mercoledì 20 febbraio 2013

IL LIBRO DI SABBIA - Jorge Luis Borges. Vertiginando

Titolo: Il libro di sabbia
Autore: Jorge Luis Borges
Editore: Adelphi
Anno: 2010
Genere: Racconti
Pagine: 172
Traduzione: Ilide Carmignani

"Sei proprio sicuro di stare per morire?".
"Sì" rispose. "Sento una specie di dolcezza e di sollievo che non avevo mai provato. Non so come spiegarti. Tutte le parole richiedono un'esperienza condivisa. Perché sembri così irritato da quello che ti dico?". "Perché ci somigliamo troppo. Detesto la tua faccia che sembra la mia caricatura, detesto la tua voce, che fa il verso alla mia, detesto la tua sintassi patetica, che è la mia".
"Anche io" ribattè lui. "Per questo ho deciso di suicidarmi".

Con autori del calibro di Borges capita di avere uno strano timore reverenziale nel momento in cui ci si accinge a recensirlo. Perché le recensioni son fatte di parole e ho un brutto rapporto con esse quando mi paiono insufficienti, quasi inadatte, a parlare di autori di tale mole che paiono non stare comodamente entro i ristretti confini di una recensione.  Il libro di sabbia è una raccolta di racconti con la quale lo scrittore argentino ci catapulta, in universi nuovi, contorti e vertiginosi. Lasciate ogni linearità O voi che leggete. Sono racconti che non si limitano ad esser letti, ma che ci fanno precipitare, senza paracadute in architetture fantastiche impeccabili. Sono presenti i temi cari a Borges: l'infinito, gli specchi, le tigri. E un ruolo di primo piano è occupato dal tema del doppio. Nel primo racconto, che apre la raccolta, un Borges anziano incontra, in una panchina, un Borges ventenne. È proprio lì, in quell'atmosfera intrisa di una densa nebbia, quasi tangibile, che il piano del reale si fonde e si confonde con quello onirico. Il tema del doppio - non è un caso il richiamo a Il sosia di Dostoevskij - regala quasi un senso di smarrimento facendo venir meno quella presunta onnipotenza - tutta umana - che deriva dalla convinzione di crederci unici, inimitabili, ineguagliabili. Si sacrifica l'individualismo in nome di un sogno, che forse, però, non è un sogno. O forse sì. Altro tema affrontato è quello dell'infinito - nel racconto che dà il titolo alla raccolta e nel bellissimo racconto "Tigri blu" - che riesce a produrre, nel lettore, un senso profondo di angoscia riuscendo a farlo entrare in un vortice senza uscita. Siamo così abituati a schematizzare tutto, siamo abituati alla sequenza inizio-svolgimento-fine che tutto ciò che è infinito e, allo stesso tempo, inspiegabile razionalmente è in grado di turbarci, di farci smarrire. Non mancano, al solito, i riferimenti filosofici, le citazioni dotte senza alcuna pedanteria, sia chiaro. Insomma, in qualche modo, si ritrovano le stesse atmosfere de l'Aleph anche se meno geometricamente costruite.


Altri libri:
Finzioni, Jorge Luis Borges
L'inquilino del terzo piano, Roland Topor
Testi prigionieri, Jorge Luis Borges


martedì 8 gennaio 2013

Cronache di letture Proustiane I

Marcel Proust
Era il 25 di Luglio. Era il mio compleanno, 25 anni (più 15). Un caldo terribile, terribile e insopportabile quasi quanto il mio eritema. E Proust, dico Marcel, arrivò. Arrivò nel suo cofanetto nero. Emozione, tanta. Marito dagli occhi verdi non sbaglia mai un regalo. Mai. Rimase il problema del "quando": quando iniziare a leggere quegli otto volumi che, da un lato,, affascinavano e, dall'altro, impaurivano? Domanda difficile. Passarono i giorni e, poi, i mesi. Proust se ne stava lì, silente, nella sua mensolina a guardarmi. Non mi chiamava, mi guardava e basta. Attendeva, con me, che quei giorni passassero. I giorni scivolarono piano piano, tatuandomi la triste consapevolezza di quanto la vita riservi sempre delle sorprese -brutte, molto spesso-, di quanto la vita possa essere bastarda, di quanta forza sia necessaria per superare ostacoli che, a volte, sembrano insormontabili. Ma la vita è anche altro: il sorriso di mia figlia, marito dagli occhi verdi, famiglia. Amore, tanto amore. Sono risorta, ancora una volta seppur non il terzo giorno.
Arrivò Dicembre, l'inverno sembrava avere ancora un certo timore reverenziale a palesarsi, Proust continuava a farsi i fatti suoi nel suo nero cofanetto. Sempre in silenzio. Immobile. Intanto, iniziai a respirare. E a sorridere. Arrivò Gennaio e presi in mano quel cofanetto. Estrassi il primo volume 'Dalla parte di Swann' e cantai le prime parole dell'incipit " A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: "Mi addormento". E, mezz'ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava". Ecco, quasi senza che me ne accorgessi sono entrata nella Recherche. Proust ha iniziato a parlarmi. Non tace più.

venerdì 4 gennaio 2013

POLVERE DI SILENZI - Giovanni Sicuranza. Righe strette

Titolo: Polvere di Silenzi
Autore: Giovanni Sicuranza
Editore: Ilmiolibro.it
Anno: 2012
Pagine: 174


"-Ho capito, bruciamo tutti i suoi libri!
- Altra pubblicità. Lo sento già ardere vendetta, quello scrittorucolo.
- Ah, ma dunque? Mi sono stancato di ignorarlo. Non serve, anzi, sembra trarne maggiore determinazione per tornare con quei raccontini insipidi.
- Sai cosa.
- Cosa?
- Penso.
- Cosa?
- Come fargli capire quanto nulla vale.
- Come?
- Lo esiliamo in un suo libro. Lo costringiamo a vivere tra le sue scempiaggini. Tra i suoi dialoghi, le sue idiote trame."





Tutto può capitare. Può capitare che uno scrittore sia condannato ad una fine quantomeno bizzarra per aver commesso un reato gravissimo: scrivere un libro. Può capitare che, come punizione per la sua boria, sia condannato all’esilio. No, non in una Sant’Elena di memoria napoleonica, ma esiliato nel suo stesso libro. Incastrato, nel vero senso della parola, tra le sue stesse righe. A stretto contatto con i suoi personaggi nelle sue grigie ambientazioni.  La sentenza di condanna è pronunciata dai malefici recensorum, l’élite dei lettori che non concedono all’autore grazia alcuna. E tra quelle righe, tra quei racconti di suo pugno redatti lo scrittore, stritolato dalle lettere che lasciano poco spazio anche per respirare, si rivolge al lettore implorandolo di continuare a leggere posto che una chiusura repentina del libro potrebbe causare la sua morte. Per la gioia dei saccenti recensorum.
‘Polvere di silenzi’  è il terzo romanzo di Giovanni Sicuranza che mi trovo a leggere e, esattamente come la prima volta, ho provato quella strana sensazione: un misto di sorpresa e di incanto. Capita, se a scrivere è Sicuranza, niente è come lo si immaginava. Polvere di silenzi non può, assolutamente, essere definito come una  semplice raccolta di racconti, sarebbe riduttivo e significherebbe non tener conto del fatto che i racconti son costruiti ad incastro in modo impeccabile tanto da poter definire l’opera un vero e proprio romanzo che solo una mente creativa e fantasiosa poteva creare. E in questo romanzo ascoltiamo più voci che si mescolano in un quadro atrocemente  surreale nel quale domina, nel bene e nel male, la figura dello scrittore esiliato. Ma al di là del surreale, delle morti grottescamente descritte, al di là di uno scrittore incastrato tra le sue stesse righe io credo che vi sia tanta verità in questo romanzo. Precisamente, quella realtà, difficile certo, degli scrittori emergenti, degli ‘sconosciuti’ che, pur avendo ottime capacità, devono combattere con logiche di mercato atroci che, spesso, premiano autori non meritevoli ma solo ‘vendibili’. È come se non vi fosse spazio per chi non è stato osannato dal recensorum di turno. Sicuranza è un autore che ha padronanza della scrittura, ho già letto con gusto i suoi due precedenti romanzi – ‘Storia da città di solitudine e dal km 26’ e ‘Ritorno a Città di Solitudine’ – nei quali la morte è protagonista, gli aspetti cimiteriali e gotici dominano in un sottofondo nel quale il sole non pare mai splendere tutto essendo confinato in una rete di tristezza e malinconia che si incolla  addosso. La scrittura di Sicuranza è ammaliante riuscendo egli a catturare l’attenzione del lettore – non recensorum – senza mai fargli perdere l’attenzione. C’è sempre la voglia di voltare la pagina per vedere come sarà la successiva e chiedersi, ogni volta, “ma dove arriverà ‘sto Sicuranza?”, pur con la consapevolezza che dietro quella pagina non ci sarà mai una passeggiata mano nella mano o una cena a lume di candela, ma solo temi macabri dall’odor di morte trattati con ironia e intelligenza. Molta intelligenza. 

venerdì 21 dicembre 2012

Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
 
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
 
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
 
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
 
Sto
con le quattro
capriole di fumo
del focolare
(Giuseppe Ungaretti)

lunedì 1 ottobre 2012

NONSOLODUE - Claudia De Lillo

Sono una mamma non sono una santa

Titolo: Nonsolodue
Autore: Claudia De Lillo
Editore: TEA
Anno: 2010
Pagine: 324
Genere: Maternità





Già quando ti ritrovi con il pancione e sembri una mongolfiera, quando hai le caviglie gonfissime e non puoi legarti i lacci delle scarpe, quando fai due passi e hai l'affanno, tutti - e dico tutti - divengono dispensatori di consigli letterari, tutti ti consigliano probabili e improbabili letture al precipuo scopo di 'Aiutarti - poverina - in questo lungo percorso'  per renderti comprensibile il misterioso e 'Difficile ruolo della maternità'. Certo qualcuno ha pensato 'Questa qui si mette a fare una figlia e non ne capisce una mazza di figli, di allattamento, della fondamentale e vitale differenza tra i pannolini dry e i pannolini non-dry'. Giusto, non ne sapevo niente. Non ne avevo mai saputo nulla di bambini, io. Non avevo mai cambiato un pannolino.
Ma ho ricevuto con grande piacere tutti i libri che mi son stati regalati, perfino quello di Fabio Volo che con la maternità non c'entra nulla visto che mi è parso più un pornazzo che un romanzo distensivo, ma 'Ti farà sorridere e ti rilasserà' così almeno mi dissero. Mi sa che non ha prodotto l'effetto auspicato. Ecco, quando hai quel pancione lì e sei stanca morta, decidi di lavorare fino al giorno prima del parto, continui a guidare incastrata in una Fiat seicento, non hai la minima intenzione di leggere. Non ne hai proprio voglia. Hai voglia solo di dormire e di sognare il viso della creatura che cresce dentro di te. E hai un pensiero dominante: che sia sana. Tutto lì. Ora che la bimba ha dieci mesi, ti ritrovi con tutti questi manuali sull'essere mamma. Ci sono quelli che ti consigliano atteggiamenti da generale nazista (Compra anche tu una frusta per far dormire il tuo bimbo) e quelli che ti consigliano atteggiamenti da mamma 'moderna' che, poi, non capisci mai cosa significhi esattamente. Di tutto un po'. Ma 'Nonsolodue' è un'altra cosa. E' una risata continua. E' il racconto dell'Elasti-mamma, più vera che mai, che non idealizza il ruolo della maternità, che non pone la figura della mamma in un santuario, che non eleva la genitrice a martire.  No, è semplicemente un frammento di vita vera: mamma che lavora, con due hobbit e un microhobbit che, pian piano, cresce nella  pancia. E' una storia di corse, di affanni, di mariti part-time, di capelli a carciofo e di mancanza di tempo per potersi permettere una normale crema idratante, di depilazioni rimandate all'infinito. Il libro raccoglie gli articoli spumeggianti che la De Lillo ha pubblicato nel suo blog più altri inediti ed è un continuo ironizzare con acutezza sulle difficoltà che una madre che lavora incontra ogni giorno. Un libro scritto con grande intelligenza. E, alla fine, è tutto una conferma di ciò che hai sempre pensato: la maternità non è un'esperienza, non è un percorso di crescita o menate varie, no la maternità è un lungo, infinito, incommensurabile atto d'amore. E' l'amore, quello puro che fugge a qualsiasi regola preconfezionata.

Non posso che ringraziare Fabiana che mi ha regalato questo libro, non posso che ringraziarla per la bellissima dedica apposta nella prima pagina, non posso che ringraziarla perché lei ha visto cos'è la maternità per me: vita che ti riempie l'anima.


Altri libri:
Aiuto! Sono diventata mamma!, Loredana Ronco
La cicala dell'ottavo giorno, Mitsuyo Kakuta
Quello che è successo a Joana, Valério Romão

giovedì 20 settembre 2012

FIORI CIECHI - Maria Antonietta Pinna. Il fiore, il cattivo e il cattivo

Titolo: Fiori ciechi
Autore: Maria Antonietta Pinna
Editore: Annulli
Anno: 2012

Silenzio. Inizia la storia. Come ogni notte, l'adorabile Nonno Petalo racconta alla piccola Corolla la storia della nascita di Florandia. Florandia abitata da fiori e nata dalla fine del mondo: Gaia, la terra, è soddisfatta dopo aver annientato la malefica razza umana. E nascono i garofani a popolare questo nuovo mondo. E mentre, silenziosamente, ascoltiamo questo racconto che ha il dolce sapore di una favola ci rendiamo conto, un po' stupiti, del fatto che siamo all'interno di una rappresentazione teatrale. Già perché questa è la storia scritta da Tibbs. E Tibbs, guarda caso, è accompagnato dalla sua Ombra.  I quali, per meccanismi sospesi tra realtà e fantasia, tra veglia e sogno, faranno un viaggio all'interno di Florandia che, così, diviene tangibile. Forse...E se non bastasse, potrete sempre leggere, all'interno di una bottiglia smarrita nel mare, l'inquieta vicenda del 'probobacter' batterio mostro che distrugge tutto in un delirio di onnipotenza tutta e solo umana.

Fiori ciechi è primo romanzo della scrittrice Sassarese, già conosciuta per il volume Dalle galee al bagno al carcere, per i racconti pubblicati in varie riviste e per la continua collaborazione in varie testate. Fiori ciechi contiene due racconti, Fiori ciechi, appunto, e I probobacter, i quali, al di là della trama apparente collocata in mondi che paiono fuori dal mondo, ci mostrano una realtà finanche troppo attuale.
È un romanzo ricco, dalla costruzione architettonica complessa che offre una lettura su più livelli.
È un continuo intrecciarsi, di favola e realtà, di sogni confinanti con gli incubi, di metateatralità, di ambientazioni surreali che, in sottofondo, mostrano la cruda realtà. Predominano in esso i simboli e temi di natura filosofica. Il tema del doppio, dello spossessamento, il tema dell'Idea che tutti, bene o male, perseguiamo. Maledetta idea che lacera gli animi, che, talora annichilisce e, talora, arricchisce. Con uno stile molto incisivo e scevro di orpelli che, in alcuni passi, è addirittura feroce, la Pinna ci offre un quadro colorato dalle evanescenti tinte della malinconia olezzanti di presagi di morte,  intervallato da un senso onnipresente di vertigine a cui si accompagna un metaforico urlo quando, leggendo le sue parole, si precipita in un baratro che pare senza speranza. Ci si può smarrire in queste pagine dal forte sapore surreale, ma pur sempre vere. Anche troppo.

venerdì 14 settembre 2012

SCONCLUSIONI - Paolo Pappatà. La 194 dei sogni

Titolo: Sconclusioni. Insofferenze di inizio secolo.
Autore: Paolo Pappatà
Editore: Lulù.com
Anno: 2009

Premessa: Sconclusioni è un libro che ho amato. Per le impronte di  malinconia che lascia impresse, per i sogni spezzati, per le parole leggere e pesanti allo stesso tempo. E' un libro che ho letto, riletto, commentato più volte, l'ho pure presentato vista l'amicizia che è nata con l'autore (oltre che per il fatto che io sia terribilmente simpatica, ovviamente). Ripropongo la recensione che ne feci "a caldo", scritta davvero di pancia e di cuore da una impenitente sconclusionata.




Capita raramente, ma a volte capita … Eh, si! Bello finire un libro ed esclamare (perché io parlo da sola, ovviamente): “Mi è proprio piaciuto!”.
Sono una incontentabile, tralasciando i grandi autori del passato (lode a loro) quando mi trovo di fronte ad autori contemporanei tendo a storcere convulsamente il naso. Trovo in loro, puntualmente, qualcosa che mi impedisce di conservarli nel reparto dei bei ricordi e di riporli nel reparto “delusioni”. Colleziono reparti, io.
Con Sconclusioni, invece, è stato diverso: il mio viso non si è contratto in smorfie di disgusto e/o delusione e/o nausea e/o dolore. Anzi… E’ quell’”anzi” che fa la differenza per me, differenza fondamentale.
Sconclusioni è una raccolta di racconti, scritti in tempi diversi, nei quali l’autore crea storie, forgia piccoli universi legati da un delicato filo conduttore che porta a definire Sconclusioni un Romanzo (un Romanzo "tout court" direbbero in altre sedi).
I Protagonisti che popolano questi universi sono giovani, giovani comuni, un po’ sconclusionati, un po’ insofferenti.
Non sono i giovani che sognano di appollaiarsi nel trono dorato di Maria de Filippi o di fare le veline-letterine-letterini-numeretti (ecc..ecc.) in qualche programma televisivo. Sono giovani di un’altra generazione. Giovani e insofferenti di fine secolo, per l’appunto. Ragazzi che sognano e, a quanto pare, lo fanno pure spesso. Sognano piccole e grandi ribellioni, sognano di denudarsi in un parco, fumandosi tranquillamente una sigaretta, organizzano, senza mai realizzarle, rivoluzioni anarcoidi. Nel loro cassetto di sogni di libertà abortiti hanno riposto ben 18 (!!) progetti di rivoluzioni pseudo-anarchiche che, per un motivo o per un altro, son sfumati. Ma non basta. Vogliono esagerare e sospingersi fino a rubare la luna (furto o appropriazione indebita? ai giudici la giusta qualificazione giuridica), regalandoci così, alla fine del libro, una sorta di speranza.
Gianni e i suoi amici, vivono quasi sospesi in un mondo in cui tutto scorre, trasportandosi un fardello di inquietudine, o meglio di malinconitudine.
Camminano barcollanti per le livide vie della loro città avendo, spesso, la fastidiosa consapevolezza di essere immobili tendendo le mani verso qualcosa di non ben definito (forse perché quel qualcosa è privo di registrazione negli annali dell’ufficio anagrafe: un senza nome) che non riescono mai ad afferrare. E sentono, continuamente, di essere inseguiti forse dallo scorrere del tempo forse da quelle visioni oniriche incapaci di tramutarsi in tangibili realtà.
Forse.
Forse entrambe le cose o forse nessuna della due.
Tutto è un forse.
Appaiono spesso, in questo romanzo, profili di uomini e donne che, affacciati finestre, mirano e rimirano la cementificata Suburbia Sud.
Una città ai margini, limbale, con le sue case tutte uguali, con i muri gialli opachi decorati dalla muffa e impreziosite da ringhiere arrugginite e accompagnata dal musicale rumore del silenzio. Suburbia Sud appartiene un po’ a tutti noi. E’ come se tutti, avessimo stipulato un contratto di locazione per viverci. Tutti, in un modo o in un altro, siamo i suoi inquilini, con o senza equo canone.
Suburbia Sud ci elargisce una realtà grigia, sfumata, caliginosa, è una città immobile i cui confini non sono ben marcati, è come se rispecchiasse i pensieri anch’essi, quasi sempre, sfumati (i miei lo son sempre sfumati). E Suburbia si trasforma da entità meramente geografica a un vero e proprio luogo della mente. E’ una città, come dice Paolo, senza un briciolo di prosa né un briciolo di poesia, dove il tempo scorre, il passato non passa e il presente si assenta. E nella quale si dipanano storie, piccole storie, di amori che, spesso finiscono, di amicizia, di partite sempre perse di biliardo accompagnate da sorsate di birra. Il tutto impregnato dal velo della malinconitudine.
Non manca l’amore, anzi l’ammmore e con esso l’abbandono.
Abbandono che, nel racconto “L’amo l’esca e di altro sul pescare”, risulta scandito, nella mente di Sandro, dallo stillicidio del cronometrico conteggio dei giorni, dei mesi, delle ore, dei minuti e dei secondi che lo tengono lontano dalla sua Clara. Clara si eleva e si trasfigura in Amore. Quell’amore che sembrava una storia importante, quell’amore finito con un bacio lanciato in aria e con una porta che si chiude alle spalle definitivamente. Perché tutto può finire, è cosa risaputa, e di fatto tutto finisce, compreso l’amore (perché l’amore dovrebbe sottrarsi a questa ferrea regola?). C’è in questo, una sorta di passiva accettazione da parte di Sandro, una mancanza di lotta, perché egli sa. Sa che tutto è effimero. Fine di una storia che, però, non impedisce a Clara di ricomparire e di insinuarsi (come una serpe? ma anche no) nella vita di Sandro sotto forma di pensiero e, anche più, di monito, per guidare, commentare le azioni di Sandro.
Clara diviene una sorta di guida, un mentore che conduce, detta regole pur essendo assente. Le donne di Sconclusioni sono forti, volitive, decise, un po’ ciniche hanno la capacità di trasportare e trascinare questi uomini “al di là” (nel pieno rispetto dell'etimo del termine trasportare) addirittura oltre il mondo.
Sono donne che, come Jey Blonde, sorridono senza mai sorridere o che non sorridono mai come Alice. Sono crude ma anche insostituibili. Hanno la capacità di condurre per mano gli uomini, di inalare soffi vitali, di rimettere in vita chi non aveva ancora capito o scordato di vivere e… di abbandonarli lanciando nell’aria un addio sotto sembianze di bacio.
Lo stile di Pappatà è essenziale, incisivo, minimalista. L’uso non usuale della punteggiatura rende la sua scrittura vitale e vivace. Mai prolisso, mai noioso piccole frasi che spesso, comunque le si denomini, hanno la stessa forza di un verso di una poesia: rimangono impressi nella memoria e nel cuore. Ha la straordinaria capacità di giocare con le parole, un vero e proprio giocoliere che, abilmente, le fa roteare, rimbalzare, girare e le interrompe bruscamente non per creare strappi, ma per spiegare concetti, silenzi emozioni. Spiegare concetti può essere semplice, spiegare il silenzio richiede capacità ben diverse dall’abile uso della tastiera. E’ un abile enigmista che si prodiga nella difficile tecnica della sciarada generando neologismi, pensiamo a malinconitudine e a casalinghidutine. E in un mondo forse troppo chiassoso, in cui tutti urlano per farsi sentire, in un mondo dominato dalla perdente regola del “Chi più parla, più vince” (ma vince cosa?) Pappatà sceglie una via alternativa, nuova: quella di comunicare, raccontare, manifestare con poche parole. Poche, ma giuste! Una pura questione di scelta. Ma scelta oculata e raffinata (la classe non è acqua, cit.). E’ importante, credo, non solo conoscerle le parole ma SAPERLE SCEGLIERE.
E lo fa lasciando un biglietto d’addio (ancora non trovato, ma vi assicuro che esiste) a quelle sovrabbondanze terminologiche e concettuali che son reputate, erroneamente e illusoriamente, indice di competenza e bravura (?!) ma che, in realtà, nascondono solo una mera attività di consultazione fatta di scorse forsennate a buoni dizionari dei sinonimi e dei contrari.