L'ULTIMA ESTATE. FORSE
Titolo: L’estate di Ulisse Mele
Autore: Roberto Alba
Editore: Piemme
Anno: 2014
Pagine: 210
Genere: Romanzo
Sardegna.Ulisse ha nove anni, vive in
campagna, in cima a una collina di terra e di sassi, con la sua
famiglia. Una famiglia nella quale cadono spesso le stelle cadenti che
hanno la forma di botte. Le botte che suo padre Alfio riserva a Didi e
Betta i suoi fratelli maggiori che non hanno voglia di studiare. Nel
mattino di una calda estate, proprio quando stanno per arrivare, come
ogni anni gli zii e i cugini, Didi e Betta decidono di andare al mare
con il fidanzato di quest’ultima. Betta non tornerà più…
In un mondo fatto di rumori, di suoni e di parole si muove il piccolo Ulisse portando con sé il suo personale mondo fatto di silenzi, di sensazioni e di immagini. Ulisse è sordo, sordomuto dicono tutti, ma questo non fa di lui un “handicappato” perché il piccolo è un genio, sogna di diventare un ricercatore per quanto suo padre voglia fare di lui un avvocato per mandare in galera la famiglia Maraschi che ruba loro la terra.
Dirà Ulisse " _sono sordomuto, così dice la gente, però non mi piace usare questo termine perché può farvi pensare che sia handicappato, invece sono solo sordo, capisco benissimo e cammino senza sedia a rotelle e... sono un genio. Nessuno mi deve spiegare le cose due volte._"
Un romanzo delicato nel quale l’ingenua e arguta voce di Ulisse ci permette di vedere una realtà scevra di filtri o condizionamenti tipici dell’essere adulti e non derivanti, solo, dal possedere quel senso – l’udito- di cui il piccolo è privo.
Ulisse riesce, per esempio, a capire se qualcuno mente perché per lui uno sguardo non è costituito soltanto da due occhi in un volto, come lo è per tutti, ma è un insieme di emozioni, di significati nascosti, di verità e mondi da scoprire.
La storia di per sé è molto dolorosa, la scomparsa di Betta altererà gli equilibri familiari attribuendo un nuovo significato ai giorni, ai luoghi, ammantando il paesaggio di un velo di malinconia rappresentato, quasi ne costituisse il simbolo, da quel gommone portato dallo zio che, in quella tragica estate, non vedrà mai il mare e sarà abbandonato quasi a voler ricordare che l’estate in cui Betta è sparita sarà diversa da tutte le altre e forse l’ultima estate da bambini.
L’estate di Ulisse Mele contiene anche una attenta disamina, con buona dosatura di tenerezza e crudezza, dei rapporti familiari. In ogni famiglia, quindi anche in quella di Ulisse, ci sono dissapori, si covano rancori che hanno le loro radici in un passato, spesso sconosciuto o taciuto, perché spesso è più facile serbare livore verso un membro della propria famiglia anziché verso un estraneo che, paradossalmente, si riesce a perdonare più agevolmente, però è anche vero che quella famiglia anche dopo anni di silenzio e di assenze riesce a dare un sostegno nei momenti più tragici. Perché è nei momento più tragici che appaiono zie o parenti mai conosciuti prima che in forza di un legame atavico legame privo di un nome ben definito, ma molto simile al concetto di amore con tutte le sue sfumature anche quelle cariche di dolore, di rimorsi e rimpianti.La grande capacità di Roberto Alba credo sia stata quella di calarsi a pieno nel ruolo di un bambino, è il bambino Ulisse che scrive, parla, è sempre un bambino che descrive il suo mondo e il mondo degli adulti con i suoi occhi, attenti e intelligenti. È come se lo scrittore avesse dato ad Ulisse i suoi strumenti sussurrandogli: raccontaci la tua estate.
Ed è in questa capacità di calarsi in un bambino di usare il suo registro linguistico e, soprattutto, nella sua sensibilità che risiede la magia di questo romanzo, forte e delicato al tempo stesso.
Un romanzo che non finisce una volta che si legge l’ultima pagina, ma che fa riflettere sulla bellezza dell’esser bambini e che ci induce a cercare in qualche angolo remoto della nostra anima una parte di Ulisse, una parte del bambino che siamo stati. Parte che non è stata perduta inesorabilmente come spesso si crede, ma è solo stata accantonata credendo di avere impegni più importanti, come sempre.
Il romanzo, insomma, ha il sapore dei giochi all’aperto, di occhi sempre attenti a esplorare e a curiosare, di voglia di giocare, ha il sapore dell’estate, di quando era l'estate era bella, di quando estate voleva dire correre, giocare e ridere.
In un mondo fatto di rumori, di suoni e di parole si muove il piccolo Ulisse portando con sé il suo personale mondo fatto di silenzi, di sensazioni e di immagini. Ulisse è sordo, sordomuto dicono tutti, ma questo non fa di lui un “handicappato” perché il piccolo è un genio, sogna di diventare un ricercatore per quanto suo padre voglia fare di lui un avvocato per mandare in galera la famiglia Maraschi che ruba loro la terra.
Dirà Ulisse " _sono sordomuto, così dice la gente, però non mi piace usare questo termine perché può farvi pensare che sia handicappato, invece sono solo sordo, capisco benissimo e cammino senza sedia a rotelle e... sono un genio. Nessuno mi deve spiegare le cose due volte._"
Un romanzo delicato nel quale l’ingenua e arguta voce di Ulisse ci permette di vedere una realtà scevra di filtri o condizionamenti tipici dell’essere adulti e non derivanti, solo, dal possedere quel senso – l’udito- di cui il piccolo è privo.
Ulisse riesce, per esempio, a capire se qualcuno mente perché per lui uno sguardo non è costituito soltanto da due occhi in un volto, come lo è per tutti, ma è un insieme di emozioni, di significati nascosti, di verità e mondi da scoprire.
La storia di per sé è molto dolorosa, la scomparsa di Betta altererà gli equilibri familiari attribuendo un nuovo significato ai giorni, ai luoghi, ammantando il paesaggio di un velo di malinconia rappresentato, quasi ne costituisse il simbolo, da quel gommone portato dallo zio che, in quella tragica estate, non vedrà mai il mare e sarà abbandonato quasi a voler ricordare che l’estate in cui Betta è sparita sarà diversa da tutte le altre e forse l’ultima estate da bambini.
L’estate di Ulisse Mele contiene anche una attenta disamina, con buona dosatura di tenerezza e crudezza, dei rapporti familiari. In ogni famiglia, quindi anche in quella di Ulisse, ci sono dissapori, si covano rancori che hanno le loro radici in un passato, spesso sconosciuto o taciuto, perché spesso è più facile serbare livore verso un membro della propria famiglia anziché verso un estraneo che, paradossalmente, si riesce a perdonare più agevolmente, però è anche vero che quella famiglia anche dopo anni di silenzio e di assenze riesce a dare un sostegno nei momenti più tragici. Perché è nei momento più tragici che appaiono zie o parenti mai conosciuti prima che in forza di un legame atavico legame privo di un nome ben definito, ma molto simile al concetto di amore con tutte le sue sfumature anche quelle cariche di dolore, di rimorsi e rimpianti.La grande capacità di Roberto Alba credo sia stata quella di calarsi a pieno nel ruolo di un bambino, è il bambino Ulisse che scrive, parla, è sempre un bambino che descrive il suo mondo e il mondo degli adulti con i suoi occhi, attenti e intelligenti. È come se lo scrittore avesse dato ad Ulisse i suoi strumenti sussurrandogli: raccontaci la tua estate.
Ed è in questa capacità di calarsi in un bambino di usare il suo registro linguistico e, soprattutto, nella sua sensibilità che risiede la magia di questo romanzo, forte e delicato al tempo stesso.
Un romanzo che non finisce una volta che si legge l’ultima pagina, ma che fa riflettere sulla bellezza dell’esser bambini e che ci induce a cercare in qualche angolo remoto della nostra anima una parte di Ulisse, una parte del bambino che siamo stati. Parte che non è stata perduta inesorabilmente come spesso si crede, ma è solo stata accantonata credendo di avere impegni più importanti, come sempre.
Il romanzo, insomma, ha il sapore dei giochi all’aperto, di occhi sempre attenti a esplorare e a curiosare, di voglia di giocare, ha il sapore dell’estate, di quando era l'estate era bella, di quando estate voleva dire correre, giocare e ridere.