giovedì 20 settembre 2012

FIORI CIECHI - Maria Antonietta Pinna. Il fiore, il cattivo e il cattivo

Titolo: Fiori ciechi
Autore: Maria Antonietta Pinna
Editore: Annulli
Anno: 2012

Silenzio. Inizia la storia. Come ogni notte, l'adorabile Nonno Petalo racconta alla piccola Corolla la storia della nascita di Florandia. Florandia abitata da fiori e nata dalla fine del mondo: Gaia, la terra, è soddisfatta dopo aver annientato la malefica razza umana. E nascono i garofani a popolare questo nuovo mondo. E mentre, silenziosamente, ascoltiamo questo racconto che ha il dolce sapore di una favola ci rendiamo conto, un po' stupiti, del fatto che siamo all'interno di una rappresentazione teatrale. Già perché questa è la storia scritta da Tibbs. E Tibbs, guarda caso, è accompagnato dalla sua Ombra.  I quali, per meccanismi sospesi tra realtà e fantasia, tra veglia e sogno, faranno un viaggio all'interno di Florandia che, così, diviene tangibile. Forse...E se non bastasse, potrete sempre leggere, all'interno di una bottiglia smarrita nel mare, l'inquieta vicenda del 'probobacter' batterio mostro che distrugge tutto in un delirio di onnipotenza tutta e solo umana.

Fiori ciechi è primo romanzo della scrittrice Sassarese, già conosciuta per il volume Dalle galee al bagno al carcere, per i racconti pubblicati in varie riviste e per la continua collaborazione in varie testate. Fiori ciechi contiene due racconti, Fiori ciechi, appunto, e I probobacter, i quali, al di là della trama apparente collocata in mondi che paiono fuori dal mondo, ci mostrano una realtà finanche troppo attuale.
È un romanzo ricco, dalla costruzione architettonica complessa che offre una lettura su più livelli.
È un continuo intrecciarsi, di favola e realtà, di sogni confinanti con gli incubi, di metateatralità, di ambientazioni surreali che, in sottofondo, mostrano la cruda realtà. Predominano in esso i simboli e temi di natura filosofica. Il tema del doppio, dello spossessamento, il tema dell'Idea che tutti, bene o male, perseguiamo. Maledetta idea che lacera gli animi, che, talora annichilisce e, talora, arricchisce. Con uno stile molto incisivo e scevro di orpelli che, in alcuni passi, è addirittura feroce, la Pinna ci offre un quadro colorato dalle evanescenti tinte della malinconia olezzanti di presagi di morte,  intervallato da un senso onnipresente di vertigine a cui si accompagna un metaforico urlo quando, leggendo le sue parole, si precipita in un baratro che pare senza speranza. Ci si può smarrire in queste pagine dal forte sapore surreale, ma pur sempre vere. Anche troppo.

venerdì 14 settembre 2012

SCONCLUSIONI - Paolo Pappatà. La 194 dei sogni

Titolo: Sconclusioni. Insofferenze di inizio secolo.
Autore: Paolo Pappatà
Editore: Lulù.com
Anno: 2009

Premessa: Sconclusioni è un libro che ho amato. Per le impronte di  malinconia che lascia impresse, per i sogni spezzati, per le parole leggere e pesanti allo stesso tempo. E' un libro che ho letto, riletto, commentato più volte, l'ho pure presentato vista l'amicizia che è nata con l'autore (oltre che per il fatto che io sia terribilmente simpatica, ovviamente). Ripropongo la recensione che ne feci "a caldo", scritta davvero di pancia e di cuore da una impenitente sconclusionata.




Capita raramente, ma a volte capita … Eh, si! Bello finire un libro ed esclamare (perché io parlo da sola, ovviamente): “Mi è proprio piaciuto!”.
Sono una incontentabile, tralasciando i grandi autori del passato (lode a loro) quando mi trovo di fronte ad autori contemporanei tendo a storcere convulsamente il naso. Trovo in loro, puntualmente, qualcosa che mi impedisce di conservarli nel reparto dei bei ricordi e di riporli nel reparto “delusioni”. Colleziono reparti, io.
Con Sconclusioni, invece, è stato diverso: il mio viso non si è contratto in smorfie di disgusto e/o delusione e/o nausea e/o dolore. Anzi… E’ quell’”anzi” che fa la differenza per me, differenza fondamentale.
Sconclusioni è una raccolta di racconti, scritti in tempi diversi, nei quali l’autore crea storie, forgia piccoli universi legati da un delicato filo conduttore che porta a definire Sconclusioni un Romanzo (un Romanzo "tout court" direbbero in altre sedi).
I Protagonisti che popolano questi universi sono giovani, giovani comuni, un po’ sconclusionati, un po’ insofferenti.
Non sono i giovani che sognano di appollaiarsi nel trono dorato di Maria de Filippi o di fare le veline-letterine-letterini-numeretti (ecc..ecc.) in qualche programma televisivo. Sono giovani di un’altra generazione. Giovani e insofferenti di fine secolo, per l’appunto. Ragazzi che sognano e, a quanto pare, lo fanno pure spesso. Sognano piccole e grandi ribellioni, sognano di denudarsi in un parco, fumandosi tranquillamente una sigaretta, organizzano, senza mai realizzarle, rivoluzioni anarcoidi. Nel loro cassetto di sogni di libertà abortiti hanno riposto ben 18 (!!) progetti di rivoluzioni pseudo-anarchiche che, per un motivo o per un altro, son sfumati. Ma non basta. Vogliono esagerare e sospingersi fino a rubare la luna (furto o appropriazione indebita? ai giudici la giusta qualificazione giuridica), regalandoci così, alla fine del libro, una sorta di speranza.
Gianni e i suoi amici, vivono quasi sospesi in un mondo in cui tutto scorre, trasportandosi un fardello di inquietudine, o meglio di malinconitudine.
Camminano barcollanti per le livide vie della loro città avendo, spesso, la fastidiosa consapevolezza di essere immobili tendendo le mani verso qualcosa di non ben definito (forse perché quel qualcosa è privo di registrazione negli annali dell’ufficio anagrafe: un senza nome) che non riescono mai ad afferrare. E sentono, continuamente, di essere inseguiti forse dallo scorrere del tempo forse da quelle visioni oniriche incapaci di tramutarsi in tangibili realtà.
Forse.
Forse entrambe le cose o forse nessuna della due.
Tutto è un forse.
Appaiono spesso, in questo romanzo, profili di uomini e donne che, affacciati finestre, mirano e rimirano la cementificata Suburbia Sud.
Una città ai margini, limbale, con le sue case tutte uguali, con i muri gialli opachi decorati dalla muffa e impreziosite da ringhiere arrugginite e accompagnata dal musicale rumore del silenzio. Suburbia Sud appartiene un po’ a tutti noi. E’ come se tutti, avessimo stipulato un contratto di locazione per viverci. Tutti, in un modo o in un altro, siamo i suoi inquilini, con o senza equo canone.
Suburbia Sud ci elargisce una realtà grigia, sfumata, caliginosa, è una città immobile i cui confini non sono ben marcati, è come se rispecchiasse i pensieri anch’essi, quasi sempre, sfumati (i miei lo son sempre sfumati). E Suburbia si trasforma da entità meramente geografica a un vero e proprio luogo della mente. E’ una città, come dice Paolo, senza un briciolo di prosa né un briciolo di poesia, dove il tempo scorre, il passato non passa e il presente si assenta. E nella quale si dipanano storie, piccole storie, di amori che, spesso finiscono, di amicizia, di partite sempre perse di biliardo accompagnate da sorsate di birra. Il tutto impregnato dal velo della malinconitudine.
Non manca l’amore, anzi l’ammmore e con esso l’abbandono.
Abbandono che, nel racconto “L’amo l’esca e di altro sul pescare”, risulta scandito, nella mente di Sandro, dallo stillicidio del cronometrico conteggio dei giorni, dei mesi, delle ore, dei minuti e dei secondi che lo tengono lontano dalla sua Clara. Clara si eleva e si trasfigura in Amore. Quell’amore che sembrava una storia importante, quell’amore finito con un bacio lanciato in aria e con una porta che si chiude alle spalle definitivamente. Perché tutto può finire, è cosa risaputa, e di fatto tutto finisce, compreso l’amore (perché l’amore dovrebbe sottrarsi a questa ferrea regola?). C’è in questo, una sorta di passiva accettazione da parte di Sandro, una mancanza di lotta, perché egli sa. Sa che tutto è effimero. Fine di una storia che, però, non impedisce a Clara di ricomparire e di insinuarsi (come una serpe? ma anche no) nella vita di Sandro sotto forma di pensiero e, anche più, di monito, per guidare, commentare le azioni di Sandro.
Clara diviene una sorta di guida, un mentore che conduce, detta regole pur essendo assente. Le donne di Sconclusioni sono forti, volitive, decise, un po’ ciniche hanno la capacità di trasportare e trascinare questi uomini “al di là” (nel pieno rispetto dell'etimo del termine trasportare) addirittura oltre il mondo.
Sono donne che, come Jey Blonde, sorridono senza mai sorridere o che non sorridono mai come Alice. Sono crude ma anche insostituibili. Hanno la capacità di condurre per mano gli uomini, di inalare soffi vitali, di rimettere in vita chi non aveva ancora capito o scordato di vivere e… di abbandonarli lanciando nell’aria un addio sotto sembianze di bacio.
Lo stile di Pappatà è essenziale, incisivo, minimalista. L’uso non usuale della punteggiatura rende la sua scrittura vitale e vivace. Mai prolisso, mai noioso piccole frasi che spesso, comunque le si denomini, hanno la stessa forza di un verso di una poesia: rimangono impressi nella memoria e nel cuore. Ha la straordinaria capacità di giocare con le parole, un vero e proprio giocoliere che, abilmente, le fa roteare, rimbalzare, girare e le interrompe bruscamente non per creare strappi, ma per spiegare concetti, silenzi emozioni. Spiegare concetti può essere semplice, spiegare il silenzio richiede capacità ben diverse dall’abile uso della tastiera. E’ un abile enigmista che si prodiga nella difficile tecnica della sciarada generando neologismi, pensiamo a malinconitudine e a casalinghidutine. E in un mondo forse troppo chiassoso, in cui tutti urlano per farsi sentire, in un mondo dominato dalla perdente regola del “Chi più parla, più vince” (ma vince cosa?) Pappatà sceglie una via alternativa, nuova: quella di comunicare, raccontare, manifestare con poche parole. Poche, ma giuste! Una pura questione di scelta. Ma scelta oculata e raffinata (la classe non è acqua, cit.). E’ importante, credo, non solo conoscerle le parole ma SAPERLE SCEGLIERE.
E lo fa lasciando un biglietto d’addio (ancora non trovato, ma vi assicuro che esiste) a quelle sovrabbondanze terminologiche e concettuali che son reputate, erroneamente e illusoriamente, indice di competenza e bravura (?!) ma che, in realtà, nascondono solo una mera attività di consultazione fatta di scorse forsennate a buoni dizionari dei sinonimi e dei contrari.