Pagine

venerdì 28 aprile 2017

LA CACCIATRICE DI BUGIE - Alessandra Monasta

                                                                                             Empatie

Titolo:La cacciatrice di bugie
Autore: Alessandra Monasta
Editore:Longanesi
Anno: 2015
Pagine: 336
Genere: Romanzo
Dopo aver terminato il romanzo della Monasta, conosciuta come perito fonico forense in grandi processi, mi son chiesta come sarebbe descrivere dettagliatamente, con le annesse implicazioni di varia natura, la mia professione. Perché al di là delle generiche e oggettive definizioni di ogni professione si trova un mondo, soggettivo e intimistico, che in pochi forse riuscirebbero a descrivere. Perché dietro una professione c’è una persona ed è anche vero che, spesso, persona e professione si amalgamano quasi a divenire una cosa sola. Insomma, parlare di un lavoro, in questi termini, non credo sia semplice. La Monasta, ecco, ci riesce.
Firenze, 18 marzo 2014. È mattina, nella stanza si avverte il caldo che, senza mezzi termini, anticipa l’estate. I raggi del sole illuminano la scrivania di legno antico con due pc, una stampante, e post-it colorati ovunque. Squilla il telefono e deve recuperarlo tra quella montagna infinita di fogli, quei fogli che, per lei, sono indispensabili e le servono tutti e tutti insieme. È Luigi Russo dall’altro capo del telefono “Abbiamo bisogno di te… è urgente”. E, ancora, “Non leggere i giornali”. Già, come sempre, non deve farsi influenzare. Lei dovrà dare la disponibilità per le settimane successive e, inutile specificarlo, anche nei giorni festivi (cosa sono, poi, i giorni festivi?). Come sempre da vent’anni a questa parte. È da vent’anni che conosce Luigi, l’ispettore della polizia, è da vent’anni che gli uffici della Procura del Tribunale le sono familiari. Iniziò tutto nell’anno 1993, aveva solo 24 anni, fresca di studi in giurisprudenza, e ricorda benissimo quella lontana notte del 27 maggio del ’93: le vibrazioni dei vetri, il rumore sordo. Una fuga di gas? O un attentato, un’autobomba?...
Alessandra Monasta, nota per aver trascritto le intercettazioni nell’ambito di grandi processi degli ultimi anni, il mostro di Firenze, la strage di Erba per citarne qualcuno, racconta in questo romanzo-biografia la sua esperienza lavorativa, quella, appunto, del perito fonico forense. Professione per la quale non esistono né scuole di specializzazione né albi ai quali iscriversi. Basta essere reclutati in virtù di quella dote che da sempre l’ha caratterizzata, l’empatia, o, meglio quel “modo empatico che ha di stare al mondo”. Intelligente, attenta, e soprattutto curiosa fino al parossismo ed è proprio la curiosità che l’ha spinta non tanto a “fare il perito fonico ma a essere un perito fonico“. Dalle sue parole emerge una grande passione, un enorme spirito di sacrificio e anche la difficoltà di staccarsi dal mondo lavorativo che permea e assorbe tutta la sua esistenza: complicato uscire con gli amici dopo aver trascorso innumerevoli ore con le cuffie che, volente o nolente, attivano tutti i suoi canali uditivi onde per cui frequentare le persone le viene difficile non riuscendo a non ascoltare tutti i discorsi altrui, E ascoltare le vite altrui spesso diventa spesso una morsa nella quale viene intrappolata: “passo più tempo nelle loro vite che nella mia“. Ma oltre la ricerca della verità, lo studio minuzioso delle voci, il dar significato a minime inflessioni vocali e alle pause c’è anche una Alessandra figlia che perde la madre, e una donna che si innamora nonostante il lavoro, nonostante quel lavoro.

mercoledì 26 aprile 2017

LA GENTILEZZA - Polly Samson

Tradimenti, con grazia

Titolo: La gentilezza
Autore: Polly Samson
Editore: Unorosso
Anno. 2015
Genere: Romanzo
Traduzione: Daniela di Falco
Pagine. 290

Oh, ma che bella parola: gentilezza.
Oh, che bel suono: gentilezza.
Una parola che evoca immagini positive, dai bei colori, che fa bene al cuore.
Peccato che, spesso, dietro quella parola si annidino delle armi capaci di stravolgere intere esistenze, capaci di scardinare certezze e di rimettere in discussione tutto quanto. Perché alla fine le parole, ogni parola, ha in sé qualcosa che potrebbe trasformarsi in un veleno. Un veleno gentile, ma pur sempre veleno. Bruciante, asfissiante, doloroso.

1989. Nasce un amore quello tra Julian, studente universitario e Julia, di otto anni più grande e sposata con un uomo violento e aggressivo.  
Agosto 1997, Firdwais. Julian è solo. Mira, sua figlia non c’è più. Julia, nemmeno.
Si sveglia da un sonno indotto dai farmaci in “un mattino che non dà ragioni per svegliarsi”. Allunga la mano verso l’ultimo cassetto della scrivania e, come ogni giorno, deve tenere a bada l’impulso di controllare: quel cassetto contiene una scarpetta in pelle morbida, la sinistra, con cinturino alla caviglia e fibbia d’argento che Mira aveva quasi imparato ad allacciarsi da solo. Lui è solo in quel tanto desiderato cottage.  Senza le sue donne: Mira e Julia. Solo con il suo dolore.

La Unorosso dà alle stampe il secondo romanzo di Polly Samson scrittrice, giornalista e paroliera britannica, nonché moglie, dal 1994, di David Gilmour per il cui gruppo, i noti Pink Floyd, ha scritto alcune canzoni.

La gentilezza, nonostante la delicatezza del titolo che evocherebbe ben altro, è un romanzo crudo e difficile. Difficile perché parla di sentimenti, di vita, di rapporti familiari, di malattia, di tradimento.  E, siamo onesti, quando si tratta di tali argomenti nulla è mai facile. Strutturato alternando diverse voci e costruito a tasselli in modo da regalarci un quadro definitivo della storia solo a fine romanzo, La Gentilezza è un’opera complessa e densa nella quale manca un rigoroso ordine cronologico. Il lettore si trova sbalzato dal presente al passato in continuazione, in un vorticoso ripetersi di flashback che costituiscono il nucleo fondamentale delle vicende.  
Un romanzo particolare dal punto di vista stilistico e della struttura, ma anche appassionante, intenso e doloroso che lascia l’amaro in bocca e apre la strada a molte riflessioni volte a comprendere (senza riuscirci, forse) fino a che punto può spingersi un sentimento, fino a che punto può diventare evanescente la linea di confine tra il fare del bene e il fare del male, perché – a ben pensarci – una linea netta di demarcazione forse non sempre è possibile. Rimane certo, invece, il peso insopportabile di un tradimento così come il peso, che ha il suono di un urlo lacerato di dolore, della perdita di un qualcosa che si ama più della nostra stessa vita.  

mercoledì 12 aprile 2017

JACK & ALICE - Jane Austen

Eravamo tanto belli

Titolo: Jack & Alice
Autore: Jane Austen
Editore: Donzelli
Traduzione: Bianca Lazzaro
Pagine: 80
Genere: Romanzo

Scritto a 15 anni Jack & Alice è una favola cattiva, amara e divertente. Un’opera immatura ancora, non perfetta, ma gradevole.

Pamydiddle, il gioviale Mister Johnson ha una voglia matta di deliziarsi: per festeggiare il suo  cinquantacinquesimo compleanno organizzerà, con congruo anticipo, una festa in maschera alla quale saranno invitati tutti gli amici e i familiari - ben pochi per la verità. Il giorno tanto atteso arriva, e in quella sfilata di Domini e Sultane appare con il suo soprabito verde il bel giovine Charles Adams, la cui maschera impersona il Sole. Certo che i suoi occhi riescono comunque a dardeggiare raggi infinitamente più potenti di quelli del luminoso  astro. Egli è stato dotato da madre natura di bellezza sì accecante al punto che nessuno può mirarlo in viso tranne, ovviamente, le aquile. E la giovane Alice, tra un bicchiere di buon vino e l’altro, si innamorerà perdutamente del signor Sonbellocomeilsole e anche di più. La signorina si impegnerà per conquistare il cuore del suo innamorato, facendo persino intercedere il suo caro genitore tramite corrispondenza epistolare. Conquista difficile considerando che anche Lucy si innamora di Charles. Ma, a quanto pare, Charles Adams ha altre mire…


Non sperate di trovarvi signorine Bennett o fascinosi mister Darcy. No, in Jack & Alice c’è ben poco orgoglio e poco pregiudizio, molto sentimento – per quanto effimero - e poca ragione. Le famose e ricercate signorine “a modo” son ben poche in queste pagine. Una Jane Austen totalmente nuova dal punto di vista narrativo e stilistico: ma per quanto lo stile sia ancora in itinere e molto distante da quello che caratterizzerà le sue opere più famose, è indubbio che la giovanissima Austen in questo romanzo breve dimostri la sua straordinaria capacità di indagare a fondo nella psiche dei suoi personaggi e di fornirci una disamina completa, e spesso satirica, dei meccanismi che muovono gli ingranaggi di un data società. Una carrellata di ambigui personaggi, simili a caricature, che paiono quasi anticipare in peius quelli che saranno i protagonisti delle sue opere più riuscite. Un racconto che pare quasi una favola. Una di quelle favole quasi fedriane solo che qui le virtù - ben poche -  e  i vizi – molti, forse troppi - sono rappresentati da esseri umani e non da animali. Vizi che, quasi a volerli evidenziare maggiormente, sono indicati con lettere maiuscole. In effetti, anche le virtù sono indicate con le lettere maiuscolo, ma non sono altrettanto convincenti. Personaggi bizzarri, ipocriti, fondamentalmente vuoti, che affogano il tempo nell’alcol e nel gioco d’azzardo. Questo è il magico regno della superficialità, dei discorsi vacui, delle inutili tautologie decantate come se fossero perle di saggezza o esperienze di vita di cui tener conto perché presentate come insegnamenti di vita. Un libro divertentissimo, cattivo, una presa in giro di usi e costumi di quella società apparentemente per bene, scritto nel 1790 alla giovane età di quindici anni. Un racconto-favola che è uno spasso, una storia da leggere e questa volta, anche, da guardare poiché la narrazione è gradevolmente intervallata dai disegni di Andrea Joseph, conterraneo della Austen, che firma con quest’opera il suo esordio letterario. 

venerdì 7 aprile 2017

JOHN F. KENNEDY VISTO DA VICINO - Francesco Rossi

Senza veli
Titolo: John F. Kennedy visto da vicino
Autore: Francesco Rossi
Editore: Pagine
Anno: 2010
Pagine: 300
Genere: Saggio politica

Una biografia di Kennedy che raggiunge l’obiettivo di sfatare un mito.
Per quanto mi riguarda, leggo sempre con piacere le famose “due versioni” di ogni cosa, non credendo mai nella perfezione assoluta, di niente e di nessuno.

Sono le tre del mattino del 29 maggio 1917 quando nasce John Fitzgerald Kennedy, figlio di Rose e di Joseph. Bambino di salute cagionevole, con problemi congeniti alla schiena. A tre anni, a causa una forma grave di febbre scarlatta, le sue condizioni fisiche furono talmente critiche che il padre promise di donare metà del patrimonio alla Chiesa qualora suo figlio si fosse salvato. John si salvò. Joseph fece la donazione promessa, salvo prima acquistare una nuova casa e intestarla alla moglie onde ridurre l’importo della donazione. La carriera scolastica di John non fu certo brillante, anche per i suoi problemi di salute, ma il giovane riuscì a laurearsi cum laude. Il sogno del padre era quello di fare del suo figliolo un intellettuale: la tesi divenne un libro. Grazie ai suoi contatti con le case editrici e, ovviamente, facendo riscrivere la tesi da un giornalista del New York Times. I ruoli familiari erano così assegnati: John sarebbe divenuto un intellettuale e Joe Junior, il primogenito fisicamente perfetto, sarebbe finito alla Casa Bianca.  Un piano lineare e di non difficile realizzazione visti i mezzi a disposizione. Ma ci son cose che non si possono prevedere, per tutti. Il 12 agosto del 1944, Joe Jr., volontario nella missione V-1, morì in un incidente nelle coste inglesi. Fu così che i piani di Kennedy padre vengono ribaltati. Sarà JFK a rimpiazzare il protagonista dei sogni paterni e sarà lui che correrà per la presidenza degli Stati Uniti…

Francesco Rossi, giornalista de “Il Tirreno”, ci offre una biografia accurata e senza veli del presidente americano, figura che, in qualche modo, è entrata nel mito. E se vogliamo Rossi manifesta con la sua opera una sorta di protesta verso quella stampa e contro quella parte dell’ opinione pubblica italiana che chiude un occhio, o forse entrambi, su quello che è stato realmente Kennedy solo perché morto tragicamente. Morte tragica che fungerebbe da purificatrice dei peccati – grandi o piccoli – commessi in vita. Questo Rossi non l’accetta. Come non accetta, e lo fa con naturalezza, il concetto, spesso troppo ripetuto, di “idealismo kennedyano”, ponendo in dubbio questa etichetta e avanzando l’ipotesi che invece si sia trattato di realismo pragmatico che si scorge oltre le apparenze. Apparenze che l’autore si impegna a superare. Eccolo JFK spogliato del trono in cui è stato collocato per anni. JFK  studente mediocre. JFK sempre assente alle sedute del senato. E che va avanti grazie all’appoggio, consistente, lecito e anche no, del padre. Le sue campagne elettorali così distanti dal creare un vero contatto con gli elettori, ma caratterizzate da terrorismo psicologico, da tattiche sleali e accompagnate da frodi, corruzioni sempre grazie alla potenza economica del padre. Dietro il Kennedy figlio, dietro ogni parola, ogni gesto lui: il padre. Il presidente forse era inesperto, forse troppo giovane, forse cinico. Sicuramente amante della tv, soprattutto se in essa vi era la sua immagine.  Un quadro pubblico sconfortante al quale si aggiunge il quadretto privato che fa a pugni con la figura di un presidente cattolico impegnato a promuovere i sacri valori della famiglia. Perché quei valori tanto esaltati, in qualche modo, sono incompatibili con una vita privata fatta di prostitute, di silenzi pagati, di bunga-bunga ante litteram. Insomma, bisognerebbe non avere mai miti per non vederli sgretolare così facilmente.





mercoledì 5 aprile 2017

IL SIGILLO DELLA POESIA - Alda Merini

Gorghi
Titolo: Il sigillo della poesia
Autore: Alda Merini (a cura di Piero Manni)
Editore: Manni
Anno: 2013
Pagine: 247
Genere: Poesia



I Navigli, la poesia, la vita, il manicomio, ricordi dell'infanzia, la giovinezza, la passione. 
C'è tanto della Merini in questo appassionante libro.




Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Nacque a Milano, il 21 a primavera pur non essendo conscia del fatto che “nascere folle /aprire le zolle / potesse scatenare tempesta”.
Sua madre era una donna bellissima e molto autoritaria. Non era concesso ai figli confidarle, per esempio, un amore né tantomeno una piccola disubbidienza perché certamente li avrebbe messi in punizione. A natale, e solo a Natale, nella loro casa un grosso cappone cuoceva per quattro ore e c’erano anche i presepi semoventi. Dopo aver terminato le scuole elementari decise di voler entrare in convento. Andò perciò a Vercelli e a casa sua ne fecero quasi una malattia: tutti i suoi familiari sostenevano che lei sarebbe stata sicuramente una buona madre. Ma lei come donna di casa non valeva molto ma si reputava una madre nata, una madre “morale”, mentale quindi non una di quelle madri che si occupano quotidianamente di tener pulita la casa, di quelle che costantemente spolverano o che stanno attente a che i figli non sporchino la casa. No, una madre diversa. Lei era Alda Merini…

Piero Manni è stato l’editore storico di Alda Merini da quando nell’anno 1987, nella rivista “L’immaginazione” pubblicata dallo stesso e diretta da Maria Grazia d’Oria, apparvero sette poesie della merini.
Manni e Merini iniziarono a frequentarsi con una certa regolarità e a conversare per telefono è da quelle conversazioni che è nato questo volume che, come lo stesso editore ha dichiarato, è un omaggio ad Alda in onore della loro amicizia.

Ad accompagnare i componimenti poetici si trovano frammenti di testimonianze, aneddoti e ricordi di un’anima sensibile, angosciata, immersa senza sosta in “quel fluire della vita in gorghi insondabili e amari” ma comunque sempre aperta verso gli altri, verso il mondo. Ed è forse in questo accorgersi del mondo, in questo tendere la mano e il cuore verso gli altri che la poesia prolifera. Perché, per dirla con la Merini, in “questo mio andare per i Navigli ho sempre parlato e aiutato tutti quelli che mi tendevano la mano; è anche grazie a loro, grazie a ciò che mi hanno insegnato che io ho fatto e faccio poesia”

domenica 2 aprile 2017

LA PIÛ AMATA - Teresa Ciabatti

Titolo: La più amata
Autore: Teresa Ciabatti
Editore: Mondadori
Anno: 2017
Genere: Romanzo

È da febbraio che avevo in mente di leggere La più amata. Curiosità, ma non solo: era qualcosa di più, forse la sensazione che sarebbe stata una bella lettura. In effetti, lo è stata. Ci vuole molta forza e molta determinazione nel tornare indietro, nel ripercorrere il mondo incantato (o creduto tale, spesso) dell’infanzia per riscriverlo, riviverlo e capirlo. Libro duro, crudele e, indubbiamente, coraggioso.

Lei, Teresa, ha quarantaquattro anni e tutto quello che è lo deve a suo padre: egoista, superficiale, anaffettiva, diffidente, asociale. Lei credeva che suo padre la amasse immensamente, credeva di essere l’amore della sua vita e, soprattutto, era convinta del fatto che lui le raccontasse tutto, invece non le aveva raccontato nulla. Lui, il padre, è Lorenzo Ciabatti, primario chirurgo presso il San Giovanni di Orbetello, conosciuto semplicemente come il Professore. Lui, un santo, un benefattore. Tutti gli devono qualcosa, qualcuno gli deve tutto. Lui che provava un certo ribrezzo per gli africani, non per razzismo – figuriamoci il Professore un razzista!- ma semplicemente perché i neri sono esseri inferiori, chiaro no? Lui, vendicativo, calcolatore. Lui ateo che credeva solo negli uomini, o meglio, nella superiorità di alcuni uomini. Lui e il suo misterioso  anello d’oro con zaffiro da quattro carati. Lei, Teresa, dopo 26 anni dalla morte del padre -un dio quell’uomo, dicevano- decide di scoprire chi veramente fosse quell’uomo…

 “lo amo davvero? Non lo so, non sono abituata a valutare ciò che amo per i viventi”

Quanto coraggio serve per mettere a nudo un idolo soprattutto se quest’idolo è il proprio genitore? Indubbiamente molto e di certo non ne è mancato a Teresa Ciabatti, scrittrice e sceneggiatrice, nella sua ultima fatica. Usando la scrittura a mo’ d’arma tagliente ripercorre gli anni della sua infanzia e della adolescenza per far emergere la verità intorno a suo padre, l’idolo appunto. Una ricerca della verità che ha il sapore di una vera e propria ossessione. Pare che per l’autrice nessuno sia intoccabile, tantomeno quel dio in terra da tutti osannato. E alla dimensione intima e familiare, quei “Ciabatti per i quali i bambini non esistono” né esistono abbracci o carezze, si aggiunge un frammento di storia italiana, dell’Italia dei misteri e dei personaggi che li hanno creati e alimentati e nei quali nuotava il Ciabatti padre. Un libro crudo, crudele senza alcuna pietà. Per nessuno, neanche per se stessa: egoista, madre inadeguata, asociale, senza alcun rapporto con il fratello. Non è lei la buona e il resto del mondo i cattivi, sarebbe stato troppo semplice.Pagina dopo pagina le parole della Ciabatti divengono dardi infuocati che lasciano il segno. Già dalla sua uscita si vociferava una candidatura del romanzo al Premio Strega e, proprio in questi giorni, la candidatura è divenuta ufficiale a seguito della presentazione ad opera di Stefano Bartezzaghi e Edoardo Nesi.


sabato 1 aprile 2017

IL RISCATTO DI CAPO ROSSO - O. Henry

Idee quasi geniali

Titolo:  Il riscatto di Capo Rosso
Autore: O. Henry
Editore: Guanda
Anno: 2014
Traduzione: Luigi Brioschi
Pagine: 197
Genere: Racconti
Adoro i racconti, il loro concentrare in poche pagine una storia, una vita, emozioni, il loro colpo di grazia dato dal finale, spesso non previsto. Non conoscevo O. Henry ed è stata una piacevole scoperta. Una sfilza di personaggi un po’ buffi, piccoli truffatori, scansafatiche senza l’ambizione di divenire dei grandi malfattori. si muovono nelle pagine di questa raccolta caratterizzata  da un’alta cifra di umorismo. Lettura gradevolissima.
Alabama. Bill  e Sam ebbero la “temporanea folgorazione” di rapire un bambino onde raggiungere la somma mancante di duemila dollari per porre in essere una frode edilizia. Individuata la vittima in un bimbo di dieci anni attuano il loro piano. Ma le cose non vanno esattamente come avevano previsto... Il maggiore Talbot e sua figlia si trasferiscono a Washington dove prendono in affitto alcune stanze comprensive di uno studio nel quale il maggiore potrà lavorare al suo libro. Il tempo passa e, nel frattempo, i soldi finiscono... Andy e Tucker in possesso di un rotolo di biglietti grosso come il timone di una carrozza decidono di metter su un'agenzia matrimoniale ritenendo di poter, nell'arco di due mesi, raddoppiare il malloppo. Iniziano con un'inserzione sul giornale firmata “Cuore solitario”... Maggio è il mese dominato da spiriti pazzi e burloni e, soprattutto, è il mese nel quale Cupido si diverte a sparare alla cieca. E maggio pizzicò il vecchio e gottoso signor Coulson...

O. Henry, pseudonimo di William Sidney Porter, è stato un maestro nell’arte del racconto breve. I racconti della raccolta Il riscatto di Capo rosso si caratterizzano per la presenza di un finale sempre a sorpresa in grado di stravolgere l’intera vicenda o gli obiettivi iniziali che i protagonisti si erano prefissi. I suoi personaggi non sono mai dei grandi criminali, non potrebbero, per intenderci, occupare un ruolo in una grande associazioni a delinquere perché son quasi innocui, capaci di architettare piccole truffe, perdigiorno e, alla fine, è impossibile non provare per loro simpatia. Il punto forte di queste storie è, indubbiamente, la generosa dose di umorismo precisamente di quell’umorismo, come l’ha definito Manganelli, da contafavole molto vicino a quello di Mark Twain. Considerato come la risposta americana a Guy de Maupassant, altra figura di riferimento del genere racconto, con il quale ha sicuramente in comune la costruzione del finale, ma riesce comunque a distinguersene per la mancanza di quella cupezza che, invece, dà l’impronta a molti dei racconti dell’autore francese. E in quell’umorismo e quelle vicende che fanno sorridere e meravigliare Henry offre uno spaccato dell’America del suo tempo che l’autore, con occhio attento, ha registrato dall'interno della sua cella, durante gli anni della prigionia nel penitenziario dell’Ohio.