto con le radici (napoletane, nel caso di Antonia) per quanto spesso si cerchi, per difesa, di chiuderle in un cassetto, per non ricordarle perché possono far male. Su tutte le loro vicende, i loro conflitti, le loro parole domina il concetto di miracolo che, in qualunque modo lo si intenda, diviene il nucleo centrale del romanzo perché è da quello che Mariarca chiese alla Madonna dell’Arco che tutto iniziò, è da quel miracolo che lei divenne per tutti  “la Strega” ed è lo stesso per il quale scapparono da Napoli per rifugiarsi in Australia. Ex voto nasce come supporto narrativo a uno studio antropologico relativo al culto napoletano della Madonna dell’Arco e conferma, ancora una volta, le grandi doti scrittorie di Fois e la sua capacità di indagare, come pochi sanno fare, l’animo umano anche se, a onor del vero, manca -in questo pur pregevole romanzo- quel pathos e quell’intensità che caratterizza le sue opere precedenti: inevitabile il confronto, con un po’ di nostalgia (lo ammetto), con la magia che regala la trilogia dedicata alla famiglia Chironi.


giovedì 21 luglio 2016

DESTINI VERTICALI - Alessandro Toso

"Sfide"

Titolo: Destini verticali
Autore: Alessandro Toso
Editore: Ediciclo
Anno: 2014
Pagine: 208
Genere: Romanzo

Un libro che, a guardarlo, pare un taccuino. Una storia graziosa ambientata nelle fredde montagne nelle quali si muovono i protagonisti con il loro passato. Umano, molto umano. E voglia di assaggiare 'sta sgnapa.

In un rifugio di montagna si ritrovano quattro giovani amici: Paco, Gildo, Roger e Berto oltre il proprietario, Steno. È una giornata tranquilla, tra un bicchiere di sgnàpa e l’altra, i giovani chiacchierano vivacemente sognando di entrare nelle mutandine di qualche bella rieda o, ancora, di poggiare il fondoschiena sulle morbide pelli dei sedili di una potente macchina. A un certo punto, nel rifugio cala il  silenzio: quella chiassosa combriccola viene interrotta dall’ingresso del vecchio Corin, amico del padre di Paco – nonché ritenuto responsabile della sua morte e anche ex fidanzato della madre del giovane. La tensione sale e mentre tutti attendono una rissa tra i due che pare inevitabile, Corin lancerà una sfida al giovane, il quale accetterà…

Alessandro Toso, già conosciuto al grande pubblico per la sua partecipazione al talent show “Masterpiece” e per i suoi racconti, debutta con Destini verticali come romanziere. Il mondo descritto nelle sue pagine è un mondo tutto al maschile che si muove tra montagne impervie e cieli offuscati nei quali si consuma una sfida anch’essa, ovviamente, tutta al maschile. Ma, in fondo, il vero protagonista di quella sfida è Zirio, il padre di Paco che morendo in quel terribile incidente ha lasciato al figlio una pesante eredità: quella di vendicarlo: o almeno questa è l’interpretazione che ne ha dato Paco. Ma quella competizione, sentita come necessaria e inevitabile, diventerà l’occasione per i due partecipanti di una profonda introspezione. Toso ci presenta una storia fatta di emozioni, sentimenti, contrasti e paure tutte umane che, quasi impercettibilmente proprio come la neve, riempiono pagine di godibilissima lettura


Altre recensioni:
A galla, Alessandro Toso




mercoledì 20 luglio 2016

EREDITÀ - Lilli Gruber

"Heimatando"

Titolo: Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo
Autore: Lilli Gruber
Editore: Rizzoli
Anno 2012
Pagine: 354
Genere: Romanzo

Un vecchio diario. Tutto è partito da lì. Poi le storie familiari che si intrecciano con la Storia. Una riscoperta del passato e di se stessi.

Sudtirolo, piccolo villaggio di Pinzon. Rosa Rizzolli, nata Tiefenthaler, prende il suo diario con la copertina in pelle marrone e, dopo aver intinto la penna nell’inchiostro, annota in tedesco antico “Novembre 1918”. Non indica il giorno perché non è necessario: ogni santo giorno di quel nefasto mese è stato segnato da sofferenze. Il suo piccolo grande mondo sta per spezzarsi: dopo l’armistizio con l’esercito italiano il Sudtirolo passerà all’Italia. Rosa soffre perché è conscia del fatto che la sua vita cambierà drasticamente, teme per la sua famiglia, per tutto il suo popolo e per la sua identità ormai minata. Si avvicina al lettino dove dorme la sua ultima figlia, la piccola Hella di soli due anni, e si chiede, senza darsi una risposta,  se quella giovane creatura innocente potrà un giorno conoscere la felicità…


Il ritrovamento del diario della bisnonna  ha offerto a Lilli Gruber, volto noto della televisione italiana, il primo spunto per dare alle stampe un romanzo sincero e appassionato nelle cui pagine la sua famiglia diviene il filtro attraverso il quale si snodano gli eventi storici che coprono un arco di tempo che va dalla fine dell’ottocento sino al fascismo. La Gruber che è cresciuta “in un continuo dialogo con il passato che non voleva passare” ha continuato questo dialogo intenso mettendo nero su bianco i travagli di un popolo, quello del Sudtirolo, e la sua dura lotta per conservare l’identità dando voce a quel sentimento che lega le persone alla propria heimat che è un concetto che va al di là di quello, troppo riduttivo, di patria o di luogo natio, è un sentimento ben più profondo, viscerale e perciò stesso intraducibile. Pagine intense quelle di Eredità nelle quali la forte carica emotiva si unisce armoniosamente con la verità storica spesso crudele, spesso difficile da accettare. 

martedì 19 luglio 2016

CARBONIA - Nanni Balestrini

Sodomie

Titolo: Carbonia. Eravamo tutti comunisti
Autore: Nanni Balestrini
Editore: Bompiani
Anno: 2013
Pagine: 83
Genere: Romanzo

Incalzante, martellante quasi, parole che si susseguono senza interruzioni,come canzone ben ritmata. Incazzato, blasfemo, amaro e fatalista: siamo tutti fottuti. 

Durante la guerra si arruola in Marina e la sua nave sarà colpita dall’aviazione angloamericana. Ferito, sarà condotto in ospedale. Dopo la fuga del re e degli ufficiali  anche lui tenta di fuggire attraverso le montagne, ma viene catturato dei tedeschi e condotto in un campo delle SS. Qui scopre di essere comunista. Scopre di odiare i fascisti e i tedeschi. Qualche tempo dopo si ritroverà a Livorno ad assistere alla reazione violenta del popolo per l’attentato di Togliatti. Torna in Sardegna e dopo un breve periodo nel suo paese si ritroverà a Carbonia a lavorare in miniera per scelta quasi obbligata: primo perché ha messo incinta la sua ragazza ed è opportuno sfuggire a un matrimonio riparatore e secondo perché nel suo paesino è pieno di fascisti travestiti da democristiani che lui, si sa, non sopporta. Perché lui è comunista e odia i fascisti anche se travestiti…

Nanni Balestrini, classe 1935, grande esponente del movimento di neovanguardia Gruppo 63 e autore del famosissimo romanzo politico Vogliamo tutto torna a parlarci con Carbonia dei deboli, degli ultimi e lo fa attraverso la voce del protagonista, un minatore, che urlando, bestemmiando e non abbandonando mai i suoi propositi di lotta dà voce a un’intera classe sociale. Con una prosa ridotta all’essenziale, con frasi taglienti e incisive, privo di pause - non è presente, nell’opera, alcun segno di interpunzione- Carbonia è un romanzo vero, crudo e forte nel quale il punto forte è, senza dubbio, l’originalità dello stile. Un racconto di lotte, di soprusi subiti, di scioperi, di sofferenze dominato da una sorta  di amarezza di fondo quasi a voler dimostrare come nonostante la guerra, nonostante la liberazione, - qualunque essa sia - rimarrà sempre l’inestirpabile e eterna dicotomia tra sfruttati e sfruttatori “…e così noi ce la pigliamo sempre nel culo”. Amen.

Altri libri:
Il domatore, Alberto Secci



lunedì 18 luglio 2016

RADICI - Alex Haley

"Perché?"
Titolo: Radici
Autore:Alex Haley
Editore: BUR
Anno: 1980
Pagine: 505
Traduzione: Marco Amante
Genere: Romanzo

Radici è uno di quei libri per i quali si dice, una volta finito, “Ma perché non l’ho letto prima?”. Cinquecento pagine che affascinano, incantano, e suscitano, nel lettore, una miriade di sensazioni oscillanti tutte intorno a un sentimento di rabbia nei confronti del genere umano. E, inoltre, c’è stato anche tutto quel recupero dei tempi andati, il tornare indietro nel tempo, a quando bambina, con la mia famiglia, c’era l’appuntamento in tv con la miniserie omonima e l’indimenticabile Kunta Kinte Quegli appuntamenti serali di una volta che avevano il sapore di un rito. Magico.

Gambia, 1750. È una giornata di inizio primavera quando, nel villaggio di Jaffure, nasce il figlio nero-ebano di Omoro e Binta Kinte. In quel villaggio, nel quale il trascorrere del tempo si misura con le lune e con le piogge, la nascita di un maschio è di buon auspicio per tutto il parentado. Omoro, novello padre, segue quella che è una tradizione da tempo immemorabile: nei sette  giorni successivi alla nascita dovrà dedicarsi solo alla scelta del nome. Il nome è qualcosa di prezioso, deve contenere storia e promesse poiché per la sua tribù, Mandinka, il bimbo erediterà le virtù delle persona o cosa di cui porterà il nome. L’ottavo giorno, Omoro esce dalla sua capanna e si piazza davanti all’assemblea trepidante, solleva il bimbo tra le braccia sussurrandogli, per tre volte,  Kunta Kinta: il nome del nonno. Passano le lune, Kunta Kinte, vive felice la sua infanzia, lavora, cresce e, finalmente, può indossare il suo primo dundiko e smettere di andare nudo come un fanciullo. Quando suo fratello gli domanderà cosa siano gli schiavi lui non sa rispondere, si informa e capisce che “esiste una terra dove vendono gli schiavi a dei grossi, grossissimi cannibali chiamati taubob che ci mangiano”. Un giorno, tra il profumo familiare di fiori selvatici, Kunta percorre un boschetto per tagliare un tronco e farne un tamburo e, all’improvviso, percepisce dei rumori insoliti. Comprende: sono i taubob. Si difende, lotta disperatamente, ma perde i sensi. Si risveglierà su un’imbarcazione, incatenato, al buio, quasi soffocato da un fetore insopportabile…

"Dopo avergli guardato ben bene nella bocca, ispezionavano il fotò agli uomini e alle donne le loro parti intime. Alla fine li facevano accucciare e li marchiavano con un ferro rovente, sulla schiena o sulle spalle. Poi i prescelti, che urlavano e si divincolavano, venivano condotti sulla riva dove li attendevano le piccole canoe per portarli a bordo delle grandi canoe. Io e i miei fratelli ne abbiamo visti molti gettarsi a terra e afferrare e mangiare la sabbia...come se volessero abbracciare e baciare per l'ultima volta la loro patria. Ma venivano trascinati via a forza e battuti. Quando le piccole canoe erano in mezzo al fiume, molti ancora seguitavano a dibattersi, a sfidare le sferze e le percosse. E qualcuno riusciva a saltare in acqua. Ma nell'acqua c'erano enormi pesci dal dorso grigio e dal ventre bianco, con la bocca ricurva irta di denti, che li divoravano arrossando l'acqua del loro sangue." (Pag. 60)


Ben dodici anni sono stati necessari a Alex Haley per scrivere questo possente romanzo nel quale egli ricostruisce le vicende della sua famiglia, da parte materna, partendo dal suo avo, Kunta Kinte, rapito nella sua terra dall’uomo bianco per ridurlo in schiavitù. Sette generazioni si ritrovano in queste pagine che vedono la loro origine nella forza del racconto orale, in quelle vecchie storie che la nonna gli ha raccontato e che si sono conservate, quasi inalterate,  grazie alla memoria e alla ripetizione di padre in figlio. A tale nucleo originario, impregnato di magia e di tradizione,  si è poi aggiunta una lunga ricerca storica unita a viaggi dello stesso autore in quella terra africana che, in una lontana primavera, diede i natali al giovane Kunta Kinte.  
Radici è il racconto dettagliato di una delle più deprecabili azioni compiute dall’uomo che pone in luce, dolorosamente, quanto spesso, e purtroppo, la vita umana abbia poco valore nel momento in cui entrano in gioco la sete di potere e di ricchezza. E in questo quadro desolante, fatto di dolore, di sofferenze inflitte, di uomini ridotti al rango di oggetti di scarso valore, in questo quadro orrifico, a tinte fosche, c’è chi -pur divenuto  merce - abbia avuto la forza di amare, di conservare la dignità, di attendere e di sperare un futuro. Un romanzo intenso, commovente, toccante nel quale si muovono tragedia, tradizioni, magia, dolore, tutti elementi che non lasciano tregua nella lettura sempre avvincente senza cali. Peraltro, non si può affermare di aver terminato la lettura una volta chiuso il libro perché le riflessioni che esso muove rimangono intatte anche dopo, così come quelle domande incentrate sul “perché” che non avranno sagge risposte e la triste constatazione di quanto la storia, spesso, insegni ben poco. 

domenica 17 luglio 2016

SUL SOFFITTO - Éric Chevillard

"Denti per il mio pane"
Titolo: Sul soffitto
Autore: Éric Chevillard
Editore: Del Vecchio
Anno: 2015
Pagine: 144
Traduzione: Gianmaria Finardi
Genere: Romanzo


Per me che amo i personaggi fuori dalle righe, tremendamente strampalati, che ho una grande passione per le situazioni dominate dall'assurdo, questo romanzo è stato un balsamo, un'esperienza divertente e entusiasmante. Bello immergersi   in un mondo “non-normale”, bello seguire le avventure da altre prospettive, dal soffitto per esempio. Bello sfidare le leggi, soprattutto quella di gravità.

Il grigio. Il grigio delle nuvole, dell’elefante, dell’ippopotamo. Grigio è la “sottile manifestazione del visibile, ciò che si distingue appena dal nulla o se ne avvicina di più”. Anche lui è un uomo vestito  di grigio, dalla testa ai piedi, un uomo comune, “uno che somiglia”, ma nonostante il suo grigiore, tutte le volte che esce, le persone lo notano, lo guardano –male, sia chiaro- additandolo. Lui, fin da bambino, esce con una sedia rovesciata sulla testa e con essa vive un rapporto simbiotico. C’è pure chi non lo addita: sono i suoi amici. Come l’impagliatrice di sedie che cresce i suoi bambini nella sua pancia e non li partorisce per evitare che conoscano le brutture del mondo, come Kolski che attende che il suo fetore un giorno assuma consistenza per poter modellare una statua “un’opera colorita, leggera, indistruttibile che avrebbe chiamato la primavera” o come Topouria l’uomo che crede di essere una gru. Capita che un giorno vengano sbattuti fuori dalla loro abitazione, il cantiere di una biblioteca mai realizzata e decidano di trasferirsi a casa dei genitori di Méline, la sua fidanzata. Lì vivranno sul soffitto, a testa in giù, sfidando la legge di gravità… Chevillard, autore di numerosi romanzi, vincitore di numerosi premi nonché creatore del blog "Autofictif" nel quale, giornalmente, pubblica tre aforismi di carattere ironico e provocatorio, con Sul soffitto, edito in Francia nel 1997, per la prima volta viene pubblicato e tradotto in Italia: finalmente, mi vien da dire. Entrare nel mondo di Chevillard significa rimanere spiazzati, destabilizzati, perdere punti di riferimento, cambiare continuamente prospettiva. Il protagonista e i suoi amici fuori dalle righe, ci conducono, con continua ironia, in un mondo capovolto e, soprattutto, in un universo destinato a privarsi della fissità o routine che dir si voglia. Non 

 è un caso che Chevillard sia stato considerato l’erede di Alfred Jarry, esponente della patafisica il cui obiettivo era, appunto, quello di studiare le regole che studiano le eccezioni. È chiaro il volersi distaccare drasticamente dalle convenzioni, dagli usi e, in genere, da tutto ciò che sia codificato o comunemente accettato e dato per normale e vero. Distacco dalle convenzioni non solo per quanto concerne la trama –che già di per sé basterebbe - e per i concetti spesso complessi, ma anche per lo stile e il lessico utilizzato, assai ricercato, per l’uso particolare dei segni di interpunzione, per i periodi talora prolissi e l’uso abnorme di incisi che aprono altri mondi all’interno della narrazione. A fine lettura rimane un senso di smarrimento e la certezza di aver letto un bellissimo romanzo certamente merito anche dell’ottima traduzione. Una curiosità: l’artista canadese Ted Hierbert ha reso omaggio all’opera con il progetto On the ceiling realizzando 39 fotografie ritraenti persone con una sedia in testa o appese al soffitto. Buon rovesciamento.

sabato 16 luglio 2016

ALTEZZA REALE - Thomas Mann

Titolo: Altezza reale
Autore: Thomas Mann
Editore: Newton & Compton
Traduzione: Francesca Ricci
Anno: 1993
Pagine: 272

Lessi Altezza reale per la prima volta a 18 anni durante una vacanza al mare. Tante cose sono cambiate da allora. Per esempio, ora non prendo più il sole, per dire. Però è, comunque, bellissimo riprendere in mano vecchi libri per rileggerli con nuovi occhi e, magari, scoprire che – a distanza di vent’anni e più – un libro amato possa rivelarsi deludente: non è questo il caso. Mann si rivela, ancora una volta, un grande autore in grado di leggere e descrivere un’epoca in caduta.

Per legge e per tradizione i figli della coppia regnante devono nascere nella fortezza di Grimmburg. Ai primi di giugno, esattamente il giorno dopo pentecoste, sessantadue colpi di cannone annunciano un lieto evento: la granduchessa Dorothea ha dato alla luce, per la seconda volta, luce un principe. Il padre del piccolo, avvisato telegraficamente, si precipita alla fortezza per ammirare il nuovo nato. Pare sano, soprattutto rispetto al primogenito da sempre di salute cagionevole, tranne che per quella piccola mano rattrappita e i medici, chiamati ad esaminarlo, affermano trattarsi di un’atrofia incurabile. Ma dopo la prima reazione si comprende come ci si debba abituare a quella malformazione e, d’altronde, una zingara profetizzò la salvezza del regno ad opera di un sovrano con una mano sola…
Come nei Buddenbrook anche in questa opera del 1909 Mann affronta il tema della decadenza, questa volta di una dinastia di un piccolo regno, scandita dal ritmo lento delle vicende nelle quali muove i suoi passi e con la mano atrofica rigorosamente celata agli sguardi altrui, Klaus Heinrich, secondogenito, ma destinato a svolgere le funzioni del fratello, il granduca, sempre afflitto da problemi di salute. Il regno è sommerso dai debiti, le manovre economiche si son rivelate insoddisfacenti e le sale di rappresentanza magistralmente simboleggiano, con le loro tende scolorite e divorate dalle tarme, un crescente degrado che, comunque, non impedisce lo svolgersi delle cerimonie di rito perché cosi dev’essere.  Klaus è amabile nella sua ingenuità, nella sua voglia di scoprire il mondo pur soffocato dall’isolamento e i suoi sforzi volti a mescolarsi col mondo esterno risultano vani e fagocitati da ciò che rappresenta: non può essere diverso da ciò che deve essere. Più che un essere umano è un simbolo. E quando si lascia andare spogliandosi dei suoi panni non gli è consentito muoversi liberamente perché tutti “pur senza indovinarla” sentono la sovranità. E se la prima parte del romanzo lascia presagire una decadenza tout court ci si dovrà ricredere nell’ultima dove Mann ha dato un cambio di rotta al racconto regalandoci il dolce sapore di una favola.