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martedì 15 luglio 2014

IL VINCITORE È SOLO - Paulo Coelho

Il vincitore è (un) bolo. Indigesto

Titolo: Il vincitore è solo
Autore: Paulo Coelho
Editore: Bompiani
Anno: 2009
Pagine: 448
Traduttore: Rita Desti








Ho iniziato con il piede sbagliato, lo riconosco e, ora, con il piede giusto mi ritrovo a sputare veleno verso questo romanzo a causa di una serie ordinata di reazioni a catena. Tutto è cominciato quando una mia amica mi ha prestato questo libro. Potevo ancora salvarmi, ma ho fatto l'errore di aprirlo. L'errore successivo è stato quello di continuare la lettura in base ad un mio astruso principio privo di qualsivoglia fondamento logico-razionale: terminare la lettura di ciò che inizio. Sempre. 
Si, lo so! Potrei sgarrare e astenermi dal rispettare questa insana regola confidando nella mancanza di torture o punizioni corporali. Ma non sgarro e, imperterrita, continuo. C’è qualcosa di patologico in questa sorta di autoflagellazione che mi impongo con costanza forse per qualcosa che non ho portato a termine in una vita precedente o, forse,nel mio passato… Mah, chissà… Per farla breve: ho terminato questo libro per riporlo nella scrivania in attesa di restituirlo alla mia amica vincendo la tentazione, forte devo dire, di lanciarlo dal balcone.
Cercherò di essere buona e di individuare almeno un lato positivo in questa mia traumatica esperienza ricorrendo alla mie riserve, peraltro non abbondanti, di ottimismo. Si, credo che la cosa migliore sia il vivace colore della copertina.
Coelho ci narra le vicende di un potente imprenditore russo che, come ogni russo che si rispetti, si chiama Igor. Anche io ho un nome russo ma non sono russa, i miei genitori non son stati attenti a quei “fondamentali” dettagli che ad uno scrittore preciso e attento, invece, non sfuggono (!).
Igor è bello, ricco, potente, insomma uno di quegli uomini che, come da copione potrebbe
 avere tutto ma così non è. C’è una grossa falla nella sua vita, una mancanza che gli toglie il respiro e questa mancanza si chiama Ewa. La sua ex fidanzata che lo ha lasciato e si è innamorata (si fa per dire) di uno stilista arabo che sarebbe rimasto solo un semplice arabo con la passione per i rammendi dei burqa se non avesse conosciuto un famoso sceicco. Quest’ultimo, per una serie di coincidenze, gli permette di studiare e di farlo entrare nel fatato mondo dell’alta moda europea. Le vie della Provvidenza divina sono infinite e assumono varie forme. È anche vero, ed è cosa risaputa, che le conoscenze e le giuste raccomandazioni sono utili. E Igor di fronte al desiderio della sua ex compagna di ricostruirsi una vita nella quale non è contemplata la sua presenza, lancia al cielo il suo possente NIET che, nella sua folle ossessione, lo porterà a distruggere altri mondi. Mondi intesi come persone la cui morte costituirà per Igor il modo di lanciare alla sua Ewa dei messaggi. In fondo Ewa è distratta, se cosi possiamo dire, sciocca femmina che non capisce come il suo rapporto con il russo faccia parte di un progetto stilato dall’ingegnere che sta in alto, che tutto vede e tutto ordina e nessuno può permettersi di disattenderlo. È Dio che, come ripetutamente afferma Igor, ha voluto quella unione: volontà del capo supremo e non si discute.
Tale ossessione amorosa colorata di pedanti richiami al divino porterà al fiorire di cadaveri eccellenti e meno eccellenti. In particolare, le tecniche di eliminazione apprestate da Igor non determineranno lo spargimento di grosse quantità di sangue poiché egli è un perfetto igienista e fa largo uso, senza mai lordare né il futuro cadavere né il luogo del delitto, di pratiche omicide avanzate e inusuali. Insomma, un amante della pulizia in tutti i sensi. E questo amore per la pulizia e per la bellezza delle sue vittime (che più che morte paiono addormentate) è perfettamente in linea con l’ambientazione del romanzo: Cannes. Luogo di apparenza, di bellezze, di perfezione ad ogni costo. Di immagine.Ovviamente l’attenzione dello scrittore- dotato di sensibilità fuori dal comune (!)- non poteva non soffermarsi su quel mondo ovattato, superficiale, ricco di pseudo-sentimenti effimeri come le unghie ricostruite, di diete, di conteggio maniacaldelle calorie, di extension, di sogni di gloria. Ed è proprio nella descrizione di questo mondo che mi è parso di individuare quasi una critica forzata, un tentativo affannoso di scardinare, eticamente, quel mondo ma di farlo per ottenere un riconoscimento. Insomma, non vorrei insinuare (ma anche si) ma ho avuto la fastidiosa sensazione che Coelho fustigatore dei costumi abbia navigato (a bordo di insicura zattera, mi pare) un terreno fertile al precipuo scopo di far emergere i suoi “puri” e tanto decantati principi religiosi, il suo esacerbato spiritualismo per lanciare un messaggio : “sto dalla parte dei buoni non sono uno di Cannes, IO!”
Un romanzo pesante, ripetitivo. I racconti che hanno ad oggetto le esperienze di vita delle modelle paiono strapparti da una delle tante riviste patinate sempre uguali a sé stesse. Niente di originale. Prolisso allo sfinimento, pareva che ogni periodo fosse stato allungato a mo’ di elastico per consentire alle parole di espandersi confusamente tra le pagine bianche e protrarre l’attesa di quel finale a sorpresa che non ha, di fatto,sorpreso nessuno. Dimenticando che le troppe parole annoiano e che gli elastici, per quanto resistenti, si spezzano. 
Una caterva di cose trite e ritrite e ritrite ancora seppur infarcite, artatamente, dai consueti richiami al suo dio, all’amore universale, alla perenne dicotomia spirito-corpo. Ogni tanto, qualche pillola di saggezza incapace di attrarre in quanto frutto di un cattivo miscuglio degli ingrediente e dall’abbondanza di toni fastidiosamente patetici.Domanda d’obbligo: La bruttezza è sempre soggettiva?
Grazie (si fa per dire) amica Chiara

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