mercoledì 14 gennaio 2015

LA COMPAGNIA DEL CORVO - James Barclay

DI CORVI E MAGIA

Titolo: La compagnia del corvo
Autore: James Barclay
Editore: Nord
Anno: 2010
Pagine: 518
Traduzione: Adria Tissoni

Credo di avere un piccolo grande limite: il fantasy. Non riesco ad amarlo fino in fondo, forse non lo comprendo, fatto sta che tutte le volte che leggo un libro appartenente a tale genere è come se vivessi una sensazione di allontanamento da ciò che mi piace e, a fine lettura, non riesco ad essere pienamente soddisfatta. Certo ci sono le eccezioni, anzi l'eccezione: l'immenso Il signore degli anelli che, fantasyasticamente, mi è rimasto nel cuore. Ma non demordo, io continuo a provarci, non sia mai che riesca a superare il mio limite ché quelli che capiscono le cose del mondo dicono sia cosa buona e giusta. E per me le cose del mondo son sempre mistero. Per esempio, intorno al genere di cui parlo, è un mistero il fatto che i romanzi fantasy facciano sempre parte (se va bene) di una trilogia e io, puntualmente, inizi dal secondo o dal terzo, è un mistero il fatto che tali romanzi abbiano sempre un numero di pagine superiore a 459. Basta.

Approdo, nella lettura, nella Terra di Balaia e lì trovo loro. Loro che son giovani, son forti e tenaci, non combattorno per un presunto o deviante spirito nazionalista e nemmeno per la inflazionata gloria. No, niente di tutto ciò. Combattono per ottenere in cambio sonanti vergargenti. Mercenari. Sono il Corvo. Uniti da un solenne giuramento che fa nascere tra loro legami indissolubili, in vita e anche dopo la morte. Ad essi è affidata una tra le missioni più importanti e più difficile della loro decennale carriera. Il destino di Balaia è minacciato dal ritorno dei Lord Stregoni i quali si son liberati dall'incantesimo che li aveva confinati nella prigione di mana per ben tre secoli. Il Corvo dovrà scortare il Mago Oscuro nella ricerca del Ruba Aurora -incantesimo potente - e degli annessi catalizzatori per portarlo nelle Terre Desolate e, ovviamente, lanciarlo contro i maligni Lord Stregoni. In una accesa lotta contro il tempo dovranno raggiungere tale incantesimo prema dei Lord onde evitarne un uso improprio che potrebbe determinare una conseguenza disastrosa: l'eliminazione del sole dal cielo. Vale la pena rischiare la vita e l'anima per aiutare l'ambiguo Mago Oscuro? Ha davvero un senso quella che pare assumere i caratteri di un'ultima missione? E, ancora, valgono più i sentimenti di amicizia che legano i membri del Corvo o l'esigenza di salvare il mondo?...

Primo romanzo di una trilogia intitolata Le cronache del corvo, quasi totalmente ispirato ai giochi di ruolo, come ha sottolineato lo stesso Barclay, autore inglese precocissimo. 
Del fantasy classico La compagnia del corvo possiede indubbiamente tutti gli ingredienti anche se, paiono, non perfettamente dosati. Alla scarna e insipida caratterizzazione dei personaggi fa da contrappeso un'ottima e ritmata descrizione delle battaglie - che si tratti di lotte contro le Ali nere o contro i Dragonene - e degli incantesimi. La magia permea ogni singola vicenda. Magia bianca, nera, sortilegi di ogni forma e natura. Lo schema, ricorda, a grandi linee, quello de Il Signore degli Anelli: la lunga ricerca di un oggetto ricco di potenzialità e, in astratto, idoneo a cambiare le sorti del mondo, le battaglie all'ultimo sangue e i sentimenti di amicizia e solidarietà tra coloro che appartengono al Ci totaorvo, ma anche la linea di demarcazione - anche se, spesso, molto sottile e facilmente valicabile - tra i buoni e i cattivi. 
Nel complesso, il romanzo risulta ben strutturato e, man mano che si procede nella lettura, si chiariscono, a tappe, quei punti che all'inizio parevano incomprensibili. Ben ritmato, continue scene di azione infarcite di quella buona magia che, complessivamente, rendono la lettura appassionante a patto, però, che del genere si sia estimatori e io...



sabato 20 dicembre 2014

VITA E MIRACOLI DI TIETA D'AGRESTE - Jorge Amado

Capre e Madames

Titolo: Vita e miracoli di Tieta d'Agreste
Autore: Jorge Amado
Editore: Garzanti
Anno: 2010
Pagine: 616
Traduttore: Elena Grechi

Brasile. Bel clima, spezie profumate, frutti tropicali. In un angolino di questo accogliente e vivace stato si trova Agreste. Un paesino, piccolo, ma talmente piccolo che la vita di ogni abitante diviene la vita di tutti. Nessun segreto vi può attecchire. Non esistono vite private, né corrispondenza che non possa divenire oggetto di conoscenza da parte di tutti. È in questo delizioso villaggio che nasce Tieta. Tieta ragazzina che, capretta affamata, percorre le tortuose strade di campagna, per saziare la sua fame prematura di uomini.
Che sia forse posseduta dal demonio?
O forse la bella ragazzina ama solo possedere e farsi possedere, senza che sia necessario chiamare in causa un ipotetico e, quantomeno dubbio, esorcista?
Sia come sia, Tieta disonora il buon nome della famiglia. E, causa la delazione della sua quasi divina sorella Perpetua, perpetuamente intenta a perpetuare l'arte della preghiera e a lucidare con le sue devote mani le perle del suo benedetto rosario, Tieta verrà cacciata via dalla famiglia e dal paese, con l'ausilio dei colpi di bastone del severo padre.
Ma si sa, certe macchie possono essere cancellate, soprattutto se il magico e infallibile smacchiatore di chiama Denaro. Denaro di Tieta, ovviamente. Perché quel denaro e gli onerosi regali che Tieta invierà ai suoi parenti nel corso degli anni, favoriscono un rapido passaggio dall'indegno status di puttana a quello di santa. La generosità di Tieta consentirà alle sue sorelle, delatrice compresa, e a suo padre di condurre una vita agiata. Tieta, figliola ripudiata, condividerà amorevolemente i proventi della sua attività di Sao Paolo con i suoi cari, in nome del legame di sangue. Ovviamente, tutti credono che la fortuna di Tieta, ormai divenuta rispettabile e finanche signora, derivi dal suo matrimonio con il commendatore del Papa - e scusate se è poco.
Chi mai potrebbe immaginare che la vecchia pastora di capre, Tieta d'Agreste - alias Madame Antoinette- gestisca, invece, un bordello? Di lusso, ma pur sempre bordello. Chi mai potrebbe immaginare che l'Agrestana redenta continui a fare, anche nella lontana città, ciò che sempre ha amato fare, ossia godere dei piaceri della vita, in posizione orizzontale (anche se non sempre, per la verità), con qualche focoso montone? Eh! le caprette perdono il pelo, ma non il vizio...
Eccola, dopo anni e anni, Tieta, non più pastorella, ma donna ormai vedova, torna ai profumi, alle voci e agli affetti del suo natio paesello con la sua "figliastra" Leonora, bella come il sole e ospite, anch'essa della lussuosa casa nella quale si pratica il mercimonio dei corpi, fatto quest'ultimo neanche degno di nota, visto che non sottoposto a divulgazione.
Nessuno potrebbe immaginarlo d'altronde ed è questo ciò che conta.
Suvvia, di fronte alla ricca vedova che importanza potrebbe avere un' indagine più approfondita sulla loro vita? Non è forse sufficiente sapere che la procace Tieta si di titolare di un negozio - non si sa bene di che - e che sia stata moglie del commendatore? Non basta questo per far concludere anzitempo le indagini a improvvisati p.m. agrestiani? Basta, eccome!
L'accoglienza sarà calorosa quasi quanto il sole che riscalda le strade non troppo perfette del paesino. Il poeta le dedicherà versi. Le sarà intitolata una strada. La beghina Perpetua, sempre accessoriata del divin rosario vede in Tieta il futuro dei suoi figli (Peto e Ricardo), lo stumento per una loro crescita, soprattutto economica. Subdolamente si muoverà nel realizzare il suo sogno approvato, ovviamente, dal suo dio: far adottare, almeno uno dei suoi figli, dalla cara e ricca zia. E Tieta, con cuore immenso, non attenderà l'emanazione di un provvedimento di adozione per dedicare, ai nipoti anima e corpo ai nipoti, soprattutto corpo nel caso di Ricardo. Piccolo e tenero Cardo, primogenito di Perpetua destinato dalla stessa alle sante vie del sacerdozio, immergerà cosi la sua vocazione nel corpo, pieno e sensuale, della zia che tornerà cosi a sentirsi la vecchi capretta dei vecchi tempi andati. Anche perchè per la Tieta procace e vogliosa i piaceri della carne sono infiniti come la bonta di dio e non hanno limiti né di sangue nè di età. Le sue pulsioni sessuali son torrenti in piena a fronte del quale non tengono gli argini della decenza o del buon nome della famiglia.
Insomma, Tieta al di là di questi peccatucci che rimangono confinati nel segreto divien la voce della saggezza. Anche quando si prospetta la possibilità di installare ad Agreste una fabbrica di Titanio avendo i furboni dirigenti - tra cui un italiano, guarda caso - avendo menato per il naso, il futuro sindaco del paese Sor Ascanio. Il quale, ingenuo come pochi, vede nella realizzazione di quel progetto la possibilità di eleversi e divenire qualcuno e, finalmente, sposare la bella candida e pura (secondo lui) figliastra di Tieta.
Alla fine gli eventi precipiteranno e quel castello sorretto dai fittizi pilastri del denaro e dell'ipocrisia inizierà a sgretolarsi lentamente.C'è tanto in quest'opera che l'autore ironicamente definisce romanzetto. E, ad esser sinceri, a volte c'è pure troppo tanto che la fine pare, in alcuni passi, allontanarsi anziché avvicinarsi.
C'è l'aroma del caffè, il profumo dei piatti che stimolano continuamente il palato, i succhi dei frutti tropicali maturi, i profumi delle spiagge e c'è la rappresentazione perfetta dei vizi e delle virtù dell'uomo. (Mi vien da domandarmi: ma quanto è brutto l'uomo?)
La descrizione realistista dell'essere umano e la sua insana tendenza a creare miti e a forgiare santi - quando fa comodo- salvo poi - sempre per comodità- abbattere con violenza il piedistallo nel quale il santo era stato religiosamente posato. E c'è il silenzio, la necessità di tacere per tornaconto personale, salvo poi sventolare bandiere di moralità nel momento in cui certe cose - divenute di dominio pubblico - non possono più essere occultate.

mercoledì 26 novembre 2014

IL CIELO È DEI VIOLENTI - Flannery O' Connor. Pazza idea...


Titolo: Il cielo è dei violenti

Autore: Flannery O' Connor  
Editore: Einaudi
Anno: 2008
Pagine: 206
Traduzione: Ida Ombroni 

 
“Lo zio di Francis Marion Tarwater era morto solo da mezza giornata quando il ragazzo si ubriacò troppo per finire la fossa, e un negro di nome Buford Munson, che era venuto a riempire una brocca, dovette terminare di scavarla e trascinarci il corpo, che era ancora seduto alla tavola della prima colazione, per dargli una sepoltura da cristiani, con le insegne del Salvatore sopra la testa e abbastanza terra perché i cani non lo scavassero fuori" 




Salvador Dalì, L'invenzione dei mostri

Bastano poche pagine, pochissime a dire il vero,  per comprendere come ci si trovi di fronte a una grande scrittrice. La scrittura della O’ Connor, credo fortemente, che non possa essere scissa da quella che è stata la sua vita, caratterizzata da un radicatissimo sentimento religioso e dalla malattia, il lupus eritematoso sistemico del quale era affetto anche il padre, che la portò ad una morte precoce e che lei visse sempre stoicamente, senza rifugiarsi in patetici atteggiamenti vittimistici, affermando quasi con candore “Non sono stata altrove che malata. In un certo senso la malattia è il luogo più istruttivo di un lungo viaggio in Europa”. Quindi, malattia come parte essenziale di se stessa, della propria natura, non una “nemica” e, spesso anzi, strumento indispensabile per interpretare e capire il mondo. Il cielo dei violenti (titolo originale The violent bear it away) il cui titolo prende il nome da una citazione evangelica è un crudo e intenso romanzo nel quale O’Connor fa calare in un’atmosfera atroce, venata di follia, il contrasto pressoché insanabile tra fede e pensiero razionale. Contrasto insanabile perché ci troviamo di fronte a due fanatismi uguali e diversi allo stesso tempo, rappresentati alla perfezione dal vecchio Tarwater, autoproclamatosi profeta, e dal maestro Ryber che del razionalismo puro ha fatto la sua ragione di vita. Parole dure, ruvide quelle della O’Connor, personaggi estremi e aberranti destinati a una costante e dolorosa non-salvezza o, al limite, a trovare la libertà in atti di violenza inaudita. Ambientato nell’America rurale degli anni ’60  il romanzo sfugge, comunque, a qualsivoglia e restrittiva collocazione temporale facendone un’opera senza tempo.



giovedì 20 novembre 2014

LA FELICITÀ DI EMMA - Claudia Schreiber


Mondi fuori dal mondo


Titolo: La felicità di Emma
Autore: Claudia Schreiber
Editore: Keller, 2010
Traduzione: Angela Lorenzini
Pagine: 240

Capita spesso che, nella lettura, ci si innamori di qualche personaggio  e che si crei un immaginario gruppo simil-ultrà per manifestare un tifo silenzioso, ma sfegatato. Ecco, “Forza Emma!” pensavo durante lo scorrere delle pagine perché lei, la protagonista, ha suscitato tutta la mia simpatia per la sua bizzarria, per il suo anticonformismo e per la sua capacità innata di coltivare sogni.
Emma alleva maiali, si confida con il suo gallo e ha un amico corvo il quale, poggiandosi sulla sua spalla, la accompagna nelle sue lunghe passeggiate. Vive da sola in una fattoria ereditata dai suoi genitori. Pare tranquilla, non curandosi della pulizia della casa che, col tempo, ha assunto i connotati di un domestico immondezzaio ricco di liquidi vari e non ben identificati, di muffa e di odori che si mescolano compulsivamente tra loro. Non ha le preoccupazioni tipicamente femminili (“Oddio, cosa mi metto oggi?”), ma Emma ogni notte prega affinché da lassù qualcuno le recapiti un uomo e la faccia diventare ricca. E, poiché è risaputo come le vie del signore siano infinite, un giorno le sue preghiere paiono esaudirsi. Arriverà, via incidente stradale, un giovane, Max, con molti soldi. Emma lo trova svenuto, lo osserva lo annusa, è perfetto: è l’uomo della sua vita. Ancora non sa che Max ha un cancro al pancreas e che manca poco alla sua morte.
Questo romanzo, pubblicato nel 2003, è stato un caso letterario in Germania, oggi tradotto in otto lingue e trasposto cinematograficamente, nel 2006,  con il titolo Emma Gluck per la regia di Sven Taddicken.  Con ironia, schiettezza e un pizzico di surrealismo la Schreiber ci trasporta in un mondo “fuori dal mondo”. Un piccolo universo fatto di semplici cose, di contatto diretto con la natura, dove troneggia  una donna che pare bastare a se stessa e che sembra dura e insensibile capace, fin dalle prime pagine, di conquistare il lettore.  Ma dietro quella corazza ricoperta da sgargianti colori, come le sue sottovesti, dietro le sue stravaganze – cito, solo a titolo esemplificativo, quella di fare lunghe corse con la sua vecchia moto onde  procurarsi il suo orgasmo quotidiano - che allietano e stupiscono piacevolmente, si nasconde una donna con un passato doloroso, che ha ereditato insieme con la fattoria e i suoi amati animali un’infanzia traumatica e una lunga serie di ricordi difficili da dimenticare. Ricordi che ustionano. Nonostante tutto, Emma è alla ricerca quasi spasmodica, di un sentimento che le riscaldi quel cuore troppo spesso spezzato, ma che, a dispetto di tutto,  riesce a battere ancora. I sogni, a volte, si realizzano per destino o, chissà, per la forza insita nelle preghiere. Ma è anche vero che la vita è troppo crudele dare qualcosa  gratuitamente, figuriamoci la realizzazione di un sogno. Tutto si paga. Ciò non impedisce di accarezzare delicatamente quei meravigliosi doni, di apprezzarli anche se fugaci, di viverli intensamente. Fino alla fine. Fino all’ultimo estremo atto. D’amore anch’esso. Eros e Thanatos convivono pacificamente, si incastrano alla perfezione come per magia in questa strampalata storia intrisa di un romanticismo atipico, non melenso, non stucchevole,  con una delicatezza che può appartenere solo a quel mondo “fuori dal mondo”. Solo al mondo di Emma.

lunedì 17 novembre 2014

NOME IN CODICE VERITY - Elizabeth Wein

AMICIZIA & GUERRA
 Titolo:Nome in codice Verity
Autore: Elisabeth Wein
Editore: Rizzoli
Anno 2013
Genere: Romanzo guerra
Traduttore: Giulia Bertoldo

Nel mondo infuria la seconda guerra mondiale con il suo spettacolo di terrore e angoscia. Nel novembre dell’anno 1943 l’aereo pilotato dalla giovane inglese Maddie viene abbattuto dal fuoco nemico. In quell’aereo c’era anche una passeggera, Julie Beaufort, agente scozzese del SOE la quale viene catturata dalla Gestapo. Julie stringerà un accordo con il glaciale Von Linden delle SS: in cambio della restituzione di ogni suo capo di vestiario dovrà rivelare una sequenza di codici. Ma non solo, Julie, in quella tetra e gelida cella, comprerà anche del tempo, esattamente due settimane oltre la carta e l’inchiostro per scrivere una confessione su tutto ciò di cui è a conoscenza sullo sforzo bellico inglese…Intanto Maddie, che Julie crede morta nell’incidente, cambia identità e ospitata in un piccolo paesino francese si unisce alla resistenza allo scopo di liberare la sua amica…
La Wein, scrittrice inglese, è una grande appassionata di volo e tale passione si è trasfusa in queste pagine avventurose nelle quali gli aerei hanno un ruolo dominante. Al di là dello scenario bellico, delle atrocità, delle sofferenze e delle tragedie emergono, quasi a edulcorare lo spettacolo triste della seconda guerra mondiale, due figure di donne molto diverse tra loro, appartenenti a due classi sociali differenti che, paradossalmente, la guerra ha avvicinato e che, presumibilmente, senza la guerra non si sarebbero mai incontrate: Maddie e Julie. Son loro che dominano la scena con la loro forza ed emancipazione, ma anche con le loro paure e le loro fragilità e le contraddizioni di due animi femminili. E su tutto emerge quel saldo legame di amicizia che unisce, fino alle fine, le due donne disposte a compiere qualsiasi gesto, anche il più atroce, in nome di un sentimento incontaminato e profondo. Ne risulta una bella storia ricca di suspence, di avventura e di amore che, per quanto sia frutto della fantasia dell’autrice, risulta molto credibile, ma, a onor del vero, la lettura non è comunque omogenea: ad una prima parte assai lenta e prolissa segue, e aggiungo per fortuna, una parte più scorrevole e più in sintonia con il genere del romanzo stesso. Altra nota negativa è data dalla presenza di numerosi refusi che fanno inalberare anche il lettore più distratto. Nel complesso, una lettura gradevole credo soprattutto per gli amanti del genere un po’ meno per me che di guerre e di aerei non sono esperta.

Altre recensioni:
L'usignolo, Kristin Hannah

domenica 16 novembre 2014

DONNE INNAMORATE - D. H. LAWRENCE

                                                     PENSAVO FOSSE AMORE...
                                                                    Titolo: Donne innamorate
                                                                       Autore: D. H. Lawrence
                                                               Editore: Newton & Compton
                                                                         Anno:1992                                                                                             Pagine: 482
                                              Traduzione: Delia Piergentili Agozzino
Sono trascorsi esattamente 22 anni dalla prima lettura, l’edizione è vecchissima, del ’92, ingiallita e sottolineata, le pagine si sono staccate e in mezzo ad esse ho trovato i biglietti per una festa scolastica nella quale ho immaginato di essermi divertita. Certo, ventidue anni sono tanti. Questo per dire che: sono una vecchia babbiona o quasi e, soprattutto,  rileggere Donne innamorate mi è piaciuto come la prima volta. Forse di più.

Siamo nell’Inghilterra post-industriale. Le sorelle Brangwen, Ursula e Gudrun, vivono nella cittadina di Beldover: la prima è un’insegnante di letteratura inglese e la seconda è un’artista, una scultrice, e fondamentalmente è uno spirito libero che ha viaggiato e conosce bene il mondo. L’esistenza di Gudrun si incrocerà con il bello e prestante Gerald Crich, che ereditando le miniere paterne ne è divenuto proprietario e le gestisce con uno zelo a dir poco ammirevole. Ursula, invece, conoscerà l’ispettore scolastico Rupert Birkin, cupo e estremamente riflessivo…
Pubblicato nel 1920 Donne innamorate costituiva, nelle intenzioni dell’autore, la continuazione ideale de L’arcobaleno da cui se ne discosta sia per lo spirito sia per l’ambientazione: i personaggi, infatti, si muovono in un’epoca dominata dal progresso industriale e urbano in un cielo grigio e soffocante come quello delle miniere di carbone. Lawrence con questo romanzo, intenso e profondamente meditativo, caratterizzato da una ininterrotta non-azione ha abbandonato la tradizione naturalista e, con essa, lo schema classico del romanzo ottocentesco per far spazio a riflessioni di natura  prettamente metafisica. Il romanzo è privo di un disegno coerente e lineare possiede, invece, una sua propria ondulazione data da lunghi, spesso lunghissimi dialoghi, da considerazioni profonde sull’uomo e sulla natura che si adagiano su uno sfondo pessimistico costellato da momenti di altissimo lirismo. In particolare emerge un netto contrasto tra Birkin, alter ego dell’autore, e Gerald. Se il primo si abbandona a lunghe e spesso altisonanti dissertazioni sulla vita e sulla morte, Gerald è proprio uomo del suo tempo emblema di una società materialistica nella quale tutto fa parte di un meccanismo perfetto dove più che esistere persone sembrerebbero esistere ingranaggi che, ogni tanto, hanno bisogno di piccole opere di manutenzione e nulla più.
Al di là del titolo che farebbe pensare a tutt’altro (tipo donne che soffrono per amore e piangono, piangono e piangono, per esempio) l’opera scandaglia, con meticolosità quasi chirurgica, l’animo umano nelle sue diverse sfaccettature e, soprattutto, analizza i rapporti tra uomo e donna facendo dell’amore quasi un’esperienza mistica. È palese come l’ottocento sia stato ormai lasciato alle spalle, le donne di austeniana memoria non ci sono più: abbiamo donne autonome, coraggiose e piene di contrasti che non vivono più in funzione del matrimonio (rimangono esseri umani anche se non convolano a nozze, oh che strano) e se, per le signorine Bennett, il matrimonio era una meta per Ursula è la fine di ogni esperienza.

mercoledì 12 novembre 2014

COME DIVENTARE UNA COPPIA ZEN - Flavia Mazelin Salvi

ZENIAMOCI PER MANO

Titolo: Come diventare una coppia zen
Autore: Flavia Mazelin Salvi
Editore: Endemunde
Anno: 2014
Pagine: 160



È il 2014 e ci siamo liberati da una lunga serie di vincoli di diversa natura: religiosi, sociali, culturali. Abbiamo raggiunto, pagando – in alcuni casi -un prezzo alto, un certo grado di  emancipazione, ma rimane, immutato e immobile come una statua, il desiderio di formare una coppia. L’eterna equazione: io e te uguale noi, una cosa sola. E alla coppia si chiede tanto, forse troppo. Innanzitutto, si pretende e si spera che duri, che sia anche uno strumento per svilupparsi, per migliorarsi, per avere serenità, erotismo, tenerezza, sicurezze e sorprese. Insomma, tutto e anche il contrario di tutto. Ma, vien da chiedersi, perché poi la coppia entra in crisi? Forse perché sono le nostre aspettative sbagliate? O perché, forse, guardiamo dalla prospettiva sbagliata?  O, forse, son le nostre paure a costituire il principale ostacolo a una sana vita di coppia?...
Flavia Mazelin Salvi, di professione psicologa, in questa sorta di prontuario non intende certo fornire la formula magica per costruire la coppia perfetta, perché forse (direi sicuramente) la coppia perfetta non esiste, ma ritiene possibile applicare alla coppia i tre principi cardine dello zen: una grande fede, un grande dubbio e, infine, una grande determinazione. Principi che andrebbero applicati giorno per giorno, con costanza, a mo’ di stillicidio benefico. È opportuno partire da se stessi: ascoltarsi nel profondo, portarsi rispetto, trovare la calma interiore e, in particolare, bisognerebbe vivere il presente, il qui e ora,  perché spesso l’errore principale in una relazione, e nella vita in generale,  è quello di fuggire il presente e guardare al passato (lamentandosi in continuazione con un “quanto ho sofferto in passato” a cui segue un sospiro)  o al futuro (chiedendosi “quanto durerà questo amore?” a cui segue espressione poco fiduciosa che presagisce la risposta “poco, durerà poco”).
“Come diventare una coppia zen” è un manuale ricco di principi riconoscibili obiettivamente come giusti e razionali e, forse, proprio perché risultanti troppo giusti e inattaccabili, trovano terreno poco fertile o, comunque, scarsa adesione in individui o coppie troppo “occidentali” troppo prese da impegni quotidiani, figli, problemi economici, lavoro in cui lo spazio per la meditazione è, per poco tempo a disposizione o per pigrizia, difficile da trovare o, forse, perché a priori, lo si ritiene vano. Insomma: parlatemi di zen quando alle cinque del mattino mia figlia mi sveglia con il suo pianto disperato quando, subito dopo, visto che non riesco a riprendere sonno, devo prepararmi per andare al lavoro, andare a fare la spesa, preparare il pranzo, preparare la cena, fare il bucato e stirare, arrivare alle undici di sera a pezzi con figliola che è vispa come un grillo e ha voglia di giocare o di sentire le storie, tante storie per la precisione. Parlatemi di zen che vediamo come NON funziona, parlatemi di zen e assisterete a una crisi isterica incontenibile nella quale i principi della non-violenza subiranno una totale eliminazione come se mai fossero esistiti e che Gandhi mi scusi.  Venite, venite che facciamo un gruppo di ascolto.
Il libro è corredato anche da esercizi pratici di facile attuazione sicuramente per soggetti predisposti ad accogliere lo zen, a ricercare, con pazienza certosina la calma e seguire, alla lettera le indicazioni della Mazelin Salvi, ma che, personalmente, non sono stata stimolata sufficientemente a eseguire per una sorta di rifiuto, sano o insano, verso tutto ciò che inizia con un “Come diventare…”