Inno all'oralità
Titolo: Le parole del giglio
Autore: Oscar Wilde
Editore: Verbavolant
Anno: 2010
Genere: Racconti
Pagine: 179
Traduzione: Maria Teresa Monteforte
Un giovane, appassionato di matematica, inventa un modello di poltrona
pieghevole in grado di offrire comodità occupando pochissimo spazio. Un giorno,
si trova a dover presentare, grazie all’intermediazione di un suo caro amico,
la sua prodigiosa invenzione a un gruppo di milionari che inizialmente
rimangono sbalorditi dall’invenzione. Ma sarà proprio l’amore per i calcoli del
giovane studioso a determinare l’insuccesso della sua creazione… Un uomo nel
cui corpo arde l’anima di Narciso, del dottor Faust e di Don Giovanni dopo aver
letto, sognato e vissuto tutto, inizia a provare gioia solo nel giocare con le
parole, riuscendo, così, ad incantare e a divertire i suoi spettatori, fino a
che, ahimè, non è costretto ad iscriversi tra i Quaranta Immortali… Un talentuoso
scultore si innamora perdutamente di una donna vecchia e brutta che lo tradisce
con un musicista cieco. Sarà la scoperta del tradimento a far aprire gli occhi
al nostro scultore... Brutta cosa nascere da una madre irlandese e da un padre
inglese, soprattutto quando non si riesce a stabilire un corretto equilibrio
tra le due parti e si finisce rinchiusi in una fredda stanza di un manicomio…
Joe è un povero diavolo che vive di espedienti. Un giorno, essendo rimasto con
le tasche vuote invita il suo caro e incredulo amico Tom nel ristorante più
lussuoso di Londra per consumare una cena a base di ostriche. I soldi non
costituiranno alcun problema se mangeranno tante ostriche fino a che non
troveranno una perla con la quale pagare il conto. Ma le cose non vanno
esattamente come Joe sperava…
Le parole
del giglio è una raccolta di racconti, finora inediti, che risalgono agli anni tra
il 1891 e il 1899, periodo nel quale Wilde soggiornò in Francia e che si sono
conservati grazie alla trasmissione degli stessi da parte di Gide, Lorrain e
altri amici dello scrittore. L’edizione Verbavolant - curata da Gianni Di Noto
Ascenzo - ci offre anche, accanto alla versione in lingua italiana, anche
quella originale in francese per assaporare meglio le parole con le quali Wilde
incantava i suoi uditori senza farci fuorviare dai limiti, innegabili e
immancabili, di ogni traduzione - per quanto curata. È così possibile
apprezzare anche le imprecisioni e i refusi originali di Wilde, che pur amando
la lingua d’Oltralpe e parlandola correntemente non era certo un madrelingua.
Sono racconti simili a fiabe, con una morale sottesa, e chi ha già apprezzato
le storie de Il principe felice e di Una casa di melograni qui
potrà trovare le medesime atmosfere e lo stesso spirito distante, se vogliamo,
dal freddo cinismo della sua opera più famosa, Il ritratto di Dorian Gray.
Emerge chiaramente la voglia di raccontare e di conquistare dell’autore, la sua
innata predisposizione alla conversazione e al racconto che ha sempre
contraddistinto questo dandy eccentrico, amato, invidiato e al tempo stesso
biasimato. Non è un caso che per Wilde la parola – orale, non scritta - fosse
l’essenza stessa dell’esistenza, egli stesso affermò come per lui fosse
impossibile non pensare in racconto, come per lo scultore è impossibile non
pensare in marmo. Ed è una fortuna come le sue parole, che potevano perdersi
nel corso degli anni, siano state conservate da chi, attentamente, lo
ascoltava.
Recensione già pubblicata su Mangialibri
Vedi anche:
Alcuni casi stupefacenti tra cui un gufo rotto, Davide Predosin
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