giovedì 30 marzo 2017

CARTA FORBICE SASSO - Giulio Neri

Decadenze
Titolo: Carta forbice sasso
Autore: Giulio Neri
Editore: Asterios
Anno: 2016
Pagine: 142
Genere: Romanzo

Tangeri, anno 2112. “Tutte le città muoiono” così inizia la lettera di Egidio Sant Just, nato in una città morente, nella quale dichiara di essere venuto in possesso, nella sua gioventù, di una mole di pubblicazioni, diari e corrispondenza privata che, con le opportune ricerche storiografiche costituirà il libro di memorie, senza raccordo. Lo stesso racconta, attraverso le voci dei protagonisti, trent’anni di vita in una Cagliari agonizzante che ha perduto il suo ruolo di centralità. Partendo dall’anno 2037 si intrecciano le vicende dei vari personaggi e il ruolo centrale è occupato da una Onlus –I serafini di San Lucifero – fondata da Lucrezia Melecrinis, una santa, si dice. Ma lo è davvero una santa? Attorno a lei, il marito, un erotomane, il vecchio amante, Elia Farigu, con il  quale ebbe una relazione quando lui era un suo studente perché, come dirà Elia, all’epoca lei “doveva aver incontrato troppi uomini dalle rose facili e si inteneriva per i germogli” e lui lo era, un germoglio. E, ancora, il pugile Cappai e la bellissima Marta Sant Just, madre, appunto di Egidio…

“Carta, forbice, sasso.”
Mi avvicino. “La morra cinese?”
“Sì.”
“Perché?”
Si scosta appena. “Una metafora, credo…La carta avvolge il sasso, ma è tagliata dalle forbici…”
“Che il sasso può spezzare. Nessuno può dirsi certo della vittoria.”
Ora sorride. “Ma nemmeno della sconfitta.” (Pag.142)

Un’opera fuori dagli schemi quella nata dalla penna dell’antiquario cagliaritano Giulio Neri che, prima della pubblicazione con Asterios, aveva concorso al XXIX Premio Calvino. 
In un’ambientazione futura, in una città spopolata, “Cagliari vive di palpiti isolati, si accende per spegnersi nel giro di pochi minuti”, che si avvia al tramonto, si intrecciano le storie, frammentate, dei protagonisti. Un coro di voci si muove per tutto il libro, Marta, Lucrezia, Elia e tanti altri. E la decadenza della città pare riflettersi sulle vite di personaggi che suscitano, indubbiamente, poca empatia privi, come sono, di provare qualcosa che si avvicini a un sentimento puro o, almeno, sano.

“A condannarci non sono mai le certezze, ma i sospetti. Dunque aspetto che la storia si compia. Come al solito, senza capirla sino in fondo.”
(Pag. 108)

Su tutto paiono dominare i colori foschi degli intrighi, dei giochetti politici, delle ipocrisie che ne fanno un’opera amara, governata da un pessimismo di fondo. Perché in quella città che “nientifica” pare vi sia poco spazio per qualcosa di buono. Questo è l’uomo, questa è la Storia del futuro, questa è la Storia di sempre. Guerre, dolore, intrighi, sospetti.
Una lettura originale, sia per la struttura, sia per il linguaggio, a tratti aulico, forse non un romanzo nel senso canonico del termine, ma ben venga l’atipicità.

Vedi anche:
Pierre, Nello Rubattu


giovedì 23 marzo 2017

IL GIORNALISTA - Miriam Mafai

"Grazie a"


Titolo:Il giornalista
Autore: Miriam Mafai
Editore: Ensemble
Anno: 2013
Genere: Saggio
Pagine: 65

Un piccolo libro, denso di passione nato dalla penna della “ragazza rossa”  scomparsa nel 2012, Il giornalista apre le porte a numerose riflessioni su quello che è (diventato) il giornalismo e sul ruolo – complesso – delle donne in mondi da sempre considerati prerogativa maschile. Essenziale e diretto.

È l’anno 1957 quando, dopo una giovinezza consacrata anima e corpo alla politica,  una giovane entra nella redazione di un giornale come corrispondente da Parigi per il settimanale “Vie Nuove”. Lei, come tanti altri, ha questa chance perché “conosce qualcuno”. Ha la fortuna di essere amica, anche un po’ per caso, di Maria Antonietta Macciocchi, con la quale nel ’43 - in una Roma occupata dai nazisti - aveva fatto la Resistenza. Tale ingresso “facilitato” è atto, di per sé, a trasformarsi in una sorta di monito per chi, giovane inesperto, voglia avvicinarsi a questa professione: le porte di un giornale si aprono solamente se qualcuno, dall’interno, socchiude uno spiraglio, seppur piccolo. Sempre che, come spesso capita, non si preferisca bussare alla porta di un partito, preferibilmente di governo. Lei è Miriam Mafai…

“Un mestiere finito. Dequalificato. Asservito: ai partiti, ai potentati economici, alla pubblicità”.

Con un incipit duro che pare non lasciare speranza a chi voglia intraprendere la carriera del cronista,  la scomparsa Miriam Mafai, figura di spicco del giornalismo italiano,  in queste 62 pagine del 1986 ripercorre gli anni della sua carriera offrendoci, al contempo, uno spaccato sintetico di storia italiana, unito a profonde considerazioni sul ruolo delle donne in un mondo prettamente maschile. Inutile negare - e la Mafai non lo fa - come la via del giornalismo sia irta di difficoltà. Inutile negare come in un giornale si entri in forza di un “grazie a”. Ma non c’è solo questo. Perché dalle parole della Mafai, che del giornalismo ha fatto la sua vita e, indubbiamente, lo strumento per portare avanti le battaglie che l’hanno vista farsi portavoce di temi almeno in Italia percepiti come scomodi, emerge -come un faro che illumina percorsi oscuri - la passione per lo scrivere, per la verità, per la scoperta. Certo: sono pagine che risultano datate, ma a fine lettura sorge il dubbio che le parole della giornalista si possano, per buona parte, applicare alla realtà attuale. E vien da sé che ci si domandi: da allora è cambiato davvero qualcosa? 
E se cambiamento c’è stato, è stato in meglio? Dubito ergo sum.

martedì 21 marzo 2017

Il FILO DI MARIANNA - Maria Rosaria Petti

Creando nuovi mondi
Titolo: Il filo di Marianna
Autore: Maria Rosaria Petti
Editore: Iride
Anno: 2015
Genere: Romanzo
Pagine: 348

Sarebbe bello, un giorno, incontrare nella nostra casa Hemingway o la Yourcenar.
Sarebbe bello bere insieme un tè e chiacchierare e mescolare con la realtà il mondo dei libri. Marianna, la protagonista di questo romanzo ci riesce. E anche bene.

È il 18 dicembre del 2006, Marianna è nella cucina della sua casa di campagna, è mattino e fa colazione. Nizar, colui che lei considera il suo principe, è andato a fare la spesa. Nella casa c’è anche Agnese, ventenne che dorme ancora. Perché Agnese è lì? Perché Marianna era la migliore amica di suo padre e di sua madre. E sarà proprio Marianna a dover raccontare alla giovane dei suoi genitori. Della morte prematura del padre, Michi, e dello smarrimento di suo madre e della sua fuga in America. Inizia così per Marianna un lungo rimuginare nel passato, un battaglia con un profondo senso di nostalgia. Seguendo a ritroso il filo dei ricordi si ritrova catapultata il quel fatidico 1986, precisamente l’anno nel quale tutto cambiò. E rivede quella mattina piovosa: lei, sola in casa, intenta a scrivere quando le si palesano, senza preavviso alcuno, i suoi padrini letterari, Hemingway e la Yourcenar. Sì, proprio loro. Allucinazione? No, pare proprio di no. E comunque, nel dubbio, Marianna lasciò che la sua allucinazione “si mettesse a proprio agio” giacché lei di quei due aveva proprio bisogno…

Una dolce malinconia nasce dalle pagine dell’autrice napoletana quella stessa che accompagna, quasi sempre, i viaggi nel mondo dei ricordi. Marianna, è oramai una donna anziana, limitata nei movimenti, si guarda nello specchio e vede ciò che è stata: una dona in fuga, sognatrice, che con la sua schizofrenia onirica riesce, in qualche modo, a salvarsi: dal dolore, dalla disperazione, da ferite troppo profonde. Se un mondo, quello reale, non basta bisogna crearsene un altro intriso di letteratura e di cinema che, alla fine, diviene quasi vero e tangibile. Solo l’immaginazione, fervida non c’è dubbio, poteva garantirle di sopravvivere e tentare di assemblare i pezzi, spigolosi e taglienti, della sua vita frastagliata. Sono tentativi, è vero, perché alla fine siamo soli e la solitudine non è mai divisibile o condivisibile. E, forse, non è mai possibile fuggire davvero da un dolore. Perché il dolore ci attraversa sempre e comunque, come dirà Marianna. Malinconico, doloroso, Il filo di Marianna shakera realtà e immaginazione così convulsamente che, alla fine, tutto pare possibile: anche preparare un tè per Hemingway. Lettura piacevole nel complesso, forse appesantita da qualche pagina di troppo ma che, in qualche modo, ci permette di credere, almeno per un po’, a un salvifico mix di realtà e letteratura. 

venerdì 17 marzo 2017

BLITZ - David Trueba

Emoticon e poi muori
Titolo: Blitz
Autore: David Trueba
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016
Traduzione: Francesca Pè
    Genere: Romanzo 
Pagine: 133



Si legge rapidamente questo romanzo che affronta il tema della fine di un amore, ma non solo. Trueba ha una scrittura rapida, saettante e, per quanto, non possa certamente essere considerato una grande opera, Blitz regala qualche ora di piacevole lettura, strappa qualche risata e ci si ritrova a parteggiare per il povero protagonista abbandonato dalla sua (non esclusivamente sua, a dire il vero) Marta. 
Beto è un giovane architetto e si trova con la sua fidanzata, Marta, a Monaco, per presentare ‒ nell’ambito del convegno Lebensgärten 2015 ‒ un progetto concorrente nella categoria “Prospettive future”. Al vincitore sarà assegnato un premio di diecimila euro. Marta è molto fiduciosa, Beto invece non crede che il suo progetto, rappresentato da un giardino per adulti la cui particolarità è data dalla presenza di un bosco di clessidre in scala umana, possa avere qualche chance. Alla presentazione ha pure il dubbio di essere stato troppo saccente, Helga – la loro accompagnatrice – gli fa invece i complimenti. I due giovani intendono partire il giorno dopo, ma un piccolo incidente modifica i loro piani: Marta partirà da sola, Beto si tratterrà a Monaco. Già, basta poco per cambiare idea, a volte basta un messaggio al telefono. Infatti mentre il giovane attende al bancone il suo kebab riceve un messaggio da Marta, che si trova proprio nel tavolo di fronte a lui, nel quale scrive “Non gli ho ancora detto niente. È dura. Uff. ta”. E, per finire, l’emoticon di un cuoricino. Quel messaggio è stato inviato a lui per errore, il vero destinatario è l’ex di Marta, con il quale, scoprirà qualche minuto dopo Beto, lei ha ricominciato a vedersi. Tutte le rotture hanno sempre qualcosa di ridicolo e, naturalmente, anche questa: Marta lo lascia mentre mangiano un kebab…
Dopo otto anni torna in libreria lo scrittore e regista spagnolo ‒ autore, tra i tanti, dell’apprezzato Quattro amici ‒ edito sempre da Feltrinelli, con un romanzo dai toni fortemente tragicomici regalandoci le avventure del trentenne Beto. Giovane, in cerca di una posizione lavorativa - la famosa solidità sempre cosa ben lontana per un giovane trentenne -, con poca fiducia in se stesso, con un amore che finisce in un lampo, un messaggio – con l’aggravante della maledetta emoticon-cuore più la doppia aggravante dovuta al fatto che Marta si è rifidanzata con l'ex (perché è vero che i tradimenti sono sempre cosa brutta e ingiusta, ma il tradimento con l'ex è peggio, lo sappiamo tutti). Basta poco per sconvolgere un’esistenza, per cambiare un percorso in qualche modo già tracciato, ma spesso basta poco anche per ricominciare. Blitz pare tutto incentrato sul concetto amico-nemico, di tempo simbolicamente rappresentato dal progetto di Beto stesso: la clessidra che non solo lo quantifica, ma è anche strumento che aiuta ad evadere. Siamo fatti di attimi, di piccoli granelli che scivolano nella nostra clessidra personale, a volte ci sfuggono, a volte, invece, sono talmente importanti da farci prendere direzioni impensate e, nonostante siano scivolati molto velocemente, riusciremo a ricordarli per sempre.


sabato 1 ottobre 2016

IL BASILICO RACCOLTO ALL'ALBA - Eugènie Genin

"Quand on à dix-sept  ans"
Titolo: Il basilico raccolto all’alba
Autrice: Eugènie Genin
Editore: Milena Edizioni
Anno: 2015
Pagine: 140
Genere: Romanzo erotico

Donne che crescono, scoprono, che entra nel mondo misterioso e affascinante del sesso. Indubbiamente, un buon esordio quello dell’autrice e, per quanto io non ami follemente la letteratura erotica, è ben vero che la Génin ha una scrittura interessante e delicata.

1988, estate. La sedicenne Doria si trova - e si annoia - nella pensione del padre che, anch’essa, si chiama Doria in onore della omonima squadra di calcio tifata, con anima e corpo, dal genitore. È il primo luglio, un venerdì come un altro quando fa ingresso nella pensione lui, il Professore che, diretto a Nizza, ha bisogno di una stanza per fare un pausa. Ha una mole importante, la barba ispida, nell'aspetto ricorda un orso. Doria, con la freschezza dei suoi anni con la sua canotta bianca e i pantaloncini in spugna rosa lo accompagna nella sua stanza. Dopo la prima rampa sente i suoi occhi nei suoi glutei e nota in lui in certo rossore. Imbarazzo, sicuramente. Ore dopo, lui tornerà in sala per la cena, con un libro che sfoglia lentamente. Lei mentre gli apparecchia la tavola, sbircia tra le pagine di quel libro. Lui la ignora. Che prima, nelle scale, la giovane abbia frainteso? Porta il bicchiere e legge tra quelle pagine “On n’est pas”. Già, Rimbaud. Il poeta maledetto. “On n’est pas sérieux quand on à dix-sept  ans”…

Eugènie Gènin è stata la moglie di Georges Méliès figura cardine nella storia del cinema ed è  è lo pseudonimo -o meglio, l’eteronimo come la stessa preferisce definirlo- scelto dall’autrice per il suo primo romanzo. Il basilico raccolto all’alba essenzialmente è una storia di formazione nel quale si racconta il percorso di crescita, sessuale ma non solo, della sedicenne protagonista: giovane, inesperta, curiosa, passionale e assetata di conoscenza quasi imprigionata nelle quattro mura della pensione paterna che, comunque, non riescono a tarparle le ali. Nasce e si sviluppa un continuo parallelismo tra la conoscenza del proprio corpo e la conoscenza in senso ampio. Per quanto la trama sia incentrata sulle esperienze sessuali, sull’iniziazione, sul sondare il misterioso e intrigante mondo di passione vi è anche altro. Infarcito di sentimento, di citazioni dotte e di poesia ne vien fuori romanzo molto delicato scevro di quelle volgarità che, spesso, caratterizzano i romanzi a sfondo erotico. Sicuramente un buon esordio, sicuramente una piacevole lettura per gli amanti del genere.


giovedì 29 settembre 2016

IL BAMBINO E IL MAGO - Salvatore Brizzi e Enrico Geminiani

Magie ritrovate
Titolo: Il bambino e il mago
Autori: Salvatore Brizzi e Riccardo Geminiani
Editore:Edizioni Il Punto d’Incontro
Anno: 2013
Pagine: 128
Genere: Saggio esoterismo

Magia e curiosità sono questi gli ingredienti di questo libro particolare che si legge in un soffio. Il bambino e il mago nasce con spirito ludico e arriva a regalare quei piccoli grandi insegnamenti che, troppo spesso, dimentichiamo.
Il piccolo Geremia trova in biblioteca un libro dalla copertina tutta bianca, La porta del Mago,  scritto dal mago Salvatore Brizzi. Stupito dal fatto che il bibliotecario gli dice che quel volume, proprio perché parla di magia, non possa essere interessante per un bimbo, Geremia decide di scrivere una lettera al Mago in persona, la cui risposta non tarderà ad arrivare. Inizierà tra i due una lunga corrispondenza attraverso la quale il Mago svelerà i suoi segreti al piccolo…
Il bambino e il mago nasce da un gioco: Geminiani, fingendosi un bambino, indirizza una prima lettera a Brizzi ponendogli delle domande, ispirategli da suo figlio, sul mondo della magia. Brizzi – conscio della sensibilità del piccolo – spiega allo stesso cosa significhi essere mago superando i luoghi comuni che riducono il mago a colui che fa sparire le persone o riesce con estrema facilità a estrarre conigli da un cilindro. Nulla di tutto questo: esser maghi significa, fondamentalmente, essere presenti a se stessi e avere la capacità di non giudicare il prossimo. Da questi principi cardini si dipanano una lunga serie di insegnamenti che non sono altro che un incitamento a guardarsi dentro, ad amare, a vivere secondo modalità che, troppo spesso, l’adulto dimentica perché troppo impegnato e soffocato da  condizionamenti esterni di vario tipo che gli fanno trascurare la sua vera essenza. Un libro che può piacevolmente essere letto anche da chi, come me, nutre un forte scetticismo nei confronti di tali tematiche perché, comunque, contiene verità profonde che più spesso dovrebbero essere applicate nella quotidianità, quali quella di ringraziare ogni giorno per ciò che si possiede o quella di donare senza necessariamente attendere qualcosa in cambio. Non è un caso che tale corrispondenza particolare si sia sviluppata con un bambino che ha la curiosità e la libertà spesso carenti nell’uomo adulto. E al di là delle proprie convinzioni personali, dello scettiscismo di ognuno di noi, è sicuramente un dato di fatto che la vera magia, di questi tempi, sia quella di essere presenti a se stessi.


lunedì 26 settembre 2016

I LIBRI SI PRENDONO CURA DI NOI - Régine Detambel

Mondi magici

Titolo: libri si prendono cura di noi
Autore: Régine Detambel
Editore: Ponte alle Grazie
Anno: 2016
Traduzione: Francesco Bruno
Genere: Saggio salute /Benessere
Pagine: 120

Interessante questo piccolo volume che si immerge nel mondo dei libri senza però fornire le classiche soluzioni miracolose che, spesso, son poco credibili.

I libri contengono già tutto, compresa l’arte di amare. Non esiste, infatti, nessun sentimento o emozione che sfugga a una rappresentazione verbale. Ed è proprio su questo che nasce e si sviluppa la biblioterapia, già sperimentata nei primissimi del ‘900, e definita compiutamente, nel 1961, nel Webster International come “l’utilizzo di un insieme di letture scelte quali strumenti terapeutici in medicina e psichiatria. E un mezzo per risolvere problemi personali grazie a una lettura guidata.” Pertanto, il libro è lo strumento dotato di forza immensa e capace di attuare un processo di liberazione e apertura oltreché modo eletto per uscire da forme di isolamento, per reinventarsi, riscoprirsi e rinascere. Il biblioterapeuta, nel suo percorso, dovrà semplicemente spingere il lettore a divenire “lettore di se stesso” in quanto le parole non hanno mai un fine in sé ma in noi. I libri, quelli buoni, sono quelli che incidono –a mo’ di bisturi- sulla sensibilità del lettore – in modo tale che egli riuscirà a vedere, con occhi completamente nuovi, gli oggetti più conosciuti come se li vedesse per la prima volta…
Régine Detambel, kinesiologa e scrittrice francese, in questo piccolo saggio ha riunito il materiale elaborato, nel corso degli anni, da vari studiosi in relazione al concetto e allo sviluppo della biblioterapia. Non è un caso che la stessa, sin da bambina, raccogliesse, ritagliasse e incollasse, con certosina pazienza le citazioni più diverse con una passione quasi da collezionista, lei stessa chiama i pezzi di tali raccolte “francobolli”. Interessante l’approccio adottato volto a creare una biblioterapia che sia creativa e che sia in grado di scuotere, come insegna Kafka con la metafora dell’ascia, abbandonando la c.d. biblio-coaching, di stampo anglosassone, tutta incentrata su letture “facili” e didascaliche. No, i libri devono essere complessi, lasciare spazio a interpretazioni,, a introspezioni, a tuffi e profonde nuotate nel nostro animo perché solo così potremmo trovarci o ritrovarci. No, quindi, a una biblioterapia medicalizzata in quanto tale arte non è né può ridursi a una semplice prescrizione: inutile, pertanto, attendersi da un biblioterapeuta un elenco di titoli tematici. In linea di massima, un libro interessante per l’approccio nuovo e lontano da libri simili nei quali, spesso, l’autore si pone sulla cattedra a dettare soluzioni magiche. Certo è, comunque, che la presenza costante – e quasi martellante – di citazioni e richiami renda la lettura un po’ macchinosa.

Altri libri:
Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi, Corrado Augias
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges