giovedì 26 luglio 2012

ISOLA MIA - Massimo Menzi. L'isola che non c'è


Titolo: Isola mia
Autore: Massimo Menzi
Editore: Spettri
Anno: 1982


Marco è un bambino nato e cresciuto in un’isola dimenticata dal mondo, dalle istituzioni,  dai poeti che non la cantano, dai fotografi che non la immortalano. È l’isola del silenzio e delle attese. Marco non ha amici. Vive la sua solitudine come un dono. Il dono fattogli dal destino che è un gran bastardo, ma lui non pare accorgersene. E il piccolo diviene grande. E cerca di fertilizzare quell’arida terra con i suoi pensieri. Lo chiamano il filosofo quando non decidono, a seconda della luna che li osserva, che sia solo uno con le rotelle non esattamente a posto. Ma la vita riserva sorprese anche in quell’isola arida dimenticata perfino dai diavoli. E le sorprese metteranno in moto meccanismi che stravolgeranno il tessuto impermeabile di quella terra.

Ho trovato questo libro per caso. Non l’avrei degnato di uno sguardo se il libraio, con la sua faccia gialla come la pagina di un vecchio libro, non mi avesse detto: "Lo devi leggere".
Era un ordine il suo. Di fronte a tale perentorietà non ho opposto resistenza alcuna. Non potevo. Onde per cui, l’ho portato a casa. Nonostante le perplessità. Non mi convinceva né il formato, decisamente grande, né il colore delle pagine, giallo come la faccia del libraio. Ma, soprattutto, aveva un odore strano simile all’odore che emana la frutta in procinto di marcire. Insomma, una sorta di libro in decomposizione. Nonostante questi non ameni particolari, appena arrivata a casa, mi è venuta la smania, quasi incontrollabile, di leggerlo. Ed è andata avanti così, per ore. Mi son dimenticata della cena, forse ho rischiato pure il divorzio per “assenza da questo mondo”, ma non riuscivo, sul serio, a staccarmi da quelle pagine. Marco, il protagonista mi catturava. L’isola descritta nel libro, è diventata, pagina dopo pagina, tangibile, fedifraga, troia e santa, formosa, chiacchierona e silenziosa. Per farla breve, ho trascorso la notte in bianco. Adesso, io non sono una tipina facilmente influenzabile, non sono di quelle che declamano “Questo libro mi ha cambiato la vita”, però, se proprio devo essere sincera questo libro ha qualcosa che non ho mai trovato in nessun altro romanzo. E credo che sia proprio uno di quei libri che possiede quella magica capacità di smuovere qualcosa dentro. E di farlo con vigore, quasi raschiando le pareti del cuore. L’autore, Massimo Menzi, è per me, un perfetto sconosciuto. Mi viene solo da chiedermi perché nessuno ne abbia mai parlato. Che fine hanno fatto i critici letterari? Perché far marcire questo libro? Perché? Non finirò mai di domandarmelo. Mai.
E’ un romanzo perfetto e, credetemi, non esagero. La trama, sviluppata su più livelli, non ha un attimo – dico un attimo – di cedimento. Ogni azione, ogni parola, ogni pensiero è incasellato al posto giusto: è un mosaico perfetto. E’ una trama divina e diabolica al tempo stesso, è il paradiso e l’inferno contemporaneamente. Ma al di là della trama che, ripeto, non presenta alcuna falla, lo stile di Menzi è, a dir poco, meraviglioso. Scrive da dio. Uno stile folgorante, quasi ammaliante, incisivo. E’ una perla. Peccato perderla. Peccato soprattutto che Menzi non sia mai esistito, peccato che Isola mia non sia mai stato scritto. Peccato, davvero.

lunedì 23 luglio 2012

Essere Out e non saperlo


Tiziano, le tre età dell'uomo
Mancano pochi giorni. Pochi giorni e sarò una quarantenne. I miei primi quarant’anni. E mi stupisco, ogni volta, di chi mi chiede: “Come ci si sente?” E mi vien da rispondere, con estrema naturalezza: “Bene”. E nella mia mente si apre un fumetto con una caterva di punti interrogativi. E mi domando se dovrei sentirmi in un modo particolare, diverso da come mi sentivo a trentacinque o a trenta. Non so, non sento niente di diverso. E mi guardo allo specchio e non vedo gli irrecuperabili segni di cedimento. Tutto al posto giusto, nessuna parte del mio corpo si è abbandonata alla malefica forza di gravità. Taglio di capelli di tendenza, esattamente come facevo a vent’anni. Smalto fucsia che miro e rimiro soddisfatta. Insomma, inconsciamente mi sento super-figa e “non invecchiabile”. Questo in linea di massima. Questo perché, forse, non tengo conto di alcuni indizi. Indizi che, credo, dovrei valutare con maggiore oculatezza. Perché sono quegli indizi che, se valutati con attenzione, dovrebbero rivelarmi che sto invecchiando. E se ci penso sono tanti. Innanzitutto, non appartengo alla categoria di giovani cresciuta con Harry Potter. Ho, mea culpa, letto solo il primo volume e, devo ammetterlo, a me quel maghettino sta pure antipatico. E credo che questa sia già una differenza fondamentale. In questa dissennata ricerca di indizi ho pure scoperto come i rapporti umani tendano a nascere in fredde caselle di posta o in rumorose bacheche facebookiane. Ma cosa ancora più sconvolgente è scoprire come siffatti rapporti mirino a consolidarsi in base al numero crescente dei “mi piace”. Ho sentito, infatti, dire a giovani persone “Mi ha messo il mi piace”. Quindi? “Quindi, significa che mostra interessa per me”. Sono proprio Out, in effetti. Tutto ciò è difficile da capire che chi, come me, è cresciuta con il mito dell’oralità e del vis-à-vis. Per chi, come me, non ha mai usato sms per discutere o per fare presunte dichiarazioni amorose. Per chi, come me, usa gli sms solo per dire “Ci vediamo alle sei” oppure “ti chiamo dopo, ora sono impegnata”. E se mi è capitato di avere il mio povero cuore distrutto non ho mai consentito a un sms di trasmettere i miei sentimenti. Al limite, scrivevo i miei deliri amorosi in pagine e pagine ora ammuffite. E dimenticate. Certo, i deliri quelli rimangono sempre immortali come sono. Inoltre: si è anziani perché, nell’anno di grazia 2012, si guardano film in bianco e nero, si fanno casini con i-phone e simili, non si sa usare la play station, si usa fb per il gusto, e solo per il gusto, del sano cazzeggio, si cancellano inavvertitamente le foto dalla memoria della fotocamera, si entra nel panico quando si devono trasferire le foto dal telefono al pc? Devo proprio essermi persa qualcosa o, forse, son proprio vecchia. D’altra generazione. Urge cambiare colore dello smalto e farsi fare messa in piega con i boccoli da sabato sera con le amiche con annessa spruzzatina di lacca Cielo Alto. Urge, sicuramente.

lunedì 25 giugno 2012

Cronaca di una presentazione con collare

Foto: Sabina Murru
Sabato 23 giugno, ore 18.00. Tutti insieme appassionatamente ci accingiamo ad uscir di casa. Tutti, dico tutti. Io, mio marito, Alice con la sua borsa, il suo passeggino, il mio collare post-trauma da tamponamento a catena e, per finire, il mio eritema ben celato dal provvidenziale collare. “Usciamo?” “Aspetta, ricapitoliamo: il latte?” “L’ho messo nella borsa”, “Il ciuccio?” “Eccolo”, “Le chiavi?” “Prese”. Bene, possiamo uscire con tutto questo carico. Ma io, intanto, penso a cosa avrò dimenticato stavolta, e sorrido pure. Non rendendomi conto, tra l'altro, come io sembri Robocop pur credendomi  Wonder Woman.
No, non stiamo partendo in vacanza nel Burundi. Ci rechiamo alla libreria Murru perché la sottoscritta deve presentare il libro “Il fattore K” di Antonello Ardu. Il tragitto è breve: Su Planu -Via San Benedetto. Strade deserte, caldo da morire. Trecento gradi a livello del collo ben fasciato dal collare modello Philadelphia. Speriamo non mi facciano le foto. Sono inguardabile. Eccoci in libreria. C’è già un po’ di gente. Un abbraccio a Sabina, quella donna è una forza della natura. Non è solo una persona meravigliosa è un pozzo, infinito, di idee. Un saluto ad Antonello tranquillo come sempre. Qualche conoscenza qua e là. Miro con immenso amore il condizionatore vorrei entrarci dentro. Sono contenta di parlare di questo libro perché mi è piaciuto. E lo scrittore è uno che ha già pubblicato un precedente romanzo, ma – chissà perché – non soffre di deliri di onnipotenza. No, Antonello è modesto, pacato, parla del suo libro senza esaltarsi. E strano a dirsi, nonostante appartenga alla categoria degli scrittori, risulta simpatico. Iniziamo. Sia benedetta Consuelo che legge alcuni brani del romanzo. Leggere mi mette nel panico, sarà forse che tutti – stranamente – mi consigliano un corso di dizione. Parliamo, analizziamo il romanzo, cercando di non dare troppe anticipazioni visto che non tutti l’hanno letto. Non rischio mai la fucilazione, se posso. L’autore risponde serenamente alle domande. Il pubblico ascolta. Alice la sento piagnucolare, so già che ha fame. Infatti, dopo qualche minuto, sparisce con il papà per gustarsi il caldo contenuto del suo biberon che, diligentemente, ho messo nella sua rosa borsa. Mi piace questo pubblico che partecipa. Noto anche i miei nemici: i fotografi. So che quelle foto le vedrò pubblicate da qualche parte, ma non mi oppongo. Non è la mia serata, ma è la serata di Antonello. Non mi preoccupo di fare brutte figure perché tutto è spontaneo in questo bellissimo evento. Molti i sorrisi. Io parlerei per ore, perché ritengo che Il fattore K sia un romanzo tremendamente complesso, ricchissimo di spunti di varia natura. Ma, a un certo punto, devo pur smettere e soffocare quella insolita logorrea che mi sta travolgendo. E concludo chiedendo al pubblico “C’è qualcuno che vuole fare domande ad Antonello?”. E il pubblico interviene con domande, con osservazioni interessanti e sensate. Bello, bello. Non posso non citare l’ultima domanda proveniente dalla signora Clara, la cui risposta è stata sommersa da una risata generale. La signora, con fare gentile, ha cortesemente domandato come mai, nei libri, le mani degli uomini fossero sempre esperte. Eh, i misteri della scrittura.
Ecco è finita la presentazione. Si prosegue con l’aperitivo offerto da Gustirari, con le chiacchiere, con i sorrisi, con Antonello che fa le dediche. Anche a me ha fatto la dedica, certo ho capito oggi cosa ci fosse scritto avendo egli una grafia contorta, ma questa è un’altra storia.

mercoledì 20 giugno 2012

Facebook rimembri ancora…

Il facebookiano lungo parlare dell’esame di maturità ha ingenerato un insano meccanismo. Ha fatto sì che la mia memoria – dannata memoria – ritornasse, senza pagare il biglietto, a quel lontano, lontanissimo giorno nel quale io, giovane dai lunghissimi capelli, mi accingevo a scrivere un lungo tema sul mio amato Leopardi. E ricordo, non senza sorridere, la gioia – immensa e incontenibile – nel leggere quella traccia che, stranamente, sembrava essere stata scritta proprio per me. “Contratto con traccia in esclusiva” direbbero i miei sapienti e dotti colleghi. E ricordo il panico. E ricordo la puzza insopportabile delle decine di sigarette che ossessivamente fumai. E ricordo la soddisfazione dopo aver scritto quel tema. Ma ciò che ricordo, in particolare, è il profumo dei sogni che, gelosamente, stringevo tra le mani onde evitare che qualcuno, anche solo inavvertitamente, li potesse sfiorare. O sporcare. O rubare. Non sapevo, allora, che i sogni sono come la polvere: volano via anche se tu, imperterrita, continui a stringere i pugni. Ed era bellissimo non saperlo. No, non ho la vena nostalgica quest’oggi. E’ solo che è stato inevitabile prendere atto del fatto che dal quel famoso giorno son passati tanti – e tanti e tanti – giorni e, a un certo punto, mi è pure sorto il dubbio che io e Leopardi fossimo nati nello stesso anno.  

Amaro e noia 
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo 
T'acqueta omai. 
Dispera L'ultima volta.
Al gener nostro il fato 
Non donò che il morire. 
Omai disprezza Te, la natura, il brutto 
Poter che, ascoso, a comun danno impera 
E l'infinita vanità del tutto
(Da A se stesso, Leopardi)

venerdì 11 maggio 2012

Riflettendo


Prima di scrivere qualcosa in questa pagina bianca ho bisogno di pensare. Primo perché, in questo momento, non saprei bene cosa scrivere. Secondo, non so di preciso perché ho creato questo blog. Ma sono milioni le cose che faccio senza che nessuno - e dico nessuno - mi comunichi la ragione per le quali le ho fatte. E' un mistero irrisolvibile, ma questa è un'altra storia. Detto questo, aggiungo molto Oharamente "Domani è un altro giorno" onde per cui, mi affido al domani per farmi venire qualche idea. Di solito sono sempre e fastidiosamente incazzata e questo dal punto di vista di un blog è positivo o meglio è redditizio: più sono incazzata più scrivo. Evidentemente, nonostante l'apparenza, oggi non sono sufficientemente incazzata. Ho il blocco dello scrittore senza essere scrittore. Aggiungerei per fortuna, mi riferisco al non essere scrittore, ovviamente. Ho pensato di fare la ballerina, di fondare una casa editrice, di aprire un ristorante, ma non ho mai pensato o sognato di diventare scrittrice. Oggi, però, ho deciso di diventare blogger. L'idea mi piace. Credo, almeno. Possibile che domani questo blog non esista più. Possibile che domani ci siano tre post di 5000 caratteri ciascuno. Possibile che scriva una poesia con rima abbracciata e non baciata. Possibile. Sono la regina del possile che passando per il probabile diviene, poi, impossibile. Nuit.