La malerba del vicino
Titolo: L'inquilino del terzo piano
Autore: Roland Topor
Editore: Bompiani
Anno: 2004
Pagine: 159
Genere: Romanzo
Traduzione: Giovanni Gandini
Partiamo dalle origini. È necessario 
chiarire come non ci si trovi di fronte alle solite beghe condominiali 
per infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o alla pressante 
questione dell’esatta determinazione dei millesimi “all’uopo necessaria 
per la ripartizione delle spese per il cancello condominiale” come si 
legge nei tanto detestati verbali d’assemblea. Niente di tutto questo. 
Il
 titolo dell’opera, in originale, è “Le locataire Chimérique” divenuto, 
in italiano, prima “L’inquilino stregato” e, infine, l’anonimo quanto 
insipido, “L’inquilino del terzo piano” . Insomma, i soliti limiti delle
 traduzioni. Andiamo oltre, oggi non sono in vena di polemiche. 
Continuo,
 pertanto, per parlarvi di questo bellissimo romanzo. Un romanzo un po’ 
stregato, un po’ surreale, un po’ angosciante che mi ha dato quasi 
l’illusione di precipitare all’interno di un’agghiacciante spirale. E, 
in qualche modo, vi ho trovato le atmosfere di altri autori da me amati,
 come Kafka e, soprattutto, Buzzati. 
Un romanzo quasi onirico, nel 
quale nulla è scontato, dove tutto può essere perfettamente reale o 
perfettamente allucinato o visionario. Una carrellata di Immagini che si
 riflettono,  si distorcono e frantumano in una fittizia casa di 
specchi.  Riflettendosi, si moltiplicano all’infinito fino a rendere 
ardua l’individuazione dell’immagine prima. Impossibile, anche ad un 
abile cercatore, reperirla in quell’ingorgo di riflessi.
Un libro che
 pare una pittura di Topor della quale possiede, indubbiamente, i 
colori. Ma anche uno specchio frantumato.  Un libro costruito a “spire, O
 Voi Letterati e Critici passatemi il termine, che si restringono, 
lentamente,  in arie cupe e surreali prive di una omologata ripartizione
 dei confini della lucidità e della follia. Lucidità e follia danzano 
sinuosamente in questo condominio tetro, sfumato e incongruo come i 
sogni stessi. 
Il protagonista è un normale impiegato, Trelkovsky.
Sfrattato,
 su consiglio di un amico trova un nuovo appartamento precedentemente 
affittato alla misteriosa Simonetta Choule la quale, nel momento in cui 
lui conclude il contratto d’affitto, si trova in fin di vita 
all’ospedale per un tentativo di suicidio. A quanto pare, Simonetta si è
 lanciata nel vuoto dalla finestra della sua casa. Quella stessa 
finestra alla quale il nostro Trelkovsky si affaccerà spesso.
Per 
Trelkovsky, inizialmente, quell’appartamento appare come un segno 
divino. E’ ancora ignaro del fatto che dio non sia cosi buono e 
generoso. Dio o chi per lui.
Il protagonista, persona discreta ed 
educata, vivrà  circondato da vicini che lo accuseranno, spesso e 
volentieri, di fare troppo baccano. Questi onnipresenti condomini, più 
simili a ombre che a uomini, diverranno la sua ossessione. Egli farà di 
tutto per evitare le loro lamentele: rinuncerà alle visite degli amici, 
alle visite delle donne fino a rinunciare alla sua vita, alla sua 
identità. Identità che nel corso degli eventi, mai troppo chiari, 
subisce delle lente trasformazioni. Flemmatiche e impercettibili, 
paragonabili allo stillicidio del rubinetto che, nelle sue tetre 
fantasticherie, Trelkovsky  sente all’interno del suo appartamento (o 
forse no?).
E nel momento in cui i ladri si introducono nel suo 
appartamento ripulendoglielo, capisce. L’illuminazione! Lui è al centro 
di un complotto, illogico sembrerebbe, ordito dai suo vicini. Dalle 
riflessioni contorte e toccanti di Trelkovsky  emerge come Simonetta 
Choule non si sia suicidata, ma sia stata indotta a farlo dagli 
inquilini i quali vorrebbero ripetere l’esperienza con lui.  Così pare, 
ma ciò che sembra non sempre è ciò che è reale. Ciò che è sicuro è che 
il protagonista sarà assorbito in un tragico gorgo nel quale non vi sono
 vie d’uscita, né principali, né d’emergenza. Fino all’epilogo che, in 
qualche modo, chiarirà l’enigma, ma non lo farà in modo netto. 
Rimarranno dubbi e domande irrisolte.
La domanda fondamentale è: chi è
 davvero Trelkovsky? È uno o duplice? Se è uno, è folle, visionario 
soggetto ad allucinazioni o sono, invece, i vicini che, con magistrale 
sadismo, lo conducono in quel baratro? O, invece, egli è l’emblema della 
frammentazione dell’io?Egli rappresenta, contemporaneamente, ciò che 
concretamente è visibile e anche quella parte che si trova sempre al di 
là della normale percezione, ossia la parte sconosciuta di ognuno di 
noi? E’ l’inconscio che si libera da rigide catene e si vendica,  
crudelmente, di una lunga prigionia?Roland Topor (1938-1997) è un 
artista poliedrico dedicatosi alla scrittura, al disegno, alla scultura,
 al teatro e alla sceneggiatura. Ha collaborato a numerose riviste. È il fondatore, con Jodorowsky e  Arrabal del movimento surrealista cd. 
Panico che prende il nome dal dio Pan, appunto un dio senza forma che 
provoca il terrore e il riso. Topor ha scritto anche “Alice nel paese 
delle lettere” ed. Nuovi Equilibri, “I seni più belli del mondo” 
Feltrinelli.  
Segnalo il film “L’inquilino del terzo piano” diretto da Roman Polansky  tratto, appunto, al romanzo.
Dedico
 queste parole belle o brutte che siano, a chi si ostina a portare i 
rasta a 40 anni incurante di tutto, a chi combatte la medicina 
tradizionale e ti ammorba con le sue battaglie anti-cortisone, a chi non
 vuole essere eccentrico a tutti i costi semplicemente perché è  nato 
eccentrico.