domenica 7 agosto 2016

I GIORNI SOSPESI - Anna Hope

Nessun vince
Titolo: I giorni sospesi
Autore:Anna Hope
Editore: Sperling & Kupfer
Anno: 2015
Pagine:348
Traduzione: Velia Februari
Genere: Romanzo storico


In soli cinque giorni si svolge la trama di questo gradevole romanzo che pone l’obiettivo sulle donne e sulla guerra e mette in evidenza quello che è il motore delle storie e, spesso, anche della Storia: il sentimento. Motore che, talora, si inceppa, senza mai fermarsi del tutto.

Londra, 1920. Hettie e Di sono in taxi e cercano il Dalton, il famoso locale notturno che è divenuto leggenda tanto che qualcuno ritiene nemmeno esista. Ma il locale esiste, eccome. Emozionate vi entrano, Di vede subito Humphrey, del resto è per lui che è andata nel club. A Hettie viene, invece, presentato Gus: massiccio, flaccido e con la pelle lucida dal sudore. Non certo un adone e sicuramente negato per il ballo, ma almeno è innocuo, pensa Hettie. Poi, appare lui, il fascinoso e misterioso Ed, bello “ma in modo particolare”… Evelyn vive con la sua amica Doreen. È mattina, la sveglia suona: Evelyn deve alzarsi in quelle gelide stanze, deve prepararsi per andare da sua madre perché è il giorno del suo compleanno. Ci sarà il solito pranzo di famiglia dove la perfezione è di casa…Jack e Ada sono sposati da venticinque anni. Un amore intenso il loro, coronato da un matrimonio ben riuscito. Ma c’è un ombra, quasi tangibile nella loro vita: la morte in guerra del loro figliolo, Michael. Ada non crede sia morto davvero, le capita, ogni tanto, di sentirlo e di vederlo, ma non riesce mai a raggiungerlo. Certo, di Michael non si parla in casa, perché non parlarne è meglio e certamente più semplice…

Un esordio ben riuscito quello della scrittrice americana Anna Hope, che con I giorni sospesi ha scritto un’opera apprezzata sia dai lettori sia dalla critica e, non è un caso, che ne sia prevista la pubblicazione in ben 12 Paesi. I giorni sospesi di cui al romanzo sono solo cinque e, in questo ristretto arco di tempo, si dipanano le storie di tre donne che hanno vissuto, da casa, quel mostruoso evento che è la guerra. E son rimaste ad aspettare e a raccogliere le ferite di una guerra nella quale, alla fine, nessuno vince se non, appunto, la guerra stessa. E pare non si possa trovare nessuna giustificazione per quei giovani la cui vita è stata troncata anzitempo da una granata, per quelle croci in terra straniera, per i pianti, per quel male che pare non finire mai. Un romanzo intimo, che scava nel fragile e complesso terreno del dolore immune a ogni balsamo lenitivo. Tenero, doloroso, ma che, comunque, regala un pugno di speranza poiché alla fine la vita con i suoi meccanismi, con le sue comparse, con le sue verità e le sue bugie ci impone di rialzarci, di andare avanti nonostante i macigni nel cuore. Un romanzo delicato su sentimenti forti che germogliano in un terreno reso arido dalla fredda macchina della guerra.

Altre recensioni:  
L'usignolo, Kristin Hannah             


venerdì 5 agosto 2016

GRANDE SENO, FIANCHI LARGHI - Mo Yan

Non solo tette

Titolo: Grande seno, fianchi larghi
Autore: Mo Yan
Editore: Einaudi
Anno: 2006
Pagine: 899
Traduzione: Giorgio Trentin
Genere: Romanzo

Un romanzo di ampio respiro, impegnativo e non solo per la mole. Una saga familiare che è anche la storia della Cina e cattura, affascina e appassiona. Un abile narratore Mo Yan capace di usare con maestria le parole per creare immagini, suoni e profumi. Ottima lettura.

Nella provincia orientale dello Shadong, in un villaggio rurale nei pressi di Gaomi, la giornata si presenta ricca di eventi. Innanzitutto, Shangguan Lu sta per partorire e nella sua famiglia ci si augura che, dopo sette femmine, il nascituro sia finalmente un maschio inoltre, durante il travaglio, è giunta la notizia che annuncia l’imminente arrivo dei diavoli giapponesi. Ma questi eventi, per la famiglia Shangguan, sono ben poca cosa rispetto all’altro parto che si sta svolgendo con molte difficolta nella stalla vicina: quello dell’asina nera. Alla fine, Shangguan Lu riuscirà a partorire due bimbi: una femmina affetta da cecità e il tanto agognato maschietto che sarà chiamato Jintong, il bimbo d’oro, il bimbo dai capelli biondi nato da una relazione clandestina di sua madre con il prete svedese Ma Luoya…

Attraverso la storia della famiglia Shangguan il premio Nobel 2012, Mo Yan, disegna una saga familiare che ripercorre quasi tutto il XX secolo della storia cinese: dalla società feudale degli anni trenta, all’invasione giapponese, a Mao fino all’odierno capitalismo.  Al centro della narrazione è la figura di Shangguan Lu, descritta dalle parole di Jintong che è voce narrante, la quale rappresenta la Madre capace di infondere non solo l’afflato vitale, ma anche e, nonostante tutto, di proteggere, di dare nutrimento e combattere una lotta quotidiana per la sopravvivenza dei suoi figli. Una figura quasi monumentale alla quale fa da contraltare Jintong, personaggio bizzoso e viziato, morbosamente legato al seno materno fino all’adolescenza e chiuso nel suo continuo – e quasi unico- impegno a soddisfare i suoi bisogni egoistici. Con uno stile che mescola abilmente realismo, crudezza e aspetti tragici con toni grotteschi e quasi poetici se non magici lo scrittore cinese dimostra le sua grandi doti affabulatorie grazie anche al lessico ricco e variegato e la certo non comune capacità di rendere quasi tangibili le immagini, acuti e talora gravi i suoni e inebrianti i profumi delle storie narrate.

martedì 2 agosto 2016

GLI AMICI NASCOSTI - Cecilia Bartoli

Volere l'impossibile: una vita normale


Titolo:  Gli amici nascosti
Autore: Cecilia Bartoli
Anno: 2014
Editore: Topipittori
Pagine: 64
Genere: Bambini
Età: dai 10 anni

Una storia difficile, tenera, dolorosa quella raccontata da Robera, un bimbo etiope, e affidata alla penna attenta di Cecilia Bartoli. Una storia come tante, purtroppo e che, comunque, regala un filo di speranza.

Robera è un bambino etiope nato in Sudan nella città che significa proboscide di elefante, Karthum. È venuto al mondo in quella città gialla come il deserto che la circonda perché i suoi genitori appartengono al gruppo etnico degli oromi e, spesso, si son visti costretti a viaggiare in tanti altri paesi per trovare gli “amici nascosti”, persone disponibili e dall’animo buono, persone come loro, persone per le quali basta un semplice sguardo per riconoscersi in qualunque posto si trovino. Robera e sua madre Taiba, tra i tanti viaggi che vestono sempre gli abiti di una fuga hanno fatto anche quello tormentato via mare verso l’Italia  prima di stabilirsi definitivamente in Norvegia…

Cecilia Bartoli nella sua attività di psicoterapeuta all’interno dell’associazione romana Asinitas ha conosciuto Robera, un bimbo etiope figlio di perseguitati politici. Tra le tante storie che la Bartoli ha ascoltato negli anni quella di Robera si è imposta tenacemente, non ammettendo di rimanere relegata in silenzio tra i suoi appunti, quasi dimenandosi per saltar fuori: è così che è nato questo piccolo libro che racconta, appunto, con gli occhi e la semplicità di un bambino, vicende tragiche e tristemente attuali che, a tratti, assumono il colore di una favola anche grazie al lieto fine tanto sospirato che è, in fondo per il bimbo etiope e i suoi genitori, solo il desiderio di una vita normale, del riconoscimento di diritti che dovrebbero essere naturali, di un briciolo di serenità. Il racconto pubblicato nella collana Gli anni in tasca, dal titolo del famoso film di François Truffaut del 1976, che ha come obiettivo quello di offrire al lettore storie autobiografiche di infanzie e adolescenze, è accompagnato dalle illustrazioni, tutte in bianco e nero, di Guido Scarabottolo che danno un valore aggiunto a una storia già toccante e tenera.

Altri libri:
Occhi chiusi spalle al mare, Donato Cutolo


domenica 31 luglio 2016

FRA I BOSCHI E L'ACQUA - Patrick Leigh Fermor

Sì, viaggiare

Titolo: Fra i boschi e l'acqua
Autore:Patrick  Leigh Fermor
Editore: Adelphi
Anno: 2013
Pagine: 290
Traduzione: Adriana Bottini, Jacopo M. Colucci

Genere: Libro di viaggio


Non conoscevo Fermor e scoprire che lo stesso era noto per essere un ribelle ha acuito la mia curiosità. Un libro molto interessante nel quale il senso dell’avventura ha un ruolo predominante. Ma non è solo un freddo resoconto di un viaggio, sia chiaro: è molto di più. È un'ode alla natura, è poesia, è magia, è amicizia. È un viaggio in senso lato ed è un viaggio meraviglioso.

Il suo arrivo a Esztergom fu preceduto da una lettera di un suo amico e indirizzata al borgomastro il quale veniva invitato  ad avere un occhio di riguardo per il giovane che aveva intrapreso il lungo viaggio verso Costantinopoli. Vi giunse il Sabato Santo proprio nel momento in cui una carrozza si arrestò e dalla stessa scese l'arcivescovo di Esztergom, principe-primate d'Ungheria. La folla, quella stessa che il giovane vide precedentemente nelle rive del Danubio, riempì l'immensa cattedrale: erano giovani fanciulle, contadini, borghesi, zingare dai colori sgargianti, militari, monache. E fu un tripudio di luci e fu una distanza abissale dall'oscurità che dominava la piccola chiesa slovacca vista solo due giorni prima...
Il giovanissimo ribelle e indisciplinato Fermor nell’anno 1934 decise di intraprendere, a piedi, un viaggio da Londra a Costantinopoli. La prima parte di tale avventuroso viaggio è narrata in Tempo di regali a cui ha fatto seguito, appunto, Fra i boschi e l'acqua che ne costituisce la seconda parte e  che descrive il percorso che inizia nel confine tra Slovacchia e Ungheria fino all'arrivo al Ponte di Ferro. Definire questa maestosa opera come un resoconto di viaggio sarebbe quantomeno riduttivo perché esso è un percorso di crescita, un continuo arricchimento, una immersione nella natura, una conoscenza di tradizioni e leggende di vari popoli, è anche una lunga serie di aneddoti, di storie di amicizie, è, ma non esclusivamente, un'immersione nella natura,una contemplazione di quelle stelle che spesso hanno costituito il tetto del giovane viaggiatore. Le parole di Fermor sono cariche di fascino, le sue dettagliate descrizioni raggiungono picchi di lirismo che lasciano a bocca aperta il lettore che si vede regalare, pagina dopo pagina, delle vere e proprie perle. E se questo è il regalo che il lettore riceve vien naturale perdonare quel viandante per il fatto che non abbia mantenuto integralmente il proposito iniziale: fare tutto il viaggio a piedi.

mercoledì 27 luglio 2016

FINZIONI - Jorge Luis Borges

Datemi un labirinto e lasciatemi lì


Titolo: Finzioni
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Einaudi
Anno: 2004
Pagine: 154
Genere: Racconti
Traduzione: Franco Lucentini

Arricchisce, confonde, apre la mente, l’immaginazione, fa sognare. Tutto questo è Borges, l’immenso Borges. Difficile parlarne, difficile dire tutto ciò che la lettura dei suoi libri mi lascia ogni volta. Tanto, certo, ma indefinibile. Finzioni è una meravigliosa raccolta di racconti che riesce a trasportarci quasi in un’altra dimensione, in un mondo diverso che, a sua volta, potrebbe essere il riflesso di un altro mondo ancora che non avevamo considerato. Tutto può essere: anche il contrario di tutto. Aprire le porte a Borges ed entrare nei suoi labirinti è quanto di meglio abbia fatto da quando ho iniziato a leggere.

A notte fonda, si scoprì la mostruosità posseduta dagli specchi. Infatti “gli specchi come la copula sono abominevoli poiché moltiplicano il numero degli uomini”: questa frase riportata da Bioy Cassidy fu pronunciata, a suo dire, da un eresiarca di Uqbar. Ma come mai l’Enciclopedia Britannica non parla di Uqbar?  Sarà la scoperta, fortuita, di un volume dell’Enciclopedia di Tlon a chiarire il mistero e scoprire un mondo nuovo… Nel ’32 esce, a Bombay, stampato su carta che pareva quasi di giornale il primo romanzo poliziesco il cui protagonista, giovane studente, dedica la sua vita alla ricerca di un’anima attraverso i riflessi che ha lasciato nelle altre… Esiste un’opera incompiuta e sotterranea di Pierre Mènard: Il Don Chisciotte. Mènard non intendeva affatto scrivere un altro Don Chisciotte che si affiancasse a quello di Cervantes, egli voleva proprio scrivere il Chisciotte producendo pagine che, parola per parola, coincidessero. Voleva essere Cervantes… Un uomo taciturno proveniente dal sud sbarca con la sua canoa di bambù, bacia la terra, si arresta in prossimità delle rovine di un tempio. Si addormenta. Sogna di trovarsi al centro del tempio e di dettare, ad un collegio di studenti, lezioni di anatomia, cosmografia e magia. Un giorno capisce di non aver sognato e, infine, comprende che lui era solo una parvenza e che un altro lo stava sognando… A Babilonia ogni momento della vita dei cittadini è deciso da un sorteggio effettuato da una Compagnia il cui precipuo compito è quello di stabilire l’ordine… L’Universo è formato da una infinita Biblioteca, suddivisa in esagoni e che contiene tutti i libri pensabili che, a loro volta, sono costituiti  da tutte le possibili combinazioni delle 22 dell'alfabeto, del punto e della virgola…
I quattordici racconti contenuti in Finzioni suddivisi in due parti – Il giardino dei sentieri che si biforcano Artifici - sono stati pubblicati in Argentina nel ’44 e l’edizione Einaudi ce li offre con la traduzione curata da Lucentini che, in nota, sottolinea di aver rivisto la traduzione del ‘55 in modo da renderla più “spagnoleggiante e letterale”. Non si può dimenticare come per Borges il racconto fosse la forma letteraria perfetta poiché analogamente alla poesia il racconto ha la capacità di concentrarsi sull’essenziale. In queste parole pronunciate dall’autore nel corso di un’intervista, emerge quel legame tra società attuale e racconto: una società in movimento, basata sulla velocità della comunicazione che non si presta ai prolissi romanzi che richiedono tempo e comporterebbero un inaccettabile rallentamento. Finzioni si pone su piano pluridisciplinare, non segue un percorso lineare, i concetti si deformano, si ampliano, si ramificano. Il fulcro dell'opera è il tema del labirinto – come lo era nell’altra raccolta L’Aleph - tema caro a Borges, non a caso definito dall’Enciclopedia Einaudi  del 1979 il più grande labirintologo contemporaneo. L’autore, infatti, mostra una predilezione per le situazioni confuse, labirintiche, dai contorni non ben delineati, matasse aggrovigliate nelle quali non si riesce a trovare il bandolo, quasi prive di logica. I suoi labirinti, rispecchiano lo schema del monoviario classico – secondo la classificazione fattane da Umberto Eco - ma ciò che a lui  preme non è il percorso in quanto tale, ma il centro. E soprattutto quell’attività, essenzialmente spirituale, che l’uomo deve compiere per raggiungerlo. Ai labirinti si affiancano, in numerosi racconti, sia il tema dell’infinito sia il concetto binomiale di tempo-eternità, già visto in altri autori, basti pensare ai racconti di Kafka e in particolare La muraglia cinese o Davanti alla legge. Numerose le metafore: la ricerca infinita da parte dell’uomo di qualcosa che dia un senso alla vita o alla ricerca. E poi, concetti matematici, filosofici, meta letteratura, recensioni geometricamente perfette di opere inesistenti di autori inesistenti. In questo sofisticato labirintico meandro di meta- letteratura, di specchi che ampliano e deformano, di letteratura che diviene fantasia paradossalmente reale la mente del lettore viene rapita e nessuno vorrebbe pagare il riscatto per liberarsene.  

Altri libri:
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges


lunedì 25 luglio 2016

FAVOLA IN BIANCO E NERO - Mauro Corona

Brutta gente

Titolo: Favola in bianco e nero
Autore: Mauro Corona
Editore: Mondadori
Anno: 2015
Pagine: 93
Genere: Racconto

Si chiama favola, ma si legge invettiva.
Un Mauro Corona cattivissimo e, al tempo stesso, verissimo.
Brutta gente nel mondo. Brutti i pensieri, le azioni e le omissioni.

Avvenne tutto di sera in quello stesso paesino di montagna nel quale, due anni prima, la signora Leonida aveva notato l’assenza del Bambino Gesù. Ma questa volta è un po’ diverso: dando uno sguardo al presepe si nota che i Bambin Gesù son ben due.  Uno bianco e uno nero: con le braccine tese quasi a volersi tenere per mano. Ovvio che quei due non possano stare insieme. I razzisti si inalberano e, nell’immediato,  tentano di rimuovere il bambino color cioccolato, ma quello riappare. Anche i non razzisti, che in pubblico parlano di amore universale, di pace e fratellanza, nel segreto delle loro dimore, tentano di eliminarlo: o a martellate, se la statuina è di gesso oppure cercano di bruciarlo nella stufa, se è di legno: ma non serve, il bambino riappare subito dopo. Bisogna adottare soluzioni drastiche dicono i più decisi e, così, ricorrono alla magica dinamite per far saltare in aria le case: ma il bambino nero riappare, stavolta nelle loro tasche. La questione investe tutti i media nonché tutte le categorie di “esperti e cercatori dell’inutile”, ma nulla cambia. Naturalmente intervengono i Grandi del mondo per arrivare, dopo estenuanti sedute, a una conclusione: la necessità di verbalizzare, e, con atto pubblico,  l’impossibilità di separare i due. Ma, si sa bene “grandi del pianeta, soluzioni bonsai”. Che fare allora?...
Non si pensi di trovare in questa favola i boschi e i paesaggi delle montagne ertane, i cieli nevosi e l’aria pura. No, niente di tutto questo. Questa è una favola cattiva che assume i toni dell’invettiva. Corona, con l’immagine di due Bambin Gesù, di cui uno colorato, affonda la sua penna tagliente e decisamente arrabbiata nelle pecche dell’umanità che, di fatto, ha ben poco di umano “oramai l’esistenza di noi umani è disumana” dirà a un certo punto con amara consapevolezza. Perché l’uomo è egoista, vendicativo e tremendamente ipocrita. Ipocrisia che pare enfatizzarsi nel periodo natalizio dove c’è quasi -per quel male terribile che è il buonismo- la necessità abusare di belle parole: tutte finte, non sentite, sia chiaro. Perché, appunto, così dev’essere, perché è Natale. Non amiamo i nostri vicini, le disgrazie dei nostri amici ci rendono felici come ebbe a dire La Rochefoucauld, non accettiamo i diversi e i fatti recenti legati al fenomeno dell’immigrazione, al quale le parole di Corona inevitabilmente richiamano, lo dimostrano chiaramente. Perché noi siamo la guerra, amiamo la guerra e la vogliamo. E se il suo scopo dichiarato era quello di scrivere una fiaba cattiva sul Natale “perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni”, diciamo che c’è riuscito benissimo.

sabato 23 luglio 2016

EX VOTO - Marcello Fois

Di miracoli e altre storie

Titolo: Ex voto
Autore: Marcello Fois
Editore: Minimum Fax
Anno: 2015
Pagine: 101
Genere: Romanzo breve

Mi incuriosiva leggere questo libro. Vedere la penna di Fois lontana dalla sua isola. Ed è inutile negarlo: un romanzo ben scritto, anche interessante, ma lontano da quel Fois che mi fa battere il cuore. E ci rimango pure male nel dirlo.

Australia, Adelaide. È il sabato della vigilia di Pasqua del 2014 e di pomeriggio, Ryan e Antonia, o meglio Tony, vanno in spiaggia a fare surf. In un attimo il cielo diventa scuro, i due a malapena riescono a radunare le loro cose e, rapidamente, raggiungono la macchina. Tornano a casa e, nel momento in cui sono a letto, arriva - interrompendo il loro amplesso - una telefonata. Ryan sente Tony che dice al suo interlocutore “quale ospedale?” e, ancora “sei veramente un coglione, John! Sto arrivando”. La conversazione termina, Ryan  aspetta una spiegazione, comprende solo che si trattava dell’ex marito di Tony. Silenzio. Jenny, la figlia di Tony si è fatta male, è in ospedale. Si offre di accompagnarla, ma lei rifiuta. Si precipita in ospedale, ad attenderla c’è John che le indica l’ambulatorio. Entra e la vede: lì a cavalcioni su un cavalletto che dondola le gambe. Niente di grave, solo una caduta mentre facevano il barbecue, un piccolo taglio allo zigomo. La sua bambina sta bene. Ha bisogno solo di una piccola medicazione. Già, la sua bambina di diciassette anni. Con le sue efelidi, la sua inseparabile bambola, Carlotta, e quei disegni sempre simili a macchie. E disegna, disegna in continuazione perché lei vuole sentirsi invisibile…

Marcello Fois con questa fulminea storia abbandona le atmosfere della sua isola, la Sardegna, per trasportarci in Australia. Tre donne le protagoniste: Antonia, sua figlia Jenny e sua madre, Mariarca. In un arco temporale ridottissimo, tre giorni che vanno dalla viglia di Pasqua al lunedì dell’angelo, si mescolano superstizioni, storie familiari, amore materno, elementi divini, scontri generazionali, e quel necessario confronto con le radici (napoletane, nel caso di Antonia) per quanto spesso si cerchi, per difesa, di chiuderle in un cassetto, per non ricordarle perché possono far male. Su tutte le loro vicende, i loro conflitti, le loro parole domina il concetto di miracolo che, in qualunque modo lo si intenda, diviene il nucleo centrale del romanzo perché è da quello che Mariarca chiese alla Madonna dell’Arco che tutto iniziò, è da quel miracolo che lei divenne per tutti  “la Strega” ed è lo stesso per il quale scapparono da Napoli per rifugiarsi in Australia. Ex voto nasce come supporto narrativo a uno studio antropologico relativo al culto napoletano della Madonna dell’Arco e conferma, ancora una volta, le grandi doti scrittorie di Fois e la sua capacità di indagare, come pochi sanno fare, l’animo umano anche se, a onor del vero, manca -in questo pur pregevole romanzo- quel pathos e quell’intensità che caratterizza le sue opere precedenti: inevitabile il confronto, con un po’ di nostalgia (lo ammetto), con la magia che regala la trilogia dedicata alla famiglia Chironi.