venerdì 28 giugno 2013

IL FATTORE K - Antonello Ardu. Non è tutto Killer ciò che luccica


Titolo: Il fattore K
Autore: Antonello Ardu
Editore: Youcanprint
Anno: 2012
Genere: Thriller
Pagine: 370

Anno 2009. È un gelido inverno quello che attanaglia Cagliari, la neve scende lenta e ricopre la città. Tutto sembra tacere. Ma nulla dura per sempre, neanche la serenità di una città che pare fin troppo pacata. Dapprima spariscono gatti e, ovviamente, nessuno se ne occupa almeno fino a che non viene assassinata la figlia di "uno che conta". Almeno fino a che altri, troppi, omicidi non saranno consumati. Almeno fino a che non ci si renderà conto che c'è un filo conduttore che lega quei macabri omicidi. Sarà il Commissario Capo, Giaime Delogu, ad indagare e a ritrovarsi a ricostruire con pazienza certosina, proprio lui che di pazienza ne ha ben poca, i tasselli di un puzzle composto da pezzi sparsi lontani nel tempo.


Dopo il suo primo romanzo Dossier Hoffman, edito da Aisara, Antonello Ardu ci offre una storia affascinante e intensa ambientata, prevalentemente, in una Cagliari insolita e misteriosa. Nato come giallo di cui possiede la classica impalcatura - assassinio, indagini, cattura del colpevole - Il fattore K si estende andando a trattare altri temi ricco com'è di vicende, lontane tra loro nel tempo e nello spazio, che si intersecano in un gioco di rimandi e di flash back senza che mai si perda il filo della narrazione. Storie che si dipanano tra Cagliari e la Barbagia, storie di vite, spesso ai margini, incastonate, come se fosse uno sbaglio, in una società che le annienta, le schiaccia, non le rispetta. Ed è in quella palude di vite sofferte, di sogni interrotti, di slanci mancati che nasce il desiderio ossessivo di vendetta, di riscatto. Vendetta ad ogni costo e con ogni mezzo. Emerge, nel corso della lettura, la dicotomia tra buoni e cattivi dove i cattivi sono troppo cattivi. E a questo quadro tutto umano che rispecchia, forse con intento polemico dell'autore, la società attuale si contrappone il mondo animale emblematicamente rappresentato dal gatto Arturo, grande protagonista del libro, portatore e attento custode di valori, in primis la solidarietà, che l'uomo - il cristiano - pare aver dimenticato nei meandri di quella estenuante ricerca del potere, del successo nel buon mome del dio denaro.
Numerosi sono i personaggi che affiancano il serial killer dal canto suo fornito di un'intelligenza fuori dal comune e, al tempo stesso, anch'egli vittima di un sistema marcio, putrescente, corrotto. Personaggi ribelli come il Commissario Capo Delogu, personaggi circondati da un alone di magia come Antine Satta che paiono vivere su questo mondo quasi per un errore dotati come sono di forte sensibilità e di sentimenti superiori, donne che combattono e non si arrendono, nonostante la crudeltà della vita. Quattrocento pagine che scorrono con piacere e che regalano, a fine lettura, amare riflessioni e profonde verità. Verità feroci, certo.

Vedi anche:
Savage Lane, Jason Starr









lunedì 25 marzo 2013

Cronaca di uno spazio necessario

Ecco! Il momento è arrivato. Mi riferisco a quel momento, da sempre - e intenzionalmente - rimandato, nel quale è opportuno fare spazio in casa. Devi preparare la camera per tua figlia, devi evitare di farla dormire in balcone, devi evitare chiamate accusatorie al telefono azzurro, devi evitare di portare - per tutta la vita - le lettere scarlatte M.S. di Madre Snaturata. Devi scegliere come fare spazio. Ma sai già che dovrai eliminare due delle librerie della casa perché quelle frecce fluorescenti nonché lampeggianti, puntate verso le librerie, che riportano la scritta "Devi eliminare questi libri" non possono passare più inosservate. Lo sai e ti dispiace. Ma per tua figlia, questo e altro, molto altro. Tutto. Quindi, ti accingi a preparare scatoloni vuoti di pomodori pelati e a riempirli di libri che, d'ora in poi, dimoreranno nella cantina peraltro già ingombra di riviste, libri, fumetti e anche jeans anni ottanta che - non si sa mai - potranno esserti utili un giorno. Ma prima di riempire gli scatoloni, quasi romanticamente, ti soffermi su quella montagna di libri che, intanto, hai accumulato sul letto. E capisci che quella insolita montagna non è solo carta. No, per niente. Quella montagna, in qualche modo, contiene pezzi di vita, contiene storie, parole, e tanti tanti ricordi. Ti rendi conto, innanzitutto, di essere una donna a fasi. Già: donna fase-filosofica, donna fase-storica, donna fase "perché è necessario cambiare genere", donna fase "amo Umberto Eco", donna fase "i classici sono i migliori", donna fase "prova a leggere in francese", donna fase "la Russia è la mia terra" per passare, con nonchalance, alla donna-fase "voglio vivere a Parigi". Insomma, ti rendi conto, in primis, che qualche annetto ce l'hai e, poi, diciamocela tutta, sei un'incostante e poco equilibrata: troppe fasi. Poi, superata la lista delle varie fasi, ti soffermi sui libri con le dediche, quei libri che qualcuno ti regalò nei tempi in cui il 'per sempre' sembrava pure fattibile.  E, ancora, libri logorati dal tempo e dalle sottolineature quasi a voler imprimere nella tua anima quelle magiche parole che, forse, ritenevi avrebbero modificato il corso di qualcosa, o - forse - l'avrebbero arricchito. Trovi anche i libri specchio, quelli nei quali, leggendoli, trovavi una parte di te stessa che forse sfuggiva ai tuoi vani tentativi di poco freudiana autoanalisi. E non mancano i libri di merda, quelli che ti hanno regalato perché non sapevano che cosa regalarti o che tu stessa hai acquistato nel tentativo di scoprire una qualche forma di bellezza dove il bello non c'è.  Ma non finisce qui. Perché tra le pagine trovi in ordine sparso: biglietti del cinema, foto, pensieri diffusi, confusi e soffusi, lettere senza destinatario, destinatari senza lettere e, soprattutto (non cambierai mai) quei post-it, un tempo gialli, con le tue eterne polemiche, i tuoi tentativi - falliti - di cambiare micromondi, che, per te, erano macromondi, che non volevano cambiare (apprezziamo il tentativo), i tuoi sogni vittime incolpevoli della Legge 194.
E mentre ti convinci, a fatica, che in fondo il libro è un oggetto, riempi quegli scatoloni...

lunedì 11 marzo 2013

UNA BOMBER - Silvia Sanna - Piedi e frutta


Titolo: Una bomber
Autore: Silvia Sanna
Editore: Caracò
Anno: 2012
Pagine: 75

"Perché avere un solo iettatore per squadra non è etico"





"No, il calcio non mi piace: è da maschi". Sì, lo confesso: qualche volta l'ho detto, ma solo per giustificare la mia totale inettitudine in ambito sportivo. Non sono nata per lo sport. Ricordo ancora la lista infinita di strane malattie, sconosciute per lo più agli annali di medicina, che mi attribuivo pur di non fare educazione fisica. E il panico che si impossessava di me quando, sempre a scuola, si formavano le squadre di pallavolo? Ne vogliamo parlare? No, lasciamo in pace i traumi giovanili. Adesso - per fortuna - ho la scusante dell'avanzata età anche se, il fine settimana raggiungo livelli altissimi di assuefazione da sport in tv, ma non per mia scelta.

Bene, mi si presenta innanzi agli occhi questo libriccino rosa shoking (io adoro il rosa shoking) che, guarda un po', parla di calcio. E, io, temendo di trovarvi quei concetti - per me astrusi - di calcio di rigore, di schemi e quant'altro ho, invece, ho fatto la conoscenza di Julia protagonista indiscussa di Una bomber. La (poco) diva Julia. Julia, dotata di piccola lingua biforcuta, con la maglia - guarda caso - n. 17 è l'ultima arrivata in una squadra di calcio femminile. Certo, non si può dire che sia amata, ma - si sa - è solo l'amore a non essere corrisposto: l'odio lo è sempre. E ha pure quel piede a banana che non l'aiuta. Ma, in fondo, che problema c'è visto che non la fanno giocare? In panchina, in effetti, un piede a banana va benissimo; anche due, se necessario. E da quella panchina, la piccola Julia piede-a-banana passa in rassegna le virtù - poche- e i vizi delle sue compagnette di squadra con la precisione di un macchinario per eseguire la tac, l'ultimo modello ovviamente. Niente sfugge al suo vispo occhietto. E vengon fuori vite tragicomiche, bambini bastardi, sentimenti, amori strampalati, iettatrici calcistiche.
Silvia Sanna ci offre un quadro variegato del mondo sportivo femminile, sfatando i luoghi comuni del calcio rosa, regalandoci momenti piacevoli grazie alla sua penna frizzante e a quella sana ironia che, spesso, è difficile trovare. Ecco, forse non ero destinata al calcio perché, poi, magari si poteva scoprire che avevo il piede a "qualcosa" però leggere di calcio, di questo calcio ricoperto di rosa shoking e infarcito di ironia fa bene, molto bene.

sabato 23 febbraio 2013

LA CUGINA AMERICANA - Francesca Segal

                                                                                 Il triangolo sì
Titolo: La cugina americana
Autore: Francesca Segal
Editore: Bollati Boringhieri
Anno: 2012
Pagine: 352
Traduzione: Manuela Faimali







Biblioteca. In bella vista scorgo ‘La cugina americana’ e mi ricordo di quella entusiastica recensione letta, qualche giorno fa, su l’Internazionale che, appunto, parlava di “un notevole romanzo d’esordio” con il quale la Segal riesce a trasportare L’età dell’innocenza “il libro di Edith Wharton che racconta uno scandalo nell’alta società della New York del 1870, nella comunità ebraica di Londra dei nostri giorni”. A ciò si aggiunga che il romanzo è edito da Bollati Boringhieri, casa editrice che gode della mia stima. Di solito, almeno.
Ecco date queste premesse, afferro il libro e lo porto a casa per scoprire, a fine lettura, come si tratti non di un romanzo, ma di una collezione. Già, proprio così: una collezione di ‘ovviamente’. Siamo nel nord di Londra. Adam, giovane in carriera, sta per sposare la ovviamente dolce, gentile e perfetta Rachel. Cosa succede, quindi? Cosa potrebbe rovinare questo quadretto così perfetto? Ovviamente, l’arrivo del terzo incomodo, altrimenti come si potrebbe formare l’ovvia figura geometrica dello stereotipato triangolo? L’altra, Ellie, sempre ovviamente, è altissima, bellissima, ribelle e, ovviamente, è l’esatto contrario di sua cugina Rachel. Rachel ricorda, quasi con fastidio, una madonnina infilzata, sempre pronta ad aiutare gli altri, vive nel suo mondo ovattato, è innocente come una bimba. Ellie, invece, è sfrontata, non molto amata, tutt’altro che pudica – si mormora abbia girato pure un pornazzo. Insomma, per farla breve, il povero Adam –futuro marito perfetto – perde decisamente la testa per la cuginetta americana. Si innamora proprio, almeno così dice. Ed è pure deciso a stravolgere quella sua vita così impeccabilmente perfetta…

Va bene, io non amo i romanzi rosa.
Ma, sinceramente, la scrittura della Segal, nel suo romanzo d'esordio, non mi è parsa degna di nota, né originale, né fresca (come è stata definita). Lineare quanto basta per propinarci una storiellina vecchia come il mondo. Interessante, forse, il quadro dettagliato che offre della borghesia ebraica, sempre pronta a preparare ricevimenti, a sparlare, ipocrita, unita al fine di proteggere i propri membri nei confronti di elementi pericolosi. Ma, è anche vero, che tutte le borghesie si assomiglino un po’, pertanto niente di nuovo anche qui. Al di là di questo, parliamo della storia in sé, del tradimento, del triangolo che mi è parso privo di slanci particolari. Per esempio, decidete di consumare un tradimento, vabbe’, capita anche nelle migliori famiglie, è risaputo questo, ma, , che almeno ci sia del sesso sfrenato. È il minimo che ci si aspetta. Invece, la Segal ci offre una passione troppo tiepida. Poco fuoco, insomma. E non va mica bene se mi parli di corna. In generale, i personaggi risultano antipatici, sempre impegnati a mangiare, a fare pettegolezzo, sempre impegnati ad essere perfetti per poter stare comodamente inseriti nel loro ambiente rigido e, spesso, settario, fondamentalmente privo di eventi straordinari. Vite fatte di ordinaria amministrazione, un mare piatto che non ammette bufere di sorta, ma neanche leggeri venticelli primaverili. Un bel – si fa per dire – polpettone rosa abbagliante.
Fastidioso, decisamente.

mercoledì 20 febbraio 2013

IL LIBRO DI SABBIA - Jorge Luis Borges. Vertiginando

Titolo: Il libro di sabbia
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Adelphi
Anno: 2010
Genere: Racconti
Pagine: 172
Traduzione: Ilide Carmignani

"Sei proprio sicuro di stare per morire?".
"Sì" rispose. "Sento una specie di dolcezza e di sollievo che non avevo mai provato. Non so come spiegarti. Tutte le parole richiedono un'esperienza condivisa. Perché sembri così irritato da quello che ti dico?". "Perché ci somigliamo troppo. Detesto la tua faccia che sembra la mia caricatura, detesto la tua voce, che fa il verso alla mia, detesto la tua sintassi patetica, che è la mia".
"Anche io" ribattè lui. "Per questo ho deciso di suicidarmi".

Con autori del calibro di Borges capita di avere uno strano timore reverenziale nel momento in cui ci si accinge a recensirlo. Perché le recensioni son fatte di parole e ho un brutto rapporto con esse quando mi paiono insufficienti, quasi inadatte, a parlare di autori di tale mole che paiono non stare comodamente entro i ristretti confini di una recensione.  Il libro di sabbia è una raccolta di racconti con la quale lo scrittore argentino ci catapulta, in universi nuovi, contorti e vertiginosi. Lasciate ogni linearità O voi che leggete. Sono racconti che non si limitano ad esser letti, ma che ci fanno precipitare, senza paracadute in architetture fantastiche impeccabili. Sono presenti i temi cari a Borges: l'infinito, gli specchi, le tigri. E un ruolo di primo piano è occupato dal tema del doppio. Nel primo racconto, che apre la raccolta, un Borges anziano incontra, in una panchina, un Borges ventenne. È proprio lì, in quell'atmosfera intrisa di una densa nebbia, quasi tangibile, che il piano del reale si fonde e si confonde con quello onirico. Il tema del doppio - non è un caso il richiamo a Il sosia di Dostoevskij - regala quasi un senso di smarrimento facendo venir meno quella presunta onnipotenza - tutta umana - che deriva dalla convinzione di crederci unici, inimitabili, ineguagliabili. Si sacrifica l'individualismo in nome di un sogno, che forse, però, non è un sogno. O forse sì. Altro tema affrontato è quello dell'infinito - nel racconto che dà il titolo alla raccolta e nel bellissimo racconto "Tigri blu" - che riesce a produrre, nel lettore, un senso profondo di angoscia riuscendo a farlo entrare in un vortice senza uscita. Siamo così abituati a schematizzare tutto, siamo abituati alla sequenza inizio-svolgimento-fine che tutto ciò che è infinito e, allo stesso tempo, inspiegabile razionalmente è in grado di turbarci, di farci smarrire. Non mancano, al solito, i riferimenti filosofici, le citazioni dotte senza alcuna pedanteria, sia chiaro. Insomma, in qualche modo, si ritrovano le stesse atmosfere de l'Aleph anche se meno geometricamente costruite.


Altri libri:
Finzioni, Jorge Luis Borges
L'inquilino del terzo piano, Roland Topor
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges


martedì 8 gennaio 2013

Cronache di letture Proustiane I

Marcel Proust
Era il 25 di Luglio. Era il mio compleanno, 25 anni (più 15). Un caldo terribile, terribile e insopportabile quasi quanto il mio eritema. E Proust, dico Marcel, arrivò. Arrivò nel suo cofanetto nero. Emozione, tanta. Marito dagli occhi verdi non sbaglia mai un regalo. Mai. Rimase il problema del "quando": quando iniziare a leggere quegli otto volumi che, da un lato,, affascinavano e, dall'altro, impaurivano? Domanda difficile. Passarono i giorni e, poi, i mesi. Proust se ne stava lì, silente, nella sua mensolina a guardarmi. Non mi chiamava, mi guardava e basta. Attendeva, con me, che quei giorni passassero. I giorni scivolarono piano piano, tatuandomi la triste consapevolezza di quanto la vita riservi sempre delle sorprese -brutte, molto spesso-, di quanto la vita possa essere bastarda, di quanta forza sia necessaria per superare ostacoli che, a volte, sembrano insormontabili. Ma la vita è anche altro: il sorriso di mia figlia, marito dagli occhi verdi, famiglia. Amore, tanto amore. Sono risorta, ancora una volta seppur non il terzo giorno.
Arrivò Dicembre, l'inverno sembrava avere ancora un certo timore reverenziale a palesarsi, Proust continuava a farsi i fatti suoi nel suo nero cofanetto. Sempre in silenzio. Immobile. Intanto, iniziai a respirare. E a sorridere. Arrivò Gennaio e presi in mano quel cofanetto. Estrassi il primo volume 'Dalla parte di Swann' e cantai le prime parole dell'incipit " A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: "Mi addormento". E, mezz'ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava". Ecco, quasi senza che me ne accorgessi sono entrata nella Recherche. Proust ha iniziato a parlarmi. Non tace più.

venerdì 4 gennaio 2013

POLVERE DI SILENZI - Giovanni Sicuranza. Righe strette

Titolo: Polvere di Silenzi
Autore: Giovanni Sicuranza
Editore: Ilmiolibro.it
Anno: 2012
Pagine: 174


"-Ho capito, bruciamo tutti i suoi libri!
- Altra pubblicità. Lo sento già ardere vendetta, quello scrittorucolo.
- Ah, ma dunque? Mi sono stancato di ignorarlo. Non serve, anzi, sembra trarne maggiore determinazione per tornare con quei raccontini insipidi.
- Sai cosa.
- Cosa?
- Penso.
- Cosa?
- Come fargli capire quanto nulla vale.
- Come?
- Lo esiliamo in un suo libro. Lo costringiamo a vivere tra le sue scempiaggini. Tra i suoi dialoghi, le sue idiote trame."





Tutto può capitare. Può capitare che uno scrittore sia condannato ad una fine quantomeno bizzarra per aver commesso un reato gravissimo: scrivere un libro. Può capitare che, come punizione per la sua boria, sia condannato all’esilio. No, non in una Sant’Elena di memoria napoleonica, ma esiliato nel suo stesso libro. Incastrato, nel vero senso della parola, tra le sue stesse righe. A stretto contatto con i suoi personaggi nelle sue grigie ambientazioni.  La sentenza di condanna è pronunciata dai malefici recensorum, l’élite dei lettori che non concedono all’autore grazia alcuna. E tra quelle righe, tra quei racconti di suo pugno redatti lo scrittore, stritolato dalle lettere che lasciano poco spazio anche per respirare, si rivolge al lettore implorandolo di continuare a leggere posto che una chiusura repentina del libro potrebbe causare la sua morte. Per la gioia dei saccenti recensorum.
‘Polvere di silenzi’  è il terzo romanzo di Giovanni Sicuranza che mi trovo a leggere e, esattamente come la prima volta, ho provato quella strana sensazione: un misto di sorpresa e di incanto. Capita, se a scrivere è Sicuranza, niente è come lo si immaginava. Polvere di silenzi non può, assolutamente, essere definito come una  semplice raccolta di racconti, sarebbe riduttivo e significherebbe non tener conto del fatto che i racconti son costruiti ad incastro in modo impeccabile tanto da poter definire l’opera un vero e proprio romanzo che solo una mente creativa e fantasiosa poteva creare. E in questo romanzo ascoltiamo più voci che si mescolano in un quadro atrocemente  surreale nel quale domina, nel bene e nel male, la figura dello scrittore esiliato. Ma al di là del surreale, delle morti grottescamente descritte, al di là di uno scrittore incastrato tra le sue stesse righe io credo che vi sia tanta verità in questo romanzo. Precisamente, quella realtà, difficile certo, degli scrittori emergenti, degli ‘sconosciuti’ che, pur avendo ottime capacità, devono combattere con logiche di mercato atroci che, spesso, premiano autori non meritevoli ma solo ‘vendibili’. È come se non vi fosse spazio per chi non è stato osannato dal recensorum di turno. Sicuranza è un autore che ha padronanza della scrittura, ho già letto con gusto i suoi due precedenti romanzi – ‘Storia da città di solitudine e dal km 26’ e ‘Ritorno a Città di Solitudine’ – nei quali la morte è protagonista, gli aspetti cimiteriali e gotici dominano in un sottofondo nel quale il sole non pare mai splendere tutto essendo confinato in una rete di tristezza e malinconia che si incolla  addosso. La scrittura di Sicuranza è ammaliante riuscendo egli a catturare l’attenzione del lettore – non recensorum – senza mai fargli perdere l’attenzione. C’è sempre la voglia di voltare la pagina per vedere come sarà la successiva e chiedersi, ogni volta, “ma dove arriverà ‘sto Sicuranza?”, pur con la consapevolezza che dietro quella pagina non ci sarà mai una passeggiata mano nella mano o una cena a lume di candela, ma solo temi macabri dall’odor di morte trattati con ironia e intelligenza. Molta intelligenza.