Titolo: Col corpo
capisco
Autore:David Grossman
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Pagine: 308
Genere: Racconti
Traduzione: Alessandra
Shomroni
Shaul li vede, li sente. Vede sua moglie Elisheva con l’altro, basta che
chiuda gli occhi. E vede come Elisheva afferra la spalla dell’uomo e si piega
per togliersi le scarpe. La vede aggrapparsi a quel corpo. I vestiti sparsi per
terra. Shaul sa. E li vede anche in quella giornata di ottobre quando si trova a
bordo di una Volvo con una gamba ingessata, mentre sua cognata, la moglie di
suo fratello, Esti, è al volante. Dopo trenta minuti di viaggio i due cognati
non hanno ancora iniziato qualcosa di simile a una conversazione. Esti ancora
non sa che quel viaggio sarà l’occasione per sentire la storia di Elisheva e
Shaul e di quel tradimento, di quel terribile tradimento che ossessiona Shaul,
ma di cui lui ha la certezza pur non avendoli mai seguiti quei due. E forse
anche Esti avrà qualcosa da raccontare… Sua madre è ammalata, a letto. Lei, Rotem,
sua figlia, è tornata da Londra: è da due anni che non si vedono. La guarda,
quella donna morente, e per quanto si forzi non riesce a collegarla alla donna che
era, la regina delle indovine, ma che di lei non sa nulla. Rotem ha scritto e,
soprattutto, ha scritto di sua madre. E, ora, al suo capezzale, le leggerà,
sera dopo sera, quelle parole. Parole del passato, dell’infanzia, delle lezioni
di yoga che sua madre, all’epoca, teneva e di quel ragazzino…
Col corpo capisco è il secondo dei due lunghi racconti che compongono l’opera
del celebre autore israeliano e che, appunto, dà il titolo alla medesima. Racconti
differenti certo, ma uniti da due elementi cardine: il corpo e il sentimento
della gelosia, seppur visti con prospettive diverse. Infatti, se da un lato, si descrive, con minuzia e con precisione
quasi chirurgica com’è tipico di Grossman, il sentimento di gelosia all’interno
di un matrimonio, dall’altro, la gelosia sarà il tarlo che intaccherà, in modo
quasi traumatico, il rapporto di una figlia con la madre. E tutta la narrazione
sarà un ruotare attorno al binomio corpo-gelosia, in una sorta di danza che
alterna realtà e immaginazione, alternanza che, a tratti, viene meno, fino a
creare una totale commistione tra realtà e pensiero fino a non scorgere più di alcuna
linea di confine tra i due, creando terreno fertile per una dimensione
nebulosa, sfumata, tipica del mondo onirico. Come negli altri suoi romanzi,
Grossman riesce, e in ciò è sempre abile, a mettere a nudo l’animo umano, a
compiere complesse analisi introspettive, a trasformare i corpi, tangibili, in
sensazioni, per definizione non tangibili, a ridurre tutto al rango di
sentimento. Ma nel far ciò porta tutto all’esasperazione e la lettura è, a
tratti, faticosa, fors’anche per la ricchezza della sua lingua esacerbata dal
continuo e ripetuto ricorso ad aggettivi che, ridondanti, affaticano.
Articolo già pubblicato su Mangialibri
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