Cucinar ratti
Titolo: Il nostro primo, solenne stranissimo natale senza di lei
Autore: Franco Stelzer
Editore: Einaudi
Anno: 2003
Genere: romanzo
Pagine: 126
Era il primo Natale che trascorrevano senza di lei. Entrarono con quel
grosso tacchino, con un rametto di rosmarino infilzato nel buco del culo, con
le cosce ornate da ciuffetti di carta, bellamente adagiato su un vassoio colmo
di patate. Così lo presentarono alla tavolata dei parenti. Ma quel tacchino,
dal prominente ventre, non era ben cotto, anzi era proprio crudo… Avevano la
loro postazione: un buco aperto, faticosamente, in un pannello. E, con
desiderio, attraverso quell’ingegnoso foro, osservavano le imprese erotiche
della loro zia. C’era l’emozione, ma anche la paura di essere scoperti che,
sicuramente, avrebbe comportato, l’immediato loro trasferimento in un collegio
o in un istituto penale! Ma quel giorno in quell’alcova succedeva qualcosa di
nuovo: la zia urlo, al suo uomo, “basta!”. E lui, lo spione, ebbe, per la prima
volta, un pensiero filosofico: tutto finisce… Problema: come si cucina un
ratto? Lo si lascia prima in salamoia? O lo si griglia fresco, fresco? Bisogna
impanarlo? Suo zio riteneva che i ratti fossero buoni in tutti i modi…Dopo
lunghe trattative con i proprietari presero in affitto la casa al mare.
Rispolverarono le stoviglie, fu fatta la spese e si passò alla distribuzione
delle stanze. A lui toccò lo zio e, dal suo leggero odore di colonia, il
ragazzo comprese come, in quella settimana, sarebbe accaduto qualcosa di
interessante…
Franco Stelzer affida alla voce e agli occhi dei bambini il compito di
narrarci nove storie per dipingerci il loro mondo. Un mondo variegato e ricco
nel quale trovano spazio emozioni, sentimenti diversi, ilarità, stupore,
curiosità. Ci sono bambini che acquistano e cucinano un tacchino “per salvare
la loro solitudine”, per riempire il vuoto di quel primo Natale senza un
affetto. Bambini che si pongono grandi e piccole domande: come il capo fa la
pipì. Bambini che danno voce a ricordi comuni a tutti: un panino in spiaggia,
la sabbia sulle mutande. Quei ricordi, insomma, che hanno carattere universale
esattamente come quel momento, quasi inevitabile, nel quale amaramente si
comprende come certe cose non potranno più ritornare, alcune persone ci
lasceranno, certi sapori – anno dopo anno – saranno sempre diversi. Perché
tutto finirà travolto da una cappa di nebbia, tutto si offuscherà nell’esatto
momento in cui si comprenderà come ogni cosa è destinata a finire. E rimarrà,
sempre e comunque, quel filo di nostalgia a ricordarci che quel passato, fatto
di nonni, di zie eroticamente attive o di zii che si mangiavano topi, è davvero
esistito e, in parallelo, cresca il numero dei Natali con sempre più “senza”.
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